L’esichia
Nell’ultimo paragrafo di questo quinto capitolo dedicato alla Scala, prendo in esame il discorso XXVII, interamente dedicato all’esichia. La seconda parte del discorso esamina le diverse forme dell’esichia e il modo di discernerle. Tra i segni distintivi dell’esicasta c’è anche il desiderio della morte.
“I segni, le virtù e i tratti caratteristici di quanti praticano l’esichia in modo ragionevole sono i seguenti: mente insonne, pensiero puro, rapimento dell’anima in Dio, memoria continua dei castighi, pressante desiderio della morte, preghiera insaziabile...” (XXVII/2.6).
Poco dopo, Climaco propone un interessante paragone. Come una sposa che è infedele al proprio matrimonio, un monaco che non custodisce la promessa che ha fatto a Dio va incontro a gravi conseguenze. Una di queste è la dimenticanza della morte.
“Una giovane sposa che non custodisce il proprio talamo contamina il proprio corpo; ma un’anima che non custodisce la promessa fatta contamina il proprio spirito. Per la prima le conseguenze sono: rimproveri, odio, frustate, e - cosa più deplorevole di tutte - il divorzio; per la seconda: contaminazioni, oblio della morte, ingordigia del ventre (…)” (XXVII/2.8).
Nell’ultimo breve passo che consideriamo in questo discorso, il monaco che cerca l’esichia è chiamato a porsi nei confronti della morte in un modo che richiama fortemente i termini già incontrati nei detti dei padri del deserto. Ci viene qui riproposto il legame tra la cella del monaco e la tomba:
“L’uomo paziente è già morto prima di andare nella tomba, perché ha fatto della cella la propria tomba” (XXVII/2.39).
CONCLUSIONE
Nell’analisi dei testi biblici abbiamo mostrato come la Bibbia non sia tanto interessata a spiegare l’origine e il perché della morte, quanto piuttosto il modo con cui la si deve affrontare e il senso del nostro morire.