lunedì 16 maggio 2011

Meditatio mortis: la Scala di Giovanni Climaco - 6.

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I vizi confessano la loro nemica.

Nella sua opera Climaco frequentemente interroga i vizi per sapere come meglio combatterli.
Il primo vizio a dichiarare guerra al pensiero della morte è l’accidia, nel breve discorso XIII. In questo gradino Climaco ricorda che l’accidia, per essere vinta, deve essere “incatenata dal ricordo dei peccati, percossa dal lavoro manuale, trascinata a forza dal pensiero dei beni futuri...” (XIII, 10).
Una volta portata in tribunale, deve essere interrogata. Climaco riporta a questo punto la risposta data dall’accidia, la quale rivela apertamente le cause che la generano e i rimedi per combatterla:

“Molte e diverse sono le cause da cui traggo origine: a volte l’insensibilità dell’anima, altre volte la dimenticanza delle cose di lassù, e a volte anche l’eccesso di fatiche. (...) I miei avversari, che ora mi tengono in catene, sono la salmodia e il lavoro manuale; la mia nemica è la meditazione della morte; ma colei che può uccidermi completamente è la preghiera unita alla ferma speranza nei beni futuri” (XIII,10).

Troviamo una seconda ‘dichiarazione di guerra’ nella parte conclusiva del capitolo XIV, in cui Climaco dà la parola alla gastrimarghia(*), la quale dichiara apertamente che il ricordo della morte è tra i suoi nemici più agguerriti.

“Perché mi coprite di insulti, voi che siete i miei sottomessi? Perché vi sforzate di separarvi da me? Io sono legata a voi per natura! La mia porta è la natura stessa dei cibi; l’abitudine è la causa della mia insaziabilità; e ciò che mi trasforma in passione è un’abitudine di lunga data, unita all’insensibilità dell’anima e all’assenza del ricordo della morte(…). “Il ricordo dei peccati commessi mi fa guerra, ma non mi vince; il pensiero della morte è mio acerrimo nemico, ma non c’è niente che riesca a eliminarmi totalmente di tra gli uomini” (XIV,32).

Anche l’insensibilità dichiara apertamente la propria inimicizia nei confronti del pensiero della morte. In chiusura del discorso XVII Climaco interroga questa “malefica tiranna” (XVII,5) la quale così gli risponde:

“Non ho un’unica nascita, ma il mio concepimento è, per così dire, misto e variabile: la sazietà mi dà forza, il tempo mi fa crescere, la cattiva abitudine mi consolida, e chi la contrae, non riuscirà più a liberarsi di me! Se mediti continuamente il giudizio eterno, vegliando a lungo, forse ti darò un po’ di respiro. Esamina la causa per cui sono nata in te, e lotta contro quella mia madre, perché non ne ho una sola in tutti i casi. Prega spesso tra le tombe, imprimendotene nel cuore l’immagine in modo indelebile: se infatti non l’avrai incisa in te con lo stilo del digiuno, non potrai vincermi in eterno” (XVII,5).

* * *

(*): In base all’etimologia, il termine significa letteralmente ‘follia del ventre’ Climaco, come è stato sottolineato, a differenza di altri padri non sembra distinguerla dallalaimarghia, la ‘follia della gola’: per lui la gastrimarghia include sia la voracità che la gola.