martedì 25 gennaio 2011

Conformarsi a Cristo

Oggi 25 gennaio la Chiesa Cattolica ricorda anche (insieme ai nostri fratelli luterani) il beato Enrico Suso, mistico domenicano.

25_ENRIQUE_SUSO.JPGNato a Costanza il 21 marzo del 1293 (?), Enrico Suso entrò nell’Ordine dei Predicatori ed ebbe, a soli 18 anni, la visione della Sapienza eterna, di cui da allora divenne fervente apostolo, iniziando una vita di preghiera, ascesi e unione con Dio. Discepolo del santo maestro Eckhart, dovette come questi discolparsi delle accuse di eresia nel processo intentato dai vertici dell’Ordine, ad Anversa nel 1327. Nel 1330, lasciato l’isolamento, cominciò a mettere per iscritto la sua dottrina e le sue esperienze spirituali. Fu in Svizzera, in Renania e in Alsazia. Suso è considerato il più amabile dei mistici. Affermava che il più alto grado della vita spirituale consiste nell’unione con Dio in visione, amore e gaudio inesprimibile, e riassumeva in questi termini il cammino che conduce a Dio: deporre la forma creata, conformarsi a Cristo, trasformarsi in Dio. Scrisse il “Libriccino della verità”, il “Libriccino della Sapienza eterna”, l’ “Horologium sapientiae”, il “Libro delle lettere” con 11 epistole e altre opere ascetiche e religiose. Morì il 25 gennaio 1366.

Di seguito pubblico i "Sermoni" e il "Libretto della Vita perfetta". Buona lettura.



Sermoni

Lectulus noster floridus


Queste paroline stanno scritte nel Libro dell’Amore, sono dette a lode di una pura coscienza e significano in volgare: «il nostro lettuccio è fiorito».
Come un letto delizioso, leggiadramente ornato di rose, di gigli e di vari fiori, in cui si riposa e si dorme dolcemente è diverso da un campo incolto, pieno di radici e di erbaccia, così c’è diversità tra l’anima di un uomo santo e la coscienza di un uomo disordinato, perché è dilettevole al cuore di Dio riposare in un luogo ornato di fiori. E di ciò si rallegrava l’anima amante, quando bramava l’amoroso abbraccio dello sposo e diceva al suo diletto: «Lectulus noster floridus, il nostro lettuccio è fiorito», proprio come se dicesse: «la cameretta della nostra intimità è chiusa, il lettuccio del nostro amore è ornato di fiori, vieni, amabile amico! Non conviene più altro che tu mi lasci dormire tra le braccia del tuo immenso amore».
Ora vi sono degli uomini la cui coscienza non è ricoperta di fiori, ma il loro cuore è piuttosto cosparso di letame. Perché vi sono alcuni i cui difetti cadono al di fuori, vi sono altri i cui difetti avvengono all’interno e che è oltremodo difficile aiutare, come le persone a cui si producono delle piaghe internamente. Di questi difetti interiori ve ne sono molti, ma ve ne sono particolarmente tre così gravi che appena altri difetti si possono a essi uguagliare, perché chiudono assai fortemente [lo spirito]. Il primo è una tristezza indiscreta, il secondo una malinconia disordinata, il terzo un dubbio violento.
Quanto al primo che si chiama tristezza indiscreta, dovete sapere che un uomo è così triste da non poter fare nulla di bene, e tuttavia non sa che cosa gli manca e, se si interrogasse su ciò, non saprebbe dire che cos’ha. Tale tristezza provò l’amabile Davide quando disse: «Quare tristis es anima mea, perché sei così triste, anima mia, e perché mi conturbi?». Come se dicesse: «Tu hai qualcosa, ma non sai che cosa. Abbi fiducia in Dio, andrà meglio; ti rallegrerai ancora spesso nella sua lode». Questa tristezza è di tale natura che ha ricacciato indietro migliaia di uomini che avevano avuto un buon inizio; perché, tra tutti gli uomini che sono nel tempo, nessuno ha bisogno di tanto animo come l’uomo che da cavaliere deve aprirsi un varco nei duri combattimenti contro i suoi difetti. Quale austerità fisica può essere pesante sulla terra per un uomo che ha interiormente un grande coraggio? O che cosa di esteriore può essere piacevole per chi è sempre gravato da cattivi umori? Perciò un uomo deve difendersi per quanto può da tale difetto. Ma come si viene liberati da questo difetto notatelo, tra le altre cose, da quanto accadde una volta a un predicatore, che ebbe questa debolezza per lungo tempo, in un modo insopportabile, e aveva pregato spesso Dio di levargliela; essendone sopraffatto, gli fu detto mentre stava seduto nella sua cella: «Perché stai seduto qui? Alzati e perditi nella mia sofferenza, così perderai la tua!». Così avvenne e gli passò.
Il secondo difetto interiore è una malinconia disordinata ed è distinto dal primo, perché chi ha questa debolezza, ha tanto discernimento da sapere che cos’ha, ma non l’ha bene ordinato secondo la volontà di Dio, e perciò si chiama malinconia disordinata. Ed essa deriva o dal fatto che l’uomo si procura da se stesso la sofferenza, perché valuta tale ciò che non è da valutarsi tale, oppure dalla sofferenza che Dio dà a un uomo, e particolarmente quella che colpisce l’interiore.
Ora si trovano quattro distinte sofferenze che sono le più pesanti che cuore umano possa portare sulla terra, tanto che nessuno potrebbe credere a quel povero cuore, fuorché chi le avesse sperimentate, o colui al quale fosse concesso da Dio perché la sofferenza di questi uomini non si ritira mai, e laddove la loro sofferenza dovrebbe essere alleviata, cioè quando si rivolgono a Dio, essi hanno la pena più tormentosa E la gravità di queste sofferenze si deve intendere solo dal continuo affanno che apportano, e non da qualche danno che arrecano all’anima. Tali sofferenze sono le quattro seguenti: dubbio sulla fede, dubbio sulla misericordia di Dio, pensieri che si scagliano contro Dio e i suoi santi e tentazione di togliersi la vita.
Considero qui prima in particolare la seconda sofferenza e poi tutte le altre in generale. E, riguardo a questa sofferenza, cioè che un uomo comincia a dubitare della misericordia di Dio e se mai troverà salvezza, essa deriva, tra l’altro, particolarmente da tre motivi: e cioè che questi uomini non riescono a valutare chi è Dio, che cos’è il peccato e che cos’è il pentimento.
Vedete, Dio è una fonte così inesauribile di sconfinata misericordia e di naturale bontà, che nessuna madre fedele porgerebbe così volentieri la mano al suo unico figlio, che ha portato accanto al suo cuore, se lo vedesse in un grande incendio, come Dio fa con un uomo peccatore, e pure se costui, ammesso che fosse possibile, avesse sopra di sé solo i peccati di tutti gli uomini e li commettesse mille volte al giorno. Ah, amabile Dio, perché sei così amabile verso molti cuori, perché molte anime hanno grande desiderio dite, perché molti spiriti si rallegrano dite? E ciò unicamente per la loro vita innocente? No, in verità! E perché pensano che chiunque essi siano, per quanto peccatori, per quanto difettosi, per quanto) indegni dite, tu, dolce Cuore, tu, Signore liberale, ti offri a essi tanto spontaneamente! Signore, ciò che ti rende così grande nei cuori è che non hai bisogno di nessun bene umano. Per te rilasciare mille marchi è come rilasciare un quattrino, e perdonare mille peccati è come perdonarne uno. Signore, è questa una dignità al di sopra di ogni dignità: Signore, tali uomini non possono mai pensare pienamente a te senza che il loro cuore non si disciolga per la tua lode. Perché, secondo la Scrittura, ciò è molto più glorioso per te che se non fossero caduti in alcun peccato e vivessero in tiepidezza oppure non avessero per te un così. grande amore; perché secondo l’insegnamento di san Bernardo, tu non consideri ciò che un uomo è stato, tu guardi solo a ciò che vuole essere nel desiderio del suo cuore. E perciò chi vuole contestare che tu perdoni i peccati, fossero pure così frequenti come batter d’occhi, ti priva di un grande onore. Il peccato ti ha portato dal cielo sulla terra. Felice colpa, come dice san Gregorio, che ci apportò un così diletto, tenero Redentore, che vuole così amorosamente riceverci a tutte le ore! E chi riesce a valutare che cos’è Dio, come dice Davide, non può per nulla diffidare di lui.
Il secondo motivo è che non riescono a valutare che cos’è il peccato. Il vero peccato consiste unicamente nel fatto che un uomo, con volontà riflessa e deliberata, coscientemente e volentieri, senza opposizione della ragione, si rivolge da Dio verso il vizio. Perché se un uomo avesse tante tentazioni quanti batter d’occhi, e queste fossero così sconce e perverse da non essere possibile a nessun cuore di pensarle o a nessuna lingua di esprimerle, su chiunque esse fossero, Dio o la creatura, e l’uomo ci stesse dentro pure un anno intero o due o quanto a lungo si vuole; finché la ragione non vi avesse contro che lotta e dispiacere, com’è naturale in simili cose, tanto da non cadere del tutto con animo deliberato e con piena volontà, non si sarebbe commesso nessun peccato mortale. E ciò è così assolutamente vero secondo la Sacra Scrittura e la sacra dottrina, per le quali parla lo Spirito santo, com’è vero che Dio è in cielo.
Ora qui si racchiude una segreta difficoltà che è il laccio più sottile e più tagliente di questa materia, e si tratta di questo: quando arriva questa orribile e perversa tentazione e un uomo lì per lì vi pensa forse con qualche piacere e commette un difetto perché non se n’è allontanato prontamente, essi credono allora di essere caduti volontariamente e ragionatamente, e di avere così mancato e fatto un peccato mortale. Ma non è così. Poiché, secondo la sacra dottrina, la ragione è spesso prevenuta, sia da simili tentazioni che dal piacere, un pezzetto prima di rendersene conto; e quando è diventata ben cosciente di sé con una buona riflessione, allora essa può accogliere e lasciare, e quindi peccare o non peccare. E perciò in questa faccenda gli uomini non devono avere nessuna paura del peccato mortale, se vogliono credere alla dottrina cristiana. Dice sant’Agostino che il peccato deve farsi volontariamente, perché se non si commette proprio volontariamente non è peccato. Vogliono i maestri che se solo Eva avesse mangiato il frutto nel paradiso e Adamo no, ciò non avrebbe nuociuto. Nella stessa maniera, ciò che suggestiona la sensualità, senza il completo piacere della ragione, non fa giungere al peccato mortale.
Il terzo motivo che arreca pregiudizio è che essi non riescono a valutare che cosa sia il pentimento. Il pentimento è una virtù che toglie a un uomo il suo peccato quando è con discrezione. San Bernardo dice che un pentimento indiscreto dispiace a Dio. Il pessimo Caino si pentì anche lui, ma senza modo quando disse: «La mia malizia è più grande della misericordia di Dio». Pure Giuda si pentì, ma il suo dolore fu eccessivamente disordinato. Giungono a volte tali uomini a un dolore così disordinato che dicono tra di sé: “È una disgrazia che io viva, Signore, perché sono mai nato? Signore, quando morrò?”. E molte cose simili. E spesso irritano Dio più aspramente con ciò che con il peccato, seppure ci sia peccato nelle suddette cose. Ma, secondo la Sacra Scrittura, non c’è nessun peccato. E perciò chi vuole rettamente pentirsi, deve avere in sé umiltà, dispiacere del peccato e intera confidenza in Dio. Dice l’eterna e amabile Sapienza: «Figlio mio, non devi disprezzare te stesso nella tua sofferenza! Rivolgiti a motivo di essa a Dio che ti aiuterà a superarla!». E un vero pazzo chi non ci vede da un occhio, e perciò vuole strapparsi anche l’altro.
Su tutti questi difetti bisogna sapere queste sei cose. La prima è che con tali uomini non ci si fa nulla, perché vogliono credere poco su questo punto a qualcuno al quale dovrebbero credere tuttavia, e in particolare molto meno a chi dice loro alcunché di consolante che a chi dice loro cose desolanti. E ciò dipende dalla continua pena di cuore in cui stanno generalmente senza alcun respiro. E hanno questo: che si lamentano volentieri di questa loro infermità con molta gente, per vedere se qualcuno potesse venire loro in aiuto; e non dovrebbero farlo con tanto chiasso, perché sono pochi coloro che possono riuscirvi; e quanto più ne parlano, tanto più grande diventa la loro infermità. Dovrebbero scegliersi un maestro che possiede bene la cosa dalla Sacra Scrittura, e dovrebbero credergli senza alcun dubbio, perché all’ultimo giorno Dio richiederà la cosa a lui e non a essi, qualora avranno fatto del loro meglio.
La seconda cosa è che costoro hanno un timore assai infondato. Essi credono di non essersi mai confessati bene, per quanto diligente e ben istruito sia il confessore o per quanto integralmente l’abbiano fatto, secondo la loro possibilità, e non ne riportano mai il cuore tranquillo. E ciò deriva da questo: essi non sanno che cosa sono obbligati a confessare distintamente e che cosa no. Secondo la Scrittura un uomo è obbligato a confessare distintamente solo i peccati mortali, se lo può fare, e le mancanze quotidiane unicamente secondo un’esposizione generale. E quando gli uomini, riguardo al primo punto, non sono colpevoli di alcun peccato mortale, non hanno bisogno, né devono dire tanto distintamente tutte le tentazioni, ma solo secondo un’esposizione generale dietro il consiglio di un confessore prudente e pio. Il diavolo con ciò turba unicamente la tranquillità del loro cuore, e perciò qui bisogna resistergli perché, più ci si arrende a lui, più la coscienza è turbata.
La terza cosa: essi cercano di sapere cose di cui non si può avere conoscenza: vorrebbero sapere se sono senza peccato mortale. Non c’è alcun uomo sulla terra, per quanto buono, per quanto santo, per quanto ben istruito nella sacra dottrina, che possa sapere assolutamente se sia in grazia oppure no, fuorché per una particolare rivelazione di Dio. E sufficiente a questo riguardo che un uomo, esaminandosi bene, non abbia coscienza di peccato grave. E così questo voler sapere deriva da mancanza d’intelletto, come se un bambino pretendesse di sapere che cosa un imperatore nasconde nel suo cuore. E perciò, come un malato nel corpo deve credere al suo medico che conosce meglio di lui la natura della malattia, così un uomo deve credere a un prudente medico spirituale.
La quarta cosa: essi sono troppo impetuosi con Dio. E ciò deriva dalla continua e amara sofferenza in cui si trovano ogni momento. Generalmente non sono molto esercitati in altre sofferenze; capita loro come a un giovane puledro che si attacca a un carro: si affatica e si affanna sino a dimagrire e, quando vede in ultimo che non può essere diversamente, abbassa la sua petulanza e comincia a comportarsi docilmente. Così avviene a questi uomini: finché resistono ancora e non si sono piegati del tutto sotto la volontà di Dio, da voler soffrire ciò per lui, va assai male per loro, e devono tuttavia soffrire tale pena finché il misericordioso Dio non vede il loro travaglio e la loro pazienza; e lui sa quando è utile per essi esimerli da ciò. E perciò non conviene a questo riguardo che sottomettersi umilmente alla sofferenza, per quanto tempo Dio vorrà, e chiedere a lui aiuto con pazienza, e preghiere alle anime buone.
La quinta cosa: nulla sulla terra fa smarrire tanto questi uomini quanto voler ascoltare la brutta suggestione, risponderle, opporvisi con la ragione e disputarci contro. Devono guardarsi da ciò come dalla morte, perché, opponendovisi, vi s’affondano dentro senza scampo. Perciò, non appena s’è insinuata nelle orecchie del loro spirito, devono immediatamente, senza nessuna lotta, rivolgersi da essa sulla cosa più vicina che vedono, sentono o sanno, proprio come se dicessero nei suoi riguardi: «Tieniti per tela tua insinuazione, essa non mi riguarda; tu sei troppo maligno perché voglia rispondertici sopra». Vedete, accade propriamente questo: quanto meno vi badano, tanto più rapidamente se ne liberano. E devono fare ciò sempre di nuovo, finché non acquistano l’abitudine di distogliersene. Nessuno può comprendere questo discorso fuorché quelle stesse persone.
La sesta cosa: quanto più il tempo è santo e l’uomo si rivolgerebbe più volentieri a Dio, più è grande questa stessa sofferenza, e non possono dire liberamente un Padre nostro o un’Ave Maria senza la vile insinuazione. Così cadono a volte nello scoraggiamento e rigettano la preghiera, dicendo a se stessi: “Che cosa credi che ti giovi una preghiera così contaminata?”. E agiscono in ciò molto erroneamente, perché, quando fanno ciò, vanno completamente dietro al diavolo, dal momento che questi non cerca altro che di allontanare un uomo dagli esercizi spirituali. Essi non sanno che la loro preghiera, con tutte le tentazioni che li fanno soffrire, profuma molto ed è assai gradevole agli occhi di Dio, perché dice san Gregorio che lo spirito cade in tale oscurità da non potersi aiutare, ma essere solo in attuale pena e sofferenza. E la stessa avversità grida interiormente davanti a Dio per essi, e l’amarezza della loro sofferenza si cambia davanti ai suoi occhi in una dilettevole preghiera che penetra più in alto che in altro modo, e lo piega più rapidamente. E perciò nessun uomo deve mai lasciare alcuna opera buona né alcuna preghiera né alcuna visita in chiesa, cose particolarmente contrarie a questo spirito maligno; perché ciò che manca all’uomo in purità di preghiera cresce in lui per la contrarietà della sofferenza; per il quale motivo essa è assai gradita davanti agli occhi di Dio, come spesso un malato che parla appena si ascolta prima di un uomo sano e forte. E quanto più si lascia la preghiera, tanto più ci si attacca allo stesso spirito maligno.
Essendo così confermato per la Sacra Scrittura che in queste cose non c’è peccato, ci si domanda perché il misericordioso Dio impone a questi uomini una così pesante sofferenza, dal momento che generalmente si potrebbe nominare loro qualunque sofferenza fisica ed essi accetterebbero di soffrirla al posto di quella. Questi stessi uomini e alcuni uomini semplici, che di ciò non hanno né scienza né esperienza di vita, credono che la cosa derivi unicamente dai peccati. E ciò non è vero, perché molti uomini santi sono palesemente provati in questo, ciò che vediamo tutti i giorni e lo troviamo nella Sacra Scrittura, e spesso degli uomini cattivi e impuri ne sono liberi; alcuni s’imbattono in tale prova anche nella loro infanzia, quando non hanno ancora grandi peccati. Ma se pure questa sofferenza e questa dura penitenza derivassero, secondo il suo pensiero o secondo verità, dai peccati, l’uomo dovrebbe intimamente lodarne Dio, perché quando egli espia quaggiù rapidamente i suoi peccati per le sofferenze che gli vengono mandate, è questo tra tutte le altre cose, secondo la Scrittura, un grandissimo segno d’amore da parte di Dio. Ma perché Dio visita più con questa sofferenza che con altra, ciò è nascosto nel mistero di Dio; essi devono accettare ciò da Dio, perché Dio conosce meglio di tutti cuore, spirito e maniera di agire interiore ed esteriore di tutti gli uomini, cosicché, come un medico spirituale e come un padre fedele, elargisce a ognuno ciò che discerne essere il meglio per lui.
Ora qualcuno potrebbe chiedere forse qual bene può esserci là per un uomo. A ciò rispondo secondo la Scrittura e dico che vi può essere là per un uomo un grande e ineffabile bene. In primo luogo: vi sono degli uomini per natura di spirito orgoglioso, e costoro non potrebbero essere piegati meglio e più segretamente all’umiltà, che è il principio di tutte le virtù. Perché questi credono che alla deformità della tentazione corrisponda la deformità del peccato, e ciò non è; un uomo, per una sola compiacenza di se stesso, potrebbe diventare più deforme per il peccato davanti a Dio che se avesse avuto mille delle peggiori tentazioni. E così accade qui che l’uomo che non voleva riconoscersi per un pensiero di superbia si riconosca poi nella sofferenza; e a colui che disprezzava gli altri sembri poi giusto che ognuno disprezzi lui. Ora, che cosa può essere più utile a un uomo o far camminare di più verso Dio? È impossibile che un uomo umile si perda.
E perciò veramente, secondo la Scrittura e secondo la Verità, tali uomini dovrebbero cadere in ginocchio e ricoprire d’oro l’orribile sofferenza, ringraziando Dio per le sofferenze che possono portarli a una tale virtù. E questa stessa sofferenza li prende dall’inferno e li colloca in cielo; queste prove servono pure a custodire gli uomini da cadute carnali e da molti peccati, perché danno tanto da fare che essi dimenticano ogni leggerezza, e questo è un nobile guadagno. Esse sono pure vantaggiose per tutte le virtù, perché gli uomini ci stanno così male sotto che cercano tutte le vie e tutte le cose diventano a essi fattibili, solo per allontanarsene. E, per quanto grave ciò sia per loro, tuttavia Dio li lascia spesso stare così, finché per la moltitudine delle opere buone l’uomo non diventi un vaso pieno di ogni virtù e grazia.
Notate ora, cari figli, quanto amabilmente la divina Sapienza sa ordinare tutte le cose: gli uomini pensano di avere grande perdita per quella prova, e Dio la rivolge in grande utilità per essi. Essa diminuisce pure il loro purgatorio e apporta loro grande ricompensa; essi credono di essere cattivi e sono buoni; credono di essere per questo dei grandi peccatori e sono agli occhi di Dio dei martiri sublimi: perché fa mille volte più male essere così martirizzati a ogni ora che perdere il capo con un solo colpo. E, per essere breve, secondo la Sacra Scrittura e secondo la Verità, questa prova è un vero segno d’amore dell’immensa grazia e della grande intimità che dopo di ciò verranno loro. E perciò devono soffrirla lietamente e volentieri, perché sicuramente dopo l’amarezza verrà loro l’eterna beatitudine. Così avvenne una volta. C’era una religiosa in un chiostro che aveva pure lei di queste sofferenze. Quando morì, ritornò e disse che ciò era stato quaggiù il suo purgatorio e che era stata ricevuta da Dio senza alcun ostacolo nell’eternità. Il nostro amabile Signore Gesù Cristo in ciò aiuti pure noi. Amen.




