sabato 29 ottobre 2011

1 Novembre: Solennità di Tutti i Santi - Testi e commenti

Di seguito i testi della Solennità del 1 Novembre prossimo, con la seconda lettura dell'Ufficio e qualche commento.


1 NOVEMBRE
TUTTI I SANTI
Solennità

Affrettiamoci verso i fratelli che ci aspettano

Dai «Discorsi» di san Bernardo, abate (Disc. 2; Opera omnia, ed. Cisterc. 5 [1968] 364-368)
A che serve dunque la nostra lode ai santi, a che il nostro tributo di gloria, a che questa stessa nostra solennità? Perché ad essi gli onori di questa stessa terra quando, secondo la promessa del Figlio, il Padre celeste li onora? A che dunque i nostri encomi per essi? I santi non hanno bisogno dei nostri onori e nulla viene a loro dal nostro culto. E' chiaro che, quando ne veneriamo la memoria, facciamo i nostri interessi, non i loro.
Per parte mia devo confessare che, quando penso ai santi, mi sento ardere da grandi desideri.
Il primo desiderio, che la memoria dei santi o suscita o stimola maggiormente in noi, è quello di godere della loro tanto dolce compagnia e di meritare di essere concittadini e familiari degli spiriti beati, di trovarci insieme all'assemblea dei patriarchi, alle schiere dei profeti, al senato degli apostoli, agli eserciti numerosi dei martiri, alla comunità dei confessori, ai cori delle vergini, di essere insomma riuniti e felici nella comunione di tutti i santi.
Ci attende la primitiva comunità dei cristiani, e noi ce ne disinteresseremo? I santi desiderano di averci con loro e noi e ce ne mostreremo indifferenti? I giusti ci aspettano, e noi non ce ne prenderemo cura? No, fratelli, destiamoci dalla nostra deplorevole apatia. Risorgiamo con Cristo, ricerchiamo le cose di lassù, quelle gustiamo. Sentiamo il desiderio di coloro che ci desiderano, affrettiamoci verso coloro che ci aspettano, anticipano con i voti dell'anima la condizione di coloro che ci attendono. Non soltanto dobbiamo desiderare la compagnia dei santi, ma anche di possederne la felicità. Mentre dunque bramiamo di stare insieme a loro, stimoliamo nel nostro cuore l'aspirazione più intensa a condividerne la gloria. Questa bramosia non è certo disdicevole, perché una tale fame di gloria è tutt'altro che pericolosa.
Vi è un secondo desiderio che viene suscitato in noi dalla commemorazione dei santi, ed è quello che Cristo, nostra vita, si mostri anche a noi come a loro, e noi pure facciamo con lui la nostra apparizione nella gloria. Frattanto il nostro capo si presenta a noi non come è ora in cielo, ma nella forma che ha voluto assumere per noi qui in terra. Lo vediamo quindi non coronato di gloria, ma circondato dalle spine dei nostri peccati.
Si vergogni perciò ogni membro di far sfoggio di ricercatezza sotto un capo coronato di spine. Comprenda che le sue eleganze non gli fanno onore, ma lo espongono al ridicolo.
Giungerà il momento della venuta di Cristo, quando non si annunzierà più la sua morte. Allora sapremo che anche noi siamo morti e che la nostra vita è nascosta con lui in Dio.
Allora Cristo apparirà come capo glorioso e con lui brilleranno le membra glorificate. Allora trasformerà il nostri corpo umiliato, rendendolo simile alla gloria del capo, che è lui stesso.
Nutriamo dunque liberamente la brama della gloria. Ne abbiamo ogni diritto. Ma perché la speranza di una felicità così incomparabile abbia a diventare realtà, ci è necessario il soccorso dei santi. Sollecitiamolo premurosamente. Così, per loro intercessione, arriveremo là dove da soli non potremmo mai pensare di giungere.

MESSALE

Antifona d'Ingresso
Rallegriamoci tutti nel Signore
in questa solennità di tutti i Santi:
con noi gioiscano gli angeli
e lodano il Figlio di Dio.



