venerdì 31 dicembre 2010

Grazie!

L'inno del Te Deum

Con tutta la nostra vita, ogni giorno di quest'anno appena trascorso, per le cose che abbiamo capito, per quelle che non abbiamo capito, con tutto il nostro cuore, per tutte le cadute, i fallimenti, per tutte le volte che ci hai perdonati, per l'Amore che hai per noi poveri peccatori
Noi ti lodiamo, Dio,
ti proclamiamo Signore.
O eterno Padre,
tutta la terra ti adora.
A te cantano gli angeli
e tutte le potenze dei cieli:
Santo, Santo, Santo
il Signore Dio dell’universo.
I cieli e la terra
sono pieni della tua gloria.
Ti acclama il coro degli apostoli
e la candida schiera dei martiri;
le voci dei profeti si uniscono nella lode;
la santa Chiesa proclama la tua gloria,
adora il tuo unico Figlio
e lo Spirito Santo Paraclito.
O Cristo, re della gloria,
eterno Figlio del Padre,
tu nascesti dalla Vergine Madre
per la salvezza dell’uomo.
Vincitore della morte,
hai aperto ai credenti il regno dei cieli.
Tu siedi alla destra di Dio, nella gloria del Padre.
Verrai a giudicare il mondo alla fine dei tempi.
Soccorri i tuoi figli, Signore,
che hai redento col tuo Sangue prezioso.
Accoglici nella tua gloria
nell’assemblea dei santi.
Salva il tuo popolo, Signore,
guida e proteggi i tuoi figli.
Ogni giorno ti benediciamo,
lodiamo il tuo nome per sempre.
Degnati oggi, Signore,
di custodirci senza peccato.
Sia sempre con noi la tua misericordia:
in te abbiamo sperato.
Pietà di noi, Signore,
pietà di noi.
Tu sei la nostra speranza,
non saremo confusi in eterno.

mercoledì 29 dicembre 2010

Assassinio nella Cattedrale.


Oggi la Chiesa celebra la memoria di san Tommaso Becket, vescovo e martire, vissuto in Inghilterra nel XII secolo.
Una delle scelte più indovinate del grande sovrano inglese Enrico II fu quella del suo cancelliere nella persona di Tommaso Becket, nato a Londra da padre normanno verso il 1117 e ordinato arcidiacono e collaboratore dell'arcivescovo di Canterbury, Teobaldo. Nelle vesti del cancelliere del regno, Tommaso si sentiva perfettamente a proprio agio: possedeva ambizione, audacia, bellezza e uno spiccato gusto per la magnificenza. All'occorrenza sapeva essere coraggioso, particolarmente quando si trattava di difendere i buoni diritti del suo principe, del quale era intimo amico e compagno nei momenti di distensione e di divertimento.
L'arcivescovo Teobaldo morì nel 1161 ed Enrico II, grazie al privilegio accordatogli dal papa, poté scegliere Tommaso come successore alla sede primaziale di Canterbury. Nessuno, e tanto meno il re, prevedeva che un personaggio tanto "chiacchierato" si trasformasse subito in uno strenuo difensore dei diritti della Chiesa e in uno zelante pastore d'anime. Ma Tommaso aveva avvertito il suo re: "Sire, se Dio permette che io diventi arcivescovo di Canterbury, perderò l'amicizia di Vostra Maestà".
Ordinato sacerdote il 3 giugno 1162 e consacrato vescovo il giorno dopo, Tommaso Becket non tardò a mettersi in urto col sovrano. Le "Costituzioni di Clarendon" del 1164 avevano ripristinato certi abusivi diritti regi decaduti. Tommaso Becket rifiutò perciò di riconoscere le nuove leggi e si sottrasse alle ire del re fuggendo in Francia, dove visse sei anni di esilio, conducendo vita ascetica in un monastero cistercense.
Conclusa con il re una pace formale, grazie ai consigli di moderazione di papa Alessandro III, col quale si incontrò, Tommaso poté far ritorno a Canterbury, accolto trionfalmente dai fedeli, che egli salutò con queste parole: "Sono tornato per morire in mezzo a voi". Come primo atto sconfessò i vescovi che erano scesi a patti col re, accettando le "Costituzioni", e il re questa volta perse la pazienza, lasciandosi sfuggire una frase incauta: "Chi mi toglierà di mezzo questo prete intrigante?".
Ci fu chi si prese questo incarico. Quattro cavalieri armati partirono alla volta di Canterbury. L'arcivescovo venne avvertito, ma restò al suo posto: "La paura della morte non deve farci perdere di vista la giustizia". Egli accolse i sicari del re nella cattedrale, vestito dei paramenti sacri. Si lasciò pugnalare senza opporre resistenza, mormorando: "Accetto la morte per il nome di Gesù e per la Chiesa". Era il 23 dicembre del 1170. Tre anni dopo papa Alessandro III iscrisse il suo nome nell'albo dei santi.


La figura di Tommaso Becket getta tanta luce sui rapporti tra Stato e Chiesa e più in generale sull'impegno dei cristiani nella vita pubblica, specialmente quando, come nei nostri tempi, tante leggi sono anticristiane... Riporto a tal proposito un brano tratto dalla "Lettera a Diogneto", uno scritto del II secolo:


I cristiani nel mondo
"I cristiani non si differenziano dagli altri uomini né per territorio, né per il modo di parlare, né per la foggia dei loro vestiti. Infatti non abitano in città particolari, non usano qualche strano linguaggio, e non adottano uno speciale modo di vivere. Questa dottrina che essi seguono non l’hanno inventata loro in seguito a riflessione e ricerca di uomini che amavano le novità, né essi si appoggiano, come certuni, su un sistema filosofico umano.
Risiedono poi in città sia greche che barbare, così come capita, e pur seguendo nel modo di vestirsi, nel modo di mangiare e nel resto della vita i costumi del luogo, si propongono una forma di vita meravigliosa e, come tutti hanno ammesso, incredibile. Abitano ognuno nella propria patria, ma come fossero stranieri; rispettano e adempiono tutti i doveri dei cittadini, e si sobbarcano tutti gli oneri come fossero stranieri; ogni regione straniera è la loro patria, eppure ogni patria per essi è terra straniera. Come tutti gli altri uomini si sposano ed hanno figli, ma non ripudiano i loro bambini. Hanno in comune la mensa, ma non il letto.
Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Vivono sulla terra, ma hanno la loro cittadinanza in cielo. Osservano le leggi stabilite ma, con il loro modo di vivere, sono al di sopra delle leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. Anche se non sono conosciuti, vengono condannati; sono condannati a morte, e da essa vengono vivificati. Sono poveri e rendono ricchi molti; sono sprovvisti di tutto, e trovano abbondanza in tutto. Vengono disprezzati e nei disprezzi trovano la loro gloria; sono colpiti nella fama e intanto viene resa testimonianza alla loro giustizia. Sono ingiuriati, e benedicono; sono trattati in modo oltraggioso, e ricambiano con l’onore. Quando fanno dei bene vengono puniti come fossero malfattori; mentre sono puniti gioiscono come se si donasse loro la vita. I Giudei muovono a loro guerra come a gente straniera, e i pagani li perseguitano; ma coloro che li odiano non sanno dire la causa del loro odio.
Insomma, per parlar chiaro, i cristiani rappresentano nel mondo ciò che l’anima è nel corpo. L’anima si trova in ogni membro del corpo; ed anche i cristiani sono sparpagliati nelle città del mondo. L’anima poi dimora nel corpo, ma non proviene da esso; ed anche i cristiani abitano in questo mondo, ma non sono del mondo. L’anima invisibile è racchiusa in un corpo che si vede; anche i cristiani li vediamo abitare nel mondo, ma la loro pietà è invisibile. La carne, anche se non ha ricevuto alcuna ingiuria, si accanisce con odio e fa’ la guerra all’anima, perché questa non le permette di godere dei piaceri sensuali; allo stesso modo anche il mondo odia i cristiani pur non avendo ricevuto nessuna ingiuria, per il solo motivo che questi sono contrari ai piaceri.
L’anima ama la carne, che però la odia, e le membra; e così pure i cristiani amano chi li odia. L’anima è rinchiusa nel corpo, ma essa sostiene il corpo; anche i cristiani sono detenuti nel mondo come in una prigione, ma sono loro a sostenere il mondo. L’anima immortale risiede in un corpo mortale; anche i cristiani sono come dei pellegrini che viaggiano tra cose corruttibili, ma attendono l’incorruttibilità celeste. L’anima, maltrattata nelle bevande e nei cibi, diventa migliore; anche i cristiani, sottoposti ai supplizi, aumentano di numero ogni giorno più. Dio li ha posti in un luogo tanto elevato, che non e loro permesso di abbandonarlo."
Dall'Epistola a Diogneto (Cap. 5-6; Funk 1, 317-321)
Preghiera
O Dio, che recuperi i peccatori e li fai tuoi amici, orienta a te i nostri cuori: tu che ci hai liberato dalle tenebre con il dono della fede, non permetere che ci separiamo da te, luce di verità. Per Cristo nostro Signore. Amen.

martedì 28 dicembre 2010

La gemella che viene dal freddo.

