lunedì 9 maggio 2011

Meditatio mortis: la Scala di Giovanni Climaco - 4.

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Nel discorso VII - Sull’afflizione che è fonte di gioia - troviamo ben sei passi in cui si fa un riferimento più o meno esplicito al pensiero della morte. Leggendo questi brani ci appare con chiarezza lo stretto legame che sussiste tra la compunzione e il ricordo della propria morte.
Nei primi due passi troviamo ammonimenti di carattere piuttosto pratico relativi a due momenti della giornata del monaco: l’atto del mangiare e, soprattutto, l’atto del coricarsi nel proprio letto alla fine della giornata. Il ricordo della nostra sepoltura ci aiuta a non indebolire la nostra ascesi e il ricordo del fuoco eterno ci aiuta a vincere la pigrizia nella preghiera.

“Il tuo coricarti a letto sia per te l’immagine della tua deposizione nella tomba, e così dormirai di meno. Lo stesso atto del mangiare a tavola ti ricordi il doloroso pasto che i vermi faranno del tuo corpo, e così cercherai di meno le prelibatezze. E anche quando bevi dell’acqua, non ti dimenticare della sete che avrai in mezzo a quel fuoco, e così farai certamente violenza alla tua natura” (VII,21.

“Il ricordo del fuoco eterno si corichi con te ogni sera, e con te poi si rialzi; e così non ti vincerà mai la pigrizia al momento della salmodia” (VII,23).

Troviamo poi in questo Discorso altri quattro importanti riferimenti al pensiero della morte. Li riporto qui di seguito:

“La compunzione è propriamente un dolore dell’anima che non le permette alcuna distrazione o conforto, ma che in ogni momento le fa immaginare la propria dipartita e attendere come acqua refrigerante la consolazione che Dio accorda ai monaci umili” (VII,30).

“Molti padri definiscono oscuro e difficile il discorso relativo alle lacrime, specialmente nel caso dei principianti, perché esse possono essere prodotte - dicono - da cause molteplici e svariate. Intendo dire, cioè, dalla natura, da Dio, da una sofferenza generata dal peccato o degna di lode, dalla vanagloria, dall’impudicizia, dalla carità, dal ricordo della morte e da molte altre cause” (VII,34).

“Beato quel monaco che può contemplare con gli occhi dell’anima le potenze angeliche! Ma davvero impeccabile colui che, attraverso il ricordo della morte e dei propri peccati, bagna incessantemente le proprie guance con acque vive. Non faccio fatica a credere che la prima condizione proceda dalla seconda” (VII, 42).

“Le lacrime prodotte dal pensiero della morte generano il timore; quando il timore ha generato la serenità, appare la gioia; e quando poi cessa la gioia incessante, spunta il fiore della santa carità!” (VII,54).

Lacrime (compunzione) e pensiero della morte sono dunque in stretto rapporto e possono generarsi a vicenda. Da questo mutuo e inscindibile legame nel cuore del monaco viene tutto il resto: la serenità, poi la gioia e la carità.
A conclusione di questo paragrafo, va ricordato un altro passo della Scala dove la ‘meditatio mortis’ è messa in relazione alla compunzione: si tratta del breve discorso XIX in cui Climaco elenca i vari modi con cui il monaco può vegliare stando alla presenza di Dio, sia di giorno che di notte. Tra questi modi, l’ultimo è proprio il “concentrarsi sul pensiero della morte”, come via verso il raggiungimento della compunzione.

“Alcuni, infatti, vegliano l’intera notte a partire dalla sera, tendono le mani in preghiera, distaccati come sono dalle cose materiali e spogli di ogni preoccupazione mondana. Altri vegliano recitando i salmi; altri si dedicano piuttosto alla lettura; altri, per la loro debolezza, lottano valorosamente contro il sonno con il lavoro delle loro mani; altri, infine, si concentrano sul pensiero della morte e cercano così di raggiungere la compunzione. Tra tutti costoro, i primi e gli ultimi vegliano come amici di Dio; i secondi vegliano come monaci; i terzi, invece, percorrono una via assai più modesta: Dio però accetta e valuta i doni secondo l’intenzione e la forza di ciascuno” (XIX,1).