mercoledì 5 gennaio 2011

Quello che abbiamo udito, veduto, toccato...

A commento della Udienza generale di Benedetto XVI di questa mattina, pubblico il testo seguente, tratto dal "Commento alla Lettera di San Giovanni", di sant'Agostino. Buona lettura!


Quello che era da principio...


Attraverso la fede possiamo pervenire al Verbo incarnato, esserne illuminati ed averne la vita, se confesseremo umilmente i nostri peccati ed obbediremo al comandamento nuovo della carità fraterna.
[Il Signore si è reso visibile per vivificare i nostri cuori.]
1. Quello che era da principio, quello che abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi e le nostre mani hanno toccato del Verbo di vita (1 Gv 1, 1). Quegli che colle sue mani tocca il Verbo, può farlo unicamente perché il Verbo si è fatto carne ed abitò tra noi (Gv 1, 14). Questo Verbo fatto carne fino a potersi toccare con le mani, incominciò ad essere carne nel seno della Vergine Maria. Non fu invece a quel tempo che egli incominciò ad essere Verbo, perché Giovanni dice che il Verbo era fin dall'inizio. Dal momento che avete appena sentito ripetere le parole: In principio era il Verbo ed il Verbo era presso Dio (Gv 1, 1), potete confrontare se Giovanni, nella sua Epistola, sia in perfetta armonia col suo Vangelo. Qualcuno potrebbe riferire l'espressione Verbo di vita a qualche particolare modo di parlare del Cristo e non allo stesso suo corpo che fu toccato con le mani. Ma osservate le parole che seguono: La vita stessa si è manifestata (1 Gv 1, 2). Dunque Cristo è il Verbo di vita. Ma come si è manifestata? Essa era fin dall'inizio, ma ancora non si era manifestata agli uomini; s'era invece manifestata agli angeli che la contemplavano e se ne cibavano come del loro pane. Ma che cosa afferma la Scrittura? L'uomo mangiò il pane degli angeli (Sal 77, 25). Dunque la vita stessa si è manifestata nella carne; perché si è manifestata affinché fosse visto anche dagli occhi ciò che solo il cuore può vedere e così i cuori avessero a guarire. Solo col cuore si vede il Verbo; cogli occhi del corpo invece si vede anche la carne. Noi potevamo vedere la carne, ma per vedere il Verbo non avevamo i mezzi. Allora il Verbo si è fatto carne e questa la potemmo vedere, onde ottenere la guarigione di quella vista interiore che sola ci può far vedere il Verbo.
[Sposalizio tra il Verbo e la carne.]
2. Noi l'abbiamo veduto e ne siamo testimoni (1 Gv 1, 2). Forse alcuni di voi, fratelli, ignari di greco, non sanno quale significato ha in greco il termine testimonio, termine comunissimo del vocabolario religioso. Il greco chiama martiri quelli che il latino chiama testimoni. E chi mai non sentì parlare di martirio? su quali labbra di cristiano non risuona ogni giorno il nome dei martiri? Potesse quel nome stabilirsi anche nel cuore, tanto da farci imitare le sofferenze dei martiri e non metterle invece sotto i piedi. Per questo Giovanni ci ha detto: Noi abbiamo visto e ne siamo testimoni: noi abbiamo visto e siamo i suoi martiri. Questi, dando testimonianza sia di quanto videro, come di quanto udirono da testimoni oculari, sopportarono tutte le sofferenze del martirio perché quella testimonianza spiacque agli uomini contro i quali era diretta. I martiri sono i testimoni di Dio. Dio volle avere come suoi testimoni gli uomini affinché a sua volta gli uomini abbiano come loro testimone Dio stesso. Abbiamo visto - dice Giovanni - e siamo suoi testimoni. Dove videro? nella rivelazione; ma dire rivelazione è come dire sole; essi perciò videro in questa nostra luce. Ma colui che fece il sole, come poté essere visto, se non perché egli ha posto nel sole la sua tenda e, quale sposo che esce dal talamo, balzò innanzi, come un gigante, verso la sua meta (Sal 18, 6)? Chi fece il sole è prima del sole, prima della stella del mattino, prima degli astri tutti, prima di tutti gli angeli. Egli è il vero creatore poiché: tutto per mezzo di lui fu creato e senza di lui niente fu fatto (Gv 1, 3); ma perché anche con quegli occhi della carne che vedono il sole egli fosse visto, pose la sua dimora nel sole stesso, fece cioè vedere a noi la sua carne nel chiarore di questa luce terrena. L'utero della Vergine fu la sua stanza nuziale, poiché è là che si sono uniti lo sposo e la sposa, il Verbo e la carne. Poiché sta scritto: E saranno i due una sola carne (Gn 2, 24); ed anche il Signore dice nel Vangelo: Dunque non sono due ma una sola carne (Mt 19, 6). Molto opportunamente Isaia ricorda che quei due sono un solo essere; parlando in persona di Cristo dice: Egli pose sul mio capo una mitra come al suo sposo e mi arricchì di un ornamento come la sua sposa (Is 61, 10). Qui, come si vede, è uno solo che parla e si dichiara insieme sposo e sposa, poiché non sono due ma una sola carne. E ciò avviene perché il Verbo si è fatto carne ed abitò tra noi. La Chiesa si unisce a quella carne ed abbiamo il Cristo totale, capo e membra.