Sempre nella festa dei santi martiri innocenti, dal "Corriere della Sera" di oggi, a firma di Isabella Bossi Fedrigotti.


SORELLE, MA A DISTANZA DI 11 ANNI

Nate tutte e tre grazie all'inseminazione artificiale,
le prime due nel 1999, la terza nel 2010

IL caso
Sorelle, ma a distanza di 11 anni
Nate tutte e tre grazie all'inseminazione artificiale,
le prime due nel 1999, la terza nel 2010
C'è chi rimarrà sbigottito, sbalordito, senza parole di fronte a un evento come questo, mai accaduto prima al mondo, una terza gemella venuta alla luce undici anni dopo le prime due, e somigliantissima a loro, quando erano in fasce. Nate tutte e tre naturalmente grazie all'inseminazione artificiale, le prime due nel 1999, la terza quando i genitori - una coppia inglese, Adrian e Lisa Sheperd - hanno avuto desiderio di un altro figlio e sono ricorsi a uno dei dodici embrioni «di riserva» che erano stati congelati undici anni fa.

C'è poi chi si strapperà le vesti, dirà che il mondo va alla rovescia, che l'ardire degli uomini e delle donne ha passato i limiti, che egoismo e senso di onnipotenza violano le più profonde regole della natura, che i figli non sono merce che si ordina su catalogo fissando la data di consegna quando fa più comodo, che chi presiede a queste strabilianti macchinazioni altri non è se non il dottor Frankenstein in persona.
E poi ci sarà chi dice che un figlio è un figlio, che sia venuto al mondo alla vecchia maniera tradizionale, che sia arrivato - per adozione - da un Paese lontano o che, invece, sia sbucato dal gelo tecnologico di una provetta. Né saprà dire, quest'ultimo, quali siano i genitori più egoisti e quali, invece, i meno: quelli che, pur di avere un bambino, si sottopongono a interminabili ostinate cure, quelli che affrontano attese di anni prima di essere giudicati idonei ad adottarne uno oppure quelli ai quali i figli vengono così, spontanei come regali, al primo tentativo, magari senza neppure averli particolarmente desiderati?

Si possono ben comprendere tutti quanti, gli sbalorditi, gli indignati e i compiaciuti: ognuno ha le sue ragioni, forse impossibile trovare un giudizio comune. E se per un verso viene da condividere con tutto il cuore il pensiero positivo di chi dice che un figlio è un figlio, per l'altro è difficile che non baleni nella mente l'immagine di quegli undici potenziali fratellini delle tre gemelle destinati a rimanere nel ghiaccio: soltanto grumi di cellule o già infinitesimale, microscopica umanità?

canto: Myriam Myriam Haktana



La Vergina Maria, madre di Gesù, madre di Israele e madre nostra, interceda presso Dio per ottenere il perdono di tutti i crimini orrendi di tutti i "re Erode" che hanno attraversato e attraversano ancora la storia.

Santi innocenti.

Elton John e il suo compagno, David Furnish, sono diventati genitori per la prima volta. A Natale infatti è nato Zachary Jackson Levon Furnish-John, ha riferito U.S. Weekly. Il piccolo (lui sì,innocente, n.d.r.), nato da un utero in affitto, è in buona salute. "Siamo genitori molto felici o orgogliosi, è un momento speciale", ha commentato la coppia, sposata dal 2005.
Vi risparmio la foto dei "genitori".

lunedì 27 dicembre 2010

Siamo tutti figli di Maria.

Nella festa di san Giovanni apostolo:

"Occorre avere il coraggio di affermare che, da una parte, i Vangeli sono primizia di tutta la Scrittura, dall'altra che primizia dei Vangeli è quello secondo Giovanni, il cui senso profondo non può cogliere chi non si è adagiato sul petto di Gesù e non ha ricevuto da Lui Maria come propria madre. Colui che vorrà essere un altro Giovanni, deve diventare tale da essere indicato da Gesù, al pari di Giovanni, come se lui stesso fosse Gesù. Sebbene infatti non vi sia alcun figlio di Maria, se non Gesù, secondo l'opinione di coloro che pensano rettamente intorno a lei, tuttavia Gesù dice a sua madre: "Ecco tuo figlio" - e non: "Ecco, anche costui è tuo figlio" - ed è come se dicesse: "Ecco Gesù che tu hai partorito". Chiunque è perfetto infatti non vive più, ma in lui vive Cristo, e poichè in lui vive Cristo, è di lui che è detto a Maria: Ecco tuo figlio, cioè il Cristo".

(Dal Commento al Vangelo di Giovanni di Origene)

Come farsi benedire.

Ieri abbiamo celebrato la Festa della Sacra Famiglia di Nazaret. Riporto una formula di benedizione dei figli che può utilmente essere usata dal papà:

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.


Dal vangelo secondo Luca:


"Quando furono passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo, prima di essere concepito nel grembo della madre" (2,21).


Padre nostro...


Signore, Padre onnipotente e creatore di ogni cosa, Tu che ci hai fatti partecipi del dono di dare la vita, benedici... (si dice il nome del figlio e si traccia un segno di croce sulla sua fronte). Fà che la sua vita sia sempre ricca di ogni bene secondo il Tuo volere e possa crescere in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.
Per Cristo nostro Signore.

Amen.

Canto: Maria, piccola Maria.


MARIA, PICCOLA MARIA. Inno alla Vergine Maria


Re Fad-

C. Maria, piccola Maria,

Sol Mi-

tu sei la brezza soave di Elia,

La7 Re

il sussurro dello Spirito di Dio.

Fad-

Tu sei il roveto ardente di Mosè

Sol

che porta il Signore

La7

e non si consuma.

Re Fad-

Tu sei: "Quel luogo vicino a me"

Sol Re

che mostrò il Signore a Mosè.

Sol Re

Tu sei la cavità nella rupe

La

che Dio copre con la sua mano

Sol Re

mentre passa la sua gloria.



Fad

A. VENGA IL SIGNORE CON NOI

Sol Re

SE ABBIAMO TROVATO GRAZIA AI SUOI OCCHI;

Sol Re

È VERO CHE SIAMO PECCATORI

La

MA PREGA TU PER NOI

Sol La Re

E SAREMO LA SUA EREDITÀ.



Re Fad-

C. Maria, piccola Maria,

Sol La7

figlia di Gerusalemme.

Re Fad-

Madre di tutti i popoli

Sol La7

vergine di Nazareth.

Re Fad

Tu sei la nube che protegge Israele

Sol Re

la Tenda della riunione

Sol Re

l'Arca che porta l'Alleanza

La

il luogo della Dimora del Signore

Sol La Re

santuario della sua Shekinà.



A. VENGA IL SIGNORE CON NOI



C.+A. TU SEI "QUEL LUOGO...

_______________



domenica 26 dicembre 2010

Il Nome di Dio


Nel giorno della festa liturgica di san Giovanni apostolo ed evangelista, lo stesso che ha dato di Dio la definizione più bella e più vera. Buona lettura e...una preghiera per me!


