giovedì 25 agosto 2011

Martirologio del 26 agosto

Oggi 26 agosto ricordiamo la figura di:


Tichon di Zadonsk (1724-1783), pastore e monaco

Nel 1783 muore Tichon di Zadonsk, monaco e vescovo della locale diocesi russa.
Nato a Korotsk nel 1724, Timoteo Savelic Sokolov entrò sedicenne nel seminario di Novgorod. Nel 1758 ricevette la tonsura monastica e fu ordinato presbitero. Eletto vescovo di Voronez nel 1763, Tichon si ritirò dopo soli cinque anni nel monastero di Zadonsk a motivo dei suoi gravi problemi di salute. Conoscitore della teologia latina e del pietismo tedesco, egli contribuì a diffondere una spiritualità improntata alla contemplazione del mistero dell'amore di Dio rivelatosi nel Cristo sofferente. L'attenzione rivolta al mistero della croce lo aiutò così ad affrontare i suoi grandi limiti nei rapporti con la gente - era molto lunatico e collerico - fino a fargli imparare l'accoglienza e la mitezza soprattutto nei riguardi dei piccoli del suo tempo, che non mancò mai di difendere quando se ne presentava la necessità. Per questo divenne uno starec molto caro alla povera gente, e uno dei santi più amati della Russia moderna. Dostoevskij si ispirò anche a lui nel tratteggiare la celebre figura dello starec Zosima nel suo capolavoro I fratelli Karamazov. Tichon trascorse gli ultimi quattro anni della propria esistenza come recluso, preparandosi nella solitudine e nella preghiera all'incontro faccia a faccia con Dio.

TRACCE DI LETTURA

O amore puro, sincero e perfetto!
O luce sostanziale!
Dammi la luce affinché in essa
io riconosca la tua luce.
Dammi la tua luce affinché veda il tuo amore.
Dammi la tua luce affinché veda le tue viscere di padre.

Dammi un cuore per amarti,
dammi occhi per vederti,
dammi orecchi per udire la tua voce,
dammi labbra per parlare di te,
il gusto per assaporarti.
Dammi l'olfatto per sentire il tuo profumo,
dammi mani per toccarti
e piedi per seguirti.

Sulla terra e nel cielo
non desidero che te, mio Dio!
Tu sei il mio solo desiderio,
la mia consolazione,
la fine di ogni angoscia e sofferenza (Tichon di Zadonsk, Dammi luce).

PREGHIERA

Successore degli apostoli,
vanto dei santi vescovi,
dottore della chiesa ortodossa,
prega il Signore di tutti
perché doni a tutti la pace
e abbia grande misericordia delle nostre anime.

(Per approfondimenti sulla figura di Tichon di Zadonsk vedi infra)


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Oggi 26 agosto ricordiamo anche i:



Martiri ebrei del regime stalinista (m. 1952)

Nel 1952, vengono assassinati di nascosto, per ordine di Stalin, ventisei intellettuali ebrei.
Il dittatore sovietico aveva da tempo disposto l'arresto di tutti gli artisti ebrei e la chiusura di ogni istituzione yiddish. Fra gli arrestati si trovano alcuni capi e organizzatori del Comitato ebreo antifascista, che ricoprono un ruolo chiave nella vita culturale ebraica. La loro eliminazione, dopo che sono stati accusati di «nazionalismo giudaico», è disposta per colpire al cuore l'ebraismo russo.

TRACCE DI LETTURA

Perché? Non domandate, non damandate perché! Tutti lo sanno, dal più buono al più malvagio dei gojim: il più malvagio ha dato una mano ai carnefici, il più buono è stato a guardare con gli occhi socchiusi facendo finta di dormire.
No, nessuno chiederà giustizia, nessuno indagherà, nessuno domanderà perché.
Il nostro sangue costa poco, lo si può versare. Ci possono uccidere, ci possono assassinare impunemente
(Yitzhak Katzenelson, da Il canto del popolo ebraico massacrato).


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Approndimenti su:

San Tichone di Zadonsk

Vita, opere e insegnamenti


La stessa commozione il santo manifestava quando si recava in coro per la recita e il canto dell'ufficio divino e il suo servitore afferma che i suoi occhi erano sempre bagnati di pianto, che raramente sorrideva e sovente, quasi all'improvviso, prorompeva: «Signore, perdonami ché io, miserabile, ho peccato davanti a Te»

«Il Nome Divino, egli scrive, è così santo, glorioso, adorabile che ogni nostra adorazione è superflua. Come sole, che ci piaccia o non ci piaccia, risplende ugualmente in cielo e illumina ogni cosa coi suoi raggi, così il Nome Divino, lodato o bestemmiato che sia dagli uomini, rimane sempre il medesimo, eternamente glorioso, santo, terribile e splendido; la sua gloria non ha confini ed è coeterna a Dio stesso, non può avere aumento nè diminuzione. Il Nome Divino contiene in se stesso gli attributi della Divinità che sono propri di Dio soltanto e incomunicabili alla creatura: unità ed eternità della sostanza, onnipotenza, bontà, sapienza, immensità, onniscienza, verità, santità, spiritualità pura»