[Conosciamo il Verbo incarnato con gli occhi della fede.]
3. Noi - dice Giovanni - siamo testimoni e vi annunciamo la vita eterna che era presso il Padre e si è manifestata in noi, cioè in mezzo a noi; più chiaramente si direbbe: manifestata a noi. Le cose dunque che abbiamo visto e sentito le annunciamo a voi. Faccia bene attenzione la vostra Carità: Le cose che abbiamo visto e udito noi vi annunciamo. Essi videro presente nella carne il Signore stesso, da quella bocca raccolsero le sue parole e ce le hanno trasmesse. Perciò anche noi abbiamo sentito, sebbene non abbiamo visto. Siamo forse meno felici di quelli che videro ed udirono? Ma perché allora aggiunse: Affinché anche voi abbiate parte insieme con noi (1 Gv 1, 2-3)? Essi videro, noi no, e tuttavia ci troviamo insieme; la ragione è questa, che abbiamo comune tra noi la fede. Ci fu un tale che, avendo visto, non credette e volle palpare per arrivare in questo modo alla fede. Disse costui: Io non crederò se non metterò le mie dita nel segno dei chiodi e non toccherò le sue cicatrici. Il Signore permise che le mani degli uomini lo palpassero per un poco, lui che sempre si offre allo sguardo degli angeli. Il discepolo dunque palpò ed esclamò: Signor mio e Dio mio. Egli toccò l'uomo e riconobbe Dio. Il Signore allora, per consolare noi che non possiamo stringerlo con le mani, essendo egli già in cielo, ma possiamo raggiungerlo con la fede, gli disse: Tu hai creduto, perché hai veduto: beati quelli che non vedono e credono (Gv 20, 25-29). In questo passo siamo noi stessi ritratti e designati. S'avveri dunque in noi quella beatitudine che il Signore ha preannunziato per le future generazioni; restiamo saldamente attaccati a ciò che non vediamo, perché essi che videro ce lo attestano. Affinché - afferma Giovanni - anche voi abbiate parte con noi. Che c'è di straordinario a far parte della società degli uomini? Aspetta ad obiettare; considera ciò che egli aggiunge: E la nostra vita sia in comune con Dio Padre e Gesù Cristo suo Figlio. Queste cose ve le abbiamo scritte, perché sia piena la vostra gioia (1 Gv 1, 3-4). Proprio nella vita in comune, proprio nella carità e nella unità, Giovanni afferma che c'è la pienezza della gioia.
[Anche noi possiamo divenire luce, se illuminati dalla luce che è Dio.]
4. Questo è il messaggio che udimmo da lui ed annunciamo a voi (1 Gv 1, 5). Che cosa abbiamo qui? Essi videro e palparono con le loro mani il Verbo di vita; palparono Colui che dall'inizio era unico Figlio di Dio e divenne nel tempo visibile e palpabile. A quale scopo venne, quale novità ci annunciò? Che insegnamento volle impartirci? Perché mai fece ciò che fece così che, essendo Verbo, divenne carne, essendo Dio, soffrì da parte degli uomini le cose più indegne, sopportò gli schiaffi dati da quelle stesse mani che egli aveva plasmato? Che cosa ci volle insegnare? Che cosa mostrare? Che cosa annunciare? Sentiamo. Se noi sentiamo discorrere di questi fatti, cioè della nascita e della passione di Cristo, senza ricavarne un insegnamento, ciò significa piuttosto un'evasione che un arricchimento dello spirito. Senti parlare di grandi cose? Bada con quale frutto ne senti parlare. Che cosa dunque volle insegnare il Verbo, che cosa annunciare? Ascolta cosa dice Giovanni: Poiché Dio è luce ed in lui non ci sono tenebre (1 Gv 1, 5; cf. Gv 8, 12). Qui egli parla di luce, non c'è dubbio, ma le sue parole sono oscure: è bene allora che la luce stessa di cui ci ha parlato l'Apostolo, rischiari i nostri cuori per comprendere ciò che egli disse. E' questo il nostro annuncio: Che Dio è luce e in lui non ci sono tenebre. Chi oserebbe dire che in Dio ci sono tenebre? Ma che cosa si intende per luce, che cosa per tenebre? Non deve capitare di stabilire nozioni che abbiano qualche legame con la nostra vista materiale. Dio è luce dice uno qualsiasi, ma anche il sole è luce, anche la luna è luce, anche la lucerna è luce. La luce di Dio deve essere evidentemente qualcosa di superiore a queste luci, di più prezioso ed eccellente. Tanto questa luce deve essere al di sopra delle altre, quanto la creatura dista da Dio, quanto il creatore dalla sua creazione, la sapienza da ciò che per suo mezzo fu fatto. Potremo essere vicini a questa luce, se conosceremo quale essa sia, se ad essa ci accosteremo per esserne illuminati; poiché in noi stessi siamo tenebre, ma, illuminati da essa, possiamo divenire luce e non essere dalla luce confusi, dato che siamo da noi stessi confusi. Chi è confuso da se stesso? Chi si riconosce peccatore. Chi non è confuso dalla luce? Chi ne è illuminato. Ma che significa essere illuminati? Chi s'accorge di essere ricoperto delle tenebre dei peccati e brama essere rischiarato da quella luce, ad essa s'accosta. Perciò dice il salmo: Accostatevi a lui e siatene illuminati e i vostri volti non arrossiranno (Sal 33, 6). Ma non arrossirai di essa, se nel momento in cui ti rivelerà ripugnante a te stesso, sentirai dispiacere di questo tuo stato e capirai quanto è bella quella luce. E' questo che Giovanni ci vuole insegnare.