Vincenzino e Mohamed sono due bambini reali, che sono esistiti, conosciuti da Lauretta, in un periodo del suo volontariato in ospedale.
Prima in ospedale c'era solo Vincenzino, un bambino calabrese, che e' stato raggiunto dopo qualche tempo da Mohamed, proveniente dall'Iran.
Pur essendo di fede diversa i due diventano inseparabili amici per la pelle e nelle loro azioni quotidiane sono sempre insieme. Dove era l'uno, c'era l'altro, non li vedevi mai da soli o separati.
Purtroppo soffrivano di gravi mali ed erano destinati col tempo a soccombere, ma la cosa piu' straordinaria di questa esperienza e' che in realta’, sono morti a tre ore di distanza l'uno dall'altro.
Lauretta nel suo grande dolore, dedica loro una magnifica favola di non molte parole, ma molto significativa e immagina che dopo la loro morte stanno camminando nell'aldila' diretti verso il Grande Trono, dove e' assiso il Creatore...

"Il nome di Dio"

— Sei pronto, Vincenzino?— chiese con voce dolcissima l'Angelo che era entrato in quel mo­mento nella stanza del bimbo, all'ospedale.
— Sì! — rispose il bambino e aggiunse: Andiamo da Dio, vero?
L'angelo assentì col capo. Vincenzino mise fidu­cioso la sua manina in quella dell'angelo. Insie­me lasciarono l'ospedale, la città addormentata sotto una coltre di stelle, la terra verde azzurra e si inoltrarono lungo le vie del ciclo, scintillanti di luce. Il bimbo saltellava al fianco dell'angelo, quando, all'improvviso, si sentì chiamare:
— Vincenzino, dove vai? Aspettami! Si voltò indietro e vide venire verso di lui il suo amichetto Mohamed, compagno di tanti giochi, là in ospedale. Anche Mohamed era affiancato da un angelo che indossava una veste candida, stretta in vita da una fascia d'oro.
Sapendo che Mohamed era venuto da lontano per curarsi e che era in ospedale solo con il papa, Vin­cenzino domandò:
— L'hai detto al tuo papa?
— No, l'ho lasciato inginocchiato sul tappeto del­la preghiera. M'è sembrato il momento migliore, per partire. Sonò sicuro che Allah saprà consolar­lo, dettargli le risposte giuste in fondo al cuore.
— Allah? — domandò Vincenzino con stupore — E chi è Allah?--.
Mohamed scoppiò in una risata. Quella risata ar­gentina che lo contraddistingueva e che gli faceva brillare i grandi Occhi scuri.
— Allah è Dio!
— No, Dio si chiama Trinità — ribatté Vincenzi­no — Ne sono sicuro perché me l'ha detto mio padre.
— Anch'io sono sicuro che si chiama Allah, me l'ha detto mio padre — disse Mohamed. Poiché l'autorità di un papa non si mette in di­scussione, i due bambini dovettero concludere:
— Ma allora il tuo Dio non è uguale al mio!
— Questo vuoi dire che gli angeli non ci stanno portando dalla stessa parte!_— realizzò in un istante Vincenzino è aggiunse: Io non voglio ve­dere là Trinità, senza di te!
— Neppure io voglio vedere Allah, senza di te! Per fortuna, gli angeli stavano conversando ami­chevolmente tra di loro. Un'occhiata d'intesa pas­sò tra i due bambini che fecero dietrofront e si na­scosero in mezzo a un banco di nuvole.
— Adesso dobbiamo cercare un posto dove stare insieme — disse Mohamed. Mano nella mano, il piccolo musulmano e il pic­colo cattolico si incamminarono su una strada la stricata di turchesi.
Cammina cammina arrivarono in vista di una città le cui porte erano di zaffiro e di smeraldo, le mu­ra di pietre preziose e le torri di oro purissimo.
— Quella èia casa di Dio! — esclamò Vincenzi­no. Del mio Dio — precisò poi.
— No, quella è la pasa del mio Dio — disse con­vinto Mohamed.
— Ma se è come quella del racconto della Bibbia che mi leggeva la nonna a casa, la sera! — disse Vincenzino, quasi piagnucolando.
— Non è possibile, guarda: ci sono due giardini con frutta, palme e melegrane. E anche due fonti zampillanti: è tutto proprio com'è decritto nel li­bro del Corano.
— Scommetti che è la casa del mio Dio? — disse Vincenzino.
— Scommetti che è la casa del mio Dio? — disse Mohamed.
Così dicendo, i due bambini corsero verso 1' in­gresso principale davanti al quale stavano due Angeli, in candide vesti.
— Abita qui la Trinità? — domandò Vincenzino.
— Sì — rispose uno dei due angeli, sorridendo. Per nulla convinto, Mohamed domandò:
— Abita qui Allah?
— Sì — rispose l'altro angelo, con un identico sorriso.
— Andiamo a vedere di persona — disse Moha­med, che era un tipo pratico. Forse il tuo Dio e il mio Dio abitano nella stessa casa. Con grandissimo stupore, Vincenzino e Mohamed dovettero constatare che c'era un solo Dio, sedu­to sul suo trono sfavillante di luce.
— Tu sei Trinità? — domandò il piccolo cattolico.
— Sì, lo sono.
— Tu sei Allah? — domandò il piccolo musul­mano;
— Sì, lo sono.
— Ma allora hai due nomi! — constatarono i bambini, stupefatti.
— Non solo due, ne ho molti di più! — disse Dio, divertito — Mi chiamano persino Caso, Natura, ma sono sempre io !
— Senti — disse Mohamed, il tipo pratico — non si potrebbe chiamarti con un nome solo, visto che tu sei solo Uno? Così, tanto per non fare confu­sione.
— Chiamatemi Amore — disse Dio, stringendo­ si al petto il piccolo cattolico e il piccolo musul­mano.


Famiglia allargata? No, famiglia distrutta!

Riporto l'inno delle lodi della festa della Santa Famiglia:

Santa e dolce dimora,
dove Gesù fanciullo
nasconde la sua gloria!

Giuseppe addestra all'umile
arte del falegname
il Figlio dell'Altissimo.

Accanto a lui Maria
fa lieta la sua casa
di una limpida gioia.

La mano del Signore
li guida e li protegge
nei giorni della prova.

O famiglia di Nazareth,
esperta del soffrire,
dona al mondo la pace.

A te sia lode, o Cristo,
al Padre ed allo Spirito
nei secoli dei secoli. Amen.

...e a commento un testo di Paolo VI:
Dai «Discorsi» di Paolo VI, papa
(Discorso tenuto a Nazareth, 5 gennaio 1964)

L'esempio di Nazareth

La casa di Nazareth è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù, cioè la scuola del Vangelo. Qui si impara ad osservare, ad ascoltare, a meditare, a penetrare il significato così profondo e così misterioso di questa manifestazione del Figlio di Dio tanto semplice, umile e bella. Forse anche impariamo, quasi senza accorgercene, ad imitare.
Qui impariamo il metodo che ci permetterà di conoscere chi è il Cristo. Qui scopriamo il bisogno di osservare il quadro del suo soggiorno in mezzo a noi: cioè i luoghi, i tempi, i costumi, il linguaggio, i sacri riti, tutto insomma ciò di cui Gesù si servì per manifestarsi al mondo.
Qui tutto ha una voce, tutto ha un significato. Qui, a questa scuola, certo comprendiamo perché dobbiamo tenere una disciplina spirituale, se vogliamo seguire la dottrina del Vangelo e diventare discepoli del Cristo. Oh! come volentieri vorremmo ritornare fanciulli e metterci a questa umile e sublime scuola di Nazareth! Quanto ardentemente desidereremmo di ricominciare, vicino a Maria, ad apprendere la vera scienza della vita e la superiore sapienza delle verità divine! Ma noi non siamo che di passaggio e ci è necessario deporre il desiderio di continuare a conoscere, in questa casa, la mai compiuta formazione all'intelligenza del Vangelo. Tuttavia non lasceremo questo luogo senza aver raccolto, quasi furtivamente, alcuni brevi ammonimenti dalla casa di Nazareth.
In primo luogo essa ci insegna il silenzio. Oh! se rinascesse in noi la stima del silenzio, atmosfera ammirabile ed indispensabile dello spirito: mentre siamo storditi da tanti frastuoni, rumori e voci clamorose nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tempo. Oh! silenzio di Nazareth, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, intenti alla vita interiore, pronti a ben sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni dei veri maestri. Insegnaci quanto importanti e necessari siano il lavoro di preparazione, lo studio, la meditazione, l'interiorità della vita, la preghiera, che Dio solo vede nel segreto.
Qui comprendiamo il modo di vivere in famiglia. Nazareth ci ricordi cos'è la famiglia, cos'è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro ed inviolabile; ci faccia vedere com'è dolce ed insostituibile l'educazione in famiglia, ci insegni la sua funzione naturale nell'ordine sociale. Infine impariamo la lezione del lavoro. Oh! dimora di Nazareth, casa del Figlio del falegname! Qui soprattutto desideriamo comprendere e celebrare la legge, severa certo ma redentrice della fatica umana; qui nobilitare la dignità del lavoro in modo che sia sentita da tutti; ricordare sotto questo tetto che il lavoro non può essere fine a se stesso, ma che riceve la sua libertà ed eccellenza, non solamente da quello che si chiama valore economico, ma anche da ciò che lo volge al suo nobile fine; qui infine vogliamo salutare gli operai di tutto il mondo e mostrar loro il grande modello, il loro divino fratello, il profeta di tutte le giuste cause che li riguardano, cioè Cristo nostro Signore.