L 'infanzia di San Tichone

San Tichone al secolo Timoteo Sokolov, figlio del salmista Sabellio Sokolov, nacque nel 1724 nel villaggio di Ko­rock, del distretto di Valdaj in provincia di Novgorod, divenuta alcuni anni dopo archidiocesi di Teofanio Prokopovic. La morte del padre, av­venuta assai presto, lasciò la famiglia nell'indigenza e più tardi San Ti­chone ricorderà così la sua infanzia: «In casa nostra eravamo quattro fratelli e due sorelle; fummo allevati da nostra madre e mio padre non lo ricordo. Il maggiore di noi era salmista, uno scelse il mestiere delle armi e due rimasero a casa. La nostra povertà era estrema. Avvenne un giorno che un vetturino che non aveva figli e sentiva molta simpatia per me, disse a mia madre: "Datemi Tima, lo alleverò e lascerò a lui tutto ciò che possiedo". Mia madre non era aliena dall'accettare e già stava per condurmi da lui quando intervenne il mio fratello maggiore che dis­se: "Se lo affidi al vetturino rimarrà anch'egli vetturino per sempre ed io preferisco ridurmi a mendicare piuttosto che permettere ciò. Cerche­remo di dargli un pò d'istruzione e forse un giorno gli riuscirà di trova­re un posto come sagrestano o salmista". A casa non avevamo niente da mangiare ed io facevo dei lavori pesanti per i contadini unicamente per procurarmi il cibo. Fu allora che a Novgorod venne aperto un semi­nario e mia madre riuscì a farmici entrare; poco dopo essa morì».

Do­po una fanciullezza penosa gli anni del seminario non furono meno du­ri; la borsa di studio di cui il ragazzo beneficiava era minima, nè gli era possibile ottenere aiuti dall'esterno; egli era assorbito dallo studio, an­dava attorno mal vestito senza mai partecipare a svago alcuno. I figli di genitori benestanti si facevano spesso beffe di lui, lo attorniavano agi­tando cenci in luogo di turiboli e dicendo: «Onore a te». Più tardi il san­to annoterà: «Quando divenni arcivescovo a Novgorod parecchi dei miei antichi compagni di scuola si presentarono per ricevere la benedizione ed io dissi loro: "Fratelli, voi ridevate di me quando eravamo ragazzi in seminario e mi sventolavate davanti gli stracci ma ora venite a render­mi onore". Essi (alcuni allora erano diaconi o preti) mi risposero: "Perdonaci, Santità.". Ed io: "Sto scherzando, fratelli"».

Gli anni del seminario

Quando Tichone entrò al seminario di Novgo­rod nel dicembre 1738, gli studenti erano mille, ma gli insegnanti solo due. Prima dell'avvento di Pietro il Grande la Russia, e in particolar modo la provincia russa, contava pochissime scuole regolari e allo Zar si deve appunto la fondazione di un gran numero di scuole destinate alla picco­la nobiltà. Lo Zar costrinse inoltre i vescovi ad aprire nelle loro diocesi dei seminari e delle scuole ecclesiastiche preparatorie al seminario ed ob­bligò a frequentarle i figli dei preti e dei diaconi, che in Russia contrae­vano matrimonio come pure in tutto il resto dell'Oriente, nonché i figli dei salmisti e dei sagrestani. Gli insegnanti, in numero molto esiguo e del tutto insufficiente, provenivano per la maggior parte dall'Ucraina. L'organizzazione dei seminari russi, secondo il modello dì Kiev, era di tipo cattolico e più precisamente gesuita; per circa centocinquanta anni il clero russo compì i suoi studi in lingua latina allo stesso modo di quel­lo cattolico. In un primo tempo, come già si è visto, i professori dei se­minari russi furono tutti ucraini di Kiev e per circa cinquant'anni tutte le sedi episcopali russe come pure gli uffici di Rettori dei seminari e di decani delle cattedrali, per non parlare della direzione delle più impor­tanti abbazie, furono occupati da prelati ucraini.

Quando Tichone vi entrò nel 1740 insieme ad altri duecento allievi, il seminario di Novgorod era installato in alcuni edifici appartenenti al monastero di Sant'Antonio Romano (+ 1147). Questo santo originario di Roma e appartenente con probabilità all'ordine benedettino, aveva lasciato l'Occidente, si era stabilito a Novgorod e vi aveva fondato un grande monastero di rito bizantino. Durante la sua permanenza al semi­nario (resa possibile da una borsa di studio che aveva ricevuto), San Ti­chone studiò un anno la sintassi, un altro ancora i poeti; fece poi quat­tro anni di retorica e dì greco, la quale lingua insegnò poi nel seminario stesso mentre era ancora studente, quindi due anni di filosofia, alla qua­le seguirono gli studi teologici; nel 1754, dopo quattordici anni, egli ave­va terminato. Rimase però in seminario per altri cinque anni in qualità d'incaricato di retorica e filosofia e di prefetto del seminario stesso; il 27 agosto 1758 fece professione religiosa assumendo il nome di Tichone; fu poi ordinato sacerdote. Il 26 agosto 1759 fu nominato archimandrita del monastero di Zeltikov nella diocesi di Tver, quindi archimandrita del monastero di Otroc, là dove due secoli innanzi era stato relegato Massi­mo il Greco, e poi rettore del seminario di Tver. Due anni dopo, in età cioè di 37 anni, Tichone era già vescovo.

Nei suoi scritti Tichone lasciò un resoconto della sua nomina alla cat­tedra vescovile. In un giorno di Pasqua Atanasio, vescovo di Tver, stava celebrando il pontificale e Tichone concelebrava. Durante il canto del Kerubikon Tichone, rivolgendosi al vescovo che in quel momento si tro­vava alla Protesi, disse: «Ricordatevi di me, Santità». Il vescovo invece di rispondere: «Dio si ricordi della vostra archimandria», disse per sba­glio: «Dio ricordi la vostra diocesi»; poi, accorgendosi dell'errore, sorri­se e aggiunse: «Dio vi conceda di essere vescovo». Nello stesso giorno, a Pietroburgo, il metropolita Demetrio Secenov ed Epifanio, vescovo di Smolensk, stavano sorteggiando la nomina di un nuovo vescovo su tre candidati. Epifanio fece pure il nome di Tichone e Demetrio, dopo aver obiettato che era ancora troppo giovane, aggiunse: «Comunque, scenda pure in gara». Per tre volte si tirarono le sorti e il designato fu sempre Tichone. Infine il metropolita disse: «Questa deve essere la volontà di Dio benché io desiderassi di mandarlo al monastero della Santissima Tri­nità».