[I nostri peccati sono le tenebre che respingono quella luce.]
5. Forse ci si potrebbe chiedere se abbiamo dato un'interpretazione troppo precipitosa. Giovanni stesso ce lo dirà con le dichiarazioni che seguono. Da quanto ho detto all'inizio della predica, dovete ricordare che tutta quest'Epistola è un'esortazione alla carità. Dio è luce - dice Giovanni - e in lui non ci sono tenebre. Che cosa aveva detto prima? Affinché vi associate a noi e possiamo essere insieme con Dio Padre ed il Figlio suo Gesù Cristo. Pertanto se Dio è luce e in lui non ci sono tenebre e noi dobbiamo associarci a lui, le tenebre che sono in noi devono essere disperse, affinché in noi ci sia la luce; tenebre e luce non possono stare insieme. Fa perciò attenzione a ciò che segue: Se noi diremo di essere una sola cosa con lui ma camminiamo nelle tenebre siamo mentitori (1 Gv 1, 6). Tu sai che anche Paolo dice: Che comunanza c'è tra luce e tenebre? (2 Cor 6, 14). Tu sostieni di vivere con Dio e poi cammini nelle tenebre. Ma Dio è luce e in lui non ci sono tenebre. Come è possibile una convivenza tra luce e tenebre? Ognuno perciò dica: Che posso fare? Come sarò luce io che vivo nei peccati e nelle iniquità? Subentrano allora la tristezza e la disperazione. Non v'è salvezza fuor che nell'unione con Dio. Dio è luce ed in lui non vi sono tenebre. Ma i peccati sono tenebra, poiché l'Apostolo chiama il diavolo ed i suoi angeli signori delle tenebre (cf. Ef 6, 12). Così non li chiamerebbe, se non fossero anche i padroni dei peccatori, i dominatori degli iniqui. Che possiamo fare, fratelli miei? Dobbiamo associarci a Dio, poiché non esiste altra speranza di vita eterna. Ma Dio è luce e in lui non ci sono tenebre. Ogni iniquità è tenebra e noi siamo sommersi dalle iniquità, così che non possiamo associarci a Dio; che speranza ci resta allora? Non vi avevo forse avvisato che vi avrei intrattenuto su cose che procurano gioia? Non facendolo, siamo immersi nella tristezza. Dio è luce ed in lui non ci sono tenebre. I peccati sono tenebre. Che sarà di noi? Cerchiamo di ascoltare, perché quanto ci viene dicendo potrebbe recarci consolazione, sollevarci e darci speranza, così che non veniamo meno per strada. Sì, siamo impegnati in una corsa e siamo diretti verso la patria; se disperiamo di giungervi questa disperazione ci fa fermare. Orbene: colui che desidera vederci giungere al termine, ci somministra il cibo lungo il cammino, per averci con sé nella patria. Perciò ascoltiamo le parole di Giovanni: Se diremo di vivere con lui e camminiamo nelle tenebre, noi mentiamo e non siamo nella verità. Non possiamo dire di essere associati a lui, se viviamo nelle tenebre. Se invece camminiamo nella luce, come lui stesso è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri (1 Gv 1, 7). Camminiamo dunque nella luce, come lui è nella luce, per poter stare in sua compagnia. Ma i peccati? Ascolta il seguito: Il sangue di Gesù Cristo ci purificherà da ogni delitto (1 Gv 1, 7; cf. Eb 9, 14; Ap 1, 5). Dio ci ha dato una grande assicurazione e noi a buon diritto celebriamo la Pasqua, nella quale fu versato il sangue del Signore per mezzo del quale siamo purificati da ogni delitto. Restiamo perciò tranquilli. Il diavolo aveva nei nostri riguardi e per nostro danno un credito di schiavitù, ma col sangue di Cristo esso fu eliminato. Dice infatti Giovanni: Il sangue del Figlio suo ci purifica da ogni delitto. Che significa: da ogni delitto? Fate attenzione: ormai nel nome e per causa del sangue di Colui che questi fanciulli hanno appena professato, tutti i loro peccati sono stati mondati. Sono entrate qua dentro come creature antiche e ne escono nuove. Entrarono vecchi e ne uscirono infanti. La vecchiaia è antichità, vita decrepita: l'infanzia invece viene da una rigenerazione: è una vita nuova. Che faremo? Non solo a costoro sono stati condonati i peccati del passato, ma anche a noi; vivendo poi in mezzo al mondo forse abbiamo commesso altri peccati, dopo che i precedenti ci erano stati totalmente condonati e cancellati. Veda perciò ciascuno di fare ciò che è in grado di fare; confessi le cose come sono, affinché colui che è sempre uguale a se stesso, ieri ed oggi, possa curare noi che un tempo non eravamo, adesso invece abbiamo l'esistenza.