Miserunt Iudaei ab Hierosolymis sacerdotes
et levitas ad Johannem, ut interrogarent eum:
«Tu quis es?»


I giudei e i farisei mandarono dei messaggeri a Giovanni, per chiedergli chi fosse, se fosse Elia. Egli confessò e non negò e disse: «Non sum». «Sei allora il Cristo?» «Non sum». «O un profeta?» «Non sum».
Figli, ci sono ancora molti di questi farisei che vanno facendo delle domande oziose. Gli uni chiedono di cose mondane, che cosa fa questo e quello, delle novità nelle città e nei paesi e presso i signori; di ciò che accade tra le persone, siano religiosi o secolari, di questo e di quello; e trovano il loro piacere nell’apprendere notizie fresche. Che grande vergogna per dei religiosi! Un uomo di vita spirituale dovrebbe sempre arrossire a raccontare e ad apprendere tali nuove. Che importa a un religioso tutto ciò che questo mondo può fare? Altri interrogano per curiosità, nel loro desiderio di sapere molto e di comprendere le cose elevate e di poterne parlare, e da ciò neppure viene mai fuori alcunché di buono. I terzi interrogano per tentare, desiderando sapere ciò che c’è tra la gente e questi se ne vengono con delle adulazioni, come i giudei che dicevano: «Maestro, noi sappiamo che sei veritiero». Così agiscono costoro. Se trovano nelle persone la loro stessa maniera di vivere, tutto è bene, e, se non la trovano, tutto l’agire di quelle non vale niente. Se ne vanno allora a interrogare altri, e questionano sempre allo stesso modo, per difendere le loro pratiche erronee, e non vogliono mai smettere, qualunque cosa loro si dica o si canti. Una quarta categoria di persone sono dei buoni interrogatori: il loro cuore e la loro anima cercano ardentemente l’amabilissima volontà di Dio. Sia che mangino o dormano o lavorino o camminino o stiano fermi, si chiedono: “Come arriveremo a compiere la carissima volontà del nostro diletto Dio?”. La quinta categoria di persone non domandano affatto: sono le anime perfette, hanno superato lo stadio in cui si domanda. Ma dove si trovano? In queste anime non c’è più meraviglia, perché Agostino e Aristotele dicono che le domande derivano dalla meraviglia. In costoro non c’è più meraviglia perché la Verità li ha penetrati.
Or dunque i messaggeri domandarono a Giovanni chi fosse. Che cosa rispose il principe celeste, la stella del mattino, l’angelo terrestre, Giovanni? Egli disse: «Non sum». Confessò e non negò: «Non sum», mentre tutti gli uomini vorrebbero negare il proprio nome; e l’agire di tutti gli uomini tende unicamente a questo: come negare e nascondere il proprio nome: «Non sum»; tutti vogliono essere o sembrare qualcosa, sia in ordine allo spirito che alla natura.
Carissimi figli, chi riuscisse solo a raggiungere questo fondo, sarebbe giunto al cammino più prossimo, più breve, più piano e più sicuro verso la verità più alta e più profonda che si possa conseguire nel tempo. Per questa cosa nessuno è troppo vecchio, né troppo malato, né troppo povero, né troppo ricco, cioè per dire: «Non sum, non sono nulla». Ah, quale valore indicibile è racchiuso in questo «Non sum»! Nessuno vuole camminare per questa via, si giri la cosa come si vuole. Mi benedica Dio: in verità noi siamo e vogliamo e vorremmo sempre essere ognuno al di sopra dell’altro. Da ciò tutti gli uomini sono così presi e legati, che nessuno vuole rinunziare a se stesso; sarebbero per loro più facili dieci opere che il solo abbandonarsi a fondo. Da qui deriva ogni lotta, ogni fatica: per questo i mondani vogliono avere beni, amici e parenti, e mettono a rischio anima e corpo unicamente per essere qualcosa, per essere grandi, ricchi, ed elevati e potenti. Quanti religiosi, per questo motivo, fanno e omettono, soffrono e lavorano! Ciascuno esamini se stesso a tale riguardo. Di ciò sono pieni conventi ed eremitaggi: ognuno vuole sempre essere e apparire qualcosa.
In cielo Lucifero s’innalzò e volle essere. E ciò lo precipitò nel più profondo [abisso], nel fondo del nulla peggiore di ogni nulla. Questo desiderio allettò i progenitori e li cacciò dal paradiso di delizie, e ci ha portati tutti alla miseria e alla fatica. Da ciò provengono tutti i pianti e tutti i lamenti che ci sono; da ciò viene che siamo privi di Dio, di grazia e d’amore, e spogli e nudi di ogni virtù; per questo non troviamo pace né interiormente né al di fuori; è questo l’unico motivo di tutto ciò che ci manca nei confronti di Dio e degli uomini. Ciò proviene unicamente dal fatto che vogliamo essere qualcosa. Questo essere niente procurerebbe invece in tutte le maniere, in tutti i luoghi, con tutti gli uomini una pace intera, vera, essenziale, eterna; e sarebbe la cosa più beata, più sicura e più nobile che il mondo avrebbe: e nessuno la vuole, ricchi o poveri, giovani o vecchi!
Leggiamo nel Vangelo di san Luca che un ricco, un fariseo, aveva invitato a casa sua nostro Signore Gesù Cristo. Era seriamente una grande opera buona quella di nutrire il Cristo con tutti i suoi discepoli. E c’era molta gente. Quest’uomo aveva un’ottima intenzione, ma gli mancava il nobile «Non sum». Arrivò là una peccatrice che si gettò a terra e disse dal fondo del suo cuore: «Non sum». Per ciò ella fu innalzata al di sopra di tutti i cieli, al di sopra di vari cori di angeli. Costei si prostrò ben in basso davanti ai piedi di Cristo e disse nel più intimo del suo cuore: «Non sum». Da quel fondo crebbe così un eterno e durevole «Ego sum»; il Cristo le accordò tutto quello che volle. Ora l’ospite che si dedicava a quella grande opera e dava da mangiare e da bere a tutti stava seduto là, egli disprezzò quel fatto e pensò, quando il Cristo si voltò verso di lei, che ella era una peccatrice. C’era in lui quell’increscioso «Ego sum» e non il «Non sum»; gli sembrava che fosse a lui che ci si doveva rivolgere, che fosse lui che bisognava ascoltare e con il quale bisognava parlare, e non con quella donna.
Cari figli, quanti se ne trovano di questi farisei e tra i religiosi e tra la gente del mondo! Il mondo ne è pieno, pieno, pieno: [gente in abito] nero e rosso, bigio e blu, che per i loro beni e la loro parentela, o per la loro sapienza, per la loro arte o per la loro intelligenza o per le loro elemosine o per le loro apparenze, per cui si credono santi, e simili cose, pensano che ci si dovrebbe rivolgere loro con deferenza, che con loro si dovrebbe parlare, che si dovrebbero ascoltare le loro parole, che si dovrebbe agire secondo la loro volontà; e pensano soprattutto: “Non mi si dovrebbe far questo? Io ho fatto per loro questo e quello, io sono il tale e il tal altro”. E sarebbe per loro una cosa gravemente indegna se non li si stimasse più di altri nei quali essi non riconoscessero le loro stesse qualità. “Dio mi perdoni: chi sono costoro? Di dove vengono? Come osano pensare che dovremmo fare tale cosa?” E disprezzano gli altri. Così faceva il fariseo che s’innalzò al di sopra del pubblicano e restò non perdonato, perché gli sembrava di essere qualcosa; mentre il povero pubblicano che diceva: «Non sum», che non si credeva niente e abbassava gli occhi e diceva: «Signore, abbi pietà di me perché non sono niente, sono un peccatore, meno che niente», tornò perdonato a casa sua. La nobile bocca di Dio stesso ha detto: «Che ognuno guardi davanti a sé e non s’innalzi sopra nessuno, chiunque egli sia».
Quella beata peccatrice che andò a casa di quell’uomo fece in effetti tre cose nella sua pratica: si convertì come si era pervertita; come aveva rivolto i suoi occhi al mondo, così inondò al contrario di calde lacrime i piedi del Cristo e glieli asciugò con i suoi capelli in espiazione di avere con essi servito il mondo; espiò con il suo corpo per mezzo delle prostrazioni e con i suoi beni per mezzo dell’unguento. La seconda cosa che fece: si abbandonò al Cristo immediatamente e totalmente; la terza: il suo cuore si ricolmò di dolore. Figli, per tutto l’abbandono che non si esercita effettivamente, io non do una fava, se cioè esso non è acquisito con le opere e veramente al di fuori della natura maligna che ha più di mille astuzie e angoli dove nascondersi. Un abbandono senza opere sarebbe veramente come un demonio in veste d’angelo. Sulla parola della gente si può costruire come se una festuca di paglia fosse un ponte sul grande Reno e uno volesse passarci sopra: alla stessa maniera si è sicuri della realtà di quell’abbandono. Esso è un abbandono fittizio.
E queste persone se ne vengono a dire: «Maestro, parlateci della più alta verità». Cielo, io sono tanto sfavorevole a questa parola! Pilato chiese a nostro Signore Gesù Cristo che cosa fosse la verità e il Cristo tacque. Si può dire così poco su che cosa sia la verità come su che cos’è Dio. Dio è la verità e purità e semplicità, cioè un solo e medesimo essere. Queste persone, quando si arriva con loro alle parole e ai fatti, scattano subito a loro volta e mordono, ed è per esse una cosa indegna che gli si sia fatto ciò, e si lamentano. E allora ci si accorge bene dove il loro abbandono era a parole e dove a fatti; là il loro fondo si manifesta.
Figli, non illudetevi! Se m’ingannate, ciò non nuoce a me: in verità siete voi che restate ingannate; il danno resta a voi e non a me. Io non dubito minimamente che vi siano migliaia di uomini che si mostrano molto santi e molto singolari, e hanno passato tutti i loro giorni nella vita spirituale, e hanno lasciato pendere molto il loro capo, e moriranno tuttavia senza che il vero abbandono abbia per un solo istante gettato in essi un barlume. Un uomo accorto può compiangere ciò e può riderci dalla meraviglia e farsi gioco che quelle persone s’ingannino tanto. Sappilo in verità: finché hai nella tua carne una stilla di sangue inconsunta, e una gocciola di midolla nelle tue ossa che non hai consumato per amore del vero abbandono, non immaginarti giammai di essere un uomo abbandonato; e sappi: finché ti fa difetto l’ultimo punto del vero abbandono nella pratica sincera, Dio deve restarti eternamente lontano nell’esperienza della più profonda e più alta beatitudine nel tempo e nell’eternità.
Figli, il grano di frumento deve necessariamente morire se deve portare frutto; ma, se muore, esso porta molti e grossi frutti. Figli, bisogna che ci sia morte, disfacimento e annientamento, ci dev’essere «Non sum». Veramente, per Dio che è la Verità, ciò non si realizza con aspirazioni, né con desideri, né con preghiere: figlio mio, ciò deve essere conquistato, ciò deve veramente costare; ciò che non costa, non vale neppure nulla. Se si potesse ottenere con desideri, con preghiere e con aspirazioni, senza spesa e senza fatica, senza che facesse male e che fosse amaro, esso sarebbe poca cosa; in verità, figlio, ciò non può essere. Sant’Agostino dice: «Dio ti ha creato senza dite, ma non ti giustifica mai senza di te». Non devi credere né pensare che Dio voglia procurartelo per mezzo di miracoli, come se Dio ora ci facesse sbocciare una bella rosa. Egli lo potrebbe benissimo, ma non lo fa: egli vuole piuttosto che ciò avvenga con ordine a maggio, attraverso molte fasi e stagioni, che sono ordinate e disposte a tale scopo.
Figli, è veramente una cosa pietosa e deplorevole che una persona spirituale viva trenta o quarant’anni e vada così investigando e lamentandosi, e abbia una vita completamente vana, e non sappia ancora al giorno d’oggi a che punto sia. A lei piacerebbe tanto fare affidamento su un anno solo per morire, disfarsi di tutto e tagliare in due la rete: quando la morte viene e lei ha trascurato, perduto e sciupato i suoi lunghi anni, che dolore, che danno irreparabile gli viene di perdere l’eterno, di esserne eternamente privata! Ah, questa è la cosa più miserabile di cui si possa parlare nel tempo!
Un uomo spirituale e ben ordinato dovrebbe vivere in un’applicazione e in un fervore così costante a progredire e a conquistare maggior bene, da non esserci mai un giorno in cui non si trovasse così avanzato da poter a stento riguardare il passato. E cosa lamentevole che le persone del mondo siano più diligenti riguardo a cose così vili e stolte che gli eletti di Dio riguardo al puro Bene che si chiama ed è Dio. Un uomo spirituale e ben ordinato dovrebbe essere così privo di volontà propria da non scorgersi in lui che «Non sum».
Or dunque se ne vengono molte persone che pensano a molteplici pratiche: vogliono stare un anno a pane e acqua, correre in pellegrinaggio, ora è questo ora è quello. Io ti indico il cammino più breve e più piano: entra nel tuo fondo ed esamina che cosa sia che ti ostacola di più, che ti trattiene; osserva ciò e getta questa pietra in fondo al Reno; altrimenti corri pure in capo al mondo e fa’ tutte le cose: ciò non ti serve a nulla. È il rasoio che taglia la carne dalle ossa, cioè il morire alla propria volontà e ai propri desideri. Molte persone uccidono la natura e lasciano vivere i difetti: di là non ne viene mai fuori nulla.
Figli miei, rientrate in voi stessi e vedete quanto siete lontani e dissimili dall’amabile immagine di nostro Signore Gesù Cristo, il cui abbandono era più grande e più profondo di tutti gli abbandoni insieme che tutti gli uomini abbiano mai praticato nel tempo e praticheranno mai.
Quella donna si abbandonò unicamente al Cristo, ciò si deve intendere così: abbandonarsi per amore di Dio, cioè abbandonare tutto a Dio. Molte persone si abbandonano a Dio, ma non vogliono abbandonarsi alla gente; vogliono che Dio li opprima e non la gente. No, ci si deve abbandonare come Dio vuole che ci si abbandoni; e se qualcuno vuole mostrarti il tuo nulla, accogli con grande riconoscenza e amore di essere avvertito in verità che sei «Non sum».
Ci aiuti tutti Dio a giungere a questo annientamento, a inabissarci per mezzo di esso nell’Essere divino. Amen.



