giovedì 18 agosto 2011

Come te stesso



Di seguito i testi della Liturgia di oggi 19 Agosto 2011,
Venerdì della XX settimana del Tempo Ordinario,
con un commento al Vangelo del giorno di p. Cantalamessa.
Grado della Celebrazione: Feria
Colore liturgico: Verde
Antifona d'ingresso
O Dio, nostra difesa,
contempla il volto del tuo Cristo.
Per me un giorno nel tuo tempio,
è più che mille altrove. (Sal 84,10-11)
Colletta
O Dio, che hai preparato beni invisibili
per coloro che ti amano,
infondi in noi la dolcezza del tuo amore,
perché, amandoti in ogni cosa e sopra ogni cosa,
otteniamo i beni da te promessi,
che superano ogni desiderio.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...
PRIMA LETTURA (Rt 1,1.3-6.14-16.22)
Venne Noemi, con Rut la moabita, e arrivò a Betlemme.
Dal libro di Rut

Al tempo dei giudici, ci fu nel paese una carestia e un uomo, [chiamato Elimèlec,] con la moglie Noemi e i suoi due figli emigrò da Betlemme di Giuda nei campi di Moab.
Poi Elimèlec, marito di Noemi, morì ed essa rimase con i suoi due figli. Questi sposarono donne moabite: una si chiamava Orpa e l’altra Rut. Abitarono in quel luogo per dieci anni. Poi morirono anche Maclon e Chilion, [figli di Noemi,] e la donna rimase senza i suoi due figli e senza il marito.
Allora intraprese il cammino di ritorno dai campi di Moab con le sue nuore, perché nei campi di Moab aveva sentito dire che il Signore aveva visitato il suo popolo, dandogli pane.
Orpa si accomiatò con un bacio da sua suocera, Rut invece non si staccò da lei. Noemi le disse: «Ecco, tua cognata è tornata dalla sua gente e dal suo dio; torna indietro anche tu, come tua cognata». Ma Rut replicò: «Non insistere con me che ti abbandoni e torni indietro senza di te, perché dove andrai tu, andrò anch’io, e dove ti fermerai, mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio».
Così dunque tornò Noemi con Rut, la moabita, sua nuora, venuta dai campi di Moab. Esse arrivarono a Betlemme quando si cominciava a mietere l’orzo.

Parola di Dio
SALMO RESPONSORIALE (Sal 145)
Rit: Loda il Signore, anima mia.
Beato chi ha per aiuto il Dio di Giacobbe:
la sua speranza è nel Signore suo Dio,
che ha fatto il cielo e la terra,
il mare e quanto contiene.

Egli rimane fedele per sempre,
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri.

Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri.

Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione.
Canto al Vangelo (Sal 24,4)
Alleluia, alleluia.
Insegnami, Signore, i tuoi sentieri,
guidami nella tua fedeltà e istruiscimi.
Alleluia.
VANGELO (Mt 22,34-40)
Amerai il Signore tuo Dio, e il tuo prossimo come te stesso.
+ Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?».
Gli rispose: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

Parola del Signore
* * *
Commento a cura di padre Raniero Cantalamessa ofmcapp.
"Amerai il prossimo tuo come te stesso”. Aggiungendo le parole “come te stesso!”, Gesù ci ha messi davanti uno specchio al quale non possiamo mentire; ci ha dato un metro infallibile per scoprire se amiamo o no il prossimo. Noi sappiamo benissimo, in ogni circostanza, cosa significa amare noi stessi e cosa vorremmo che gli altri facessero per noi. Gesú non dice, si badi bene: “Quello che l’altro fa a te, tu fallo a lui”. Questo sarebbe ancora la legge del taglione: “Occhio per occhio, dente per dente”. Dice: quello che tu vorresti che l’altro facesse a te, tu fallo a lui (cf. Mt 7,12), che è ben diverso.

Gesù considerava l’amore del prossimo come il “suo comandamento”, quello in cui si riassume tutta la Legge. “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 15, 12). Molti identificano l’intero cristianesimo con il precetto dell’amore del prossimo, e non hanno del tutto torto. Dobbiamo però cercare di andare un po’ oltre la superficie delle cose. Quando si parla di amore del prossimo il pensiero va subito alle “opere” di carità, alle cose che bisogna fare per il prossimo: dargli da mangiare, da bere, visitarlo; insomma aiutare il prossimo. Ma questo è un effetto dell’amore, non è ancora l’amore. Prima della beneficenza viene la benevolenza; prima che fare il bene, viene il volere bene.

La carità deve essere “senza finzioni”, cioè sincera (alla lettera, “senza ipocrisia”) (Rom 12, 9); si deve amare “di vero cuore” (1 Pt 1,22). Si può infatti fare la carità e l’elemosina per molti motivi che non hanno nulla a che vedere con l’amore: per farsi belli, per passare da benefattori, per guadagnarsi il paradiso, perfino per rimorso di coscienza. Molta carità che facciamo ai paesi del terzo mondo, non è dettata da amore, ma da rimorso. Ci rendiamo infatti conto della differenza scandalosa che esiste tra noi e loro e ci sentiamo in parte responsabili della loro miseria. Si può mancare di carità, anche nel “fare la carità”!

È chiaro che sarebbe un errore fatale contrapporre tra di loro l’amore del cuore e la carità dei fatti, o rifugiarsi nelle buone disposizioni interiori verso gli altri, per trovare in ciò una scusa alla propria mancanza di carità fattiva e concreta. Se tu incontri un povero affamato e intirizzito dal freddo, diceva san Giacomo, a che gli giova se gli dici: “Poveretto, va’, scaldati, mangia qualcosa!”, ma non gli dai nulla di ciò di cui ha bisogno? “Figlioli, aggiunge l’evangelista Giovanni, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità” (1 Gv 3,18). Non si tratta dunque di svalutare le opere esteriori di carità, ma di far sì che esse abbiamo il loro fondamento in un genuino sentimento di amore e benevolenza.

Questa carità del cuore o interiore è la carità che tutti e sempre possiamo esercitare, è universale. Non è una carità che alcuni -i ricchi e i sani- possono solo dare e gli altri -i poveri e i malati- solo ricevere. Tutti possono farla e riceverla. Inoltre è concretissima. Si tratta di cominciare a guardare con occhio nuovo le situazioni e le persone con cui ci troviamo a vivere. Quale occhio? Ma è semplice: l’occhio con cui vorremmo che Dio guardasse noi! Occhio di scusa, di benevolenza, di comprensione, di perdono...

Quando questo avviene, tutti i rapporti cambiano. Cadono, come per miracolo, tutti i motivi di prevenzione e di ostilità che impedivano di amare una certa persona e questa comincia ad apparirci per quello che è nella realtà: una povera creatura umana che soffre per le sue debolezze e i suoi limiti, come te, come tutti. È come se la maschera che gli uomini e le cose hanno posto sul suo volto venisse a cadere e la persona ci apparisse per quello che è veramente.