[Condanna ciò che sei, se vuoi che Dio ti perdoni.]
6. Fa' dunque attenzione a ciò che Giovanni dice: Se diremo che in noi non c'è peccato, ci inganniamo ed in noi non c'è verità. Se dunque ti confesserai peccatore, la verità è in te, poiché la verità è luce. Non ancora pienamente splende la tua vita, perché vi sono dei peccati; ma ecco, cominci ormai ad illuminarti, poiché riconosci i tuoi peccati. Considera le parole che seguono: Se confesseremo i nostri delitti, egli è fedele e giusto per condonarceli e purificarci da ogni iniquità (1 Gv 1, 8-9). Qui Giovanni non si riferisce soltanto ai peccati del passato, ma anche a quelli eventualmente commessi al presente; l'uomo non può non avere almeno peccati lievi, fin quando resta nel corpo. Tuttavia non devi dar poco peso a questi peccati, che si definiscono lievi. Tu li tieni in poco conto quando li soppesi, ma che spavento quando li numeri! Molte cose leggere, messe insieme, ne formano una pesante: molte gocce empiono un fiume e così molti granelli fanno un mucchio. Quale speranza resta allora? Si faccia anzitutto la confessione dei peccati: perché nessuno si reputi giusto, e l'uomo che prima non era ed ora è, innalzi la cresta davanti a quel Dio che vede ciò che è. Prima di tutto ci sia dunque la confessione, poi l'amore: che cosa fu detto della carità? La carità copre la moltitudine dei peccati (1 Pt 4, 8). Vediamo se appunto Giovanni non esorti proprio alla carità, in considerazione dei delitti che stanno nascosti dentro le anime. Soltanto la carità elimina i delitti. La superbia invece distrugge la carità, mentre questa toglie i delitti. L'umiltà è collegata alla confessione, per mezzo della quale ci dichiariamo peccatori; ma l'umiltà non è quella per cui ci dichiariamo peccatori soltanto con la lingua; come se, dichiarandoci giusti, non dispiacessimo agli uomini, a causa della nostra arroganza. Questo lo fanno gli empi e i dissennati. Dicono: io so di essere giusto, ma mi conviene dichiararlo davanti agli uomini? Se mi dichiarerò giusto, chi sopporterà questo, chi lo tollererà? Sia nota davanti a Dio la mia giustizia, io tuttavia mi dichiarerò peccatore; non già perché lo sono, ma perché l'arroganza non mi renda odioso. Di' agli uomini ciò che tu sei e dillo a Dio. Se non dirai a Dio ciò che sei, Dio condannerà ciò che troverà in te. Vuoi che egli non pronunci condanne? Accusati da te stesso. Vuoi che perdoni? Vedi in te stesso, sì da poter dire a Dio: Distogli il tuo sguardo dai miei peccati. Ripeti a lui anche le altre parole di quel salmo: Poiché io riconosco le mie iniquità (Sal 50, 11 5). Che se confesseremo i nostri delitti, egli fedele e giusto, può da essi scioglierci e purificarci da ogni iniquità. Ma se diremo che non abbiamo peccato, lo trattiamo da ingannatore e la sua parola non è in noi (1 Gv 1, 9-10). Se dirai: non ho peccato, tratti lui da menzognero, proprio quando vuoi presentare te come veritiero. Come è possibile che Dio sia menzognero e l'uomo veritiero, dal momento che la Scrittura si oppone a questa conclusione? Ogni uomo è menzognero, Dio solo è veritiero (Rm 3, 4). Dio dunque è veritiero per se stesso, tu sei veritiero per mezzo di Dio; da te stesso invece sei menzognero.
[Preoccupati di migliorare sempre.]
7. Ma perché non sembri che Giovanni ha lasciato via libera ai peccati, dicendo: Egli, fedele e giusto, può purificarci da ogni iniquità; perché poi gli uomini non concludessero: dunque pecchiamo pure, facciamo con tranquillità ciò che vogliamo, poiché Cristo ci purifica, Egli, fedele e giusto, ci purifica da ogni iniquità; ecco qui toglierti ogni falsa sicurezza e destarti un opportuno timore. Vai in cerca di una pericolosa tranquillità: sii piuttosto preoccupato. Egli, fedele e giusto, può scioglierci dai nostri delitti, se sempre sarai dispiaciuto di te stesso e cambierai condotta, migliorandoti. Che cosa aggiunge poi Giovanni? Figliuoli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate. Ma il peccato potrebbe insinuarsi nella vita di un uomo; che cosa farà costui? Ditelo! S'abbandonerà alla disperazione? Ecco, ascolta: Se uno - dice Giovanni - peccherà, abbiamo presso il Padre un avvocato, Gesù Cristo, il giusto, e lui stesso è il propiziatore dei nostri peccati (1 Gv 2. 1-2). Lui dunque è l'avvocato; tu bada di non peccare: ma se il peccato verrà fuori ugualmente, data la debolezza della natura, subito fa di sentirne dispiacere, subito condannalo; se lo condannerai, potrai presentarti al giudizio con animo tranquillo. Vi troverai l'avvocato: non temere di perdere la causa, una volta che avrai confessato il tuo peccato. Se può capitare in questa vita che uno faccia affidamento su chi ha scioltezza di lingua e riesca a cavarsela, tu che fai affidamento sul Verbo, potrai forse correre il rischio di perderti? Grida più forte: Abbiamo un avvocato presso il Padre.