Exivi a Patre et veni in mundum,
iterum relinquo mundum


Il nostro dilettissimo Signore Gesù Cristo disse: «Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo, di nuovo lascio il mondo e vado al Padre». E san Paolo dice: «Cristo è risuscitato da morte per la gloria del Padre, perché noi camminiamo in novità di vita. Il motivo è che siamo diventati simili al Cristo nella sua morte: così saremo pure simili alla sua risurrezione».
Figlie, questa è la più pura, la più vera e la più nuda dottrina che si possa avere; è il cammino più dritto, più corto, più sicuro e più piano, si rivolti la cosa come si vuole. Via ogni commento! Si deve andare per questo cammino che il caro Signore stesso ha percorso, se vogliamo giungere dove è lui, se vogliamo essere perfettamente uniti con lui. Egli è uscito dal cuore paterno, dal seno del Padre, ed è venuto nel mondo, ha sofferto a dismisura nel mondo tutti i suoi giorni, non ha avuto mai agio né piacere, è stato rovinato, ucciso e sepolto. Poi è risuscitato in perfetta e vera impassibilità, in chiarità e immortalità, ed è ritornato nel cuore paterno, in perfetta, vera, uguale felicità.
Ogni uomo che volesse ancora percorrere questo cammino, e morisse e fosse distrutto lui stesso nel Cristo, potrebbe e dovrebbe, senza alcun dubbio, risuscitare pure con lui. Se sei sepolto con lui, risusciterai pure con lui, come dice san Paolo: «Voi siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio». In verità quest’uomo sarebbe in certa misura impassibile, immortale, e andrebbe con lui in cielo, in perfetta, vera unione con il Figlio nel Padre, nel cuore paterno, in perfetta, vera, uguale, unisona felicità, in totale possesso. Ciò che Dio ha per natura, tu l’hai per grazia. Ma deve essere conquistato. L’uomo che va per questo cammino è elevato al di sopra della gente ordinaria, come un uomo nobile al di sopra di una bestia. Ora chi non vuole annientarsi con il Cristo come sarà con lui? Chi non vuole morire, come risusciterà? San Paolo dice: «Se siete risorti con Cristo, gustate le cose che sono lassù, non quelle che sono sulla terra». Ci sono delle persone che, quando sentono parlare di cose grandi, ci starebbero volentieri, e cominciano bene e vogliono vivere per lo spirito e per Dio; ma quando ciò non va subito per esse a piene mani, ripiombano immediatamente nella natura. Esse sono proprio come gli scolari: questi vorrebbero diventare tutti dei grandi chierici; ora alcuni imparano a malapena un latino stentato e una cattiva grammatica. Gli altri perseverano e diventano dei grandi maestri. Così vi sono delle care persone alle quali la cosa riesce e sono assai costanti e diligenti, ma da altre non ne uscirà nulla.
Ora chi vuole giungere a un’alta perfezione deve arrivare pure a superare nove cose, di cui ne spiegheremo ora solo quattro, le minori e le più basse. In primo luogo devi superare i sensi e la sensibilità, e devi calpestare tutte le cose materiali; in secondo luogo devi superare le tue forze fisiche e naturali; in terzo luogo tutti i tuoi desideri; in quarto luogo ogni immagine e raffigurazione.
In primo luogo diciamo di superare tutti i sensi. Non intendiamo parlare qui delle persone che, seguendo le soddisfazioni sensuali vivono in peccato mortale, ma di quelle che vogliono risorgere con il Cristo e salire in cielo. Ci sono delle persone che sanno parlare di grandi cose e tuttavia non ne sanno nulla tranne che per sentito dire o per letture, poiché tutto ciò è penetrato in loro attraverso i sensi. Si trovano cavalieri di fedeltà e gente di parola. Tu devi morire all’esuberanza e al trasporto dei sensi, e superarli se vuoi diventare perfetto.
Un uomo desiderava molto sapere da Dio quale fosse la sua carissima volontà. Gli apparve allora nostro Signore e gli disse: «Devi reprimere i tuoi sensi, legare la tua lingua, vincere il tuo cuore e soffrire lietamente per amor mio ogni avversità: questa è la mia carissima volontà».
Volgiti dalle immagini sensibili alle tue immagini interiori, perché: «Signatum est super nos lumen vultus tui, Domine, Signore, tu hai impresso in noi la luce del tuo volto».
Alcuni uomini hanno molte occupazioni sensibili in buona intenzione, e a malapena hanno mai qualche riposo. Che cosa devono fare? Quando hanno un’ora libera devono inabissarsi in Dio così profondamente e tanto da ricuperare in un’ora quarant’anni di tempo perduto nella vita sensibile, e fanno allora tanto più frutto. Non come alcuni che non sanno far niente con Dio, fuorché attraverso immagini sensibili o con parole imparate o lette o scritte in poesia; ma essi debbono dal loro fondo, dal più intimo del loro spirito, cercare lo spirito di Dio, spirito a spirito, cuore a cuore, come il caro Signore ha detto: «Dio è spirito e i veri adoratori lo adorano in spirito e verità». Dio comprende il linguaggio del cuore e l’intenzione dell’anima, un parlargli profondo, interiore, essenziale. Lo spirito di Maria e la sua presenza erano alle orecchie del Cristo una preghiera più santa e più profonda di tutto quello che potesse dire o di cui potesse lamentarsi Marta.
In secondo luogo bisogna superare ogni forza naturale, interna o esterna. Se un uomo potesse ordinatamente lavorare con essa [alla propria santificazione], in modo da raggiungerla e tuttavia conservare le sue forze e il suo vigore naturale, ciò sarebbe un miracolo: di costoro non ne ho visto nessuno; se c’è, venga avanti e si faccia vedere! San Bernardo non aveva ciò, perché si lamentava di avere rovinato il suo corpo, servitore di Dio; ugualmente san Gregorio che fu un luminare della Chiesa. Perciò nessuno illuda se stesso immaginando di essere o di avere ciò che gli è ancora lontano ed estraneo, perché ciò deve costare! Ciò che non costa nulla, neppure vale nulla; chi vuole avere l’amore, deve lasciare l’amore. Un discepolo chiese al suo maestro: «Caro maestro, noi mangiamo e beviamo, e non appare in noi». Disse il maestro: «Caro figlio, ciò non deve fare meraviglia; noi consumiamo tutto negli esercizi interiori: la cosa va tutta per un’altra strada». Ogni forza esteriore è troppo piccola per acquistare ciò, ma Dio può ben dare una nuova forza. Allorché il grano di frumento muore, esso porta nuovo grano e molto frutto; in verità, se non muore resta solo; deve prima morire a se stesso.
Bisogna pure superare un’altra potenza: si chiama senso comune. Un uomo lo trova anche se non vede né sente al di fuori; trova ogni specie di fantasie in lui; ce ne sono molte in lui e se ne rivolge una qui, un’altra là, ora così, ora in un altro modo, e c’è là molta agitazione. Bisogna assolutamente ridurre ciò alla semplicità, al puro Bene che è Dio. Un maestro vide posare un grosso tronco e disse: «Ah, che bella e deliziosa statua c’è là, se solo fossero piallati dei trucioli e fosse tolta la corteccia». Nostro Signore ha detto: «Se separi il buono dal cattivo, tu sei proprio come la mia bocca». Chi staccasse, scorticasse e separasse tutto, troverebbe Dio nudamente e puramente in sé!
La terza potenza è quella razionale. L’uomo deve superare questa potenza. Ci sono delle persone che hanno molta attività razionale e fanno sfoggio della loro ragione, proprio come se volessero attraversare il cielo, e si attengono del tutto alla natura, come Aristotele e Platone, che compresero meraviglie e vissero pure molto virtuosamente, ma non era tuttavia che natura. Queste persone devono conculcare duramente la loro natura con grande industria e devono guardarsi con diligenza da se stessi. Si trovano pure altre persone che sono molto semplici e si abbandonano con semplicità, e così ricevono pure tutte le cose, e riesce bene per loro interiormente, come a una cera molle in cui l’impronta del sigillo s’imprime facilmente, ma viene pure subito premuta e scompare. Ma in una pietra l’immagine viene fuori con grande lavoro e vi resta pure dura e stabile e non scompare presto. Così avviene pure con queste persone razionali.
In terzo luogo bisogna arrivare a superare ogni desiderio e la potenza appetitiva. Con ciò non intendiamo le persone che desiderano le cose caduche esse sono centomila miglia lontane ed estranee, perché desidera. no i beni, l’onore e le altre cose temporali ‑; noi intendiamo alcune persone buone che hanno molti desideri con attaccamento disordinato, e vivono di aspirazioni dalla mattina alla sera: «Ah, se Dio volesse farmi questo e quello, e concedermi questa grazia e quella rivelazione», oppure: «Se mi andasse come a quello; se fosse così, se fosse cosà!». No, non così! Bisogna abbandonarsi soprattutto a Dio e desiderare con fedeltà soltanto lui, e raccomandargli completamente e fedelmente tutte le cose, e dire con il Cristo: «Padre, non come voglio io, ma come vuoi tu, fiat voluntas tua», non con la bocca, ma dal fondo del cuore, con una devozione sincera e con intenzione interiore. Che cosa deliziosa sarebbe sapersi abbandonare a fondo in ogni sofferenza, in ogni abbandonò in tutte le maniere, come il caro Signore si abbandono sconfinatamente! Egli fu massimamente abbandonato, più di quanto si abbandonò mai alcuna creatura. Egli gridò: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». E si abbandonò fino a che tutto fu compiuto e disse: «Consummatum est». Proprio così l’uomo deve abbandonarsi assolutamente a Dio in ogni sofferenza, in ogni desolazione.
Non pensare che la sofferenza non debba farti male. Se non facesse male, per che cosa si meriterebbe allora? Se nostro Signore Gesù Cristo avesse messo il dito nel fuoco, ciò gli avrebbe fatto male. Così in tutte le tue sofferenze e in tutti i tuoi desideri, abbandonati a Dio! Chi desidera qualcosa fuori di lui, o si contraria di qualche cosa in lui, non c’è ancora, non s’è abbandonato.
Fu rivelato una volta a un uomo in che modo dovesse abbandonarsi. Egli dovrebbe fare proprio come se stesse seduto sul suo mantello in pieno mare, e non vi fosse per un miglio all’intorno nessuna terra, né vicino né lontano. Che cosa vorrebbe fare? Non potrebbe né gridare, né nuotare, né passare a guado: dovrebbe solo abbandonarsi a Dio. Nello stesso modo l’uomo dovrebbe abbandonarsi a Dio in ogni tempo, se vuole essere un uomo veramente abbandonato. Ora io dico che non bisogna desiderare. Non devi desiderare nient’altro tranne che Dio ti tolga ogni ostacolo e ti unisca particolarmente a lui senza intermediario. In ciò cadono tutti i peccati e viene ogni bene e ogni beatitudine.
In quarto luogo devi arrivare a superare ogni immagine. Non intendiamo ora le persone che di proposito prendono o portano in sé l’immagine di una creatura mortale, siano quelle che siano o si chiamino come si vuole, queste persone si rivoltolano nel letame con le bestie: esse sono lontane ed estranee al nostro intento. Si trovano pure delle persone che non hanno ciò e sono buone, ma hanno tuttavia molti pensieri e immaginazioni. L’uomo deve evitarle, trasportando semplicemente in Dio ogni immagine, confessandogli la sua manchevolezza e piangendo su di essa; e, se ciò non vuole scomparirgli, si rassegni in ciò a Dio e si abbandoni.
Ci sono pure delle persone che hanno molte fantasie e sogni: vedono nel sonno cose belle e cose future, e vedono pure i santi e le anime. Non nego ciò perché l’angelo apparve a Giuseppe nel sonno, ma neppure l’incoraggio, perché tali cose avvengono pure naturalmente, come dice Boezio: chi pratica cose pure, sogna naturalmente cose pure; chi pratica buffonerie, sogna cose stravaganti.
Ci sono inoltre delle persone che hanno molte visioni e rivelazioni. Anche se andasse bene per dieci anni, l’angelo della falsa luce può immischiarsi per una volta e con ciò ingannare e sedurre. In queste rivelazioni tutto il tuo lavoro deve essere di trovare in ogni cosa una conferma della Sacra Scrittura. Corri al santo Vangelo e dai dottori della santa Chiesa; se trovi che ciò vi concorda, è cosa buona; se non vi concorda, calpestalo sotto i piedi, per quanto ti sono cari Dio e la tua eterna beatitudine. Non seguire ciò né farci caso, respingilo lontano da te!
Tu devi talmente superare in te questa via, da non appoggiare il tuo spirito su nessun modo o rivelazione di Dio o dei santi; poi mettiti nella volontà di Dio in tutte le cose, nell’abbondanza e nella penuria, nell’avere, qualcosa o nel non avere nulla, nella consolazione e nella desolazione secondo l’amabilissimo esempio di Cristo. Fa’ che lui si manifesti sempre nel fondo del tuo cuore, perché lo formi in te e perché consideri ininterrottamente in te stesso quale alta perfezione siano stati la sua vita, la sua condotta, il suo spirito, e come egli sia stato abbandonato, semplice, ritirato, umile, paziente e pieno di tutte le virtù. Abbandonati a lui e prenditelo come compagno in tutte le cose. Se mangi un boccone, pensa che il tuo diletto Signore ti è seduto di fronte e mangia in uno con te; se sei seduto, che ti è seduto accanto e ti guarda; se cammini, non andare mai solo: prendilo per compagno; se dormi, coricati in lui; e fa’ così in tutti i luoghi, in tutti i modi presso tutte le persone Io conosco un uomo che per rassomigliare perfettamente a nostro Signore e alle sue vie andava da un angolo all’altro, come chi va per acquistare le sue indulgenze, considerando la Passione di Cristo. San Bernardo scrive a una principiante che deve mettersi davanti agli occhi una persona ben ordinata e pensare nelle sue azioni e omissioni: “Vorresti e oseresti dire o fare tale cosa, se lo vedesse quella buona persona?”. Più propriamente deve imprimere in sé l’amabile immagine di nostro Signore, che veramente ed essenzialmente è in noi e più vicino a noi di quello che noi lo siamo a noi stessi; perché in lui c’è ogni consolazione, ogni bene, ogni gioia: plenum gratiae et veritatis, ogni grazia e verità sono in lui.
Il tuo uomo spirituale non dovrebbe lasciarsi sfuggire per un istante quest’immagine; egli dovrebbe avere una conoscenza assennata e una percezione interiore delle ore, ed esaminare com’è stato in esse il suo rapporto intimo con Dio. Dovrebbero averne premura coloro che Dio ha liberato dal mondo cattivo e falso e non hanno da preoccuparsi né da pensare per la casa o per i figli, ma unicamente a come possono piacere a Dio e vivere per lui solo. Ciò è difficile a consigliarsi a quelli che devono portare la cura del mondo, e a farsi da essi, perché a malapena si può stare al mulino senza infarinarsi e nel fuoco senza bruciarsi. Tuttavia dovete sapere che ho trovato delle persone di così alta purità e perfezione tra tutte le loro cure, che i religiosi possono ben arrossirne.
Si prende e si può prendere l’amabile immagine di nostro Signore in maniera immaginativa e pure in maniera vivente. Se in maniera immaginativa, si deve prendere nobilmente, divinamente, spiritualmente e non a modo di creatura o sensibilmente come fanno alcune persone che, quando devono pensare a Dio, lo pensano a modo di creatura, come una persona cara che ha fatto loro molto bene e ha sofferto per essi, e hanno per lui una pietà e compassione naturale. No, non così! Una persona deve imparare ad avere un’immagine divina dell’amabile uomo Gesù Cristo come del Figlio di Dio e del Dio uomo e uomo Dio, non un’immagine a modo di creatura, ma un’immagine divina, soprannaturale, cosicché non pensi mai all’amabilissima immagine del Cristo se non come a Dio. Se lo si pensa e prende così, non si è mai senza Dio. Dove c’è qualcosa di Dio, là c’è tutto Dio. In questa maniera non si trascura mai il meglio.
Si prende pure quest’immagine in maniera vivente, cioè nel senso che l’uomo non ha sosta finché non diventa simile al modello, conformandovisi secondo il suo proprio modo per quanto gli è possibile. Gli deve sembrare poca cosa osservare i comandamenti, ma tutti i consigli di nostro Signore gli devono essere piacevoli, desiderabili e deliziosi. Nostro Signore ha detto: «Amate i vostri nemici». Ciò è così amabile alla carità che non le basta di rivolgere benevolmente la parola ai nemici, ma si può bene e si deve amarli con tutto il cuore, godere con cuore magnifico di ogni loro bene e onore, parlare bene di loro e scusarli generosamente di ogni colpa. Ma non pensare che l’uomo dovrebbe essere così insensibile da non riconoscere bene favore e disfavore; ma solo che non deve badarci né esserne consapevole secondo l’esempio del Cristo, per diventare perfettamente simile a lui. Abbiamo detto precedentemente che l’uomo dovrebbe assolutamente arrivare a superare tutte le immagini. Dovremmo allora rifiutare l’amabile immagine di nostro Signore, del quale abbiamo tanto parlato? Ciò sarebbe una cosa preoccupante. No, in verità! Se andiamo da lui stesso e chiediamo la sua parola, ci dice così: «Expedit vobis, vi è utile che me ne vada da voi, se non me ne vado da voi, non verrà a voi lo Spirito santo». Questa immagine viene allora rifiutata? Essa è rifiutata a modo di creatura, in forma sensibile, immaginativa, come i discepoli l’avevano e come dovevano lasciarla; ma nella sua forma amabile, divina, soprannaturale, essi non la lasciarono mai; perché quando partì da loro fisicamente e con la sua presenza, condusse con sé tutto il loro spirito, tutti i loro sensi e tutto il loro amore. Così dobbiamo fare anche noi. Egli è salito al cielo nel cuore paterno, nel seno del Padre, noi vogliamo andare con lui dove lui è andato, con tutti i nostri sensi, con tutto il nostro amore e con tutta la nostra intenzione, propriamente nel cuore del Padre, dove egli è. Là egli è una sola vita, un solo essere [con il Padre], specchio luminoso della sua chiarità e immagine del suo volto paterno, non solamente a modo d’immagine, ma in modo essenziale, in perfetta eguaglianza con la Persona del Padre, nella divina processione della generazione eterna, uno con il Padre. Là noi dobbiamo essere con tutto il nostro spirito e il nostro amore e là dobbiamo unirci con lui e divenire uno specchio luminoso. noi dobbiamo abitare e vivere nelle tre Persone, e potremo allora dire in ogni tempo con san Paolo: «La nostra conversazione è in cielo», cioè nelle tre Persone. L’uomo deve disporsi ad avere ciò con tutti i suoi desideri, i suoi sensi e le sue forze. Se non lo riceve durante la sua vita, Dio glielo darà alla fine. Se non c’è arrivato e ha conservato qualche difetto, egli porta le mancanze nel purgatorio e là sono lavate. E, quando arriva in cielo, ne godrà eternamente tanto più o tanto meno, quanto più o meno l’ha amato quaggiù e l’ha desiderato con tutto il cuore. Perciò un uomo dovrebbe tendere l’arco verso il più alto, per ottenere tanto bene a ogni istante, perché Dio risponderà ai suoi desideri nell’eternità, dal momento che l’uomo non potrà mai raggiungerlo nel tempo; deve ordinare tutta la sua vita tiepida e fredda e i suoi desideri verso la meta più alta a cui è mai giunto in tutti i suoi giorni. Perciò l’uomo non deve abbandonare; se non si trova in un alto grado di perfezione, deve lavorare con tutte le sue forze per arrivarci. Se non gli è concesso, deve tuttavia amare e desiderare ciò con tutto il cuore.
Che ciò arrivi a noi tutti, ce lo conceda Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito santo! Amen.







