venerdì 7 gennaio 2011

Natale di sangue.

Le tristissime notizie di questi giorni obbligano noi cristiani a prendere coscienza del tempo (KAIROS) che viviamo, per invocare da Dio il dono del discernimento e così annunziare Gesù Cristo con franchezza, senza timore alcuno di offendere qualche sensibilità e senza la categoria del "politicamente corretto", che nel Vangelo è sinonimo del "lievito dei farisei" che è l'ipocrisia. A tal fine pubblico i commenti che ritengo più interessanti, quelli che fotografano meglio la situazione di oggi: quello che segue è di Sandro Magister, cui si aggiungerà un articolo di Antonio Socci da "Libero" del 2 gennaio scorso.










ROMA, 7 gennaio 2011 – Che in molte regioni del mondo i cristiani siano oggi "la minoranza più oppressa e tormentata" è un dato di fatto che è entrato prepotentemente e in termini nuovi nel linguaggio della suprema autorità della Chiesa cattolica.

Nel discorso prenatalizio alla curia romana del 20 dicembre scorso – il discorso in cui ogni anno il papa fa il punto sulle questioni capitali della Chiesa – Benedetto XVI ha usato per la prima volta la parola "cristianofobia".

Come tema per la giornata mondiale della pace che si è celebrata lo scorso Capodanno, il papa ha scelto la libertà di fede: tema giudicato necessario dopo un anno tanto "segnato dalla persecuzione, dalla discriminazione, da terribili atti di violenza e di intolleranza religiosa".

All'Angelus di domenica 2 gennaio il papa ha definito "strategia di violenze" che "offende Dio l'umanità intera" quella che prende di mira i cristiani.

E tornerà sicuramente su questi temi nel discorso che terrà lunedì prossimo, 10 gennaio, come ad ogni inizio d'anno, al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede.

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Gli attacchi recenti che più hanno impressionato le autorità della Chiesa – il papa li ha definiti "vili" – sono stati quello del 31 ottobre contro la cattedrale siro-cattolica di Baghdad e quello del 31 dicembre contro la chiesa copta dei Santi di Alessandria d'Egitto, con molte decine di morti e di feriti.

In entrambi i casi l'aggressione è avvenuta quando le chiese erano gremite di fedeli per la messa.

E in entrambi i casi le motivazioni dell'attacco hanno mostrato tratti comuni. Tipicamente religiosi, per un islam "puro" contro infedeli e apostati. Nel rivendicare l'aggressione alla chiesa di Baghdad, gli autori della strage hanno incluso tra i loro moventi anche la vendetta per il presunto sequestro, da parte dei copti, di due donne egiziane convertite dal cristianesimo all'islam.

La Chiesa copta ha sempre affermato che tali conversioni non sono mai avvenute e che le due donne, mogli di sacerdoti, sono sotto protezione per timore che siano rapite.

Ma sono quattro anni che tale accusa viene continuamente martellata, con una campagna simile a quella che in Occidente si fa per salvare dal patibolo l'iraniana Sakineh. Lo scorso 31 dicembre, subito dopo la predica del venerdì, dalla moschea che è a duecento metri dalla chiesa dei copti di Alessandria d’Egitto che poche ore dopo sarebbe stata attaccata, partì un corteo di musulmani che reclamavano la liberazione delle due donne.

I cristiani e le loro chiese sono divenuti il bersaglio principale e dichiarato delle cellule islamiste. È un bersaglio facile ed efficace, che immediatamente conquista le prime pagine dei media di tutto il mondo, con molta più visibilità delle stragi tra musulmani sunniti e sciiti, che pur continuano, e con effetti più forti sulle popolazioni e gli stati. In Iraq, in Egitto, nell'intero Medio Oriente, in Asia, in Africa e persino in Europa.

Anche in Nigeria, ad esempio, dove le sanguinose aggressioni tra cristiani e musulmani erano fino a ieri giudicate dalle autorità della Chiesa sostanzialmente "politiche", il giudizio è mutato.

Alla vigilia di Natale una serie di esplosioni contro chiese a Jos, capitale dello Stato nigeriano di Plateau, hanno provocato 86 morti e un centinaio di feriti. Nei giorni successivi diversi luoghi di culto cristiani sono stati attaccati da uomini armati nell’area di Maiduguri, nel nordest della Nigeria, provocando altre vittime. Gli assalti sono stati rivendicati dalla setta islamista Boko Haram. Il 4 gennaio scorso, l'arcivescovo di Jos, Ignatius Ayau Kaigama, ha dichiarato all'agenzia vaticana "Fides":

"In passato gli scontri a Jos e dintorni avevano una componente religiosa che era mischiata ad altre motivazioni: le frustrazioni dei giovani disoccupati; le rivalità tra pastori e agricoltori; le tensioni etniche tra indigeni e immigrati da altre regioni del Paese. Questi attacchi di Natale hanno invece un chiaro significato religioso perché si sono voluti colpire i simboli del cristianesimo durante la sua festività più sacra, assieme alla Pasqua. In secondo luogo, negli scontri passati si è fatto uso di armi da taglio e di qualche fucile. In questo caso, invece, si è fatto uso di esplosivo. Anche per questo penso che gli ultimi avvenimenti vadano oltre la Nigeria".