[Riconosci che solo Cristo ti può giustificare.]
8. Considera come Giovanni stesso si tenga nell'umiltà. Egli certamente era un uomo giusto e grande, poiché attingeva dal petto del Signore i segreti di alti misteri; attingendo dal suo petto, fu lui, proprio lui, a portare in luce la Divinità del Signore: In principio era il Verbo ed il Verbo era presso Dio (Gv 1, 1). Grande qual era, quest'uomo non disse: abbiamo un avvocato presso il Padre, ma: Se qualcuno peccherà, abbiamo un avvocato. Non disse: avete come avvocato Cristo stesso. Egli invece ci presentò Cristo, non se stesso, e disse: Abbiamo, non già: avete. Preferì mettersi nel numero dei peccatori, per avere nel Cristo il suo avvocato, piuttosto che presentare se stesso come avvocato invece di Cristo e trovarsi poi tra i superbi degni di condanna. Fratelli, ecco chi abbiamo per avvocato presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto: egli è propiziazione per i nostri peccati. Chi ha aderito a questa verità, non ha causato né eresie né scismi. Da dove sono derivati gli scismi? dal fatto che gli uomini dicono: Noi siamo giusti; e aggiungono: noi santifichiamo gli immondi, noi rendiamo giusti gli empi, noi eleviamo preghiere, noi impetriamo grazie. Che cosa disse invece Giovanni? Se uno peccherà, abbiamo come avvocato presso il Padre Gesù Cristo, il giusto. Qualcuno avrà da obiettare: dunque i santi non intercedono per noi? i vescovi e i presbiteri non chiedono in nome del popolo? Esaminate la Scrittura e vedete come anche chi comanda si raccomanda alle preghiere del popolo. Paolo apostolo dice ai fedeli: Pregate in pari tempo anche per noi (Col 4, 3). Prega l'Apostolo per i fedeli, pregano questi per l'Apostolo. Noi, o fratelli, preghiamo per voi, ma voi pregate per noi. Le membra preghino per loro stesse, vicendevolmente, la testa interceda per tutti. Nessuna meraviglia perciò che Giovanni, colle parole successive, voglia chiudere la bocca a quanti portano divisioni nella Chiesa di Dio. Dopo aver detto: Abbiamo Gesù Cristo, il giusto; egli stesso è propiziazione dei nostri peccati; avendo di mira coloro che si sarebbero divisi ed avrebbero detto: Eccolo qui il Cristo, eccolo là (Mt 24, 23), quelli che vorrebbero restringere ad una fazione colui che tutti riscattò e tutto ha in suo potere, subito Giovanni aggiunse: Non solo dei nostri peccati ma dei peccati di tutto il mondo (1 Gv 2, 2). Che significa questo, o fratelli? Certamente anche noi l'abbiamo trovato nelle distese di regioni boscose (Sal 131, 6), abbiamo trovato la Chiesa in tutte le nazioni. Questo dunque è il Cristo propiziazione dei nostri peccati, non soltanto dei nostri, ma dei peccati di tutto il mondo. Poiché trovi la Chiesa in tutto il mondo, non seguire quelli che falsamente si presentano come giustificatori ma in realtà sono causa di divisioni. Resta su quel monte che ha coperto tutta la terra (cf. Dn 2, 35): poiché Cristo è propiziazione dei nostri peccati, non solo dei nostri, ma dei peccati di tutto il mondo, da lui riscattato col suo sangue.
[Ama in modo che tutti diventino tuoi fratelli.]