Iterum relinquo mundum et vado ad Patrem



Tutto lo zelo del nostro amabile Signore Gesù Cristo, il suo insegnamento, i suoi esempi avevano per scopo di istruire i suoi diletti amici e di portarli interiormente verso il puro fondo, al servizio della Verità. Ed egli vide che essi erano così rivolti alla sua umanità esteriore da non poter conseguire il vero bene, e perciò dovette lasciarli.
Figlie, via ogni commento e ogni pretesto! Se il Figlio del Padre celeste, l’eterna Sapienza, non riuscì a evitare di essere per loro un ostacolo, non c’è nessuna creatura che non sia ostacolo, essa sia, si chiami o appaia come tu vuoi; esse devono essere allontanate ed eliminate a fondo, se vogliamo ricevere il bene interiore che è Dio.
Ora ci sono tre categorie di persone: le prime partono, le seconde si avvicinano, le terze entrano; sono i principianti, i proficienti e i perfetti. Quando un uomo comincia, egli deve attraversare completamente tutti gli angoli della sua anima e riscontrare se vi trova qualcosa che possiede con piacere, o se qualche creatura dimora in qualche angolo; la scacci allora assolutamente! Ciò deve fare in ogni modo prima di ogni altra cosa, come in primo luogo s’insegna ai fanciulli l’ABC. Se ciò non ti riesce bene, non spaventartene: solo non abbandonare! Si legge sempre di nuovo una parola ai fanciulli e tanto spesso finché non la sappiano benissimo; così abbandonati sempre di nuovo, iterum; così è ora per noi: «Io lascio il mondo, lascio di nuovo il mondo», cioè tutte le cose. La mattina, al primo aprire degli occhi, di’: «Amabile e puro Bene, vedi, io voglio cominciare di nuovo a lasciare me stesso e tutte le cose». E così mille volte al giorno; così spesso tu ti ritrovi, tanto spesso devi lasciarti. Tutto consiste in questo, si giri la cosa come si vuole: non si fa nulla senza di ciò.
Ci sono delle persone che servono Dio da quarant’anni, e si esercitano e fanno molte opere buone, e sono alla fine così lontane come all’inizio, proprio come accadde ai figli d’Israele, quando camminarono per quarant’anni attraverso il deserto con molti grossi travagli e stenti; quando credevano di essere arrivati alla fine, si trovavano sempre allo stesso punto da cui erano partiti all’inizio. Oh, quante grosse fatiche e spese e tempo si perdono da molti uomini ai quali sembra, e sembra pure ad altre persone, che siano in buono stato, e pensano di avere fatto tutto bene e sono ancora al primo punto da cui sono partiti all’inizio! Questo abbandonarsi è la cosa più difficile all’inizio e lo sarà pure alla fine. Così non ci si abbandona mai troppo, si trova sempre da abbandonarsi di nuovo, di più e in maniera nuova. Qui molti cadono, quando sembra loro di non averne più bisogno; più si diventa nobili, più minuziosamente ci si deve abbandonare.
Ora ci sono delle persone che, appena si sono abbandonate, si riprendono, le une in una maniera scaltra, le altre in una maniera animale, le terze in una maniera luciferina. Intendete ora la maniera scaltra: la natura è tanto scaltra e cerca le cose sue tanto lestamente. «Dio mi benedica, io ho buona intenzione in ciò». E sa discolparsi così bene, crea tanti pretesti e vuole essere‑più sapiente di Dio. Sappiatelo: chi si mette sugli occhi una placca d’oro o una placca nera di ferro, vede tanto poco attraverso l’oro quanto attraverso il ferro. Quella nobile lo acceca così come l’altra; tu vedi tanto attraverso l’una come attraverso l’altra. Lascia dunque andare tutte le creature, per nobili che siano o che tu le creda, e aiutati come puoi. Molte persone sono così poco abbandonate che, se si trovano in una comunità, si comportano a causa di un fuso o di un’altra cosuccia simile come cani arrabbiati, e abbaiano e gridano. Un uomo spirituale dovrebbe essere così abbandonato che, se lo si percuotesse in una guancia, dovrebbe presentare l’altra; qualunque cosa gli si facesse, dovrebbe restare in pace. Al nostro amabile modello, nostro Signore Gesù Cristo, si diceva che era un seduttore, un traditore, un mangione ed era posseduto dal diavolo. Egli taceva e sopportava ciò benignamente.
Si legge nelle vite dei padri che un discepolo chiese al maestro in che modo dovesse diventare perfetto. Questi gli disse di andare dove stavano i morti e di lodarli molto per un momento e per un altro momento di accusarli fortemente. Per loro fu la stessa cosa: «Così dev’essere per te» disse quello. Il nostro amabile maestro Cristo dice: «Nel mondo soffrirete penuria e fatica, ma in me avrete la pace».
In secondo luogo tali persone si riprendono in una maniera animale. Non intendo qui le persone che vivono come gli animali, intendo coloro che desiderano in maniera naturale l’amabile bene che si chiama ed è Dio. L’uomo non deve fare le sue opere irrazionalmente, per inclinazione o desiderio naturale, come le bestie che sono spinte dalla natura, ma per volontà e sapere razionale, alfine di servire e amare Dio sia che si mangi o si dorma o si parli o si taccia, o qualunque cosa avvenga sulla terra o egli faccia; egli deve reprimere l’inclinazione animale e agire per ragione, cioè pregare, pensare e amare: «Caro Signore, è per te e non per me che mangio, dormo, parlo, vivo, soffro e abbandono tutte le cose».
Un uomo spirituale desiderava molto un’altra vita; gli sembrò come di essere condotto davanti a una grande scuola, dove c’erano molti studenti assai diligenti e che studiavano molto. Il frate disse [all’angelo che lo accompagnava]: «Amabilissimo compagno, questa è un’alta scuola, di cui ho sentito meraviglie; dimmi, che dottrina imparate?». Quello disse: «Null’altro che un profondo abbandono di se stessi in ogni cosa». «Ah, voglio restare qui senz’altro, dovessi per questo morire mille morti, e voglio costruire una cella qui». «No» disse quello, «va’ per la tua strada bene e comodamente. Quanto meno fai, tanto più hai fatto».
Le persone sono veramente accecate: vogliono fare molto e cominciano tante cose, come se volessero forzare Dio, tutto per loro stesse, secondo la propria volontà, piene del capriccio della propria natura. No, non per mezzo della tua lotta, ma per il tuo abbandono, morendo, annientandoti! Ciò ti manca finché in te c’è ancora una goccia di sangue che non sia morta e vinta. Questo dice l’amabile san Paolo: «Vivo ego, jam non ego, io vivo, non io, ma il Cristo vive in me». Sappi che, finché vive in te qualcosa che non è Dio, che sia tu stesso o altra cosa, Dio non vive ancora completamente in te.
La terza categoria di persone si riprendono in una maniera luciferina. Intendi come. Dio aveva deliziosamente creato e nobilmente adornato Lucifero. Ma che fece lui? Si rivolse con compiacenza su se stesso, con compiacenza di sé, volle essere qualcosa. Proprio nel medesimo istante in cui volle essere qualcosa, non fu nulla e cadde. La stessa cosa troviamo nei nostri progenitori ‑ non abbiamo bisogno di cercare più lontano ‑ che Dio aveva adornati meravigliosamente e nobilmente. Il diavolo parlò e offrì la mela a Eva: no, veramente lei non la voleva per non morire ed essere annientata. «No» disse lui, «voi diventerete, voi sarete, eritis!» Questa parola le fu così gradita, e risuonò talmente nelle orecchie del suo cuore, e fu così vagheggiata dalla sua natura e si radicò tanto in lei, che afferrò rapidamente e sconsigliatamente la mela e ne mangiò, e noi siamo stati ridotti a niente e disfatti; sino all’ultimo uomo, figli e figli dei figli. Chi vuole essere, dev’essere necessariamente annientato.
E questo il fondo e il fondamento della nostra beatitudine: un disfacimento e un annientamento di se stessi. «Chi vuole diventare ciò che non è, si disfaccia di ciò che è; ciò deve avvenire necessariamente. Il puro, delizioso Bene che si chiama ed è Dio, è in se stesso, nella sua essenza sussistente e immanente, un essere essenziale, immobile, che esiste ed è per se stesso. Tutte le cose devono essere non per se stesse, ma in lui e per lui. Egli è l’essere, l’agire, il vivere e tutte le cose, e noi non siamo nulla fuorché in lui.
Tu devi avere un abbandono senza fondo. In che modo senza fondo? Se ci fosse una pietra e cadesse in un’acqua senza fondo, essa dovrebbe sempre cadere, perché non sarebbe arrestata dal fondo. Così l’uomo dovrebbe avere un affondamento e una caduta senza fondo nel Dio senza fondo, ed essere fondato in lui, per pesanti che fossero le cose che gli piombano addosso, qualunque fossero le sofferenze interiori ed esteriori e anche i suoi propri difetti, che Dio spesso infligge per il suo grande bene. Tutto ciò dovrebbe immergere l’uomo sempre più profondamente in Dio, ed egli non dovrebbe mai accorgersi del proprio fondo né toccano e turbarlo, e neppure deve ricercare né avere di mira se stesso; egli deve avere di mira Dio solo, nel quale è inabissato. Chi cerca qualcosa, non cerca Dio. Tutto il favore, il fondo e l’intenzione dell’uomo devono essere per lui, per lui la gloria, per lui la volontà, la fedeltà, giammai per la nostra utilità o piacere, né per la nostra propria elevazione o ricompensa. Cerca lui solo, di’ con il Figlio diletto: «Non cerco la mia gloria ma quella del Padre». Sappi che, se cerchi qualche altra cosa, sei nel falso e manchi. Un bicchiere, per bello che sia, se ha un forellino come una punta d’ago, non è integro; per piccola che sia la frattura, esso non è intatto né perfetto.
Non spaventatevi per questo, care figlie, voi ci arriverete bene! In cielo ci sono persone grandi e piccole, come si trovano degli uomini grandi e dei giganti e pure degli uomini deboli che si potrebbero spingere a terra con un dito, e nondimeno sono tutti uomini. Lo stesso è nel nostro campo: tra mille persone non si trova, o quasi, un uomo perfetto. Alcuni si sono abbandonati e si ritrovano una volta all’anno senza abbandono: «Ahimè, ti ho ancora ritrovato! Credevo di averti seppellito, e purtroppo tu vivi ancora!». Altri si ritrovano una volta al mese, altri una volta alla settimana, altri una volta al giorno, altri più volte al giorno. Essi devono dire con cuore piangente: «Ahimè e sempre ahimè, amabile Dio, perché tocca a me, poveretto?». E pure: «Che cosa mi accadrà dal momento che, poveretto, mi ritrovo così spesso? Veramente, devo sempre abbandonarmi di nuovo, iterum relinquo mundum, devo di nuovo ricominciare». Tu devi morire, scomparire e annientarti tanto spesso e sempre di nuovo, finché ciò avviene. Un volo di rondine non ci annuncia l’estate ma, quando esse vengono di frequente e in molte, si sa che l’estate è là. Che l’uomo si abbandoni una o due o venti volte, non è perfetto per questo; ma, se in verità lo fa assai spesso e sempre di nuovo, può risultarne qualcosa. Si ascolta una lezione così a lungo e così spesso che alla fine si sa bene. Così se un uomo si abbandona sempre di nuovo, lo sa fare ed è distaccato del tutto. Ora non ci manca che l’applicazione e l’attenzione. Così se ne vengono delle persone e parlano della più alta perfezione e non hanno ancora cominciato il meno; esse non sanno abbandonarsi neppure davanti a una parolina; non hanno abbandonato né le creature, né il mondo, né se stesse.
Che Dio ci aiuti ad abbandonare tutto, come lui lo vuole da noi. Amen.