Natale con i tuoi.

Riporto il testo della preghiera dell'Angelus di oggi, festa della Santa Famiglia di Nazareth, pronunciato dal Papa:

Cari fratelli e sorelle!
Il Vangelo secondo Luca racconta che i pastori di Betlemme, dopo aver ricevuto dall’angelo l’annuncio della nascita del Messia, “andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia” (2,16). Ai primi testimoni oculari della nascita di Gesù si presentò, dunque, la scena di una famiglia: madre, padre e figlio neonato. Per questo la Liturgia ci fa celebrare, nella prima domenica dopo il Natale, la festa della santa Famiglia. Quest’anno essa ricorre proprio all’indomani del Natale e, prevalendo su quella di santo Stefano, ci invita a contemplare questa “icona” in cui il piccolo Gesù appare al centro dell’affetto e delle premure dei suoi genitori. Nella povera grotta di Betlemme – scrivono i Padri della Chiesa – rifulge una luce vivissima, riflesso del profondo mistero che avvolge quel Bambino, e che Maria e Giuseppe custodiscono nei loro cuori e lasciano trasparire nei loro sguardi, nei gesti, soprattutto nei loro silenzi. Essi, infatti, conservano nell’intimo le parole dell’annuncio dell’angelo a Maria: “colui che nascerà sarà chiamato Figlio di Dio” (Lc 1,35).
Eppure, la nascita di ogni bambino porta con sé qualcosa di questo mistero! Lo sanno bene i genitori che lo ricevono come un dono e che, spesso, così ne parlano. A tutti noi è capitato di sentir dire a un papà e a una mamma: “Questo bambino è un dono, un miracolo!”. In effetti, gli esseri umani vivono la procreazione non come mero atto riproduttivo, ma ne percepiscono la ricchezza, intuiscono che ogni creatura umana che si affaccia sulla terra è il “segno” per eccellenza del Creatore e Padre che è nei cieli. Quant’è importante, allora, che ogni bambino, venendo al mondo, sia accolto dal calore di una famiglia! Non importano le comodità esteriori: Gesù è nato in una stalla e come prima culla ha avuto una mangiatoia, ma l’amore di Maria e di Giuseppe gli ha fatto sentire la tenerezza e la bellezza di essere amati. Di questo hanno bisogno i bambini: dell’amore del padre e della madre. E’ questo che dà loro sicurezza e che, nella crescita, permette la scoperta del senso della vita. La santa Famiglia di Nazareth ha attraversato molte prove, come quella – ricordata nel Vangelo secondo Matteo – della “strage degli innocenti”, che costrinse Giuseppe e Maria ed emigrare in Egitto (cfr 2,13-23). Ma, confidando nella divina Provvidenza, essi trovarono la loro stabilità e assicurarono a Gesù un’infanzia serena e una solida educazione.
Cari amici, la santa Famiglia è certamente singolare e irripetibile, ma al tempo stesso è “modello di vita” per ogni famiglia, perché Gesù, vero uomo, ha voluto nascere in una famiglia umana, e così facendo l’ha benedetta e consacrata. Affidiamo pertanto alla Madonna e a san Giuseppe tutte le famiglie, affinché non si scoraggino di fronte alle prove e alle difficoltà, ma coltivino sempre l’amore coniugale e si dedichino con fiducia al servizio della vita e dell’educazione.

Nato con la camicia.

Una simpatica leggenda natalizia narra che tra i pastori accorsi la notte di Natale ad adorare il bambino ce n'era uno tanto povero che non aveva niente da offrire e si vergognava molto. Giunti alla grotta, tutti facevano a gara a offrire i loro doni. Maria non sapeva come fare per riceverli tutti, dovendo tenere in braccio il bambino. Allora,vedendo il pastorello con lemani libere,prende e affida alui Gesù. Avere le mani vuote fu la sua fortuna!

sabato 25 dicembre 2010

... Ammesso che ci arriviamo.




Di seguito un testo poco conosciuto, ma davvero splendido!


Dalla "Omelia festale sulla Natività" di san Giacomo di Sarug

"Oggi un germoglio è spuntato dalla radice della casa di Jesse, per fare da bastone al mondo invecchiato, perchè questo vi si appoggi. Oggi è stata aperta la bocca di Eva, perchè dica a voce alta e a viso scoperto che la sua colpa è stata perdonata grazie alla seconda Vergine che ha pagato il debito dei suoi padri con il prezioso tesoro che ha portorito alla creazione. Oggi taccia il serpente, perchè parla Gabriele. Sia annientata la menzogna, perchè è spiegata la verità. E passi ciò che è vecchio, perchè tutto è stato rinnovato dal parto della Vergine. Oggi la mano del cherubino abbandoni la lancia di fuoco, perchè l'albero della vita non ha più da essere custodito. Ecco infatti che il suo frutto è posto nella mangiatoia per fare da cibo agli uomini che di loro volontà erano diventati simili agli animali...
Oggi Isaia suoni la sua cetra e, nello Spirito, faccia vibrare gli strumenti della sua rivelazione, dicendo non: Ecco la Vergine concepirà e partorirà, ma: "Ecco la Vergine ha concepito e partorito, come avevo detto". La testimonianza dunque è stata resa manifesta e la Legge è stata sigillata, poichè il segreto dei misteri è venuto alla luce.
Oggi la grotta è diventata una stanza nuziale per quello sposo celeste che ha voluto unirsi alla stirpe degli esseri terrestri e sostenerli nella loro ascensione dalle profondità alle altezze. Oggi è stata chiaramente spiegata la rivelazione di Giacobbe: il Siognore che stava sulla cima della scla, ecco che è sceso per far salire in cielo gli uomini.
Oggi l'aurora si è manifestata dalla grotta e il grande sole dalle profonde cavità per illuminare con il suo fulgore le profondità sotterranee, luogo ghe per il sole non è facile illuminare! Oggi il sole è tornato indietro di dodici gradi di luce (cf. Is.38,8) che lo opprimevano e gli opponevano resistenza, affinchè per essi fosse esaltato il vero giorno che, con il suo fulgore, ha messo in fuga e soffocato le ombre del peccato"

Giacomo di Sarug, dalla "Omelia Festale sulla Natività"

Domani è un altro giorno...

Dai testi della Liturgia di oggi:

In principio,
prima dei secoli,
il Verbo era Dio:
oggi egli è nato
salvatore del mondo.