Tichone vescovo di Keksolm e poi di Voronez

A Pietroburgo, il 13 maggio 1761, Tichone fu consacrato vescovo di Keksolm e Ladoga; De­metrio Secenov, metropolita di Novgorod, ma di fatto primate di Russia e impegnato presso il Santo Sinodo, gli affidò il governo della sua archidiocesi. A Novgorod l'arrivo del nuovo vescovo fu celebrato con splen­dore; più tardi San Tichone racconterà: «Mia sorella, una poverissima vedova, si trovava in mezzo alla folla che assisteva alla cerimonia; a Valdaj essa si era guadagnata la vita lavando i pavimenti delle case dei ric­chi, ma nel periodo in cui ero stato incaricato, d'insegnare al seminario di Novgorod avevo provveduto a lei. Il mattino seguente al mio arrivo le mandai una carrozza; essa arrivò ma era intimorita e non osava entra­re nella mia stanza. Quando apersi la porta e le diedi il benvenuto essa entrò e prese a piangere. "Perché piangi sorella?". "Piango di gioia, es­sa rispose; ricordi la povertà nella quale crescemmo? Ogni tanto ci man­cava perfino il cibo, ora sei salito a un alto ufficio; ieri, tra la folla, io vidi come fosti ricevuto". La esortai a ritornare sovente: "Ora c'è una carrozza per te e cavalli e servitori", le dissi, ma essa obiettò che temeva di stancarmi con le sue visite: "Le tue visite non mi verranno mai a noia, risposi; io ti amo di cuore e ho per te profondo rispetto (essa era infatti la mia sorella maggiore). Ma un mese appena dopo il mio arrivo a Nov­gorod mia sorella morì e la seppellii io stesso. Secondo quanto prescrive il cerimoniale, dopo aver baciato le sacre icone, andai alla bara, ne tolsi il coperchio e benedissi il suo corpo. Mi parve che essa sorridesse, ma Dio solo sa, se ciò era vero o se fu una mia impressione; non posso dirlo. A capo del funerale, durante l'intera funzione e il seppellimento, piansi lacrime amare e potei a malapena celebrare. Ero fuori di me dal dolore: essa era stata una creatura di vita così esemplare!».

Appena stabilito a Novgorod San Tichone fu richiamato a Pietroburgo per provvedere temporaneamente al governo della Chiesa, durante l'assenza dalla capi­tale del Santo Sinodo i cui membri si erano recati a Mosca per partecipare all'incoronazione dell'imperatrice Caterina II; egli portò a termine il compito affidatogli in maniera che tutti ne furono soddisfatti e allora il Sinodo decise di trasferirlo a capo della vastissima diocesi di Voronez nella Russia sud-orientale, per la quale diocesi occorreva un amministra­tore di grandi capacità. Nel suo viaggio verso il meridione Tichone do­vette per obbedienza prendere parte alla tragica cerimonia della deposi­zione di Arsenio Masievic, metropolita di Rostov, che aveva protestato con veemenza contro la secolarizzazione delle terre della Chiesa e aveva fortemente rimproverato all'imperatrice la sua vita dissoluta. La cerimo­nia ebbe luogo in Mosca e impressionò molto Tichone che ne rimase tur­bato e fu d'allora in poi incline alla malinconia.

Nominato vescovo di Voronez il 3 febbraio 1763, Tichone non trascorse giorni troppo felici nella sua nuova diocesi; essa era vastissima e di re­cente fondazione, situata al confine della Russia europea. La popolazio­ne viveva sparpagliata, era rozza e dedita ad ogni specie di vizio, come succede nelle province di confine; il clero era ignorante e di basso livello morale, e per finire, i cosacchi del Don erano gente testarda e ribelle a ogni disciplina. In questa diocesi, dove le chiese erano assai poco fre­quentate, vivevano pure molti scismatici (Raskolniki), conosciuti anche sotto il nome di «Antichi credenti», nonché parecchi membri di altre sette. Tichone si pose al lavoro e cercò di migliorare il livello culturale del cle­ro e quello morale del popolo, ottenendo alcuni risultati. Comunque, do­po appena quattro anni e sette mesi dalla sua nomina, egli chiese improv­visamente al Sinodo di essere esonerato dal suo incarico e autorizzato a ritirarsi in un monastero della stessa diocesi. Il Sinodo fu esterrefatto, ma acconsentì. Tichone dapprima si ritirò nel monastero di Tolsev che però ben presto s'indusse ad abbandonare, un pò a cagione dei dintorni paludosi e un pò per via dì certa simpatia dei monaci verso il movimen­to scismatico che gli era particolarmente dura da sopportare. Prese allo­ra dimora nel monastero di Zadonsk dove visse tredici anni in sempre maggior solitudine e dove morì il 13 agosto 1783, in età di 59 anni.

San Tichone a Zadonsk

A Zadonsk la vocazione di Tichone al misti­cismo si sviluppò pienamente e qui egli scrisse la maggior parte dei suoi libri. Basilio Cebotarev e Ivan Efimov, suoi servitori personali (Keleinìiki: addetti alla cella), ci hanno lasciato una descrizione particolareggiata dì questo periodo della sua vita che mette bene in luce il progresso di Tichone nel cammino spirituale. Durante i pasti, che il vescovo prende­va nella sua stanza, si faceva lettura delle Sacre Scritture: a mezzogiorno il Vecchio Testamento con particolare riguardo al libro del profeta Isaia che Tichone prediligeva e sul quale spesso si commuoveva fino alle lacri­me, e alla sera il Nuovo Testamento che egli amava commentare. Pren­dendo posto a tavola egli usava dire: «Sia glorificato il Signore! Mentre alcuni dei miei fratelli in Cristo vivono imprigionati, altri hanno appena di che nutrirsi ed altri ancora non hanno neppure il sale per condire i loro cibi, io posso nutrirmi convenientemente. Guai a me!».