Lazarus mendicus
portatus est ab angelis in sinum Abrahae,
dives autem sepultus est in inferno


Care figlie, quanto fedelmente ci ammonisce qui il Figlio di Dio di disprezzare ogni ricchezza e piacere di questo mondo e di morire a essi, e con Lazzaro e tutti gli amici di Dio essere pazienti nella povertà e in ogni sofferenza e pena! Infatti dalla fine di entrambi possiamo ben vedere (basta che vogliamo aprire gli occhi) che tutto ciò che questo mondo stima grande e piacevole non è altro che un vano sogno e inganno del demonio, che avrà per mercede il fuoco eterno; perché corta gioia e lunga sofferenza è la divisa del mondo. Come sono del tutto ingannati i cuori mondani che pongono il loro amore e il loro piacere nelle cose transitorie! Essi sono in un profondo accecamento, essi hanno grandi combattimenti per delle gioie che non tornano loro a gioia né a perfetta felicità. Prima che una cosa riesca loro di gioia, gli si fanno incontro dieci sofferenze, e più corrono dietro i loro desideri, più diventano inquieti. I cuori empi devono essere sempre in timore e spavento. Quella stessa breve piccola gioia che hanno, l’acquistano con fatica, la conservano con ansia e la perdono con dolore. Il mondo è pieno d’infedeltà, poiché, quando termina il proprio tornaconto, finisce pure l’amicizia. Un cuore non ha mai trovato nelle cose create vero amore, piena gioia e vera pace. E veramente una cosa penosa che tante anime formate a immagine di Dio, tanti uomini che con Dio avrebbero potuto essere come re e imperatori potenti in cielo e sulla terra, si avviliscano così stoltamente e si perdano così spontaneamente, tanto che sarebbe meglio per essi soffrire mille morti corporali che doversi separare Dio dalla loro anima! Come lasciano perire il nobile tempo, che a malapena o mai più potranno ricuperare! Essi lo sanno bene, lo sentono in se stessi, e tuttavia non si correggono, finché lo sentiranno all’ultimo giorno quando sarà troppo tardi. Fa loro male separarsi dalle cose care, ed è per essi penoso lasciare una vecchia abitudine, ma sarà di gran lunga più penoso soffrire nel fuoco il martirio futuro. Vogliono sfuggire a disagi e a sofferenze e vi cadono in mezzo. Schivano l’eterno Bene e il suo dolce peso, e sono oppressi dal diavolo con molti pesanti fardelli. Temono la brina e cadono nella neve. Come possono i divertimenti e i piaceri materiali non essere nocivi, dal momento che mettono in disordine lo spirito, lo ritraggono dalla sua interiorità, privano il cuore della pace, dissipano la grazia e l’amicizia di Dio e arrecano tiepidezza e cecità all’uomo interiore e pigrizia a quello esteriore? Prima che si rientri una volta in sé dalla compagnia degli uomini, si esce mille volte da se stessi; prima che si riceva un buon insegnamento, si è deviati spesso da cattivi esempi. Come in maggio la gelida brina secca i bei fiori, così l’amore transitorio distrugge ogni divino fervore e devozione. Guai all’ora in cui si dovrà rendere conto di ogni tempo perduto e di ogni bene omesso, in cui tutti i pensieri, parole e azioni inutili e cattivi saranno letti apertamente davanti a Dio e a tutto il mondo, e la loro intenzione sarà compresa, senza nessuna segretezza! Devono essere pietrificati quei cuori che non sono toccati da queste penetranti realtà! Perciò, care figlie, abbandonate puramente il mondo perché è così perfido! Il suo piacere è impurità, il suo consiglio è superbia e avarizia. Il suo servizio è dolce, la sua mercede è grama; il suo fiore è bello, il suo frutto è puzzolente; la sua sicurezza è tradimento, il suo aiuto è avvelenamento; il suo promettere è mentire, la sua salvezza è inganno. Per gioia dà rimorso, ignominia per onore, falsità per lealtà. In luogo di ricchezza dà grande povertà, in luogo della vita eterna la morte eterna. Chi in questo tempo sceglie il piacere del mondo, per il che abbandona Dio, quando arriva poi la separazione, deve essere privo di entrambi. Egli non pensa come può essere piacevole là dove mille anni sono un giorno, e che deve stare dove una notte è mille anni e mai più sarà giorno; a questa notte dobbiamo pensare bene.
Misericordioso Dio, è tuo giusto giudizio che il ricco, che vestiva deliziosamente e banchettava ghiottamente, agiva benignamente con se stesso e dimenticava i poveri, sia sepolto nell’inferno. Di ciò dice il tuo servo Giobbe: «I cuori mondani hanno timpani e danze e si dilettano al suono degli zufoli; essi vivono buoni giorni e in un batter d’occhi scendono all’inferno». La loro speranza – dice il saggio uomo – è come un cappello che il vento porta via, come una spuma che il temporale disperde, come un fumo che il vento scaccia, e come il ricordo dell’ospite di un giorno.
Perciò gli amici di Dio e tutti gli uomini devono dare allegramente congedo a questo falso mondo, perché, se uno avesse posseduto il mondo per mille anni, ciò non sarebbe ora che un istante; la proprietà della sua natura è un morire e lasciare. Perciò, care figlie, voi che ora avete rinunziato per Dio al mondo con tutte le sue tentazioni, rallegratevi e ringraziate Dio per la sua grande grazia, e non guardatevi intorno per non perdere un grande bene per piccole cose. Guai a quelli che, in luogo dell’amabile amicizia di nostro Signore Gesù Cristo, scelgono l’amore transitorio e l’amicizia del mondo, che sono una perdita di tempo, un rubamento del cuore e una distruzione di ogni vita spirituale. Essi inviano messaggi, scrivono e salutano, hanno molte chiacchiere, sollecitazioni e molti pensieri e immagini di cose mondane (come un uomo assetato che sogna acqua fresca) e, quando l’hanno messa di qua e di là, essa scompare e non trovano che una mano vuota e una coscienza triste. Non è questo un vero vestibolo dell’inferno, privarsi per pochi beni e piaceri temporali del Bene eterno, supremo? Come staranno vergognosi all’altro mondo davanti ai loro amici, sì, davanti a tutte le creature, come arrossiranno e si affliggeranno per avere trascurato un così grande ed eterno Bene per così piccole cose! Com’è incomparabilmente meglio servire Dio in questo breve tempo con cuore puro e con gioia! Anche se non ci fosse altra ricompensa, una buona coscienza è sufficiente ricompensa a se stessa.
Ora alcuni dicono che il Signore fa soffrire molto i suoi servi. La sofferenza che Dio dà ai suoi amici è un peso leggero, poiché il Signore stesso li aiuta a portarlo. Per la sofferenza diventiamo cari a Dio e ci uniamo con lui; la sua consolazione interiore prevale su ogni sofferenza. Chi vive in questo tempo senza sofferenza? In verità nessuno sulla terra, per quanto elevati siano i castelli, per quanto grandi siano le città; né manto rosso né vestito di seta possono esserne esenti. [I mondani] hanno un abito piacevole e splendido rivolto al di fuori, ma ciò che addolora lo portano internamente nel cuore, e soffrono gran tormento e fatica per le cose transitorie e per guadagnare l’inferno. Perciò i servi di Dio devono soffrire volentieri, perché acquistano Dio e possono ricevere il Bene eterno. Staccarsi dalle cose piacevoli fa male all’inizio, poi diventa sopportabile e alla fine diventa gradito sopra ogni cosa temporale.
Care figlie che vi siete convertite ora dal mondo a Dio, vi consiglio e vi prego fedelmente, affinché perseveriate e cresciate in una vita buona, di attendere in primo luogo a comportarvi e a fondarvi bene in maniera generale, e soprattutto di affrettarvi per tempo all’ufficio divino e alla preghiera e di restarci disciplinate con fervore e devozione e senza uscire; dovete inchiodarvi al posto della vostra preghiera, resisterci particolarmente durante la santa messa, nell’amore con cui Cristo perseverò sulla croce, e non dovete fare diversamente dalle altre sia nel lodare Dio sia nel pregare.
In secondo luogo dovete guardarvi dalla collera, in modo da non essere mosse da gesti irosi contro alcuno, poiché, tutte le volte che spezzate la vostra volontà nell’ira, Dio vi darà una corona particolare; e che non vi vendichiate dove potreste ben farlo, ciò è più gradito a Dio che se gli sacrificaste mille marchi d’oro. Trattenete la vostra lingua, tacete e lasciate morire in voi l’ingiustizia, come fece il povero Lazzaro: così vi sarà facile. In terzo luogo mantenetevi tranquille: ciò adorna un uomo buono come un rubino un gioiello d’oro. Alcuni uomini sono così irrequieti che non possono avere sosta né riposo in nessun luogo, e corrono in giro, ora di qua ora di là, e da ciò non ne viene nulla di buono alla fine. Dolce contegno e pacato discorrere sono graditi a Dio e agli uomini. In quarto luogo dovete mettere una serratura alla vostra bocca aperta e abituarvi a non aprire mai la porta per parole inutili, tranne che ne abbiate un motivo necessario o utile, e solo con il permesso di una persona buona, che dovete mettere per custode nei vostri cuori; e non parlare che quando vi sembra che fosse presente o che ve ne desse il permesso; e allora dovete parlare disciplinatamente, con semplici e brevi parole, come se lei fosse presente. In quinto luogo non dovete correre da nessuno per passatempo e non cercare presso alcuno amicizia particolare. Dovete essere affezionate e intime a quelle che vi possono migliorare e che tendono a una vita devota. Due momenti devono essere per voi particolarmente preziosi: dopo mattutino, nella notte, dovete passare un buon pezzetto con Dio in devota preghiera e premeditare sul come attenervi durante il giorno alla carissima volontà di Dio, per il vostro progresso spirituale; dopo compieta esaminatevi come vi siete comportate durante il giorno, e per il bene lodate e ringraziate Dio, per le negligenze e le colpe abbiate dispiacere, con una ferma volontà di emendarvi. E, se ciò non v’è andato sempre bene, non dovete per questo disperarvi. Non desistete: se non arrivate alla sommità del monte, vi trovate tuttavia sulla via della vostra felicità eterna.
Vi consiglio ancora due cose con cui andrete bene. La prima è che in ogni tempo riflettiate nella vostra mente alla Passione di nostro Signore e ne siate sollecite, e dovunque vi troviate o qualunque cosa facciate, parlate così a nostro Signore: «Mio carissimo Signore, mio diletto amico, dove sei ora? Vieni da me, siediti vicino a me, cammina con me, aiutami e non separarti giammai da me!». La seconda è che dovete servire di cuore, in maniera particolare, la nostra cara Signora, voler bene con profitto alla celeste Regina dopo Dio e recitare devotamente le sue ore. Perché, se la prendete per singolare amica, riceverete grande grazia da Dio, e nei pericoli e nelle necessità, come nell’ultima agonia, non sarete mai abbandonate dal suo caro Figlio.
Dio ci aiuti a lasciare a fondo il mondo e a diventare perfetti nell’amore di Dio. Amen.



Libretto della vita perfetta




Prologo

Sull’abbandono interiore e sulla buona
distinzione che
si deve avere nella ragione


Ecce enim veritatem dilexisti, incerta et occulta sapientiae tuae manifestasti mihi.


C’era un uomo in Cristo che s’era esercitato, nei suoi tempi giovanili, secondo l’uomo esteriore, su tutti i punti in cui sono soliti esercitarsi i principianti, ma restava inesperto l’uomo interiore quanto al suo più alto abbandono, e lui sentiva bene che qualcosa gli mancava, ma non sapeva che cosa. Avendo trascorso così lungo tempo, molti anni, ebbe una volta un raccoglimento, nel quale fu tratto in se stesso e gli fu detto così internamente: «Devi sapere che l’abbandono interiore porta l’uomo alla più alta verità».
Però quella nobile parola gli era allora barbara e sconosciuta, e aveva tuttavia molto amore per tale cosa, ed era spinto assai fortemente verso questa stessa cosa [pensando] se prima della morte potesse arrivare a conoscerla chiaramente e conseguirla a fondo. Così giunse a essere avvertito e ispirato che nello splendore di quella medesima immagine vi stesse nascosto un falso fondo di disordinata libertà, e vi stesse ricoperto un grave danno per la santa cristianità. Egli se ne spaventò e sentì per qualche tempo in se stesso una ripugnanza verso la chiamata interiore.
E una volta ebbe in se stesso un forte rapimento, e gli si fece lume da parte della divina Verità, che non doveva avervi nessun abbattimento; perché è sempre stato e dovrà essere sempre che il male si celi dietro il bene, e non si deve perciò rigettare il bene a causa del male. E intese dire che nell’Antico Testamento, quando Dio per mezzo di Mosè operò i suoi veri miracoli, i maghi vi mischiarono i loro falsi; e quando venne Cristo, vero Messia, vennero alcuni altri e dimostrarono falsamente di esserlo ugualmente. Ed è così dovunque, in ogni cosa, e perciò il bene non si deve rigettare con il male, ma si deve scegliere mediante una buona distinzione, come fece la bocca divina. E spiegò che non fossero da rigettare le buone immagini ragionevoli, che tengono sottomessa la loro chiara ragionevolezza al pensiero della santa cristianità, né che fossero da temersi le massime ragionevoli che contengono una buona verità riguardo a una vita perfetta; perché esse dirozzano l’uomo e gli mostrano la sua nobiltà, l’eccellenza dell’Essere divino e la nullità di tutte le altre cose, ciò che giustamente, al di sopra di ogni cosa, incita l’uomo al vero abbandono. E così tornò al precedente modo di vivere di un vero abbandono, verso cui era stato esortato.
Ora desiderò dall’eterna Verità che gli desse una buona distinzione, per quanto fosse possibile, tra gli uomini che hanno di mira un’ordinata semplicità, e alcuni che hanno per scopo, come si dice, una libertà disordinata, e gli insegnasse quale fosse il retto abbandono, per mezzo del quale potesse giungere dove doveva. Gli fu risposto in maniera luminosa che tutto ciò doveva avvenire secondo il modo di una spiegazione per similitudini, come se il discepolo domandasse e la Verità rispondesse. E fu anzitutto rinviato al nocciolo della Santa Scrittura, da dove parla l’eterna Verità, perché vi cercasse e vedesse ciò che ne avessero detto i più dotti e i più sperimentati, ai quali Dio ha aperto la sua Sapienza nascosta, com’è indicato qui sopra in latino, o che cosa ne ritenesse la santa cristianità, in modo che restasse nella verità certa. E gli si fece luce così.


1

Come un uomo abbandonato comincia
e finisce nell’unità


A tutti gli uomini che devono essere riportati in Dio è vantaggioso conoscere il primo principio di sé e di tutte le cose, perché nel medesimo è pure il loro ultimo approdo. E a questo riguardo bisogna sapere che tutti coloro che hanno mai parlato della verità convengono sopra un punto: che c’è un qualcosa che è assolutamente il primo e il più semplice, e prima del quale nulla esiste. Ora Dionigi ha contemplato quest’essere senza fondo nella sua nudità e dice, insieme ad altri maestri, che l’essere semplice di cui si parla resta assolutamente innominato nonostante tutti i nomi; perché, com’è detto nella scienza della logica, il nome dovrebbe esprimere la natura e il concetto della cosa nominata. Ora è palese che la natura dell’essere semplice sunnominato è infinita e immensa e inafferrabile a ogni intelligenza creata. Quindi è noto a tutti i sacerdoti ben istruiti che l’essere senza modo è pure senza nome. E perciò dice Dionigi nel libro dei Nomi divini che Dio è non essere o un niente, e ciò deve intendersi riguardo a ogni essenza ed essere che noi possiamo attribuirgli in modo creato; perché quello che gli si attribuisce in modo simile è tutto falso in qualche maniera, e la negazione di ciò è vera. E perciò si potrebbe chiamare un Nulla eterno; tuttavia, quando si deve discorrere di una cosa come di eccellente e di gran conto, bisogna creargli un qualche nome. L’essenza di questa silenziosa semplicità è la sua vita, e la sua vita è la sua essenza. È un’intelligenza vivente, essenziale, sussistente, che comprende se stessa, ed è e vive ella stessa in se stessa ed è ciò stesso. Non posso ora sviluppare ciò oltre, e chiamo quest’essere l’eterna Verità increata, perché tutte le cose sono là come nella novità e nel loro inizio e nel loro eterno principio. E là comincia e finisce un uomo abbandonato, in un ordinato assorbimento, come qui appresso sarà mostrato.