(3^ Antifona secondi Vespri)


Oggi Cristo è nato,
è apparso il Salvatore;
oggi sulla terra cantano gli angeli,
si allietano gli arcangeli;
oggi esultano i giusti, acclamando:
Gloria a Dio nell'alto dei cieli, alleluia.
(Antifona al Magnificat)



O Dio, che in modo mirabile ci hai creati a tua immagine, e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti, fa' che possiamo condividere la vita divina del tuo Figlio, che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana. Egli vive e regna nei secoli dei secoli. (Orazione)

Preghiamo con un altro "classico": la seconda lettura dell'Ufficio di oggi:


«Discorsi» di san Leone Magno, papa
(Disc. 1 per il Natale, 1-3; Pl 54, 190-193)

Riconosci, cristiano, la tua dignità

Il nostro Salvatore, carissimi, oggi è nato: rallegriamoci! Non c'è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la paura della morte e dona la gioia delle promesse eterne. Nessuno è escluso da questa felicità: la causa della gioia è comune a tutti perché il nostro Signore, vincitore del peccato e della morte, non avendo trovato nessuno libero dalla colpa, è venuto per la liberazione di tutti. Esulti il santo, perché si avvicina al premio; gioisca il peccatore, perché gli è offerto il perdono; riprenda coraggio il pagano, perché è chiamato alla vita.
Il Figlio di Dio infatti, giunta la pienezza dei tempi che l'impenetrabile disegno divino aveva disposto, volendo riconciliare con il suo Creatore la natura umana, l'assunse lui stesso in modo che il diavolo, apportatore della morte, fosse vinto da quella stessa natura che prima lui aveva reso schiava. Così alla nascita del Signore gli angeli cantano esultanti: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama» (Lc 2, 14). Essi vedono che la celeste Gerusalemme è formata da tutti i popoli del mondo. Di questa opera ineffabile dell'amore divino, di cui tanto gioiscono gli angeli nella loro altezza, quanto non deve rallegrarsi l'umanità nella sua miseria! O carissimi, rendiamo grazie a Dio Padre per mezzo del suo Figlio nello Spirito Santo, perché nella infinita misericordia, con cui ci ha amati, ha avuto pietà di noi, «e, mentre eravamo morti per i nostri peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo» (cfr. Ef 2, 5) perché fossimo in lui creatura nuova, nuova opera delle sue mani.
Deponiamo dunque «l'uomo vecchio con la condotta di prima» (Ef 4, 22) e, poiché siamo partecipi della generazione di Cristo, rinunziamo alle opere della carne. Riconosci, cristiano, la tua dignità e, reso partecipe della natura divina, non voler tornare all'abiezione di un tempo con una condotta indegna. Ricòrdati chi è il tuo Capo e di quale Corpo sei membro. Ricòrdati che, strappato al potere delle tenebre, sei stato trasferito nella luce del Regno di Dio. Con il sacramento del battesimo sei diventato tempio dello Spirito Santo! Non mettere in fuga un ospite così illustre con un comportamento riprovevole e non sottometterti di nuovo alla schiavitù del demonio. Ricorda che il prezzo pagato per il tuo riscatto è il sangue di Cristo.


Oggi la pace vera scende per noi dal cielo; * oggi su tutta la terra i cieli stillano dolcezza.
Risplende per noi il giorno di una nuova redenzione, giorno preparato da secoli, gioia senza fine.
Oggi su tutta la terra i cieli stillano dolcezza.

Sembra facile...

Messaggio della Regina della Pace del 25 Dicembre 2010 attraverso la veggente Marija


"Cari figli, oggi io e mio Figlio Gesù desideriamo darvi l’abbondanza della gioia e della pace affinchè ciascuno di voi sia gioioso portatore e testimone della pace e della gioia nei luoghi dove vivete. Figlioli siate benedizione e siate pace. Grazie per aver risposto alla mia chiamata."

Καὶ ὁ λόγος σὰρξ ἐγένετο...



MESSAGGIO URBI ET ORBI
DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
NATALE 2010



Verbum caro factum est” - “Il Verbo si fece carne” (Gv 1,14).
Cari fratelli e sorelle, che mi ascoltate da Roma e dal mondo intero, con gioia vi annuncio il messaggio del Natale: Dio si è fatto uomo, è venuto ad abitare in mezzo a noi. Dio non è lontano: è vicino, anzi, è l’“Emmanuele”, Dio-con-noi. Non è uno sconosciuto: ha un volto, quello di Gesù.
E’ un messaggio sempre nuovo, sempre sorprendente, perché oltrepassa ogni nostra più audace speranza. Soprattutto perché non è solo un annuncio: è un avvenimento, un accadimento, che testimoni credibili hanno veduto, udito, toccato nella Persona di Gesù di Nazareth! Stando con Lui, osservando i suoi atti e ascoltando le sue parole, hanno riconosciuto in Gesù il Messia; e vedendolo risorto, dopo che era stato crocifisso, hanno avuto la certezza che Lui, vero uomo, era al tempo stesso vero Dio, il Figlio unigenito venuto dal Padre, pieno di grazia e di verità (cfr Gv 1,14).
“Il Verbo si fece carne”. Di fronte a questa rivelazione, riemerge ancora una volta in noi la domanda: come è possibile? Il Verbo e la carne sono realtà tra loro opposte; come può la Parola eterna e onnipotente diventare un uomo fragile e mortale? Non c’è che una risposta: l’Amore. Chi ama vuole condividere con l’amato, vuole essere unito a lui, e la Sacra Scrittura ci presenta proprio la grande storia dell’amore di Dio per il suo popolo, culminata in Gesù Cristo.
In realtà, Dio non cambia: Egli è fedele a Se stesso. Colui che ha creato il mondo è lo stesso che ha chiamato Abramo e che ha rivelato il proprio Nome a Mosè: Io sono colui che sono … il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe … Dio misericordioso e pietoso, ricco di amore e di fedeltà (cfr Es 3,14-15; 34,6). Dio non muta, Egli è Amore da sempre e per sempre. E’ in Se stesso Comunione, Unità nella Trinità, ed ogni sua opera e parola mira alla comunione. L’incarnazione è il culmine della creazione. Quando nel grembo di Maria, per la volontà del Padre e l’azione dello Spirito Santo, si formò Gesù, Figlio di Dio fatto uomo, il creato raggiunse il suo vertice. Il principio ordinatore dell’universo, il Logos, incominciava ad esistere nel mondo, in un tempo e in uno spazio.
“Il Verbo si fece carne”. La luce di questa verità si manifesta a chi la accoglie con fede, perché è un mistero d’amore. Solo quanti si aprono all’amore sono avvolti dalla luce del Natale. Così fu nella notte di Betlemme, e così è anche oggi. L’incarnazione del Figlio di Dio è un avvenimento che è accaduto nella storia, ma nello stesso tempo la oltrepassa. Nella notte del mondo si accende una luce nuova, che si lascia vedere dagli occhi semplici della fede, dal cuore mite e umile di chi attende il Salvatore. Se la verità fosse solo una formula matematica, in un certo senso si imporrebbe da sé. Se invece la Verità è Amore, domanda la fede, il “sì” del nostro cuore.
E che cosa cerca, in effetti, il nostro cuore, se non una Verità che sia Amore? La cerca il bambino, con le sue domande, così disarmanti e stimolanti; la cerca il giovane, bisognoso di trovare il senso profondo della propria vita; la cercano l’uomo e la donna nella loro maturità, per guidare e sostenere l’impegno nella famiglia e nel lavoro; la cerca la persona anziana, per dare compimento all’esistenza terrena.
“Il Verbo si fece carne”. L’annuncio del Natale è luce anche per i popoli, per il cammino collettivo dell’umanità. L’“Emmanuele”, Dio-con-noi, è venuto come Re di giustizia e di pace. Il suo Regno – lo sappiamo – non è di questo mondo, eppure è più importante di tutti i regni di questo mondo. E’ come il lievito dell’umanità: se mancasse, verrebbe meno la forza che manda avanti il vero sviluppo: la spinta a collaborare per il bene comune, al servizio disinteressato del prossimo, alla lotta pacifica per la giustizia. Credere nel Dio che ha voluto condividere la nostra storia è un costante incoraggiamento ad impegnarsi in essa, anche in mezzo alle sue contraddizioni. E’ motivo di speranza per tutti coloro la cui dignità è offesa e violata, perché Colui che è nato a Betlemme è venuto a liberare l’uomo dalla radice di ogni schiavitù.
La luce del Natale risplenda nuovamente in quella Terra dove Gesù è nato e ispiri Israeliani e Palestinesi nel ricercare una convivenza giusta e pacifica. L’annuncio consolante della venuta dell’Emmanuele lenisca il dolore e consoli nelle prove le care comunità cristiane in Iraq e in tutto il Medio Oriente, donando loro conforto e speranza per il futuro ed animando i Responsabili delle Nazioni ad una fattiva solidarietà verso di esse. Ciò avvenga anche in favore di coloro che ad Haiti soffrono ancora per le conseguenze del devastante terremoto e della recente epidemia di colera. Così pure non vengano dimenticati coloro che in Colombia ed in Venezuela, ma anche in Guatemala e in Costa Rica, hanno subito le recenti calamità naturali.
La nascita del Salvatore apra prospettive di pace duratura e di autentico progresso alle popolazioni della Somalia, del Darfur e della Costa d’Avorio; promuova la stabilità politica e sociale del Madagascar; porti sicurezza e rispetto dei diritti umani in Afghanistan e in Pakistan; incoraggi il dialogo fra Nicaragua e Costa Rica; favorisca la riconciliazione nella Penisola Coreana.
La celebrazione della nascita del Redentore rafforzi lo spirito di fede, di pazienza e di coraggio nei fedeli della Chiesa nella Cina continentale, affinché non si perdano d’animo per le limitazioni alla loro libertà di religione e di coscienza e, perseverando nella fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa, mantengano viva la fiamma della speranza. L’amore del “Dio con noi” doni perseveranza a tutte le comunità cristiane che soffrono discriminazione e persecuzione, ed ispiri i leader politici e religiosi ad impegnarsi per il pieno rispetto della libertà religiosa di tutti.
Cari fratelli e sorelle, “il Verbo si fece carne”, è venuto ad abitare in mezzo a noi, è l’Emmanuele, il Dio che si è fatto a noi vicino. Contempliamo insieme questo grande mistero di amore, lasciamoci illuminare il cuore dalla luce che brilla nella grotta di Betlemme! Buon Natale a tutti!