Passava le notti prostrato in preghiera e gli avveniva di implorare ad alta voce: «Si­gnore, pietà di me! Misericordia, Signore! Datore della vita, abbi pietà di me!». A mezzanotte usciva e compiva il giro della chiesa dalla parte esterna, inginocchiandosi davanti ad ogni porta, pregando e cantando a bassa voce. Quando veniva colto dalla tristezza il vescovo cantava: «Buon per me che ricevo umiliazioni»; nella letizia diceva: «Sia lode a Dio in cielo». Al levar del sole andava poi a coricarsi.

Le prime esperienze mistiche di Tichone e le veglie notturne risalgono all'epoca del suo insegnamento al seminario di Novgorod. Egli confidò una volta a Cebotarev:

«Quando ero a Novgorod amavo passare la not­te in meditazione o leggendo libri di pietà. In una tranquilla notte di mag­gio, serena e dolce (vi prego di conservare il silenzio su ciò che vi dico) uscii sul balcone della mia stanza che guardava verso Nord. Stetti immo­bile meditando sulla beatitudine eterna; di colpo vidi il cielo aprirsi e mi apparve come un mare di luce che nessuna parola umana potrebbe de­scrivere nè lo spirito comprendere. Durò pochi attimi e il cielo si richiu­se, ma dopo questa meravigliosa visione io fui colto da un infuocato desiderio di solitudine e in seguito e per lungo tempo la mia mente fu colma di gioia; ancora oggi quando ci ripenso sento nel cuore una partico­lare esultanza».

Il vescovo assisteva quotidianamente alla Messa e si comunicava la do­menica e nei giorni festivi; così continuò a fare anche quando per l'inde­bolimento non poté più lasciare le sue stanze e recarsi in chiesa rivestito dei paramenti. Dopo il suo ritiro egli non celebrò più il pontificale e a quanto pare neppure la Messa; forse ritenne suo dovere, essendosi riti­rato, di astenersi dalla celebrazione del pontificale; quanto poi a cele­brare come semplice sacerdote, in quel tempo era una cosa ritenuta disdicevole per un vescovo. Alcuni supposero che dopo la rinunzia il Sino­do l'avesse sospeso dalle sue funzioni, ma non se ne ha la minima prova. Come un vero mistico egli si accostava alla Comunione in lacrime e ne ricavava profonda gioia; già secondo San Simeone il Neoteologo, il più grande fra i mistici bizantini, la vera essenza del misticismo consisteva nel dono delle lacrime e chi ne era privo non éra degno di accostarsi alla Comunione o di celebrare. La stessa commozione il santo manifestava quando si recava in coro per la recita e il canto dell'ufficio divino e il suo servitore afferma che i suoi occhi erano sempre bagnati di pianto, che raramente sorrideva e sovente, quasi all'improvviso, prorompeva: «Signore, perdonami ché io, miserabile, ho peccato davanti a Te».

Che il dono delle lacrime sia indice di perfezione lo insegnava pure il grandis­simo Sant' Isacco Siro affermando che nessuno può liberarsi dai fanta­smi dell'immaginazione per giungere alla preghiera pura e conseguire la trasfigurazione se dapprima non è passato attraverso la valle delle lacrime.

A Zadonsk Tichone viveva molto semplicemente: dormiva per terra su un tappeto e due cuscini e un cappotto di pelliccia gli serviva da co­perta; i suoi indumenti erano quanto di più modesto ci fosse e lo si vede­va sovente andare calzato come i contadini; una borsa di cuoio per met­tervi i libri quando viaggiava era tutto ciò che egli possedeva personal­mente. Sulle nude pareti della sua cella erano dipinti una scena della pas­sione del Cristo e un morto steso nella bara che Tichone sovente fissava dicendo: «Parlami, o Signore, della mia fine e fammi conoscere il nume­ro dei miei giorni cosicché io mi renda conto di quel che perdo». Egli però si rimproverava anche questa vita così umile: «Se fosse possibile, vagheggiava, deporrei la mia dignità vescovile ed anche il mio abito reli­gioso; mi farei passare per un semplice contadino e andrei nel più remo­to monastero e mi applicherei ai lavori più pesanti come segare la legna, portare l'acqua e cuocere il pane. E’ un Peccato che ciò in Russia sia im­possibile». Egli parlava pure sovente del monte Athos ricordando i mol­ti suoi fratelli vescovi che, abbandonate le loro diocesi, vivevano da soli­tari in quei monasteri. Allorché gli avveniva d'incontrarsi con un archi­mandrita greco di passaggio e proveniente dal monte Athos, gli piaceva di conversare a lungo sui monasteri di laggiù e sulla vita monastica e, dopo averlo ascoltato con grande attenzione, al momento del commiato lo benediceva dicendogli: «Addio, mio caro, m'inchino ai santi padri del monte Athos e con insistenza chiedo loro di ricordarmi nella preghiera».