2

Se nella più alta unità
può esistere qualche diversità


Il discepolo interrogò dicendo: Non so capire, dal momento che quest’Uno è tanto semplice, da dove provenga la molteplicità che gli si attribuisce. Uno lo riveste di sapienza e lo chiama la Sapienza, uno di bontà, uno di giustizia e simili cose; così asseriscono i preti a motivo della fede nella divina Trinità. Perché non lo si lascia restare nella sua semplicità che è lui stesso? Mi sembra in tutto che quest’unico Uno abbia troppe opere e troppa diversità; o come può essere un così puro Uno, se c’è in lui tanta molteplicità?
La Verità rispose dicendo: Tutta questa molteplicità è, al fondo e alla base, una semplice unità.
Il discepolo disse: Che cosa chiami tu «fondo» e «origine», o «non fondo»?
La Verità: Io chiamo «fondo» la fonte e l’origine da dove scaturiscono le effusioni.
Il discepolo: Signore, che cos’è ciò?
La Verità: È la natura e l’essenza della divinità; e in questo abisso senza fondo si sprofonda la Trinità delle Persone nella loro unità, e ogni molteplicità è là disfatta in qualche modo di se stessa. Prendendolo in questa maniera, non c’è là opera estranea, ma solo una silenziosa tenebra sospesa in se stessa.
Il discepolo disse: Caro Signore, dimmi, che cos’è allora che conferisce a questo stesso [fondo] il primo sguardo alle operazioni, e soprattutto alla sua propria operazione che è il generare?
La Verità disse: Fa ciò la sua possente forza.
Il discepolo: Signore, che cos’è ciò?
La Verità: E la natura divina del Padre; e là, nello stesso istante, essa è gravida di fecondità e di operazione, perché là, secondo l’intendimento della nostra intelligenza, la divinità s’è slanciata in Dio.
Il discepolo: Caro Signore, non è ciò una cosa sola?
La Verità disse: Si, divinità e Dio sono una cosa sola, e tuttavia la divinità non opera né genera, ma Dio genera e opera. E ciò viene dalla distinzione che è nella designazione, secondo la comprensione della ragione. Ma è una cosa sola nel fondo; perché nella natura divina non c’è altro che l’essenza e le proprietà relative, e queste non aggiungono assolutamente nulla all’essenza: esse sono questa tutte insieme, benché siano distinte da ciò a cui sono opposte, cioè dal loro termine opposto. Perché la natura divina, a prenderla secondo lo stesso fondo, non è affatto più semplice in se stessa, del Padre preso nella stessa natura, o di alcun’altra Persona. Tu sei ingannato unicamente dall’immaginazione, che considera ciò secondo il modo in cui è reso nella creatura. Ciò è in se stesso unico e semplice.
Il discepolo disse: Vedo bene di essere giunto all’ultimo fondo della più alta semplicità, più addentro di cui, nessuno che vuol possedere la verità, può andare.



3

Come l’uomo e tutte le creature
si sono tenute eternamente [in Dio]
e la loro processione nel divenire


Il discepolo: Eterna Verità, ma come le creature si sono tenute eternamente in Dio?
Risposta: Vi sono state come nel loro eterno esemplare.
Il discepolo: Che cos’è questo esemplare?
La Verità: È la sua essenza eterna, presa secondo che si dà a conseguire in maniera partecipata alle creature. E nota che eternamente tutte le creature sono in Dio, e non hanno avuto là alcuna distinzione profonda, fuorché come si è detto. Esse sono la stessa vita, essenza e potenza, per quanto sono in Dio, e sono lo stesso Uno e nulla di meno. Ma dopo l’uscita, quando prendono il loro essere proprio, ciascuna ha la sua essenza particolare, distintamente con la propria forma, che le dà il suo essere naturale; perché la forma dà l’essenza particolare e distinta, sia riguardo all’essenza divina che a ogni altra, come la forma naturale della pietra le dà di avere la sua propria essenza. E questa non è l’essenza di Dio, né Dio è la pietra, benché questa e tutte le creature sono da lui ciò che sono. E in questa effusione tutte le creature hanno acquistato il loro Dio, perché, quando la creatura si trova creatura, essa confessa il suo creatore e il suo Dio.
Il discepolo: Caro Signore, l’essere delle creature è più nobile secondo che è in Dio, o secondo che è in se stesso?
La Verità: L’essere delle creature in Dio non è creatura, ma la creaturalità di ciascuna creatura è a essa più nobile e più utile dell’essere che ha in Dio. Perché che cos’ha di più la pietra o l’uomo o qualunque creatura nel suo stato creaturale, per ciò che sono stati eternamente Dio in Dio? Dio ha bene e rettamente ordinato le cose, perché ciascuna cosa guarda indietro alla sua prima Origine, in maniera sottomessa.
Il discepolo: Signore, da dove vengono allora il peccato o il male o l’inferno o il purgatorio o il diavolo e cose simili?
Risposta: La creatura ragionevole dovrebbe avere una reintroversione che si sprofonda nell’Uno; ma perché essa resta estroversa all’esterno con un ingiusto sguardo di proprietà sul proprio io, vien fuori allora diavolo e ogni malizia.



4

Il vero ritorno che deve fare un uomo
abbandonato attraverso il Figlio unigenito


Il discepolo: Ho compreso bene la verità dell’effusione del divenire delle creature. Sentirei ora parlare volentieri della breccia [verso Dio]; come l’uomo attraverso il Cristo deve ritornare e conseguire la sua beatitudine.
La Verità: Bisogna sapere che Cristo, Figlio di Dio, aveva qualcosa di comune con tutti gli uomini e qualcosa di singolare rispetto agli altri. Ciò che gli è comune con tutti gli uomini è la natura umana, essendo anche lui vero uomo. Egli assunse la natura umana e non la persona; e ciò si deve prendere nel senso che Cristo assunse la natura umana nell’individualità della materia, ciò che il dottore Damasceno chiama in atomo, e così alla natura umana assunta corrisponde il puro sangue nel corpo benedetto di Maria, quando da lei prese lo strumento corporeo.
E perciò la natura umana presa in se stessa non ha alcun diritto — dal momento che Cristo ha assunto essa e non la persona — a ciò che ciascun uomo debba e possa essere nella stessa maniera Dio e uomo. Egli è il solo al quale appartiene l’inaccessibile dignità di avere assunto la natura in tale purità che nulla gli è seguito né del peccato originale né di alcun altro peccato; e perciò egli fu il solo che poté redimere il genere umano indebitato.
In secondo luogo le opere meritorie, che tutti gli altri uomini compiono in vero abbandono di se stessi, ordinano propriamente l’uomo alla beatitudine, che è allora una ricompensa alla virtù. E la beatitudine consiste nella piena fruizione di Dio, dove ogni ostacolo e diversità sono rimossi. Ma l’unione dell’incarnazione di Cristo, essendo in un essere personale, sorpassa ed è superiore all’unione dello spirito dei beati in Dio. Poiché dal primo momento in cui fu concepito come uomo fu veramente Figlio di Dio, cosicché non ebbe alcun’altra sussistenza che quella di Figlio di Dio. Ma tutti gli altri uomini hanno la loro sussistenza naturale nel loro essere naturale e, per quanto completamente siano rapiti da se stessi o per quanto puramente si abbandonino nella Verità, non avviene mai che siano trasformati nella sussistenza della persona divina e che perdano la propria.
In terzo luogo quest’uomo, il Cristo, aveva pure, al di sopra di tutti gli altri uomini, di essere il capo della Chiesa, nella stessa maniera in cui si parla del capo dell’uomo in ordine al proprio corpo, così come sta scritto che tutti coloro che ha previsto li ha preparati a diventare conformi all’immagine del Figlio di Dio, in modo che egli sia il primogenito tra molti altri.? E, perciò, chi vuole avere un vero ritorno e divenire figlio in Cristo si rivolga con un vero abbandono da se stesso verso di lui: così arriverà dove deve.
Il discepolo: Signore, che cos’è un vero abbandono?
La Verità: Percepisci con precisa distinzione queste due parole: lasciare sé. E se tu puoi pesare esattamente queste due parole e indagare a fondo sul loro ultimo significato e considerarlo con giusta distinzione, allora potrai essere istruito rapidamente sulla Verità. Prendi ora anzitutto la prima parola che suona: «sé» o «me», e considera che cos’è. E bisogna sapere che ciascun uomo ha cinque sé. Un sé gli è comune con la pietra ed è l’essere; un altro con la pianta ed è il crescere; il terzo con gli animali ed è il sentire; il quarto con tutti gli uomini ed è che ha in sé una natura comune, nella quale tutti gli altri convengono; il quinto che gli appartiene propriamente, è il suo uomo personale, sia secondo la nobiltà che secondo l’accidentalità. Che cos’è ora che distorna l’uomo e lo priva della beatitudine? È solamente l’ultimo sé, quando l’uomo, per rivolgersi verso se stesso, esce da Dio, dove dovrebbe rientrare di nuovo, e fa di se stesso un proprio sé secondo l’accidente, cioè si appropria per cecità di ciò che è di Dio, lo ha di mira, e lo dissipa nel tempo in mancanze.
Ma chi volesse lasciare ordinatamente questo sé, dovrebbe dare tre sguardi: il primo in modo da rivolgersi, con uno sguardo che si sprofonda, alla nullità del proprio sé, considerando che questo sé e il sé di tutte le creature sono un nulla lasciati fuori ed esclusi dall’Essere che è l’unica forza operante. Il secondo sguardo è di non trascurare che persino nel più alto abbandono il proprio sé permane sempre nella propria attiva sussistenza, dopo l’uscita, e non vi è assolutamente annientato. Il terzo sguardo si fa con un annientamento e un libero abbandono di se stesso in tutto ciò in cui ci si guidava da sé, in servile molteplicità contro la divina Verità; [abbandono] nella gioia e nella sofferenza, nel fare e nell’omettere, così da perdersi con ricca potenza, senza badare a questo e a quello, e annientarsi in maniera da non riprendersi e diventare una cosa con il Cristo nell’unità, così da operare in ogni momento per lui, mediante il ritorno, ricevere e vedere ogni cosa in questa semplicità. E questo sé abbandonato diventa un «io» cristiforme, di cui la Scrittura parla per mezzo di san Paolo che dice: «Io vivo, non più io, Cristo vive in me». E questo io chiamo un sé ben pesato.
Prendiamo ora l’altra parola che Egli dice: lasciare. Egli intendeva con ciò «abbandonare» o «disprezzare», non così che si potesse lasciare questo sé al punto da essere ridotti totalmente a nulla, ma solo nel disprezzo, e allora è assai bene per l’uomo.
Il discepolo: Sia lodata la Verità! Caro Signore, dimmi, resta qualcosa a un uomo felicemente abbandonato?
La Verità: Ciò accade senza dubbio quando il servo buono e fedele è introdotto nella gioia del suo Signore: allora s’inebria della traboccante abbondanza della casa divina; perché gli avviene in maniera inesprimibile come a un uomo ubriaco che si dimentica di sé al punto da non essere più padrone di se stesso, poiché è totalmente annientato a se stesso ed è passato completamente in Dio ed è diventato uno spirito con lui, alla stessa maniera di una gocciolina d’acqua versata in molto vino. Poiché come questa si annienta a se stessa, allorché trae a sé e in sé il sapore e il colore di quello, così avviene a coloro che sono in pieno possesso della beatitudine: sfugge loro, in maniera inesprimibile, ogni desiderio umano e si perdono a se stessi e si sprofondano completamente nella divina volontà. Altrimenti non potrebbe essere vera la Scrittura che afferma che Dio deve diventare tutto in tutte le cose, se fosse che qualcosa dell’uomo restasse nell’uomo, e non si versasse invece completamente fuori di lui. Vi resta il suo essere, ma in un’altra forma, in un’altra gloria e in un’altra potenza. E ciò proviene dall’abbandono senza fondo di sé.
E lui dice così a riguardo del precedente pensiero: ma se qualche uomo in questa vita sia così abbandonato da avere perfettamente raggiunto ciò in modo da non guardare più il suo io, né nella gioia né nella sofferenza, ma da amare se stesso e pensarsi esclusivamente per Dio, secondo il più perfetto grado raggiungibile, non riesco a comprendere – egli dice – se sia possibile. Si facciano avanti coloro che l’hanno vissuto, perché, per parlare secondo il mio intendere, ciò mi sembra impossibile.
Da tutto questo discorso tu puoi scorgere una risposta alla tua domanda, poiché un retto abbandono di un tale uomo nobile nel tempo è poi modellato e disposto in conformità all’abbandono dei beati di cui parla la Scrittura, più o meno, secondo che gli uomini sono più o meno uniti o diventati uno [con Dio]. E osserva in particolare che egli dice che essi sono destituiti del loro io e trapassati in un’altra forma e in un’altra gloria e in un’altra potenza. Che cos’è mai l’altra forma estranea se non la divina natura e la divina essenza nella quale essi si dileguano e che li dilegua in sé, per essere la stessa cosa? Che cos’è allora un’altra gloria se non essere trasfigurati e glorificati nella luce sussistente che è inaccessibile? Che cos’è dunque un’altra potenza se non che dalla stessa sussistenza [divina] e dalla stessa unità sono date all’uomo una forza divina e una potenza divina di fare e lasciare tutto ciò che conviene alla sua beatitudine? E così l’uomo è disfatto dell’uomo, come s’è detto.
Il discepolo: È possibile ciò nel tempo?
La Verità: La beatitudine di cui si è parlato può essere conseguita in una duplice maniera. Una maniera è secondo il grado più perfetto, che è al di sopra di ogni possibilità, e ciò non può essere in questo tempo; poiché alla natura umana appartiene il corpo, la cui molteplice pressione vi si oppone. Ma, prendendo la beatitudine secondo una comunicazione parziale, è possibile, e tuttavia sembra impossibile a molti uomini. E ciò non è irragionevole, perché nessun pensiero né ragione vi possono pervenire. Dice bene un testo che si trova un pugno d’uomini, separati e sperimentati nella vita spirituale, che sono di spirito così puro e deiforme da avere in loro le virtù secondo una divina somiglianza; perché sono liberati dalle immagini e trasformati nell’unità del primo esemplare, e arrivano in qualche modo al pieno oblio della vita caduca e temporale, e sono trasformati nell’immagine divina e sono uno con lui. Ma là sta pure scritto che ciò appartiene solo a quelli che hanno posseduto questa beatitudine nel più alto grado, ossia ad alcuni uomini, pochi e i più devoti, che vanno ancora con il corpo nel tempo.


5

Le alte e utili questioni che la Verità
gli risolvette per mezzo dell’immagine
di un uomo abbandonato