Primogenito tra molti fratelli.

Pubblico l'omelia del Papa della Messa di Mezzanotte:

Cari fratelli e sorelle!
„Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato“ – con questa parola del Salmo secondo, la Chiesa inizia la liturgia della Notte Santa. Essa sa che questa parola originariamente apparteneva al rituale dell’incoronazione dei re d’Israele. Il re, che di per sé è un essere umano come gli altri uomini, diventa “figlio di Dio” mediante la chiamata e l’insediamento nel suo ufficio: è una specie di adozione da parte di Dio, un atto di decisione, mediante il quale Egli dona a quell’uomo una nuova esistenza, lo attrae nel suo proprio essere. In modo ancora più chiaro la lettura tratta dal profeta Isaia, che abbiamo appena ascoltato, presenta lo stesso processo in una situazione di travaglio e di minaccia per Israele: “Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere” (9,5). L’insediamento nell’ufficio del re è come una nuova nascita. Proprio come nuovo nato dalla decisione personale di Dio, come bambino proveniente da Dio, il re costituisce una speranza. Sulle sue spalle poggia il futuro. Egli è il detentore della promessa di pace. Nella notte di Betlemme, questa parola profetica è diventata realtà in un modo che al tempo di Isaia sarebbe stato ancora inimmaginabile. Sì, ora è veramente un bambino Colui sulle cui spalle è il potere. In Lui appare la nuova regalità che Dio istituisce nel mondo. Questo bambino è veramente nato da Dio. È la Parola eterna di Dio, che unisce l’una all’altra umanità e divinità. Per questo bambino valgono i titoli di dignità che il cantico d’incoronazione di Isaia gli attribuisce: Consigliere mirabile – Dio potente – Padre per sempre – Principe della pace (9,5). Sì, questo re non ha bisogno di consiglieri appartenenti ai sapienti del mondo. Egli porta in se stesso la sapienza e il consiglio di Dio. Proprio nella debolezza dell’essere bambino Egli è il Dio forte e ci mostra così, di fronte ai poteri millantatori del mondo, la fortezza propria di Dio.
Le parole del rituale dell’incoronazione in Israele, in verità, erano sempre soltanto rituali di speranza, che prevedevano da lontano un futuro che sarebbe stato donato da Dio. Nessuno dei re salutati in questo modo corrispondeva alla sublimità di tali parole. In loro, tutte le parole sulla figliolanza di Dio, sull’insediamento nell’eredità delle genti, sul dominio delle terre lontane (Sal 2,8) restavano solo rimando a un avvenire – quasi cartelli segnaletici della speranza, indicazioni che conducevano verso un futuro che in quel momento era ancora inconcepibile. Così l’adempimento della parola che inizia nella notte di Betlemme è al contempo immensamente più grande e – dal punto di vista del mondo – più umile di ciò che la parola profetica lasciava intuire. È più grande, perché questo bambino è veramente Figlio di Dio, veramente “Dio da Dio, Luce da Luce, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre”. L’infinita distanza tra Dio e l’uomo è superata. Dio non si è soltanto chinato verso il basso, come dicono i Salmi; Egli è veramente “disceso”, entrato nel mondo, diventato uno di noi per attrarci tutti a sé. Questo bambino è veramente l’Emmanuele – il Dio-con-noi. Il suo regno si estende veramente fino ai confini della terra. Nella vastità universale della santa Eucaristia, Egli ha veramente eretto isole di pace. Ovunque essa viene celebrata si ha un’isola di pace, di quella pace che è propria di Dio. Questo bambino ha acceso negli uomini la luce della bontà e ha dato loro la forza di resistere alla tirannia del potere. In ogni generazione Egli costruisce il suo regno dal di dentro, a partire dal cuore. Ma è anche vero che “il bastone dell’aguzzino” non è stato spezzato. Anche oggi marciano rimbombanti i calzari dei soldati e sempre ancora e sempre di nuovo c’è il “mantello intriso di sangue” (Is 9,3s). Così fa parte di questa notte la gioia per la vicinanza di Dio. Ringraziamo perché Dio, come bambino, si dà nelle nostre mani, mendica, per così dire, il nostro amore, infonde la sua pace nel nostro cuore. Questa gioia, tuttavia, è anche una preghiera: Signore, realizza totalmente la tua promessa. Spezza i bastoni degli aguzzini. Brucia i calzari rimbombanti. Fa che finisca il tempo dei mantelli intrisi di sangue. Realizza la promessa: “La pace non avrà fine” (Is 9,6). Ti ringraziamo per la tua bontà, ma ti preghiamo anche: mostra la tua potenza. Erigi nel mondo il dominio della tua verità, del tuo amore – il “regno della giustizia, dell’amore e della pace”.
“Maria diede alla luce il suo figlio primogenito” (Lc 2,7). Con questa frase, san Luca racconta, in modo assolutamente privo di pathos, il grande evento che le parole profetiche nella storia di Israele avevano intravisto in anticipo. Luca qualifica il bambino come “primogenito”. Nel linguaggio formatosi nella Sacra Scrittura dell’Antica Alleanza, “primogenito” non significa il primo di una serie di altri figli. La parola “primogenito” è un titolo d’onore, indipendentemente dalla questione se poi seguono altri fratelli e sorelle o no. Così, nel Libro dell’Esodo (Es 4,22), Israele viene chiamato da Dio “il mio figlio primogenito”, e con ciò si esprime la sua elezione, la sua dignità unica, l’amore particolare di Dio Padre. La Chiesa nascente sapeva che in Gesù questa parola aveva ricevuto una nuova profondità; che in Lui sono riassunte le promesse fatte ad Israele. Così la Lettera agli Ebrei chiama Gesù “il primogenito” semplicemente per qualificarLo, dopo le preparazioni nell’Antico Testamento, come il Figlio che Dio manda nel mondo (cfr Eb 1,5-7). Il primogenito appartiene in modo particolare a Dio, e per questo egli – come in molte religioni – doveva essere in modo particolare consegnato a Dio ed essere riscattato mediante un sacrificio sostitutivo, come san Luca racconta nell’episodio della presentazione di Gesù al tempio. Il primogenito appartiene a Dio in modo particolare, è, per così dire, destinato al sacrificio. Nel sacrificio di Gesù sulla croce, la destinazione del primogenito si compie in modo unico. In se stesso, Egli offre l’umanità a Dio e unisce uomo e Dio in modo tale che Dio sia tutto in tutti. San Paolo, nelle Lettere ai Colossesi e agli Efesini, ha ampliato ed approfondito l’idea di Gesù come primogenito: Gesù, ci dicono tali Lettere, è il Primogenito della creazione – il vero archetipo dell’uomo secondo cui Dio ha formato la creatura uomo. L’uomo può essere immagine di Dio, perché Gesù è Dio e Uomo, la vera