lunedì 28 marzo 2011

Tutto è grazia? Sì, ma senza esagerare!

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Quando Pio XII disse: «Il peccato del secolo è la perdita del senso del peccato», forse non ne poteva immaginare la conseguenza ultima, espressa da Benedetto XVI durante il suo pellegrinaggio in Austria con queste parole: «Il relativismo relativizza tutto e alla fine bene e male non sono più distinguibili».
Anche per questo c’è un modo non cattolico di ripetere la frase di Bernanos “tutto è grazia” che non riconosce la distanza infinita tra la grazia e il peccato mortale. Gesù dice: «Chiunque commette il peccato è schiavo del peccato» (Gv 8, 34). Dal peccato non nasce il bene. Il peccato conduce al vizio.
Il modo cattolico di ripetere “tutto è grazia” intende semplicemente suggerire che il Signore può anche dal male trarre un bene, come le lacrime di Pietro, dopo il tradimento, testimoniano. Lacrime che sgorgano non dal tradimento, ma perché il Signore, anche dopo il tradimento, guarda Pietro.
Al relativismo che non distingue il bene dal male il Signore stesso ha dato alla sua Chiesa il rimedio: il sacramento della confessione. A condizione che ci si confessi bene. Come il catechismo insegna. «Perché Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili» (1Pt 5, 5).

Quali danni fa all’anima il peccato mortale?
1. Il peccato mortale priva l’anima della grazia e dell’amicizia di Dio; 2. le fa perdere il paradiso; 3. la priva dei meriti acquistati, e la rende incapace di acquistarne dei nuovi; 4. la fa schiava del demonio; 5. le fa meritare l’inferno, e anche i castighi di questa vita.

Quali sono le condizioni che deve avere l’accusa dei peccati o confessione?
Le condizioni principali che deve avere l’accusa dei peccati sono cinque: deve essere umile, intiera, sincera, prudente e breve.
Chi per vergogna, o per qualche altro motivo, tace colpevolmente nella confessione qualche peccato mortale, che cosa commette?
Colui che per vergogna o per qualche altro motivo tace colpevolmente qualche peccato mortale in confessione profana il sacramento e perciò si fa reo di un gravissimo sacrilegio.


I dogmi del Concilio di Cartagine

«Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture» (1Cor. 15,3)

Canone 7.Così pure è piaciuto [ai vescovi stabilire] che chiunque affermi che i santi, quando dicono nella preghiera del Signore: «Rimetti a noi i nostri debiti» [Mt 6, 12], non lo dicono per sé stessi, perché a loro ormai non è necessaria questa richiesta, ma per gli altri che nel popolo sono peccatori, e che pertanto il santo non dice: «Rimetti a me i miei debiti», ma: «Rimetti a noi i nostri debiti», in modo che si intenda che il giusto chiede questo per gli altri piuttosto che per sé, sia scomunicato. Santo e giusto era infatti l’apostolo Giacomo quando diceva: «Manchiamo in molte cose tutti quanti» [Gc 3, 2]. Perché dunque ha aggiunto «tutti», se non perché questa affermazione fosse conforme a quanto si legge nel Salmo [143, 2]: «Non venire a giudizio col tuo servo, perché nessun vivente sarà trovato giusto al tuo cospetto»? E [fosse conforme] alla preghiera del sapientissimo Salomone: «Non vi è uomo che non pecchi» [1Re 8, 46]. E al libro del santo Giobbe: «Sigilla la mano di ogni uomo, perché ogni uomo conosca la propria debolezza» [Gb 37, 7]. Perciò anche il santo e giusto Daniele nella sua preghiera dice al plurale: «Noi abbiamo peccato, ci siamo comportati iniquamente» [Dn 9, 5.15], con tutto il resto che ivi confessa con verità e umiltà. Affinché poi non si credesse, come alcuni pensano, che egli avesse detto questo non per i suoi peccati, ma piuttosto per quelli del suo popolo, aggiunse: «Mentre [...] pregavo e confessavo i miei peccati e i peccati del mio popolo» [Dn 9, 20] al Signore mio Dio; non volle dire «i nostri peccati», ma parlò dei peccati del suo popolo e dei suoi, poiché in quanto profeta previde che ci sarebbero stati quelli che avrebbero così male interpretato le sue parole.
Canone 8.Così pure è piaciuto [ai vescovi stabilire] che chiunque sostenga che le stesse parole della preghiera del Signore, quando diciamo: «Rimetti a noi i nostri debiti» [Mt 6, 12], sono dette dai santi per umiltà, ma non per davvero, sia scomunicato. Chi infatti potrebbe sopportare uno che prega e che mente non già agli uomini, ma addirittura al Signore stesso, e che con le labbra dice di voler essere perdonato, mentre col cuore invece dice di non avere debiti che gli debbano essere perdonati?