Dopo di ciò venne al discepolo il desiderio di sapere se vi fosse in qualche paese un simile uomo nobile e abbandonato, preso veramente per Cristo, per farne conoscenza in Dio e venire a un familiare colloquio con lui. E, mentre era in questo fervore, si sprofondò in se stesso e, nella sospensione dei suoi sensi, gli sembrò di essere condotto in un paese spirituale. E là vide librarsi tra cielo e terra un’immagine, come se fosse l’immagine di un uomo vicino a una croce, in aspetto benevolo, e due categorie di uomini gli giravano intorno e non si avvicinavano; gli uni guardavano l’immagine solo interiormente e non esteriormente, gli altri all’esterno e non nell’interno, e gli uni e gli altri si volgevano verso l’immagine con avversione e durezza. Gli sembrò quindi che l’immagine si abbassasse come un uomo vero, si sedesse presso di lui e gli esprimesse di chiedere ciò che aveva da chiedere, perché gli sarebbe stato risposto.
Egli prese la parola e disse con un intimo sospiro del cuore: «Eterna Verità, che cos’è ciò, e che significa questa meravigliosa visione?». Così gli fu risposto, dicendo in lui la parola:
Quest’immagine che hai veduto, significa l’unigenito Figlio di Dio nella maniera in cui ha assunto la natura umana. E che hai veduto solo un’immagine e che essa fosse tuttavia molteplicemente varia significa che tutti gli uomini sono sue membra, e che sono pure figli o sono diventati figli per lui e in lui, come le numerose membra fisiche di un corpo. Ma che il capo appare eccellente, ciò vuol dire che Egli è il primo e il Figlio unigenito secondo l’eccellente assunzione [della natura umana] nella sussistenza della Persona divina, mentre gli altri sono solo immersi nell’unità trasformante della stessa immagine. La croce significa che un vero uomo abbandonato, secondo l’uomo esteriore e interiore, deve mantenersi sempre nella donazione di se stesso in tutto quello che Dio vuole che soffra, da qualunque parte ciò venga, tanto da essere disposto a riceverlo in maniera da morire a se stesso in lode del Padre celeste. E simili uomini si comportano nobilmente all’interno e cautamente all’esterno. Che la figura fosse così benevolmente vicino alla croce indica questo: per quante sofferenze abbiano, ne hanno noncuranza, per il loro stesso abbandono. Dove si volgeva la testa, là si volgeva pure il corpo: ciò significa la corrispondenza della fedele imitazione della sua pura vita, chiara come uno specchio, e della sua buona dottrina, alla quale vigorosamente essi si volgono e si conformano.
Gli uomini della prima specie, che lo guardavano all’interno e non all’esterno, indicano gli uomini che considerano la vita di Cristo solamente con la ragione, in maniera speculativa, e non in maniera pratica, mentre dovrebbero spezzare la propria natura attraverso un esercizio d’imitazione dello stesso modello. Essi tirano tutto ciò, secondo tale visione, al diletto della natura e a una libertà oziosa in aiuto di se stessi, e sembrano loro molto grossolani e ignoranti quelli che non consentono con essi sulla stessa cosa.
Alcuni lo guardavano ancora solo in maniera esteriore e non secondo l’interiore, e costoro apparivano duri e rigidi; ed essi si esercitano rigorosamente, vivono cautamente e hanno davanti alla gente una condotta onorata e santa, ma trascurano il Cristo interiormente. Poiché la sua vita era dolce e mite, ma questi uomini sono molto rudi, giudicano le altre persone e sembra loro tutto falso ciò che non va secondo il loro modo di vivere. Questi uomini si comportano diversamente da Colui che pure hanno di mira, e ciò si nota da questo: se uno li prova, essi non si mantengono nell’abbandono di se stessi, né nello sprofondamento della loro natura e nella perdita delle cose che proteggono la volontà propria, come «volentieri», «malvolentieri» e simili. E con ciò la volontà propria viene conservata e protetta, tanto che l’uomo non giunge alle virtù divine, come l’obbedienza, la sopportazione, l’arrendevolezza e altre simili; perché tali virtù portano l’uomo all’immagine di Cristo.
Il discepolo cominciò a interrogare ancora di più e parlò così: Dimmi, come si chiama il modo in cui l’uomo giunge alla sua beatitudine?
Risposta: Si può chiamare un modo generativo, come sta scritto nel Vangelo di san Giovanni, che Egli ha dato potenza e facoltà di diventare figli di Dio a tutti coloro che da nient’altro che da Dio sono nati. E ciò avviene in un modo analogo a ciò che si chiama «generazione» secondo la maniera comunemente accettata. Ora, ciò che genera l’altro in tal modo, lo foggia conforme a sé e in sé, e gli conferisce la somiglianza del suo essere e della sua attività. E perciò, a un uomo abbandonato, dove Dio solo è Padre, nel quale nulla di temporale si genera secondo proprietà, si aprono gli occhi in modo da comprendersi in Dio, ricevere la sua essenza e vita beata ed essere uno con lui, perché tutte le cose sono qui uno nell’Uno.
Il discepolo disse: Io vedo tuttavia che ci sono montagne e valli, acqua e aria, e svariate creature; come dici dunque che non c’è che l’Uno?
La pura parola rispose parlando così: Io ti dico ancora di più: tranne che l’uomo non comprenda due contraria, cioè due cose contrarie congiuntamente in una, in verità, senza alcun dubbio, non è molto facile parlare con lui di tali cose; perché, quando egli comprende ciò, allora solamente ha percorso la metà del cammino della vita che io intendo.
Una domanda: Quali sono i contrari?
Risposta: Un eterno Nulla e la sua creaturalità temporale.
Un’obiezione: Due contrari in un essere sono in contraddizione, in tutti i modi, con ogni scienza.
Risposta: Io e te non c’incontriamo su di uno stesso ramo o in uno stesso luogo; tu vai per una strada, io per un’altra. Le tue domande procedono da senno umano e io rispondo con sensi che sono al di sopra dell’intento di ogni uomo. Devi diventare insensato se vuoi giungere qua, perché la Verità diventa manifesta per mezzo della nescienza.
Avvenne in quello stesso tempo un grandissimo cambiamento in lui. Giunse a questo: che durante circa dieci settimane, era talvolta, ora di più ora di meno, astratto così fortemente che, con i sensi desti, in presenza di persone o senza di esse, il suo sentire gli trapassava secondo la propria attività, tanto che dappertutto, in tutte le cose, non gli rispondeva che l’Uno e ogni cosa nell’Uno, senza nessuna molteplicità di questo o di quello.
La parola riprese e disse in lui: Dunque, com’è andata? Ho detto bene?
Egli disse: Sì, ciò che prima non potevo credere è diventato di mia conoscenza; ma mi stupisce perché passi di nuovo.
La parola disse: Probabilmente ciò non si è ancora affondato nel tuo fondo essenziale.
Il discepolo riprese e chiese così: Dove approda l’intelletto di un uomo abbandonato?
Risposta: L’uomo può giungere nel tempo al punto di intuirsi uno in Colui che è il Nulla di tutte le cose che si possono ricordare o esprimere; e questo Nulla si chiama Dio secondo il consenso universale ed è in se stesso l’essere più essenziale. E qui l’uomo si riconosce uno con questo Nulla, e questo Nulla conosce se stesso senza attività di conoscenza. Ma ciò è qui nascosto in qualche modo ancora più profondamente.
Una domanda: Dice la Scrittura qualcosa di Colui che tu hai chiamato Nulla , non del suo non essere, ma della sua eminente incomprensibilità?
Risposta: Dionigi scrive dell’Uno che è senza nome, e questo può essere il Nulla che io intendo; perché se uno lo chiama divinità o essenza, o con qualunque nome gli si dia, questi nomi non gli convengono propriamente come si formano nella creatura.
Una domanda: Ma che cos’è il più profondamente nascosto di questo Nulla suddetto, che nel suo significato, secondo il tuo parere, esclude ogni realtà divenuta? Esso è invero pura semplicità; come può avere il massimamente semplice più dentro o più fuori?
Risposta: Fin quando l’uomo comprende un’unione o tale cosa che si può manifestare con parole, egli deve andare ancora più profondo; questo Nulla non può andare più profondamente in se stesso, ma ben noi, secondo quello che possiamo comprendere; cioè quando vogliamo intendere senza alcuna luce o immagine formata, che possano esistere, ciò che nessuna intelligenza può cogliere per mezzo di forme e immagini. E di ciò non si può discorrere, poiché ritengo che si discorra di una cosa che si può manifestare con parole; ora, qualunque cosa di ciò si dica, non si spiegherà affatto che cosa sia questo Nulla, per quanto dottori e libri vi siano. Ma che questo Nulla sia lui stesso ragione o essenza o godimento, ciò è pure ben vero, secondo il modo in cui possiamo parlarne; ma, secondo la verità dello stesso Nulla, ciò è così lontano e più lontano che chiamare una fine perla un ceppo.
Una domanda: Che cosa vuol dire: quando il Nulla generante che si chiama Dio viene in se stesso, l’uomo non conosce alcuna distinzione tra sé e lui?
Risposta: Questo Nulla non è in se stesso per noi, finché è operante in noi tale cosa; ma quando lui viene in se stesso per noi, allora né noi e neppure lui per noi sappiamo niente di questa cosa.
Una domanda: Spiegami meglio ciò.
Risposta: Non intendi che il possente, annientante rapimento nel Nulla toglie nel fondo [di Dio] ogni distinzione, non secondo l’essere, ma solo secondo la nostra percezione, come si è detto?
Una domanda: Mi impressiona ancora una parola che è stata detta innanzi: che l’uomo può giungere nel tempo al punto di intuirsi uno in Colui che è sempre stato. Come può essere ciò?
Risposta: Dice un maestro che l’eternità è una vita che è sopra il tempo e racchiude in sé ogni tempo, senza prima e senza dopo. E chi è immerso nell’eterno Nulla possiede tutto in tutto e non ha né prima né dopo. Sì, l’uomo che vi fosse immerso oggi, non lo sarebbe stato più di recente, a parlare secondo l’eternità, di colui che vi fosse immerso da mille anni.
Un’obiezione: L’uomo è in attesa di tale immersione solo dopo la morte, come dice la Scrittura.
Risposta: Ciò è vero secondo un possesso duraturo e perfetto, non secondo un pregustamento, di più o di meno.
Una domanda: Ma com’è riguardo alla cooperazione dell’uomo con Dio?
Risposta: Quello che su ciò si è detto, non si deve intendere secondo il semplice significato, come le parole suonano nel linguaggio comune, ma si deve prendere secondo il trapasso, quando l’uomo non resta più se stesso, é trapassato nell’Uno ed è divenuto uno; e là l’uomo non opera come uomo. E per questo motivo si comprende come tale uomo ha in sé tutte le creature nell’unità, e tutti i diletti, sì, pure quelli che si hanno nelle opere corporali, senza attività corporale e spirituale, perché è lui stesso ciò nella suddetta unità.
E nota qui una differenza: gli antichi maestri della natura consideravano le cose naturali solamente nel modo in cui esse sono nelle loro cause naturali, e così ne parlavano pure e le gustavano, e non diversamente. Ugualmente i divini maestri cristiani, e generalmente i dottori e le persone sante, prendono le cose come sono scaturite da Dio, e vi riportano l’uomo dopo la sua morte naturale, per quanto abbia vissuto quaggiù secondo la sua volontà. Ma questi uomini assorbiti prendono sé e ogni cosa, per la trascendente e immanente unità, come esistenti sempre ed eternamente.
Una domanda: Non c’è là nessuna diversità?
Risposta: Sì, solo chi ha veramente quella grazia sa ciò e si riconosce creatura, non difettosa ma piuttosto unita [a Dio]; e quando egli non era, era il medesimo [Dio], e non unito.
Una domanda: Che cosa vuol dire questo: quando egli non era, era quello stesso?
Risposta: È ciò che dice san Giovanni nel suo Vangelo: «Ciò che è divenuto è stato fatto, era in lui la vita».
Una domanda: Come può ora essere vero questo, dal momento che suona come se l’anima fosse una doppia realtà, creata e increata? Come può essere ciò, come può l’uomo essere creatura e non creatura?
Risposta: L’uomo non può essere creatura e Dio secondo il nostro linguaggio, ma Dio è trino e uno; ugualmente può l’uomo in qualche modo, quando trapassa in Dio, essere uno nel perdersi, ed essere, secondo la maniera esteriore, contemplante, godente e cose simili. E di ciò porto un paragone: l’occhio si perde nel suo vedere attuale, perché diventa uno nell’atto della vista con il suo oggetto, e tuttavia ognuno dei due resta ciò che è.
Una domanda: Chi ha mai conosciuto la Scrittura sa che nel Nulla l’anima o deve essere trasformata al di sopra di sé o essere annientata secondo l’essere, e qui non è così.
Risposta: L’anima resta sempre creatura, ma nel Nulla, quando vi si è perduta, non pensa affatto al modo in cui allora è creatura ovvero è quel Nulla, oppure se è creatura o è niente, oppure si è unita o no. Ma, quando si è in possesso della ragione, si percepisce bene ciò, e questa percezione si mantiene nell’uomo.
Una domanda: Ha un tale uomo tuttavia il meglio?
Risposta: Sì, per il fatto che non gli viene tolto ciò che ha e gli viene data un’altra cosa migliore. Egli comprenderà ciò di più e più puramente, e ciò gli resta. Ma egli tuttavia non è giunto là attraverso tutto quello di cui si è parlato, in conseguenza del ritorno in sé. Se deve giungervi, è necessario che sia nel fondo che sta nascosto nell’anzidetto Nulla. Là non si sa niente di niente, là non c’è nulla, là non c’è neppure alcun «là»; cosa se ne dica, lo si sfigura. E tuttavia quest’uomo è un nulla di sé, benché gli resti tutto, secondo ciò che si è detto prima.
Una domanda: Su ciò istruiscimi meglio.
Risposta: I dottori dicono che la beatitudine dell’anima consiste prima di tutto in questo: quando essa contempla Dio nudamente, prende tutto il suo essere e la sua vita, e attinge tutto ciò che è, per quanto è beata, dal fondo di questo Nulla, e non sa niente di conoscenza, a parlare da questo punto di vista, né d’amore, né assolutamente di niente. Essa riposa tutta e unicamente nel Nulla, e non sa niente tranne l’essere che è Dio o questo Nulla.
Ma quando sa e riconosce di sapere, contemplare e conoscere il Nulla, ciò è un’uscita e un ritorno in sé da ciò che aveva prima, secondo l’ordine naturale. E poiché tale assorbimento è spremuto dalla stessa vena, perciò tu puoi comprendere come esso si presenti in profondità.
Una domanda: Desidererei comprendere ciò ancora meglio dalla verità della Scrittura.
Risposta: I dottori dicono: quando si conoscono le creature in se stesse, ciò si chiama ed è una conoscenza vespertina, perché allora si vedono le creature in immagini distinte in qualche modo; ma, quando si conoscono le creature in Dio, ciò si chiama ed è una conoscenza mattutina, e così si contemplano le creature senza alcuna distinzione, spoglie di ogni immagine e prive di ogni somiglianza, nell’Uno che è Dio stesso in se stesso.
Una domanda: Può l’uomo nel tempo comprendere questo Nulla?
Risposta: Non penso che ciò possa essere secondo il modo dello spirito; ma secondo il modo unitivo egli si intuisce unito in ciò dove questo Nulla gode se stesso ed è generante. Ciò avviene bene mentre il corpo è sulla terra, secondo il parlare comune, ma l’uomo è allora al di sopra del tempo.
Una domanda: L’unione dell’anima avviene mediante la sua essenza o mediante le sue potenze?
Risposta: L’essenza dell’anima si unisce con l’essenza del Nulla, e le potenze dell’anima con le operazioni del Nulla, operazioni che il Nulla ha in se stesso.
Una domanda: Vengono a cadere nell’uomo le sue mancanze oppure egli può commetterne ancora
dopo ciò, quando si riconosce ancora creatura, non in maniera difettosa ma in modo unito?
Risposta: Finché l’uomo resta se stesso, può commettere delle mancanze, come dice san Giovanni: «Se presumiamo di non avere peccati, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi». Ma in quanto l’uomo non resta se stesso, non commette mancanze, come lo stesso san Giovanni dice in una sua lettera, cioè che l’uomo il quale è nato da Dio non fa peccati né commette mancanze, poiché il seme divino dimora in lui. E perciò l’uomo che qui va bene, non fa più opere, fuorché un’opera sola; poiché c’è un’unica nascita e un unico fondo, cioè secondo l’unione.
Un’obiezione: Come può essere che l’uomo non faccia più che un’opera? Anche Cristo aveva una duplice operazione.
Risposta: Ritengo che l’uomo non faccia più che un’opera, egli che non ha di mira nessun’opera tranne quando l’operi la nascita eterna. Se Dio non generasse il suo Figlio senza interruzione, Cristo non avrebbe fatto alcuna opera naturale. Perciò io la ritengo un’opera sola, tranne che si voglia prenderla secondo l’intendimento umano.
Un’obiezione: I maestri pagani dicono tuttavia che nessuna cosa è destituita della propria operazione.
Risposta: L’uomo non è destituito della propria operazione, ma essa resta là inosservata secondo il modo.
Una domanda: Le opere di creatura che rimangono da fare all’uomo, è lui che le fa o chi?
Risposta: Se l’uomo deve giungere al più alto grado, deve morire nella rinascita che è in lui, e questa rinascita deve avvenire in lui. Nota come: tutto ciò che viene in noi, da dove sia, se non è nato in noi di nuovo, non ci è utile. La rinascita è così estranea, e ha così poco ormai da fare con il corpo dopo la sua realizzazione, che la natura fa nell’uomo, come in un animale ragionevole, quelle opere che appartengono alla vita dell’uomo, e che l’uomo, in qualche modo, non ha più da fare, cioè in maniera attuale, come aveva [da fare] prima della realizzazione [della sua rinascita]; ma fa piuttosto queste opere in maniera abituale. E di ciò prendi una similitudine dal vino bruciato: esso non ha meno materialità, per un operare più forte e tranquillo, del vino che è rimasto nella sua prima nascita.
Una domanda: Da’ una distinzione tra la nascita eterna e la rinascita che è nell’uomo.
Risposta: Chiamo eterna nascita l’unica forza in cui tutte le cose e le cause di tutte le cose ottengono di essere e di essere cause. Ma io chiamo la rinascita che appartiene solamente all’uomo un indirizzare di nuovo qualunque cosa si voglia verso l’origine da prendere secondo il modo dell’origine, senza nessuna considerazione propria.
Un’obiezione: Che cosa operano allora le cause essenziali e naturali di cui scrivono i maestri della natura?
Risposta: Esse operano naturalmente tutto ciò che l’eterna nascita dell’uomo opera nel suo generare, ma nel fondo [del Nulla] non c’è niente da dirne.
Una domanda: Quando l’anima, nella sua immersione, si perde secondo la conoscenza e tutte le sue operazioni creaturali, che cos’è che allora guarda al di fuori per l’effettuazione delle cose esteriori?
Risposta: Tutte le potenze dell’anima sono troppo inferme perché possano entrare in questo Nulla, secondo quel modo di cui si è parlato prima; tuttavia, quando ci si è perduti così in questo Nulla, le potenze operano ciò che è di loro origine.
Una domanda: Com’è fatto questo perdersi nel quale l’uomo si perde in Dio?
Risposta: Se mi hai seguito con diligenza, ciò ti è stato mostrato prima assai propriamente, perché quando l’uomo è così rapito a lui stesso da non sapere niente, né di sé né di niente ed è completamente acquietato nel fondo dell’eterno Nulla, allora egli è ben perduto a se stesso.
Una domanda: Trapassa la volontà nel Nulla?
Risposta: Sì, secondo il suo volere, perché, per quanto libera sia la volontà, essa è diventata libera soprattutto quando non ha più bisogno di volere.
Un’obiezione: Come può trapassare all’uomo la sua volontà? Al Cristo restò la volontà, secondo il modo di volere.
Risposta: All’uomo trapassa la volontà secondo il volere, secondo cioè che egli voglia operare con proprietà ora questo ora quello; e qui egli non ha una tale attività di volere in maniera difettosa, come prima si è detto, ma la sua volontà è diventata libera, cosicché egli non fa più che un’opera che è lui stesso secondo il modo dell’unione, e opera fuori del tempo. Ma, se si prende ciò secondo il nostro parlare, egli non vuole fare niente di male, e vuole tutte le cose buone; e propriamente tutto il suo vivere, volere e agire sono una tranquilla, intatta libertà, che è sicuramente, senza alcun dubbio, il suo sostegno; e allora egli si comporta secondo il modo della generazione.
Un’obiezione: La processione della volontà non è per modo di generazione.
Risposta: Questa volontà è unita con la volontà divina, e non vuole altro all’infuori di ciò che essa stessa è, in quanto il volere è in Dio. E ciò che è stato detto innanzi non deve intendersi secondo un rimettersi in Dio, come suona comunemente, ma si deve prendere come una destituzione di se stesso, perché l’uomo è tanto unito che Dio è il suo fondo.
Una domanda: Resta all’uomo il suo essere personale e distinto nel fondo del Nulla?
Risposta: Tutto questo nell’insieme si deve intendere unicamente secondo l’apprensione umana, in cui, secondo lo sguardo che trascende in maniera annientante, questo e quello restano inavvertiti; non secondo l’essenza in cui ognuno resta ciò che è, come dice sant’Agostino: «Lascia cadere in disprezzo questo e quel bene, allora resta il puro bene trascendente nella sua nuda ampiezza, ed è Dio».
Una domanda: L’uomo che ha esperienza del Nulla di cui si è parlato, per modo di godimento, conserva ciò incessantemente?
Risposta: Non per modo di godimento, ma ciò resta in una maniera abituale, che non si perde.
Una domanda: L’esteriore disturba un po’ l’interiore?
Risposta: Se fossimo fuori del tempo secondo il corpo, vi sarebbe minore impedimento, in molti modi, per fame, fatica o altre cose; ma la contemplazione spirituale esteriore non disturba l’interiore, perché è nella libertà. A volte accade anche che, quanto più la natura è oppressa, tanto più riccamente si trova la divina Verità.
Una domanda: Da dove viene la malinconia?
Risposta: Quando tale cosa non deriva da cause naturali, e l’uomo è libero interiormente, non vi presti attenzione, ciò passa con il corpo. Ma se l’interiore vi fosse mischiato dal fondo, ciò non sarebbe giusto.
Un’obiezione: La Scrittura del Vecchio Testamento e del Nuovo nel Vangelo spiega chiaramente come nel tempo non si possa arrivare a ciò che è stato detto.
Risposta: Ciò è vero quanto al possesso e alla piena conoscenza del medesimo, perché ciò che l’uomo prova di qui, è più perfetto di lì, benché sia lo stesso e possa essere sulla terra al di sopra dell’intelligenza.
Una domanda: Un uomo che comincia a comprendere il suo eterno Nulla, non per forza superiore, ma unicamente per sentito dire, o senza ciò, per mezzo di immagini prodotte in lui, che cosa deve fare?
Risposta: L’uomo che non ancora comprende tanto da sapere soprannaturalmente che cos’è il suddetto Nulla, dove tutte le cose sono annientate secondo la loro stessa proprietà, lasci stare tutto com’è, qualunque cosa gli venga innanzi, e si tenga alla dottrina comune della santa cristianità, come si vedono molti uomini buoni e semplici che giungono a una lodevole santità, e che tuttavia non sono chiamati a ciò. Ma se uno è giunto al punto sicuro, vi si tenga, ed è sulla retta strada, perché tale punto è conforme alla Santa Scrittura. Mi sembra inquietante fare diversamente, perché, chi si trascura in ciò, o si perde in una mancanza di libertà oppure incorre spesso in una libertà disordinata.


