martedì 19 aprile 2011

Meditatio mortis: gli apoftegmi dei Padri - 2




I padri del deserto proponevano l'esercizio del pensiero della morte ai loro discepoli principalmente per aiutarli a respingere in modo efficace gli insidiosi assalti dei demoni.

Evagrio diceva: ‘Ricorda incessantemente quando uscirai da questa vita e non dimenticare il giudizio eterno; così non ci sarà colpa nella tua anima’.

A tre anziani si recano da lui confessandogli di essere continuamente assillati dal ricordo del castigo, abba Sisoes risponde: "Beati voi, fratelli! Vi ho invidiato infatti, perché il primo di voi ha parlato del fiume di fuoco, il secondo del tartaro e il terzo della tenebra. Se il vostro spirito possiede un tale ricordo, è impossibile che voi pecchiate. Che cosa farò io, duro di cuore, che mi rifiuto di sapere che vi è anche un castigo per gli uomini? E per questo pecco ogni momento...".

I Padri presentano la lotta contro il peccato come un graduale divenire ‘morti al peccato’. Il monaco mette dunque in pratica il ricordo della propria morte con un atteggiamento che lo porta progressivamente ad essere morto ad ogni azione cattiva: per poter avere la forza di non peccare bisogna dunque essere morti al peccato.

"Prima di uscire dal corpo, l’uomo deve rendersi morto a ogni azione malvagia, così da non fare male a nessuno" (Abba Mosè).

Poemen si pone in un'ottica completamente rovesciata per affermare la stessa cosa:
“Un fratello chiese al padre Poemen: ‘Può un uomo essere morto?’. Gli dice: ‘Se cade nel peccato, diviene un cadavere. Ma se giunge al bene, vivrà e lo compirà”. Come dire cioè che la vera morte è quella provocata dal peccato; chi invece opera la giustizia gode della pienezza della vita. Occorrerebbe quindi chiedersi non come si fa a morire, ma come si fa a vivere!