9. Proseguendo Giovanni dice: In questo lo conosciamo se osserveremo i suoi comandamenti. Quali comandamenti? Chi dice di conoscerlo e non osserva i suoi comandamenti è menzognero e in lui non c'è verità. Ma tu torni a chiedere: quali comandamenti? Giovanni ti dice: Chi osserverà la sua parola, veramente in lui è perfetto l'amore di Dio (1 Gv 2, 3-5). Vediamo se questo comandamento non sia l'amore. Ci domandavamo quali fossero questi comandamenti e Giovanni ci risponde: Chi osserverà la sua parola, veramente in lui è perfetto l'amore di Dio. Esamina il Vangelo e vedi se non è questo precisamente quel comandamento. Dice il Signore: Vi dò un comandamento nuovo, che vi amiate a vicenda (Gv 13, 34). A questo segno noi conosciamo di essere in lui, se in lui saremo perfetti (1 Gv 2, 5). Egli parla di perfetti nell'amore. Ma qual'è la perfezione dell'amore? E' amare anche i nemici ed amarli perché diventino fratelli. Il nostro amore infatti non deve essere carnale. E' buona cosa chiedere per un altro la salute del corpo; ma se questa mancasse, non deve scapitarne la salute dell'anima. Se auguri al tuo amico la vita, fai bene. Se ti rallegri per la morte del tuo nemico, fai male. Forse la vita che auguri all'amico è inutile, mentre quella morte del nemico di cui ti rallegri, può essere a lui utile. Non è certo se questa nostra vita sia utile o inutile, mentre è indubbiamente utile la vita presso Dio. Ama i tuoi nemici con l'intento di renderli fratelli; amali fino a farli entrare nella tua cerchia. Cosí ha amato colui che, pendendo sulla croce, disse: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno (Lc 23, 34). Non che abbia detto: Padre, costoro abbiano una vita lunga; loro che mi uccidono abbiano a vivere; ma ha detto: Perdona loro perché non sanno quello che fanno. Egli li volle preservare da una morte perpetua con una preghiera piena di misericordia e di forza. Molti tra essi credettero e fu loro perdonato di aver versato il sangue di Cristo. Quando si mostrarono crudeli, versarono quel sangue; quando credettero, lo bevvero. In questo noi conosciamo che siamo in lui, se in lui saremo perfetti. Il Signore ci ammonisce ad essere perfetti quando ci parla del dovere di amare i nemici: Siate dunque perfetti, come è perfetto il vostro Padre celeste (Mt 5, 48). Chi dunque dice di rimanere in lui, deve camminare come lui camminò (1 Gv 2, 6). In quale modo, o fratelli? Che ammonizione è questa? Colui che dice di rimanere in lui - cioè in Cristo - deve camminare come lui camminò. Che ci ammonisca forse di camminare sul mare? No, evidentemente. Ci ammonisce invece di camminare nella via della giustizia. Quale via? L'ho ricordato. Egli, quando era inchiodato alla croce, camminava proprio su questa via, che è la strada della carità. Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno. Se dunque imparerai a pregare per il tuo nemico, camminerai sulla strada del Signore.
[E' il comandamento nuovo, perché riguarda l'uomo nuovo.]
10. Dilettissimi, non vi scrivo un comandamento nuovo, ma un comandamento antico, che avevate fin dall'inizio. Quale antico comandamento intende ricordare? Quello che avevate fin dall'inizio. Esso è vecchio in quanto già l'avevate udito. Altrimenti sarebbe in contraddizione col Signore che disse: Vi dò un comandamento nuovo: che vi amiate a vicenda. Ma perché lo chiama comandamento vecchio? Non perché riguarda il vecchio uomo. Perché allora? Perché è: Quello che avevate fin dall'inizio. Il comandamento vecchio è la parola che avete udito (1 Gv 2, 7). Vecchio dunque perché già l'udiste. Ma Giovanni ci mostra che si tratta anche di un comandamento nuovo, quando dice: Ancora vi scrivo un comandamento nuovo. Non un altro comandamento ma quel medesimo che chiamò vecchio ed è ad un tempo vecchio e nuovo. Perché? Ciò si è verificato in lui ed in voi. Avete udito perché esso viene detto vecchio: perché già lo conoscevate. Perché allora viene detto nuovo? Perché: le tenebre se ne sono andate ed ormai splende la luce vera (1 Gv 2, 8; cf. Gv 13, 34). Da ciò deriva che si tratta di un comandamento nuovo: le tenebre riguardano l'uomo vecchio, la luce l'uomo nuovo. Che dice l'apostolo Paolo? Spogliatevi dell'uomo vecchio e rivestitevi dell'uomo nuovo (Col 3, 9-10). Che dice ancora? Un tempo voi foste tenebre, ora siete luce nel Signore (Ef 5, 8).
[Amare il fratello è camminare nella luce, cioè in Cristo.]