Tichone era pure estremamente caritatevole verso i poveri che aiutava sia a mezzo delle sue rendite sia attraverso le ingenti somme che ufficiali co­sacchi, nobili e mercanti gli largivano. Di questo denaro egli ne distri­buiva parte in contanti e col rimanente comprava indumenti per i poveri e bestiame per i contadini; tutto ciò in un'epoca in cui i vescovi russi vi­vevano da gran signori. Egli al contrario si intratteneva volentieri con i contadini, consolava gli orfani e le vedove, provvedeva per i bisognosi e con speciale zelo amministrava ai moribondi gli ultimi Sacramenti e seppelliva i morti. Si deve a lui inoltre la colletta di una forte somma destinata alla ricostruzione della città di Livnij distrutta dalle fiamme nel 1768. Il santo talvolta aiutava pure i suoi parenti, ma moderatamente, e usava dire: «I miei fratelli devono lavorare senza aspettarsi alcunché di speciale da me; quanto più io li beneficassi tanto più vanitosi divente­rebbero».

La vita di San Tichone, che raramente usciva e ancora più raramente si metteva in viaggio, fu suppergiù quella di un solitario. A Zadonsk egli fu oggetto di rapimenti e favorito di visioni. Un giorno dell'anno 1775 egli si trovava in preghiera: «Signore, implorò, mostrami il luogo prepa­rato per coloro che Ti amano e che cos'è eleon». Recatosi poi di fronte all'altare fu rapito in contemplazione e vide il cielo aprirsi, tutto il mo­nastero illuminarsi e udì una voce che diceva: «Ecco ciò che Dio prepara a coloro che lo amano»: una bellezza indescrivibile apparve ai suoi occhi ed egli atterrito cadde a terra; a stento riuscì poi a trascinarsi fino alla sua cella. Nel 1778 e 1779 vide la Madonna. Nel Natale del 1779 Ticho­ne si recò per l'ultima volta alla chiesa del monastero ma in mezzo a quell'immensa folla si sentì stanco e da allora non abbandono più la cella e non ricevette più nessuno; si chiuse nel silenzio e smise di commentare la Bibbia ai suoi servi.

Tre giorni prima della sua morte gliene era stato rivelato il giorno. Il santo chiuse gli occhi il 13 agosto 1783 alle ore 6,45 del mattino. Già da cinque anni la sua bara era pronta ed egli aveva chiesto di essere seppellito come semplice monaco, ma Tichone III, vescovo di Voronez, che lo aveva in venerazione, ordinò che fosse rive­stito degli abiti pontificali, come prescrivono le rubriche ed officiò egli stesso la sepoltura. Subito dopo la morte del santo vescovo incomincia­rono i pellegrinaggi alla sua tomba che ben presto divennero numerosi e imponenti; alcuni decenni dopo, durante il regno dì Nicola I, la Chiesa russa lo canonizzò e d'allora in poi la sua santità divenne celebre specialmente fra i monaci.

Gli scritti di San Tichone

San Tichone lasciò numerosi scritti la cui edizione migliore è la sesta che va sotto il titolo di Opera Omnia in cinque volumi, pubblicata a Mosca nel 1898-1899 per iniziativa del Sinodo russo. Nel primo volume sono inclusi gli scritti appartenenti all'epoca del suo rettorato al Seminario di Tver e della sua attività di vescovo dio­cesano; si tratta per lo più di istruzioni destinate al clero, di sermoni e di meditazioni di argomento diverso. Nel secondo e nel terzo volume si trova l'opera principale di Tichone, intitolata Sul vero cristianesimo; il quarto volume contiene il Tesoro spirituale ammassato nel mondo e il quinto una parte delle lettere del santo e i ricordi della vita di lui dovuti alla penna di B. Cebotarev e I. Efimov. Tanto la spiritualità del cattoli­cesimo post-tridentino che aveva così influito su San Demetrio di Ro­stov, quanto quella esicastica di San Nilo di Sora sono ugualmente as­senti dal pensiero di San Tichone che si potrebbe piuttosto definire evangelico, basato com'è sulla Sacra Scrittura. Nonostante siano rare nei suoi scritti le citazioni dei Padri e dei mistici in genere, l'evangelismo di Ti­chone non è di tipo protestante anche se egli lascia trasparire una forte simpatia per gli evangelici inglesi e i pietisti tedeschi.

Lo scritto Sul vero cristianesimo risale agli anni 1770 e 1771 e fu pub­blicato la prima volta a Pietroburgo nel 1785 dal mercante moscovita Timoteo Polezaev che gli diede lo stesso titolo della famosa opera di Gio­vanni Arndt, pietista tedesco. Lo scritto apparve in seguito sotto il titolo di: Sul vero cristianesimo, compendio sull'insegnamento della vera fe­de, sulla santa vita, la penitenza salutare, il fervore del cuore, il dolore dei peccati e la condizione di sinceri cristiani; contenente inoltre istru­zioni sul come i veri cristiani possono sfuggire al peccato, alla morte, al demonio, al mondo e ad ogni possibile sciagura. Nell'Opera Omnia il titolo ritornerà poi ad essere quello originale del manoscritto. Nono­stante l'identità del titolo e il fatto che San Tichone fosse a conoscenza dello scritto di Arndt, fra le due opere vi è ben poco di comune. Sul vero cristianesimo fu in Russia molto apprezzato dai teologi e prelati della generazione seguente, fra i quali il metropolita di Mosca, Platone Lev­sin, il metropolita di Kiev, Eugenio Bolchovitinov e il metropolita di Nov­gorod, Michele Desnicki.

Questo librò in due volumi che è impossibile riassumere in breve, sot­tolinea la necessità dello studio delle Scritture e di una vita conforme ad esse. Nei primi capitoli si discute del cuore e del bene e del male che ne provengono, di vari peccati e passioni e delle loro conseguenze; segue poi una trattazione della penitenza e dei suoi frutti, della morte e del giu­dizio finale e infine un'esposizione delle virtù cristiane. Nella seconda parte ci si richiama alla Scrittura, si accenna alla fede, alla vita sacramentale, alla preghiera e ai doveri cristiani. Lo stile dell'opera è sempli­ce e piacevole, la dottrina solida e per illustrarne il contenuto è meglio ricorrere direttamente alle parole dell'autore.