immagine di Dio e dell’uomo. Egli è il primogenito dei morti, ci dicono inoltre queste Lettere. Nella Risurrezione, Egli ha sfondato il muro della morte per tutti noi. Ha aperto all’uomo la dimensione della vita eterna nella comunione con Dio. Infine, ci viene detto: Egli è il primogenito di molti fratelli. Sì, ora Egli è tuttavia il primo di una serie di fratelli, il primo, cioè, che inaugura per noi l’essere in comunione con Dio. Egli crea la vera fratellanza – non la fratellanza, deturpata dal peccato, di Caino ed Abele, di Romolo e Remo, ma la fratellanza nuova in cui siamo la famiglia stessa di Dio. Questa nuova famiglia di Dio inizia nel momento in cui Maria avvolge il “primogenito” in fasce e lo pone nella mangiatoia. Preghiamolo: Signore Gesù, tu che hai voluto nascere come primo di molti fratelli, donaci la vera fratellanza. Aiutaci perché diventiamo simili a te. Aiutaci a riconoscere nell’altro che ha bisogno di me, in coloro che soffrono o che sono abbandonati, in tutti gli uomini, il tuo volto, ed a vivere insieme con te come fratelli e sorelle per diventare una famiglia, la tua famiglia.
Il Vangelo di Natale ci racconta, alla fine, che una moltitudine di angeli dell’esercito celeste lodava Dio e diceva: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama.” (Lc 2,14). La Chiesa ha amplificato, nel Gloria, questa lode, che gli angeli hanno intonato di fronte all’evento della Notte Santa, facendone un inno di gioia sulla gloria di Dio. “Ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa”. Ti rendiamo grazie per la bellezza, per la grandezza, per la tua bontà, che in questa notte diventano visibili a noi. L’apparire della bellezza, del bello, ci rende lieti senza che dobbiamo interrogarci sulla sua utilità. La gloria di Dio, dalla quale proviene ogni bellezza, fa esplodere in noi lo stupore e la gioia. Chi intravede Dio prova gioia, e in questa notte vediamo qualcosa della sua luce. Ma anche degli uomini parla il messaggio degli angeli nella Notte Santa: “Pace agli uomini che egli ama”. La traduzione latina di tale parola, che usiamo nella liturgia e che risale a Girolamo, suona diversamente: “Pace agli uomini di buona volontà”. L’espressione “gli uomini di buona volontà” proprio negli ultimi decenni è entrata in modo particolare nel vocabolario della Chiesa. Ma quale traduzione è giusta? Dobbiamo leggere ambedue i testi insieme; solo così comprendiamo la parola degli angeli in modo giusto. Sarebbe sbagliata un’interpretazione che riconoscesse soltanto l’operare esclusivo di Dio, come se Egli non avesse chiamato l’uomo ad una risposta libera di amore. Sarebbe sbagliata, però, anche un’interpretazione moralizzante, secondo cui l’uomo con la sua buona volontà potrebbe, per così dire, redimere se stesso. Ambedue le cose vanno insieme: grazia e libertà; l’amore di Dio, che ci previene e senza il quale non potremmo amarLo, e la nostra risposta, che Egli attende e per la quale, nella nascita del suo Figlio, addirittura ci prega. L’intreccio di grazia e libertà, l’intreccio di chiamata e risposta non lo possiamo scindere in parti separate l’una dall’altra. Ambedue sono inscindibilmente intessute tra loro. Così questa parola è insieme promessa e chiamata. Dio ci ha prevenuto con il dono del suo Figlio. Sempre di nuovo Dio ci previene in modo inatteso. Non cessa di cercarci, di sollevarci ogniqualvolta ne abbiamo bisogno. Non abbandona la pecora smarrita nel deserto in cui si è persa. Dio non si lascia confondere dal nostro peccato. Egli ricomincia sempre nuovamente con noi. Tuttavia aspetta il nostro amare insieme con Lui. Egli ci ama affinché noi possiamo diventare persone che amano insieme con Lui e così possa esservi pace sulla terra.
Luca non ha detto che gli angeli hanno cantato. Egli scrive molto sobriamente: l’esercito celeste lodava Dio e diceva: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli…” (Lc 2,13s). Ma da sempre gli uomini sapevano che il parlare degli angeli è diverso da quello degli uomini; che proprio in questa notte del lieto messaggio esso è stato un canto in cui la gloria sublime di Dio ha brillato. Così questo canto degli angeli è stato percepito fin dall’inizio come musica proveniente da Dio, anzi, come invito ad unirsi nel canto, nella gioia del cuore per l’essere amati da Dio. Cantare amantis est, dice sant'Agostino: cantare è cosa di chi ama. Così, lungo i secoli, il canto degli angeli è diventato sempre nuovamente un canto di amore e di gioia, un canto di coloro che amano. In quest’ora noi ci associamo pieni di gratitudine a questo cantare di tutti i secoli, che unisce cielo e terra, angeli e uomini. Sì, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa. Ti ringraziamo per il tuo amore. Fa che diventiamo sempre di più persone che amano insieme con te e quindi persone di pace. Amen.

Trend del giorno

Tra i "Trend del giorno" c'è anche Gesù Bambino, insieme a Babbo Natale, agli Auguri di Natale, alle ricette di Natale, alle frasi di Natale, alle immagini di Natale, ai viaggi di Natale,ai regali di Natale e ai programmi di Natale

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Dite agli smarriti di cuore: ecco viene il Signore, proprio ora, non lo vedete? Santo Natale! Vito Valente

venerdì 24 dicembre 2010

Il canto della Kalenda.

Con la pubblicazione del nuovo Martirologio Romano, l'ultimo dei libri liturgici editi nel post-concilio, è uscito anche - seppur non ne ha parlato quasi nessuno - il testo ritoccato della Kalenda, cioè dell'annuncio del Natale che si legge alla data del 25 Dicembre nel suddetto Martirologio. Una splendida ricapitolazione dell'attesa universale del giorno ormai giunto, del compimento dell'Avvento del Signore.
Faceva anticamente parte dell'Ufficio di Prima, poi soppresso. A Roma il papa la fa leggere prima della Messa della Notte, e in tutte le chiese è cosa buona e giusta cantarla prima della Messa, magari come degna conclusione della veglia che solitamente precede la Celebrazione Eucaristica della Notte Santa. Ho notato che qualche anno fa - vedendo i libretti delle messe pontificie - la Kalenda veniva cantata nella Messa, tra i riti iniziali, ma adesso è stata rimessa al suo posto, ossia prima ancora del canto d'ingresso, come annuncio che aleggia nel silenzio e si compie con la processione dell'introito. Questa processione, nella simbologia mistica della celebrazione eucaristica, evoca la memoria dell'ingresso di Cristo nel mondo, quanto mai appropriato il sottolinearla nella notte di Natale.