11. Chi dice di essere nella luce - ecco che si rivela tutto il suo pensiero - chi dice di essere nella luce ed odia il fratello è ancora nelle tenebre (1 Gv 2, 9). Ahimé, o fratelli, fin quando vi dovremo dire: Amate i nemici (Mt 5, 44)? Guardatevi almeno dall'odiare il fratello, che è cosa peggiore. Se voi amate soltanto i fratelli, perfetti non sarete, ma se li odiate, che siete mai? Dove siete? Ciascuno guardi nel suo cuore; non tenga odio contro il fratello, per qualche dura parola che ha ricevuto; per litigi terreni, non dobbiamo diventare terra. Chi odia il fratello, non può dire di camminare nella luce. Anzi, non dica di camminare in Cristo. Chi dice di essere nella luce e odia il suo fratello è ancora avvolto nelle tenebre. Poniamo che un pagano diventi cristiano. Capitemi: quando era pagano, era nelle tenebre; ora è diventato cristiano. Sia lode al Signore, dicono tutti, e si congratulano e ripetono le parole augurali dell'Apostolo: Un giorno foste nelle tenebre; ora invece siete nella luce del Signore. Colui che adorava gli idoli, ora adora Dio; adorava cose da lui fatte, adora adesso chi fece lui. E' cambiato. Sia lode a Dio; tutti i cristiani se ne rallegrano. Perché? Perché adesso egli è adoratore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e detesta i demoni e gli idoli. Giovanni prende a cuore questo individuo e, nonostante la festa che tutti gli fanno, nutre qualche preoccupazione per lui. O fratelli, accettiamo volentieri questa sollecitudine materna. Non senza motivo nostra madre ha delle apprensioni per noi, anche quando gli altri si congratulano con noi e questa madre è la carità. Essa è nel cuore di Giovanni, quando fa queste raccomandazioni. E perché le fa se non perché teme per qualcosa che è in noi, pur se gli altri ci fanno congratulazioni? Che cosa teme? Chi dice di essere nella luce. Che significano queste parole? Significano: colui che dice di essere cristiano e odia suo fratello, è ancora nelle tenebre. Qui non occorrono spiegazioni, ma c'è da gioire se la cosa non s'avvera, c'è da piangere se essa si avvera.
[Se possederai la carità, non potrai separarti né da Cristo né dalla Chiesa.]
12. Chi ama il suo fratello, resta nella luce, e in lui non c'è scandalo (1 Gv 2, 10; cf. Gv 13, 34). Vi scongiuro in nome di Cristo: è Dio che ci nutre, ristoreremo i nostri corpi in nome di Cristo, come già abbiamo fatto un poco, ed ancora faremo; che la mente abbia il suo cibo. Questo affermo, non perché debba ancora parlare a lungo; il testo della lettura sta per finire: ma facciamo in modo che il tedio non diminuisca la nostra attenzione per queste cose che hanno grandissima importanza. Chi ama suo fratello, resta nella luce ed in lui non c'è scandalo. Chi sono coloro che patiscono o danno scandalo? Coloro che trovano motivo di scandalo in Cristo e nella Chiesa. Chi trova motivo di scandalo in Cristo, è come colui che viene scottato dal sole, mentre colui che trova motivo di scandalo nella Chiesa, è come colui che viene scottato dalla luna. Dice il salmo: Di giorno il sole non ti brucerà né di notte la luna (Sal 120, 6) e significa: se avrai mantenuto la carità, non soffrirai scandalo né a motivo di Cristo, né a motivo della Chiesa. Non abbandonerai Cristo né la Chiesa. Chi abbandona la Chiesa, come può essere nel Cristo, se non appartiene alle sue membra? Come può essere nel Cristo, se non fa parte del suo corpo? Subiscono lo scandalo dunque quelli che abbandonano o Cristo o la Chiesa. Da che cosa desumiamo che il salmo dicendo: Di giorno il sole non ti brucerà, né di notte la luna, vuole che nel termine "bruciatura" si veda indicato lo scandalo? Innanzi tutto fai attenzione alla similitudine; come colui che viene scottato dice: non riesco a tollerare, non sopporto, e perciò si allontana; cosí coloro che non sopportano alcune cose nella Chiesa e si allontanano dal nome di Cristo o della Chiesa, patiscono scandalo. Osservate infatti quale scandalo hanno subito, come scottati dal sole, quegli uomini carnali ai quali Cristo predicava di dare la sua carne dicendo: Chi non mangerà la carne del Figlio dell'uomo e non berrà il suo sangue, non avrà in sé la vita. Circa una settantina di persone dissero: Che discorso duro è questo? e si allontanarono da lui; rimasero i dodici. Quelli furono tutti scottati dal sole e se ne andarono, non riuscendo a sopportare la forza della parola di Cristo. Rimasero dunque i dodici. E perché non credessero di fare un favore a Cristo credendo in lui, quando invece era Cristo a compiere per loro un beneficio, ai dodici rimasti il Signore disse: Volete andare anche voi? Sappiate infatti che non voi siete indispensabili per me, ma io per voi. Ma essi, che non erano stati scottati dal sole, risposero per bocca di Pietro: Signore, tu hai parole di vita eterna: dove potremo noi andare? (Gv 6, 54 61 68 69). E chi sono quelli che vengono scottati dalla Chiesa, come dalla luna nel corso della notte? Quelli che han fatto scisma. Ascoltate la parola stessa dell'Apostolo: Chi è ammalato e non lo sono anch'io? Chi patisce scandalo e io non ne brucio? (2 Cor 11, 29). Come avviene che non c'è scandalo in colui che ama i fratelli? Perché chi ama i fratelli sopporta tutto per l'unità, perché l'amore fraterno consiste nell'unità della carità. Supponiamo che ti offenda uno qualunque che è cattivo, o che tu giudichi cattivo o anche soltanto immagini tale: abbandoni forse per questo tanti altri che sono buoni? Ma che carità fraterna è quella che si mostra in questi Donatisti? Accusano i Cristiani di Africa e perciò abbandonano l'universa terra. Non c'è forse santo alcuno nel mondo? E questi, senza neanche essere ascoltati, furono da voi abbandonati. Ma se amate i fratelli, non ci sarebbe scandalo in voi. Ascolta la voce del salmo: Quanta pace a chi ama la tua legge e non c'è scandalo per lui (Sal 118, 165). Annunzia gran pace a coloro che amano la legge di Dio e perciò soggiunge che non c'è scandalo per loro. Coloro infatti che si scandalizzano perdono la pace. E chi (è detto nel salmo) non patisce scandalo o non lo fa? Chi ama la legge di Dio. Ecco, esso è nella carità. Obietterà qualcuno: si tratta di chi ama la legge di Dio e non di chi ama i fratelli. Ascolta allora ciò che dice il Signore: Un comando nuovo io vi dò, di amarvi gli uni e gli altri. La legge non è forse un comando? E come non si patisce scandalo se non sopportandosi scambievolmente? Dice l'apostolo Paolo: Ci sopportiamo l'un l'altro nell'amore, cercando di mantenere l'unità di spirito in un legame di pace (Ef 4, 2-3). E che questa sia la legge di Cristo lo si deduce dalle parole stesse dell'Apostolo che questa legge raccomanda: Portate, dice, l'uno il peso dell'altro e cosí adempirete la legge di Cristo (Gal 6, 2).
