venerdì 6 maggio 2011

Meditatio mortis: la Scala di Giovanni Climaco - 3.






Mi pare importante dedicare un’attenzione particolare anche al quarto e al quinto capitolo della Scala. A partire da IV,14 Climaco comincia la descrizione della vita del cenobio egiziano di Alessandria, da lui personalmente visitato: il racconto prosegue nel discorso successivo dedicato alla penitenza (cf. V,5) e verrà poi ripreso anche nel Discorso al pastore 94.
In questi due discorsi il pensiero della morte ricorre spesso. Climaco ce lo presenta come una delle pratiche fondamentali esercitate dai monaci di questo cenobio.
La prima affermazione che incontriamo sul nostro tema é molto forte: da quanto che racconta Climaco sembra che il pensiero della morte fosse addirittura l’unico argomento di cui parlavano i monaci:

“Se dovevano parlare, l’argomento fisso e permanente delle loro conversazioni era il ricordo della morte e il pensiero dell’eterno giudizio (IV,16).

Climaco narra in seguito che, essendo rimasto colpito nel vedere il raccoglimento e il pianto del cuoco durante il suo lavoro, lo ha interrogato per chiedergli “come avesse fatto per meritare una tale grazia” (IV.17). E così si sente rispondere:

“Non ho mai pensato di servire gli uomini, ma Dio; e poiché mi giudico completamente indegno dell’esichia, sfrutto la vista di questo fuoco materiale per custodire costantemente il ricordo delle fiamme future".

Tra i consigli che riceve da uno di quegli anziani “degni di eterna memoria” (IV,31), Climaco riporta anche queste parole:

“Tieni a briglia, con la meditazione della morte, i tuoi occhi continuamente desiderosi di andarsene in giro a cercare grandezze e bellezze corporee” (IV, 31).

Nel discorso V, dedicato alla penitenza (meta/noia), inizia la lunga descrizione del “monastero separato chiamato ‘Prigione’” (V,5a), “spesso criticata e additata come esempio di estremismo ascetico, ai limiti del masochismo e della patologia mentale”.
Nella descrizione della vita di questi monaci penitenti, troviamo altri due cenni significativi che riguardano il pensiero della morte:

“Alcuni, battendosi violentemente il petto, dicevano al Signore, come se si trovassero davanti alla porta del cielo: ‘Aprici, o giudice, aprici, perché con i nostri peccati ci siamo chiusi fuori!’” (V,n).

“Tutti costoro vivevano tenendo costantemente la morte davanti ai loro occhi e dicevano: ‘Quale sarà la nostra sorte?...’” (V, o).

Questo secondo passo richiama espressamente l’espressione già in uso tra i filosofi greci - tenere la propria morte davanti agli occhi - e che abbiamo visto presente anche nella Regola di san Benedetto (v. post precedenti) e in altri testi della tradizione monastica.