La preghiera

«La vera preghiera, egli dice nel capitolo a questa dedi­cato, proviene dalla speranza. Così come noi non chiediamo alcunché a coloro dai quali non speriamo soddisfazione, non denaro ai poveri, consiglio agli sciocchi o aiuto ai deboli, allo stesso modo chi non spera di ottenere da Dio ciò di cui abbisogna non si rivolge a Lui ma a creature impotenti. Ai buoni e ai generosi, invece, si chiede aiuto nella speranza di ottenerlo, e così coloro che hanno ferma e incrollabile fiducia nella bontà di Dio a Lui chiedono perdono e assistenza... La preghiera, dice San Basilio il Grande nel sermone su Giulitta Martire, è la richiesta del bene che l'uomo pio rivolge a Dio. Ogni momento è opportuno per pre­gare, il giorno e la notte, la sera e il mattino. Non sempre gli uomini possono compiacere ai nostri desideri: o sono indaffarati o ammalati o altrimenti impegnati; non così Dio che è sempre pronto e sempre libero. Mentre viviamo nel mondo abbiamo sempre accesso a Lui; Egli è sem­pre disposto ad ascoltarci e nell'inesauribilità del suo Essere ad accorda­re la Grazia a quelli che la chiedono».

«Se è impossibile chiedere qualcosa agli uomini senza esprimersi con parole, non così con Dio che scruta i cuori e conosce i più riposti deside­ri e le più intime aspirazioni; non ci chiede parole Colui che conosce i nostri pensieri presentì e futuri e per il quale non c'è differenza fra paro­la e pensiero. Dice il Salmo 9: "Dio ha ascoltato il desiderio degli umili ed ha accolto le aspirazioni del loro cuore". Altrove il Salmista dice: "Tu hai scrutato i miei pensieri di lontano" (Ps., 139, 2). La preghiera può essere formulata con la mente e nella Scrittura sta detto di Anna, madre di Samuele: "Essa pregava nel suo cuore, le sue labbra si muovevano ma la sua voce non si udiva" (I Re, I, 13)».

«Assolutamente vana è invece quella preghiera che muove le labbra senza muovere il cuore, che proferisce parole ma non aderisce con la men­te, che si riduce insomma a un suono sensibile senza impegnare l'anima. Il suono e la voce devono corrispondere a un anelito interiore, non altro essere che la manifestazione di una condizione intima. Quando le labbra dicono una cosa e la mente ne pensa un'altra manca l'accordo e la pre­ghiera non è più tale; dobbiamo perciò fare del nostro meglio per unifi­care le nostre potenze, sia sensibili che spirituali, in guisa che mentre la bocca parla il cuore soppesi le parole pronunziate e le ascolti e la mente le mediti».

In un altro capitolo, sempre parlando della preghiera, San Tichone aggiunge: «Si può pregare stando seduti, camminando, lavo­rando, dormendo, quando si è soli e quando sì è in compagnia; in qual­siasi posto e in qualsiasi momento, anche durante le occupazioni più umili o più contingenti, possiamo elevare la nostra mente a Dio, fargli presen­ti le nostre necessità con fede e sottomissione e implorare la Sua miseri­cordia». Egli afferma più oltre: «Colui che assurdamente recita molte preghiere o fa frequenti prostrazioni senza che il suo cuore, con debita attenzione e umiltà, sia animato da fervore, quel tale non può asserire di pregare».

Nella dottrina di San Tichone sulla preghiera si trovano elementi di affinità con l'esicasmo, benché la preghiera di Gesù non sia espressamente nominata. Già si è visto che per lui ogni pratica di pietà e ogni penitenza puramente esteriori non possono essere considerate come vera preghie­ra, la quale anzi, nella sua forma più alta o per meglio dire nella sua unica vera forma, è contemplazione, elevazione cioè della mente e del cuore a Dio in un anelito che non si esprime a parole; contemplazione che non è preghiera giaculatoria, condizionata a uno sforzo di attenzio­ne e alla perseveranza, ma infusa per mezzo dello Spirito di Dio che par­la nel cuore. La Grazia dello Spirito è gratuita e non può essere ottenuta attraverso lo sforzo umano; essa investe l'anima purificata dai peccati, esercitata nelle virtù e preparata a ricevere l'infusione dello Spirito Santo.

Sul nome divino

Tichone, come già gli esicasti, afferma l'assoluta san­tità e potenza del Nome Divino: «Il Nome Divino, egli scrive, è così san­to, glorioso, adorabile che ogni nostra adorazione è superflua. Come sole, che ci piaccia o non ci piaccia, risplende ugualmente in cielo e illu­mina ogni cosa coi suoi raggi, così il Nome Divino, lodato o bestemmia­to che sia dagli uomini, rimane sempre il medesimo, eternamente glorio­so, santo, terribile e splendido; la sua gloria non ha confini ed è coeterna a Dio stesso, non può avere aumento nè diminuzione. Il Nome Divino contiene in se stesso gli attributi della Divinità che sono propri di Dio soltanto e incomunicabili alla creatura: unità ed eternità della sostanza, onnipotenza, bontà, sapienza, immensità, onniscienza, verità, santità, spiritualità pura. Questi attributi divini ci sono rivelati dallo Spirito Santo che in vari modi ce li manifesta a illustrazione delle nostre menti e a glo­ria di Dio».