6

Su quali punti difettano gli uomini
che vivono in una falsa libertà


Una volta, in una luminosa domenica, egli era seduto raccolto e pensoso, e nel silenzio del suo spirito gli si fece incontro una figura spirituale, che era sottile nelle parole, ma non esercitata nelle opere, e prorompeva in una sfarzosa esuberanza. Egli prese la parola e gli disse: «Donde sei tu?». Quello rispose: «Non venni mai da alcun luogo». Egli: «Dimmi, che sei tu?». Quello: «Io non sono». Egli: «Che cosa vuoi?». Quello: «Non voglio nulla». Egli disse ancora: «Questo è un portento, dimmi: come ti chiami?». Quello rispose: «Mi chiamo il selvaggio senza nome».
Il discepolo disse: Tu puoi ben chiamarti il selvaggio perché le tue parole e risposte sono assai selvagge. Ora dimmi una cosa, te ne prego: dove giunge il tuo discernimento?
Quello disse: A una libertà affrancata.
Il discepolo disse: Dimmi, che chiami tu una «libertà affrancata»?
Quello disse: Quando l’uomo vive a suo capriccio, senza distinzione, senza nessuno sguardo davanti e dietro.
Il discepolo disse: Tu non sei sulla retta via della Verità, perché tale libertà svia l’uomo da ogni beatitudine e lo priva della vera libertà; perché a chi manca la distinzione manca l’ordine, e ciò che è senza ordine è malvagio e difettoso, come Cristo disse: «Chi fa il peccato è schiavo del peccato». Ma chi con una coscienza pura e una vita custodita entra nel Cristo per mezzo di un vero abbandono di se stesso, costui giunge alla vera libertà, come il Cristo stesso disse: «Se il Figlio vi libera, voi sarete veramente liberi».
Il selvaggio disse: Che chiami tu «ordinato» o «non ordinato»?
Il discepolo disse: Chiamo una cosa ordinata quando tutto ciò che le appartiene, internamente o esternamente, non rimane oscuro nei suoi effetti; e la chiamo disordinata se qualcosa di ciò che si è detto non ha luogo.
Il selvaggio disse: Una libertà affrancata deve perire a tutto quanto e disprezzare tutto ciò.
Il discepolo disse: La noncuranza sarebbe contro ogni verità, ed è simile alla falsa libertà affrancata, perché è contro l’ordine che l’eterno Nulla, nella sua fecondità, ha dato a tutte le cose.
Il selvaggio disse: L’uomo che è stato annientato nel suo eterno Nulla non sa niente di distinzione.
Il discepolo: L’eterno Nulla, che è considerato qui e in ogni retta ragione essere nulla non per il suo non essere ma per la sua realtà trascendente, questo Nulla non ha in se stesso la minima distinzione, e da lui, in quanto è fecondo, proviene ogni ordinata distinzione di tutte le cose. L’uomo non è mai tanto annientato in questo Nulla che al suo intendimento non resti pertanto la distinzione della sua propria origine, e, alla ragione dello stesso, la sua propria scelta, per quanto tutto ciò resti inavvertito nel suo primo fondo.
Il selvaggio: Non si prende allora ciò assolutamente in nessuna parte tranne che nello stesso e dallo stesso fondo?
Il discepolo: Egli non lo prenderebbe giustamente, perché ciò non è solamente nel fondo, è pure in se stesso un qualcosa di creato fuori del fondo, e resta ciò che è, e lo si deve prendere pure in questo modo. Se fosse che gli sfuggisse la sua distinzione secondo l’essenza come secondo l’apprensione, allora si potrebbe concedere; ma ciò non è come s’è detto innanzi. Perciò bisogna avere sempre una buona distinzione.
Il selvaggio disse: Ho inteso dire che vi sia stato un grande maestro che negasse ogni distinzione.
Il discepolo disse: Ciò che tu pensi, che egli negasse ogni distinzione, se lo prendi nella divinità, si può comprendere che egli l’intendesse di ognuna delle Persone nel fondo, dove esse sono indistinte, ma non lo sono riguardo a ciò in cui esse sono opposte; e qui si deve tenere certamente la distinzione personale.
Se lo prendi pure nell’annientamento di un uomo trapassato [in Dio], riguardo a ciò è stato detto sufficientemente prima, come ciò debba intendersi secondo l’apprensione e non secondo l’essenza. E nota qui che altro è separazione, altro distinzione, come è manifesto che corpo e anima non sono separati, perché uno è nell’altro e nessun membro che è separato può vivere. Ma l’anima è distinta dal corpo, perché l’anima non è il corpo, né il corpo l’anima. Così io intendo che nella verità non c’è niente che possa avere separazione dall’essere semplice, perché questo dà l’essere a tutti gli esseri, ma c’è distinzione cosicché l’essere divino non è l’essere della pietra, né l’essere della pietra l’essere divino, né alcuna creatura l’essere dell’altra. E così i maestri pensano che questa distinzione, a parlare propriamente, non è in Dio, ma è piuttosto da Dio. E lui dice nel Libro della Sapienza: come niente è più intimo di Dio, così non c’è niente di più distinto. E perciò la tua sentenza è falsa, e questa opinione è vera.
Il selvaggio disse: Lo stesso maestro ha detto cose molto belle di un uomo cristiforme.
Il discepolo disse: Il maestro in un luogo dice così: Cristo è il Figlio unigenito e noi no, egli è il Figlio naturale, perché la sua nascita termina alla natura, ma noi non siamo il Figlio naturale, e la nostra generazione si chiama una rinascita perché ha per termine l’uniformità alla sua natura; egli è un’immagine del Padre, noi siamo formati secondo l’immagine della santa Trinità. E dice che nessuno, in quanto a ciò, può commisurarsi a lui in parità.
Il selvaggio disse: Ho inteso che egli dicesse che un tale uomo opera tutto ciò che il Cristo ha operato.
Il discepolo rispose: Lo stesso maestro dice così in un luogo: il giusto opera tutto quello che opera la giustizia, e ciò è vero, dice lui, perché il giusto è figlio unico della giustizia, come sta scritto: «Ciò che è nato dalla carne è carne e ciò che è nato dallo spirito è spirito». E ciò è unicamente vero nel Cristo, dice lui, e in nessun altro uomo, perché egli non ha altro essere che l’essere del Padre, né altro generante che il Padre celeste; e perciò egli opera tutto ciò che il Padre opera. Ma in tutti gli altri uomini, dice lui, si trova questo: che noi operiamo
più o meno con lui, secondo che siamo più o meno nati da lui. E questo discorso ti istruisce propriamente sulla Verità.
Il selvaggio disse: Il suo discorso mostra chiaramente che tutto ciò che è stato dato al Cristo, è stato dato pure a me.
Il discepolo: Il tutto che è stato dato al Cristo è il perfetto possesso della beatitudine essenziale, come lui disse: «Omnia dedit mihi Pater, il Padre mi ha dato tutto»; e questo stesso tutto egli l’ha donato a tutti noi, ma in maniera diversa. E dice in molti luoghi che lui ha tutto ciò per l’incarnazione, e noi per l’unione deiforme, e perciò lui ha ciò tanto più nobilmente quanto più nobilmente ne era capace.
Il selvaggio però continuò a esporre e volle dire che egli negasse ogni somiglianza e unione, e che lui ci collocasse puramente e senza somiglianza nella pura unità.
Il discepolo rispose dicendo: Ciò che ti fa difetto senza dubbio è che non ti è chiara la distinzione di cui si è detto prima, come un uomo deve diventare uno in Cristo e tuttavia restare distinto, e dove egli è unito, e dove deve prendersi come uno [con lui], non come unito. La luce essenziale non ti ha ancora illuminato, perché la luce essenziale comporta ordine e distinzione, rifiuta un’erompente molteplicità. La tua acuta intuizione spadroneggia per la magnificenza del lume naturale con agile raziocinio, che risplende assai simile alla luce della divina Verità.
Il selvaggio tacque e lo pregò con rassegnata sottomissione che toccasse oltre l’utile distinzione.
Egli rispose dicendo: Il più grande difetto che fa deviare te e i tuoi simili sta in ciò: che vi manca una buona distinzione della verità razionale. E perciò chi vuole raggiungere il più alto grado e non cadere in tale difetto deve stare attento a questa misteriosa dottrina: così giungerà senza ostacoli a una vita beata.


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Quanto nobilmente si comporta un uomo
rettamente abbandonato in tutte le cose


Dopo di ciò il discepolo si rivolse di nuovo con fervore all’eterna Verità, e desiderò sapere pure qualche distinzione riguardo alle caratteristiche della figura esterna di un uomo che si fosse veramente abbandonato, e domandò: «Eterna Verità, come si comporta un simile uomo nell’accadere di ogni cosa?».
Risposta: Egli scompare a se stesso e con lui tutte le cose.
Una domanda: Come si comporta riguardo al tempo?
Risposta: Si tiene nell’istante presente, senza propositi egoistici, e prende il suo più alto bene nella minima come nella più grande cosa.
Una domanda: Paolo dice che al giusto non è data alcuna legge.
Risposta: Un uomo giusto si comporta, secondo il suo stato di creatura, più remissivamente degli altri uomini, perché comprende a fondo, interiormente, che cosa è conveniente esteriormente a ognuno, e prende ogni cosa in questo modo; ma che non abbia legami viene dal fatto che opera per abbandono quello stesso che il comune degli uomini fa per forza.
Una domanda: Chi è trasformato in questo abbandono interiore non è dispensato dagli esercizi esteriori?
Risposta: Si vedono pochi uomini giungere con le forze non consumate là dove tu dici, perché il distaccarsi dalle cose terrene prova sin nel più intimo delle loro midolla coloro ai quali ciò avviene in verità. E perciò, quando essi sanno ciò che bisogna fare e lasciare, restano negli esercizi comuni, più o meno, secondo la loro possibilità o le altre circostanze.
Una domanda: Da dove viene, a certi uomini che sembrano buoni, la grande ristrettezza e la smisurata angustia che hanno nella coscienza, e invece ad alcuni altri la larghezza disordinata?
Risposta: Hanno entrambi ancora di mira la loro propria immagine , ma in modo diverso i primi spiritualmente, gli altri materialmente.
Una domanda: Se ne sta un tale uomo tutto il tempo ozioso, o qual è il suo da fare?
Risposta: Il da fare di un uomo ben abbandonato è il suo abbandonarsi, e la sua opera è il suo restare ozioso, perché nel suo fare egli resta in riposo e nella sua opera resta ozioso.
Una domanda: Come si comporta verso il prossimo?
Risposta: Egli ha comunione con la gente senza immaginazione, affezione senza attaccamento e compassione senza affanno, in vera libertà.
Una domanda: È obbligato un uomo simile a confessarsi?
Risposta: La confessione che si fa per amore è più nobile di quella che viene dal debito.
Una domanda: Qual è il modo di pregare di un tale uomo, oppure deve pregare anche lui?
Risposta: La sua preghiera è fruttuosa perché si raccoglie nei suoi sensi, essendo Dio spirito, ed egli fa attenzione se si è creato in qualche modo un ostacolo o se segue se stesso, mediante qualche anticipazione del proprio io. E in essa si produce una luce nelle facoltà superiori che gli manifesta che Dio è l’essere e la vita e l’operare in lui, ed egli ne è solo uno strumento.
Una domanda: Come si presenta il mangiare, bere e dormire di un tale uomo nobile?
Risposta: Secondo l’esterno e secondo la sensibilità l’uomo esteriore mangia, ma secondo la contemplazione interiore egli non mangia, altrimenti userebbe del cibo e del riposo in maniera animale. Ed è così pure nelle altre cose che appartengono all’uomo.
Una domanda: Com’è fatta la sua condotta esteriore?
Risposta: Egli non ha molti modi particolari né molte parole, ed esse sono schiette e semplici; e ha una condotta morigerata, tanto che le cose fluiscono attraverso di lui senza di lui, ed è calmo nei sensi.
Una domanda: Sono tutti così?
Risposta: Più o meno secondo una differenza accidentale, ma il punto essenziale resta uguale.
Una domanda: È giunto un uomo simile a un sapere completo della Verità o gli restano ancora il sembrare e il credere?
Risposta: Quando l’uomo resta con se stesso, gli resta pure il sembrare e il credere; ma quando si è perduto a se stesso in ciò che è, là c’è un sapere di tutta la Verità perché ciò è questa stessa [Verità], ed egli vi si tiene abbandonato?
E con ciò ti sia detto abbastanza; perché non si giunge là con domande, ma con un retto abbandono si perviene a questa Verità nascosta. Amen.