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Ma l'ultimo caso clamoroso, che ancor di più convince le autorità della Chiesa a vedere all'opera nel mondo islamico una generale "strategia di violenze" anticristiana, è stata l'uccisione in Pakistan, il 4 gennaio, di Salman Taseer, governatore del Punjab e futuro potenziale primo ministro.

Taseer è musulmano. Ma la sua colpa – dichiarata dal suo stesso uccisore, una sua guardia del corpo – è stata di voler abrogare la legge che in Pakistan punisce la bestemmia ed è usata strumentalmente per far condannare a morte singoli cristiani con accuse pretestuose.

Di più. Taseer si è battuto per salvare dall'esecuzione, a motivo di questa legge, una cristiana pakistana di nome Asia Bibi.

La campagna a favore di Asia Bibi è in corso da tempo in diversi paesi. In Italia, gli appelli per la sua salvezza sono propagandati con molto vigore dai due media della conferenza episcopale, il quotidiano "Avvenire" e il canale televisivo TV 2000.

Alla vigilia di Natale Taseer aveva incontrato l'arcivescovo di Lahore, la capitale del Punjab, Lawrence John Saldanha. Il quale, dopo la sua uccisione, ha dichiarato all'inviato di "Avvenire":

"In Pakistan esiste uno scontro tra islam ortodosso e islam liberale. È una lotta che si trascina dalla nascita del paese e oggi è arrivata a una soglia critica. Dove a prevalere sono violenza e attentati. Dove talebani e gruppi terroristi legati ad al-Qaeda minacciano non solo le minoranze religiose ma tutti i cittadini. Noi cristiani, in questa situazione, siamo un 'soft target', un obiettivo facile".

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Lo scorso ottobre i vescovi del Medio Oriente hanno tenuto a Roma un sinodo speciale dedicato alla loro regione, nella quale la Chiesa ha avuto la sua prima grande fioritura ma dalla quale i cristiani rischiano qua e là di scomparire, spinti all'esilio dalle continue aggressioni.

Ogni paese ha caratteri peculiari, e così la resistenza dei cristiani. In Libano, negli anni della guerra civile, i cristiani combattevano con proprie milizie armate. In Egitto i copti protestano vivacemente nelle piazze e si scontrano con la polizia. In Nigeria talora avviene che assaltino delle moschee.

Ma quasi ovunque la resistenza dei cristiani è pacifica. L'Iraq è oggi l'esempio più clamoroso di stragi compiute contro vittime innocenti e inermi, uccise solo perché credenti in Cristo.

E pensare che proprio dall'Iraq è nata la parola "genocidio". La coniò nel 1943 un avvocato ebreo polacco, Raphael Lemkin, grande promotore di cause umanitarie, dopo aver studiato il sistematico sterminio di cristiani assiri compiuto dieci anni prima dai governanti musulmani della nuova nazione irachena sorta dal disfacimento dell'impero ottomano.

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Insomma, i fatti recenti confermano i giudizi di fondo di papa Joseph Ratzinger sull'islam, sul suo non risolto rapporto tra fede e ragione, da cui nasce la violenza contro infedeli ed apostati.

Nello stesso anno della lezione di Ratisbona, il 2006, Benedetto XVI si recò anche in Turchia. E prima di Natale, nel discorso alla curia, lanciò al mondo musulmano questa proposta rivoluzionaria:

"In un dialogo da intensificare con l'Islam dovremo tener presente il fatto che il mondo musulmano si trova oggi con grande urgenza davanti a un compito molto simile a quello che ai cristiani fu imposto a partire dai tempi dell'illuminismo e che il Concilio Vaticano II, come frutto di una lunga ricerca faticosa, ha portato a soluzioni concrete per la Chiesa cattolica. [...]

"Da una parte, ci si deve contrapporre a una dittatura della ragione positivista che esclude Dio dalla vita della comunità e dagli ordinamenti pubblici, privando così l'uomo di suoi specifici criteri di misura.