Il Tesoro Spirituale ammassato nel mondo

Il quarto volume dell'Opera omnia contiene parecchie dissertazioni che il santo scrisse negli an­ni 1777-1779, cioè immediatamente prima del suo definitivo ritiro dal mondo e la più importante delle quali è intitolata: Il Tesoro Spirituale ammassato nel mondo. Per stendere questo lavoro Tichone impiegò quasi tre anni e nel 1784, a Piétroburgo, ne uscì la prima edizione, seguita poi da molte altre. Il metropolita di Kiev Eugenio Bolchovitinov dà un elen­co degli scritti di San Tichone, in appendice alla vita del medesimo, e nota come questo trattato sia assai simile ad un libriccino scritto in la­tino dall'anglicano Joseph Hall, vescovo di Oxford, e stampato anche a Mosca, nel 1786, sotto il titolo di Meditazioni improvvisate sotto l'istantaneo effetto di alcune impressioni. Ma in realtà benché Tichone co­noscesse il lavoro di Hall, questo non ha niente in comune col suo, fatta eccezione del metodo e modo di esposizione. Nel Tesoro noi troviamo un gran numero di meditazioni cui dà lo spunto l'osservazione del mon­do, sia da un punto di vista puramente naturale (astri e stagioni) che ti­picamente umano: rapporti fra padri e figli, la condizione del matrimo­nio, le varie attività e mestieri.

Fra queste meditazioni ve n'è una sulla quale è bene soffermarsi per­ché particolarmente significativa e rivelatrice della spiritualità di Tichone; essa s'intitola Acqua che scorre:

«La nostra vita è tutto ciò che in essa avviene, egli dice, è come acqua che scorre. Nel, fiume l'acqua scor­re incessantemente e se ne va portando via con sé tutto ciò che galleggia sulla superficie. Così, o cristiano, è la nostra vita; insieme con essa scom­pariranno e la miseria e la felicità. Alcuni anni fa io non ero ed ora sono nel mondo in mezzo ad altre creature. Dice infatti il Salmista: "La Tua mano mi ha creato e plasmato" (Ps., 118, 73). Ero poi un bambino e la fanciullezza è passata; ero un adolescente ed ho cessato di esserlo; ero un giovane e la gioventù se n'è andata; ero un uomo maturo e forte e non lo sono più. Ora i miei capelli sono bianchi ed io stanco, ma anche la vecchiaia passerà; la fine si avvicina e sto andando incontro al destino comune; sono nato per morire, morirò per vivere». «Ricordati di me, o Signore, nel Tuo Regno!».

Tichone prosegue la sua analisi ricordando il fugace alternarsi delle condizioni umane: durante il corso della vita si esperimentano alternativamente integrità fisica e malattia, onori e biasimi, felicità e infelicità, tristezza e gioia. Una cosa succede all'altra, i giorni passano, tutto ritor­na per scomparire di nuovo. «Tale è il mondo e la sua coerenza, tale la nostra vita quaggiù». Dove sono i tempi della gioia e dell'onore, del go­dimento e del benessere? La loro consolazione è sfumata come pure è sfumato il tempo della tristezza con i rimproveri e i biasimi che ci hanno colpito. Il tempo trascorso, sia nella felicita che nella miseria, ci appare oggi come un sogno e come un sogno ci apparirà alla fine della vita quel tratto che oggi ci resta ancora da vivere «In quel giorno ricorderemo il nostro passato come si ricorda un sogno».

«Ma non sarà così nella vita futura e lo insegnano la parola di Dio e la nostra fede; in quella vita senza fine e senza mutamento, quando il nostro corpo sarà per sempre libero da malattie vecchiaia, morte e putrefazione, divenuto immortale, spirituale e immutabile. Gli eletti per volere di Dio vedranno Lui faccia a faccia e la gloria, l’onore, il riposo la pace e la consolazione rimarranno con essi per sempre, come membra unite al capo essi regneranno eternamente con Cristo»

Particolarmente profonda è pure la meditazione dal titolo Vaso colmo e vuoto:

«Il cuore dell'uomo è come un vaso: se già è colmo non può ricevere altro, ma se è vuoto è pronto per essere colmato; perciò noi vuotiamo quel recipiente che vogliamo altrimenti riempire. Così il cuore dell'uomo, libero dal desiderio del mondo, è pronto per ricevere il Dio dell'amore ma se il mondo e la sua concupiscenza se ne sono impadroni­ti l'amore divino non può più colmarlo. Per questo, o cristiani, dobbia­mo svuotare il nostro cuore della vanità terrena e volgerlo a Dio, unico eterno bene. Soltanto allora l'amore divino ci penetrerà e noi gusteremo la soavità del Signore (Ps., 33, 9)».

L 'Epistolario

Il quinto volume dell'Opera Omnia contiene le cosid­dette «Lettere dalla cella» (Kelejnyja Pisma) che, pubblicate una prima

volta a Pietroburgo nel 1784, incontrarono talmente il favore del pub­blico da raggiungere, alla fine del secolo scorso, la quarantaduesima edi­zione. Si tratta complessivamente di 125 scritti o meditazioni su argo­menti vari, quali, per esempio, il numero degli eletti, la gioia della Cro­ce, i doveri cristiani. Nel volume sono pure incluse 62 lettere, indirizzate a più persone e di tipo, volta a volta, catechetico, apologetico, morale.

Ad un monaco di un convento moscovita che senza sua colpa pativa per­secuzione, il santo scrive:

«Sappi che in qualsiasi luogo il Maligno cer­cherà di turbarti, sia servendosi degli uomini sia per mezzo di te stesso. Godrai della pace dello spirito solo a patto di sopportare in silenzio, con pazienza e rassegnazione ciò che la vita, attraverso te stesso o i tuoi simi­li, ti infligge. Nel mondo l'anima pia abita una strana dimora popolata di affanni che cesseranno soltanto con il ritorno alla patria celeste».