Colletta

Dio onnipotente ed eterno, che doni alla tua Chiesa la gioia di celebrare in un'unica festa i meriti e la gloria di tutti i Santi, concedi al tuo popolo, per la comune intercessione di tanti nostri fratelli, l'abbondanza della tua misericordia. Per il nostro Signore...



LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura
Ap 7,2-4.9-14
Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua.

Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo
Io, Giovanni, vidi salire dall’oriente un altro angelo, con il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli, ai quali era stato concesso di devastare la terra e il mare: «Non devastate la terra né il mare né le piante, finché non avremo impresso il sigillo sulla fronte dei servi del nostro Dio».
E udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila segnati, provenienti da ogni tribù dei figli d’Israele.
Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. E gridavano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello».
E tutti gli angeli stavano attorno al trono e agli anziani e ai quattro esseri viventi, e si inchinarono con la faccia a terra davanti al trono e adorarono Dio dicendo: «Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen».
Uno degli anziani allora si rivolse a me e disse: «Questi, che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?». Gli risposi: «Signore mio, tu lo sai». E lui: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello».


Salmo Responsoriale
Dal Salmo 23
Ecco la generazione che cerca il tuo volto, Signore.

Del Signore è la terra e quanto contiene:
il mondo, con i suoi abitanti.
È lui che l’ha fondato sui mari
e sui fiumi l’ha stabilito.

Chi potrà salire il monte del Signore?
Chi potrà stare nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro,
chi non si rivolge agli idoli.

Egli otterrà benedizione dal Signore,
giustizia da Dio sua salvezza.
Ecco la generazione che lo cerca,
che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe.


Seconda Lettura 1 Gv 3,1-3
Vedremo Dio così come egli è.

Dalla lettera prima lettera di san Giovanni apostolo
Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui.
Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.
Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro.


Canto al Vangelo
Mt 11,28
Alleluia, alleluia.

Venite a me,
voi tutti che siete affaticati e oppressi,
e io vi darò ristoro.

Alleluia.


Vangelo
Mt 5,1-12a
Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.

Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli». Parola del Signore.


* * *





Ma come possiamo divenire santi, amici di Dio?
Per essere santi non occorre compiere azioni e opere straordinarie,
né possedere carismi eccezionali.
E' necessario innanzitutto ascoltare Gesù
e poi seguirlo senza perdersi d'animo di fronte alle difficoltà.
"Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo.
Se uno mi serve, il Padre lo onorerà" (Gv 12, 26).
Chi si fida di Lui e lo ama con sincerità,
come il chicco di grano sepolto nella terra,
accetta di morire a sé stesso.
Egli infatti sa che chi cerca di avere la sua vita per se stesso la perde,
e chi si dà, si perde, trova proprio così la vita.
L'esperienza della Chiesa dimostra che ogni forma di santità,
pur seguendo tracciati differenti, passa sempre per la via della croce,
la via della rinuncia a se stesso.
L'esempio dei santi è per noi un incoraggiamento
a seguire le stesse orme,
a sperimentare la gioia di chi si fida di Dio,
perché l'unica vera causa di tristezza
e di infelicità per l'uomo è vivere lontano da Lui.