"D'altra parte, è necessario accogliere le vere conquiste dell'illuminismo, i diritti dell'uomo e specialmente la libertà della fede e del suo esercizio, riconoscendo in essi elementi essenziali anche per l'autenticità della religione. Come nella comunità cristiana c'è stata una lunga ricerca circa la giusta posizione della fede di fronte a quelle convinzioni – una ricerca che certamente non sarà mai conclusa definitivamente – così anche il mondo islamico con la propria tradizione sta davanti al grande compito di trovare a questo riguardo le soluzioni adatte.

"Il contenuto del dialogo tra cristiani e musulmani sarà in questo momento soprattutto quello di incontrarsi in questo impegno per trovare le soluzioni giuste. Noi cristiani ci sentiamo solidali con tutti coloro che, proprio in base alla loro convinzione religiosa di musulmani, s'impegnano contro la violenza e per la sinergia tra fede e ragione, tra religione e libertà. In questo senso, i due dialoghi di cui ho parlato si compenetrano a vicenda".

L'attuale "strategia di violenze" anticristiana è la prova che da questa rivoluzione illuminista, invocata da papa Benedetto, il mondo islamico è drammaticamente lontano.

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PER IL GRANDE IMAM AL-TAYYEB LA COLPA È SEMPRE DEL PAPA


Alle parole dette da Benedetto XVI all'Angelus del 2 gennaio – di condanna del "vile gesto di morte" compiuto ad Alessandria d'Egitto, di preghiera per le vittime e di sostegno per le comunità cristiane colpite dalla violenza – il grande imam della moschea di al-Azhar, Ahmed al-Tayyeb, ha reagito accusando il papa di "ingerenza", di "un intervento inaccettabile negli affari dell'Egitto", e infine, in un'intervista al "Corriere della Sera" del 6 gennaio, di "creare una reazione politica negativa nell'Oriente in generale e in Egitto in particolare".

Ha quindi sfidato Benedetto XVI a riparare lui i guasti di cui sarebbe colpevole:

"Spero che Sua Santità Benedetto XVI decida di inviare un messaggio al mondo islamico. Un messaggio che possa ristabilire i ponti di fiducia e che dissipi le origini dei malintesi".

Doverosamente il "Corriere" ha affiancato all'intervista questo corsivo critico, di Luigi Ippolito:

"Il grande imam Ahmed al-Tayyeb è un uomo di fede che merita ascolto e rispetto. Ma nelle sue parole – quelle pronunciate il giorno dopo la strage di Alessandria e quelle ribadite oggi al 'Corriere' – c'è qualcosa che stride. È la sua disposizione intellettuale di fondo, si potrebbe dire, che suscita perplessità: all'indomani della più grave strage di cristiani compiuta in Egitto in epoca recente si è sentito in dovere di rimbeccare il papa che chiedeva protezione per i fedeli in Oriente; e anche adesso è lui che continua a chiedere al Vaticano un gesto distensivo verso i musulmani. Come se sull'altra sponda del Mediterraneo a essere minacciati fossero i seguaci del Corano. Come se la realtà non fosse quella di una comunità cristiana diventata bersaglio privilegiato dello stragismo degli adepti di Bin Laden, dall'Iraq alle rive del Nilo. Il grande imam sembra prigioniero di uno schema mentale smentito dai fatti: a lui pare che la comunità arabo-musulmana sia perennemente vittima dei 'crociati' e dell'Occidente e debba ricevere in qualche modo riparazione sempre e comunque. Mentre invece al-Tayyeb dovrebbe indirizzare le sue esortazioni a quanti dalla sua parte non garantiscono ai cristiani d'Oriente sicurezza e libertà, o a quanti, ancora numerosi, vedono nei cristiani un corpo estraneo da espungere con la violenza da quelle terre, come sta accadendo in Mesopotamia".

Va notato che al-Tayyeb è una personalità ben conosciuta in Vaticano. È uno dei firmatari della famosa "lettera dei 138 saggi musulmani" a Benedetto XVI in risposta dialogica alla sua lezione di Ratisbona. È uno degli ospiti più riveriti dei meeting interreligiosi di pace organizzati ogni anno dalla Comunità di Sant'Egidio (dove peraltro, nel 2004, approvò pubblicamente gli atti terroristici contro i civili in Iraq e in Terra Santa). È insomma ritenuto un campione dell'islam cosiddetto "moderato".

In Egitto è stato prima gran mufti, poi rettore dell'università di al-Azhar, la più importante del mondo musulmano sunnita, e infine grande imam della prima moschea del Cairo. Sempre per nomina governativa. È quindi indubitabilmente una voce autorevolissima dell'islam non solo egiziano.