"Trascorsi molti secoli dalla creazione del mondo, quando in principio Dio aveva creato il cielo e la terra e aveva fatto l’uomo a sua immagine;
e molti secoli da quando, dopo il diluvio, l’Altissimo aveva fatto risplendere l’arcobaleno, segno di alleanza e di pace;
ventuno secoli dopo la partenza da Ur dei Caldei di Abramo, nostro padre nella fede;
tredici secoli dopo l’uscita di Israele dall’Egitto sotto la guida di Mosè;
circa mille anni dopo l’unzione di Davide quale re di Israele;
nella sessantacinquesima settimana,secondo la profezia di Daniele;
all’epoca della centonovantaquattresima Olimpiade;
nell’anno 752 dalla fondazione di Roma;
nel quarantaduesimo anno dell’impero di Cesare Ottaviano Augusto;
quando in tutto il mondo regnava la pace, Gesù Cristo, Dio eterno e Figlio dell’eterno Padre, volendo santificare il mondo con la sua venuta, essendo stato concepito per opera dello Spirito Santo, trascorsi nove mesi, nasce in Betlemme di Giuda dalla Vergine Maria, fatto uomo:
Natale di nostro Signore Gesù Cristo secondo la natura umana."

canto: C'erano due angeli.


Di seguito il testo e gli accordi.

C'ERANO DUE ANGELI.


La- Re- La-

C. C'erano due angeli,

Re- La-

l'uno all'altro domanda:

Re- La- Mi La-

"Dov'è, dov'è il luogo della sua gloria?"

Re- La- Mi La-

A. "DOV'È, DOV'È IL LUOGO DELLA SUA GLORIA?"



Re-

C. Nella benedizione

La-

nella benedizione

Re-

nella benedizione

Mi La-

è il luogo della sua gloria.



Re-

A. NELLA BENEDIZIONE

La-

NELLA BENEDIZIONE

Re-

NELLA BENEDIZIONE

Mi La-

È IL LUOGO DELLA SUA GLORIA.



(si ripete il medesimo testo, ogni volta mezzo tono più alto.)

Come dire "Buon Natale" ai diversamente abili.

Ditelo con il profeta Isaia, di cui riporto il cap. 35, un testo pieno di gioia e di pace. Guardiamoci intorno: quanti dei nostri cari sono soli? O ciechi, perchè non vedono più l'Amore di Dio nella loro vita? O sordi, perchè hanno le orecchie chiuse al prossimo? O zoppi, perchè non ce la fanno più a camminare in questa vita? O muti, perchè anche se parlano non li ascolta nessuno? Tutti costoro per la Bibbia sono "smarriti di cuore": a tutti costoro dite "Coraggio! Non temete; il vostro Dio viene a salvarvi".

[1] Si rallegrino il deserto e la terra arida,
esulti e fiorisca la steppa.

[2] Come fiore di narciso fiorisca;
sì, canti con gioia e con giubilo.
Le è data la gloria del Libano,
lo splendore del Carmelo e di Saròn.
Essi vedranno la gloria del Signore,
la magnificenza del nostro Dio.

[3] Irrobustite le mani fiacche,
rendete salde le ginocchia vacillanti.

[4] Dite agli smarriti di cuore:
"Coraggio! Non temete; ecco il vostro Dio, Egli viene a salvarvi".

[5] Allora si apriranno gli occhi dei ciechi
e si schiuderanno gli orecchi dei sordi.

[6] Allora lo zoppo salterà come un cervo,
griderà di gioia la lingua del muto,
perché scaturiranno acque nel deserto,
scorreranno torrenti nella steppa.

[7] La terra bruciata diventerà una palude,
il suolo riarso si muterà in sorgenti d'acqua.
I luoghi dove si sdraiavano gli sciacalli
diventeranno canneti e giuncaie.

[8] Ci sarà una strada appianata
e la chiameranno Via santa;
nessun impuro la percorrerà
e gli stolti non vi si aggireranno.

[9] Non ci sarà più il leone,
nessuna bestia feroce la percorrerà,
vi cammineranno i redenti.

[10] Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore
e verranno in Sion con giubilo;
felicità perenne splenderà sul loro capo;
gioia e felicità li seguiranno
e fuggiranno tristezza e pianto.

Il lungo sonno di Adamo.




Chiediamoci chi è quest'uomo che dorme, che si aggira come un sonnambulo tra un bar, un cinema porno e un centro commerciale alla ricerca di se stesso, del senso di questa vita. Chi è costui? Sembra normale, lavora come tutti, mangia, beve, orina e defeca, legge i giornali, chatta, di tanto in tanto anche fa sesso, guarda tanta televisione e spera che la giornata passi presto, venga la sera e possa andare a letto. A dormire. Senza pensare al perchè sta vivendo. Attentissimo a non pensarci. Preferisce lo stress da regali natalizi. Basta che non pensi. Perchè se pensasse, se si fermasse e si mettesse a pensare, forse si suiciderebbe.





Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo (Disc. 185; Pl 38, 997-999)

Svégliati, o uomo: per te Dio si è fatto uomo. «Svégliati, o tu che dormi, destati dai morti e Cristo ti illuminerà» (Ef 5, 14). Per te, dico, Dio si è fatto uomo.
Saresti morto per sempre, se egli non fosse nato nel tempo. Non avrebbe liberato dal peccato la tua natura, se non avesse assunto una natura simile a quella del peccato. Una perpetua miseria ti avrebbe posseduto, se non fosse stata elargita questa misericordia. Non avresti riavuto la vita, se egli non si fosse incontrato con la tua stessa morte. Saresti venuto meno, se non ti avesse soccorso. Saresti perito, se non fosse venuto.
Prepariamoci a celebrare in letizia la venuta della nostra salvezza, della nostra redenzione; a celebrare il giorno di festa in cui il grande ed eterno giorno venne dal suo grande ed eterno giorno in questo nostro giorno temporaneo così breve. «Egli è diventato per noi giustizia, santificazione e redenzione perché, come sta scritto, chi si vanta si vanti nel Signore» (1 Cor 1, 30-31).
«La verità è germogliata dalla terra» (Sal 84, 12): nasce dalla Vergine Cristo, che ha detto: «Io sono la verità» (Gv 14, 6). «E la giustizia si è affacciata dal cielo» (Sal 84, 12). L'uomo che crede nel Cristo, nato per noi, non riceve la salvezza da se stesso, ma da Dio. «La verità è germogliata dalla terra«, perché «il Verbo si fece carne» (Gv 1, 14). «E la giustizia si è affacciata dal cielo», perché «ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene dall'alto» (Gv 1, 17). «La verità è germogliata dalla terra»: la carne da Maria. «E la giustizia si è affacciata dal cielo», perché «l'uomo non può ricevere nulla se non gli è stato dato dal cielo» (Gv 3, 27).
«Giustificati per la fede, noi siamo in pace con Dio» (Rm 5, 1) perché «la giustizia e la pace si sono baciate» (Sal 84, 11) «per il nostro Signore Gesù Cristo», perché «la verità è germogliata dalla terra» (Sal 84, 12). «Per mezzo di lui abbiamo l'accesso a questa grazia in cui ci troviamo e di cui ci vantiamo nella speranza della gloria di Dio (Rm 5, 2). Non dice «della nostra gloria», ma «della gloria di Dio», perché la giustizia non ci venne da noi, ma si è «affacciata dal cielo». Perciò «colui che si gloria» si glori nel Signore, non in se stesso.
Dal cielo, infatti per la nascita del Signore dalla Vergine... si fece udire l'inno degli angeli: «Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace sulla terra agli uomini di buona volontà» (Lc 2, 14). Come poté venire la pace sulla terra, se non perché la verità è germogliata dalla terra, cioè Cristo è nato dalla carne? «Egli è la nostra pace, colui che di due popoli ne ha fatto uno solo» (Ef 2, 14) perché fossimo uomini di buona volontà, legati dolcemente dal vincolo dell'unità.
Rallegriamoci dunque di questa grazia perché nostra gloria sia la testimonianza della buona coscienza. Non ci gloriamo in noi stessi, ma nel Signore. E' stato detto: «Sei mia gloria e sollevi il mio capo» (Sal 3, 4): e quale grazia di Dio più grande ha potuto brillare a noi? Avendo un Figlio unigenito, Dio l'ha fatto figlio dell'uomo, e così viceversa ha reso il figlio dell'uomo figlio di Dio. Cerca il merito, la causa, la giustizia di questo, e vedi se trovi mai altro che grazia.