Nella lettera n. 31 Tichone sottolinea l'importanza della pace interio­re.

«La serenità di spirito, egli afferma, è la più alta felicità che si possa conseguire nel mondo e senza di essa non sì riesce a gustare più nulla; come ci rendiamo conto dì che cosa sia la salute quando questa viene a mancare, così impariamo ad apprezzare la pace dello spirito quando per effetto di contrasti interiori ci sentiamo preda del male, della paura o della confusione di mente. Ma come il mare per l'alta e bassa marea è in continuo movimento, così è della nostra vita che non conosce ripo­so. L'uomo cerca la pace e va pellegrinando di luogo in luogo per tro­varla, ma la sua ricerca è vana perché la pace non è di questo mondo. Dalla vanità del mondo egli si ritira allora, nella solitudine ma là incon­tra tentazioni più numerose e sottili, inerenti a se stesso od opera di dia­boliche suggestioni; da ogni parte, poi, lo scandalo ci circonda e ci turba il cuore, per cui sta scritto: "Guai al mondo per lo scandalo!". Eppure, sebbene il cristiano in quanto uomo non possa raggiungere una pace per­fetta a cagione delle tentazioni cui è continuamente sottoposto, vi è una pace che egli può e deve possedere, sempre e in ogni circostanza; essa è il frutto di una coscienza tranquilla che il peccato non rimorde e che permette all'anima, fortificata dalla prova, di sentirsi ai sicuro in un ri­fugio quieto. Di tale specie è la nostra felicità in questo mondo».

Nella stessa lettera Tichone raccomanda la lettura delle opere di Giovanni Arndt, dimostrando così di conoscerle: «Leggi Arndt», è il suo consiglio.

In uno scritto indirizzato ad un amante della solitudine, un certo Ivan Michailovic, Tichone parla della struttura della vita spirituale. Egli af­ferma che la lettura della Bibbia e di altri libri cristiani c'insegna a cono­scere noi stessi e il nostro cuore; ma una conoscenza più profonda di noi medesimi scaturisce dalle tentazioni che patiamo, sia per opera del de­monio e di uomini malvagi sia a causa della nostra intrinseca debolezza. La tentazione ha un fine analogo a quello della medicina che si prende per espellere dallo stomaco il cibo non digerito, essa ha lo scopo di rive­larci che cosa si nasconde nel nostro cuore; sovente infatti noi nutriamo una certa qual opinione di noi stessi che la tentazione s'incarica di di­struggere. L'esperienza della tentazione c'insegna così che il vero riposo non è cosa di questo mondo; infatti, se viviamo in società con gli altri uomini siamo incalzati dagli scandali e dalla cattiveria altrui, se ci rifu­giamo nella solitudine diveniamo ancora più gravemente vittime della no­stra personale miseria e delle suggestioni del demonio. Così insegna l'e­sperienza. Si deve perciò concludere che se è possibile ottenere in questa vita una certa pace, essa è condizionata alla purezza del cuore che ci tie­ne lontani da ogni timore e alla pazienza che padroneggia e placa i moti tempestosi dell'animo. La pazienza però non scaturisce dalla piacevo­lezza del quieto vivere ma dalla ferma sopportazione dei dolori e delle prove, e la purezza del cuore è il risultato di un sincero pentimento e di una rettificazione della vita in conformità alla parola di Dio. Queste due virtù sono inseparabili: mentre l'una conserva la parola divina l'altra re­siste saldamente a tutto ciò che ad essa si oppone e preserva il cuore dal­la corruzione della colpa.

Tichone infine sottolinea che al mondo futu­ro, e ad esso soltanto, appartiene quella pace vera, eterna, perfetta che la Scrittura chiama riposo. Al quinto volume dell'Opera Omnia, sono pure incorporate le Memorie di Basilio Cebotarev e Ivan Efimov, cui si è accennato sopra.

La personalità di San Tichone

La personalità di San Tichone suscitò molta ammirazione non solo fra il popolo e i monaci, ma anche in pa­recchi uomini eminenti; Fedor Dostoevskij, il grande genio russo, ne fu particolarmente impressionato e se ne servì per tratteggiare la figura del­lo starec Zosimo nei Fratelli Karamazov, il suo più grande romanzo. Per la verità, nello starec Zosimo vi è appena una parziale rievocazione della spiritualità di Tichone; parecchi suoi tratti caratteristici infatti si riscon­trano anche nel grande starec di Optino, Padre Ambrogio, che Dostoevskij ebbe occasione di avvicinare personalmente; né va dimenticato che alla fusione di due personalità così dissimili Dostoevskij aggiunse elementi di sua propria creazione, pur ammettendo esplicitamente l'influsso di Tichone a questo proposito. È di notevole importanza che attualmente in Russia, dove fino a tempi recenti ogni scritto di argomento religioso o teologico veniva severamente proibito, grazie all'opera di Dostoevskij il popolo e in particolare la gioventù siano stati posti di fronte alla figu­ra del Cristo e agli esempi dei grandi starci del passato. Fra questi va annoverato Paisio Velickovskij, contemporaneo di San Tichone e guida e maestro di quei famosi starci di Optino che ebbero a loro volta così singolare influsso su tanti uomini eminenti, quali Gogol, Dostoevskij, Tolstoj, Leontiev, Soloviev, Rozanov ed altri. È merito di Paisio l'aver dato inizio dal suo monastero di Neamtu nella Moldavia alla rinascita del monachesimo che servì di base allo sviluppo e alla singolare afferma­zione del misticismo russo nel seguente secolo XIX.

Tratto da: Serge Bolshakoff, INCONTRO CON LA SPIRITUALITA’ RUSSA, Società Editrice Internazionale – Torino, a cui si rimanda per le note e l’approfondimento.