lunedì 14 marzo 2011

Perchè ti abbatti anima mia?

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Come lettura spirituale ci accompagna ancora Agostino, col commento al salmo 41. Buonanotte.
Siamo a Cartagine. La basilica è stracolma. Le nove navate di cui è composta non riescono a contenere l’afflusso di popolo. Perché oggi predica Agostino. La sua fama e testimonianza di santità si è ormai diffusa non solo nell’Africa ma in tutta la Chiesa. Egli è ormai vescovo da quindici anni e - conoscendo bene il suo popolo - sente la necessità di dare una scossa alla tiepidezza che vede attorno a sé per “rendere Dio presente in questo mondo e aprire agli uomini l’accesso a Dio” (Benedetto XVI). Così nasce questa vibrante omelia che, partendo dal versetto «Come il cervo anela alle fonti dell’acqua così l’anima mia anela a te, o Dio» del Salmo 41, lancia la sfida della speranza come cifra della fede: tale speranza è fondata su un’esperienza già presente della festa e del godimento eterno per cui l’uomo è fatto anche se tale esperienza è solo iniziale e fragile. Questa esperienza nel presente - pur minimale - è la base per vivere la speranza.



“(…) Quando qui sulla terra gli uomini celebrano le loro feste anche se si tratta di feste lussuriose, sono soliti collocare alcuni strumenti musicali dinanzi alle loro case, oppure ingaggiare suonatori, insomma suonare qualche musica che lusinghi ed ecciti la sensualità. Udendola che dice chi passa? Chiede di che cosa si tratta. Risponderanno che si tratta di una festa. Ci diranno che è una festa natalizia, oppure che si tratta di nozze, affinché non sembrino fuori luogo quei canti, e la la lussuria sia scusata con la festa. Nella casa del Signore eterna è la festa. Non vi si celebra una festa che passa. Il festoso coro degli angeli è eterno; il volto di Dio presente dona una letizia che mai viene meno. Questo giorno di festa non ha né inizio né fine. Da quella eterna e perpetua festa risuona un non so che di canoro e di dolce alle orecchie del cuore; purché non sia disturbata dai rumori del mondo. Il suono di quella festa accarezza le orecchie di chi cammina nella tenda e osserva i miracoli di Dio nella redenzione dei fedeli, e rapisce il cervo alle fonti delle acque.
Ma poiché, fratelli, finché siamo in questo corpo, siamo esuli dal Signore; e il corpo che si corrompe appesantisce l'anima e la terrena dimora deprime l'intelligenza di chi pensa molte cose; anche se, fugate in qualche modo le nebbie, camminando spinti dal desiderio, siamo giunti talvolta a questo suono e ci siamo sforzati di sentire qualcosa di ciò che proviene da quella casa di Dio, tuttavia, per il peso della nostra debolezza, ricadiamo nelle cose consuete e precipitiamo di nuovo nei pensieri quotidiani. E come là avevamo trovato di che gioire, qui non mancherà di che gemere. Questo cervo infatti, nutrendosi giorno e notte delle sue lacrime, rapito dal desiderio che lo spinge alle fonti delle acque, cioè alla interiore dolcezza di Dio, effondendo al di sopra di sé la sua anima per toccare ciò che sta al di sopra dell'anima sua, camminando nella mirabile tenda fino alla casa di Dio, e guidato dalla giocondità dell'intimo e intelligibile suono, fino a disprezzare le cose esteriori e sentirsi attirato da quelle interiori, tuttavia è ancora un uomo, ancora geme, ancora porta la carne fragile, ancora corre pericoli in mezzo agli scandali di questo mondo. Ha guardato dunque se stesso, considerando donde è venuto, e, quasi fosse inchiodato tra le tristezze della terra che paragona a quelle cose che per un solo momento è riuscito a vedere, dice a se stesso: Perché sei triste, anima mia, e perché mi turbi? Ecco, già da una certa interiore dolcezza siamo allietati, ecco abbiamo potuto scorgere qualcosa di immutabile con l'occhio della mente, anche se per un momento solo e di sfuggita; perché ancora mi turbi, perché ancora sei triste? Non certo dubiti del tuo Dio e hai che cosa dire contro coloro che ti dicono: Dov'è il tuo Dio? Già qualcosa di immutabile ho percepito, perché dunque ancora mi turbi? Spera in Dio. E la sua anima, quasi rispondendogli in silenzio: perché ti turbo? perché non sono ancora là ove c'è quella dolcezza, dalla quale sono stata rapita di sfuggita. Forse che già bevo a quella fonte, senza più alcun timore? Forse che non temo più nessuno scandalo? Forse che sto sicura da ogni desiderio come se già li avessi tutti vinti e domati? Forse il diavolo mio nemico non veglia contro di me? Non mi tende forse ogni giorno i lacci dell'inganno? Non vuoi che ti turbi mentre sono ancora nel secolo, esule dalla casa del mio Dio? Ma: spera in Dio, risponderà alla sua anima colui che da essa è turbato, riconoscendo giusto il suo turbamento, a cagione dei mali dei quali questo mondo abbonda. Vivi frattanto nella speranza. La speranza che si vede non è speranza; ma se speriamo ciò che non vediamo è per mezzo della pazienza che noi l’aspettiamo”.