sabato 5 febbraio 2011

Con gli occhi di un bambino.

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Il primo salmo delle Lodi di questa mattina, 5 febbraio, è il seguente:

[1] Salmo. Canto. Per il giorno del sabato.

[2] È bello dar lode al Signore
e cantare al tuo nome, o Altissimo,

[3] annunziare al mattino il tuo amore,
la tua fedeltà lungo la notte,

[4] sull'arpa a dieci corde e sulla lira,
con canti sulla cetra.

[5] Poiché mi rallegri, Signore, con le tue meraviglie,
esulto per l'opera delle tue mani.

[6] Come sono grandi le tue opere, Signore,
quanto profondi i tuoi pensieri!

[7] L'uomo insensato non intende
e lo stolto non capisce:

[8] se i peccatori germogliano come l'erba
e fioriscono tutti i malfattori,
li attende una rovina eterna:

[9] ma tu sei l'eccelso per sempre, o Signore.

[10] Ecco, i tuoi nemici, o Signore,
ecco, i tuoi nemici periranno,
saranno dispersi tutti i malfattori.

[11] Tu mi doni la forza di un bùfalo,
mi cospargi di olio splendente.

[12] I miei occhi disprezzeranno i miei nemici,
e contro gli iniqui che mi assalgono
i miei orecchi udranno cose infauste.

[13] Il giusto fiorirà come palma,
crescerà come cedro del Libano;

[14] piantati nella casa del Signore,
fioriranno negli atri del nostro Dio.

[15] Nella vecchiaia daranno ancora frutti,
saranno vegeti e rigogliosi,

[16] per annunziare quanto è retto il Signore:
mia roccia, in lui non c'è ingiustizia.



A commento di questo salmo, questa mattina, su "Avvenire", così Mons. Ravasi nel suo "Mattutino":

Sospetto che il bambino colga il suo primo fiore con una percezione della sua bellezza e del suo significato che il futuro botanico non conserverà mai più. Così annotava nel suo diario, il 5 febbraio 1852, lo scrittore americano Henry David Thoreau. Devo confessare di essere sempre conquistato dal modo di giocare di un bambino: prima che sia pervertito dalla playstation e dai giochi elettronici, egli si accosta a un oggetto con una sorprendente girandola di gesti, di movimenti, di sguardi. Egli compie veramente l'atto primordiale dell'affacciarsi sul mondo con meraviglia per scoprirne le meraviglie («il mondo perirà per mancanza di meraviglia, non di meraviglie», osservava acutamente lo scrittore inglese Chesterton). È ciò che noi, frettolosi consumatori di tecnologia, non proviamo più. Siamo forse capaci di «vedere un mondo in un granello di sabbia, e un cielo in un fiore selvaggio, l'infinito in un palmo di mano e l'eternità in un'ora?», come cantava il poeta inglese William Blake? Il botanico non ha più nulla dello stupore del bambino davanti al fiore, alla sua corolla, ai suoi colori. Egli classifica, cataloga, notomizza, disseziona, verifica, esamina, ma non riesce più a godere il fascino della bellezza. Il poeta irlandese contemporaneo - sono i veri poeti i grandi maestri della contemplazione - Seamus Heaney, Nobel 1995, ha intitolato una sua raccolta Seeing Things. Sì, abbiamo bisogno di ritornare a «vedere le cose», anzi - come sottintende la frase inglese - ad «avere la visione» profonda della realtà, dei volti, degli oggetti, dei segni, dei colori, della vita. E per far questo bisogna sapersi fermare, sostare, stare in silenzio, contemplare.

A commento del Salmo propongo ancora questo testo di san Giovanni Fisher, vescovo e martire, dal suo:

" Commento sui salmi "
Le meraviglie di Dio
Dapprima Dio liberò il popolo d'Israele dalla schiavitù dell'Egitto compiendo molte cose straordinarie e prodigiose: gli fece attraversare il Mare Rosso all'asciutto. Lo nutri nel deserto con cibi venuti dal cielo cioè con la manna e le quaglie. Per calmare la sua sete fece scaturire dalla durissima roccia una inesauribile sorgente d'acqua. L'o rese vittorioso su tutti i nemici che lo osteggiavano. A tempo opportuno fece retrocedere il Giordano in senso opposto alla corrente. Divise e distribuì loro, secondo il numero delle tribù e delle famiglie, la terra promessa. Ma nonostante avesse compiuto queste cose con tanto amore e liberalità, quegli uomini ingrati e veramente immemori di tutto, abbandonarono e ripudiarono il culto di Dio e più zii una volta si resero colpevoli dell'empio crimine di idolatria.
In seguito egli recise anche noi dall'oleastro dei gentili (cfr. Rin 11, 24) che ci era connaturale - noi che eravamo ancora pagani e che ci lasciavamo trascinare verso gli idoli muti secondo l'impulso del momento .(cfr. 1 Cor 12, 2) - e ci innestò sul vero ulivo del popolo giudaico, anche spezzandone i rami naturali, e ci rese partecipi della radice feconda della sua grazia. Ancora: egli non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come offerta a Dio in sacrificio di soave odore, per riscattarci da ogni iniquità e formarsi un popolo puro che gli appartenga (cfr. Rin 8, 32; Ef 5, 2; Tt 2, 14).
Ma, sebbene tutte queste cose siano non semplici indizi, ma prove certissime del suo immenso amore e della sua generosità verso di noi, noi uomini ben più ingrati, anzi giunti oltre ogni limite di ingratitudine, non consideriamo l'amore di Dio, né riconosciamo la grandezza dei suoi benefici, ma anzi rifiutiamo e quasi disprezziamo colui che ci ha creati e ci ha donato beni così grandi. Neppure la sorprendente misericordia, continuamente dimostrata ai peccatori, ci muove a regolare la vita e i costumi secondo le sue santissime norme.
Queste cose sono davvero degne di essere scritte a perpetua memoria delle generazioni venture, perché tutti quelli che in avvenire si chiameranno cristiani, conoscendo tanta bontà di Dio verso dì noi, non tralascino mai di celebrare le divine lodi.