[Gli eretici si sono separati dalla Chiesa, perché hanno odiato i fratelli.]
13. Poiché chi odia il proprio fratello sta nelle tenebre e cammina nelle tenebre e non sa dove va. Che gran cosa, fratelli miei; fate attenzione, ve ne preghiamo. Chi odia il proprio fratello cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre l'hanno accecato (1 Gv 2, 11). Chi è più cieco di coloro che odiano i propri fratelli? E lo vedete che sono ciechi poiché sono andati a sbattere contro la montagna. Vi ripeto le stesse cose perché non vi sfuggano. Questa pietra che è stata staccata dal monte senza concorso di mano umana non è forse il Cristo, nato dalla stirpe regale di Giuda, senza concorso di uomo? Non è lui quella pietra che ha infranto tutti i regni del mondo, cioè tutte le dominazioni degli idoli e dei demoni? Non è lui quella pietra che, cresciuta fino a divenire un gran monte, ha riempito tutto l'universo (cf. Dn 2, 34-35)? Non è forse vero che noi mostriamo a dito questo monte, cosí come facciamo con la luna, quando è al terzo giorno? Quando gli uomini vogliono, ad esempio, vedere la luna nuova, dicono: Ecco la luna, eccola là; se poi sono presenti persone incapaci di individuarla e che dicono: dove è?, allora si alza il dito perché la vedano. A volte capita che alcuni vergognosi di apparire ciechi, affermano di vederla, mentre non è vero. E' cosí che noi o fratelli, mostriamo la Chiesa? Non è cosa visibile chiaramente? Non ha essa raccolto nel suo seno tutte le genti? Non si verifica la promessa fatta tanti anni or sono ad Abramo: che le genti sono benedette nel suo seme (cf. Gn 22, 18)? La promessa fu fatta ad un solo credente, ed il mondo si è riempito di migliaia di credenti. Ecco il monte che copre tutta la superficie della terra: ecco la città della quale fu detto: Non può una città, edificata su una cima, restare nascosta (Mt 5, 14). Ma quelli vengono a urtare contro la montagna. E quando si dice loro: salite! essi rispondono: dove, se non c'è monte? Trovano più facile sbattere la testa contro di essa, che non cercarvi rifugio. Ieri è stato letto Isaia: chiunque di voi era attento, ha compreso non solo cogli occhi ma con le orecchie, né solo con le orecchie del corpo, ma con quelle del cuore: Negli ultimi giorni, sarà visibile il monte della casa del Signore, stabilito sulla cima delle montagne. C'è qualcosa più visibile di una montagna? Ma ci sono anche monti sconosciuti, perché occupano uno spazio limitato della terra. Chi di voi conosce il monte Olimpo? Parimenti coloro che abitano là, non conoscono il nostro monte Giddabam. Questi monti occupano zone limitate. Ma il monte di cui parliamo non è come questi, perché esso occupa tutta la superficie della terra; di esso si dice: E' collocato sulla cima dei monti. Esso dunque sorpassa le cime di tutti gli altri monti. E tutte le nazioni accorreranno verso di esso, dice Isaia (Is 2, 2). Chi può sbagliare sentiero su questo monte? Chi si rompe la testa cozzando contro di esso? Chi non conosce la città che sorge sulla sua cima? Non meravigliatevi se esso è ignorato da coloro che odiano i fratelli: costoro infatti camminano nelle tenebre, e non sanno dove vanno, perché le tenebre hanno accecato i loro occhi. Essi non vedono il monte: c'è motivo di meravigliarsene, dal momento che non hanno occhi? Ma perché non hanno occhi? Perché le tenebre li hanno accecati. Ne abbiamo una prova? Sì: essi odiano i loro fratelli; urtatisi coi loro fratelli d'Africa, si separano da tutti gli altri, perché non sopportano per la pace di Cristo quelli che essi infamano, e sopportano, per sostenere Donato, quelli che essi condannano.