Benedetto XVI, 1 Novembre 2006



IL COMMENTO


Una speranza invincibile. La forza infinita d'una chiamata. La santità è un'elezione, un esser messi a parte per qualcosa di speciale: per abitare la Terra. I santi sono gli eredi della Terra dove scorre latte e miele. Il Cielo. Tra le pieghe della festa di oggi, dietro la santità si scorge la storia di un Popolo. Ad ogni beatitudine si odono le eco dei passi degli umili, dei piccoli, di un resto. I riscattati che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti e le hanno rese candide nel sangue dell'Agnello. E' Lui che, vittorioso sul peccato e sulla morte, precede i suoi nella Galilea che è il mondo in attesa del Regno. E' Lui il Santo che ci fa santi. Oggi siamo tutti dinanzi alla Terra. Come Giosuè. Le parole del Signore ci invitano a non aver paura, ad essere coraggiosi e forti, a non scoraggiarci dinanzi alle difficoltà, ai popoli che abitano la nostra eredità. Non aver paura di noi stessi, dei nostri peccati, dei nostri limiti, delle nostre debolezze, dei nostri difetti. Sono tanti e numerosi come i Popoli che abitavano la Terra che si dischiudeva dinanzi agli occhi di Giosuè. "Forza e coraggio" gli ripeteva il Signore sull'erta di quel monte, "perchè il Signore è con te ovunque tu vada". Forza e coraggio sono l'altra metà della povertà. Solo chi ha conosciuto davvero, come Giacobbe, la propria debolezza, può abbandonarsi con una sconfinata fiducia in Colui che lo chiama. E' la fede che coniuga nei santi la forza e il coraggio. Israele, il Popolo da cui proveniamo, significa proprio "Forte con Dio". Il santo è il forte con il Più forte. Vive aggrappato a Colui che ha legato il demonio, ha sconfitto uno ad uno i Popoli che usurpavano l'eredità, e con Lui entra a prenderne possesso. Un Popolo santo, separato, consacrato in Colui che lo ha amato di un amore unico, gratuito, infinito.


Della Terra ci parla oggi il Signore, della beatitudine di chi abita, felice, nella sua Terra. Della Chiesa, il mistero d'amore e comunione che supera ogni nostro limite carnale, l'amore che trafigge le nostre opere morte per trasformarle in opere di vita eterna. Anche oggi, come ad ogni mattino che si apre dinanzi a noi, ci troviamo sul monte con il Signore. E su quel monte ammantato dalla rugiada d'ogni alba della nostra vita, Lui ci chiama ad entrare nella Sua eredità. Ogni aurora che ci accoglie ci dona il Suo Spirito Santo che ci fa figli, coeredi di un Destino meraviglioso. Lo Spirito di fortezza perchè non cediamo al timore dinanzi alla Croce che ci attende. Ecco la nostra vita santa che ci fa santi. Ogni evento in cui ci imbattiamo è la Terra preparata per noi, la nostra eredità. Ogni fatto della nostra vita ci fa dunque santi perchè in ciascuna ora che segna le nostre esistenze Lui ci precede, combatte per noi come già ha fatto innumerevoli volte nel passato, anche quando eravamo schiavi del peccato in Egitto dove ci ha salvati, redenti, amati d'un amore eterno. Come un Padre che porta sulle spalle il Suo figlio, così Lui ci conduce al possesso della nostra eredità, la Sua stessa santità. Lui, il Santo, ci ha scelti, eletti, e ci chiama. Questa speranza purifica i nostri cuori e le nostre menti e ci fa come Lui. Santi. Poveri con Lui, afflitti con Lui, miti con Lui, affamati e assetati con Lui, puri, operatori di pace, perseguitati con Lui. Piccoli, deboli, pieni di difetti e di contraddizioni. Eppure santi. Nella Chiesa, immersi in un mistero d'amore che ci fa concittadini dei santi del Cielo, familiari di Dio, pellegrini verso la dimora che il Padre ci ha preparato.


Celebriamo oggi la santità di tutti coloro che ci hanno preceduto in questo cammino, che hanno gustato le primizie della Terra promessa nelle pieghe dell'esistenza quotidiana. I santi, testimoni veraci della Patria che ci attende, ci chiamano oggi ad entrare nel riposo preparato per noi. Qui, ora come siamo e dove siamo, anticipo di quello che, in pienezza, gusteremo con chi ha terminato la corsa prima di noi. Affrettiamoci dunque ad entrare oggi nella Terra santa che è questa nostra vita. Affrettiamoci ad accogliere il Santo, a lasciarci amare, e che Lui ci faccia santi sulle orme che che il Suo Popolo ci ha lasciato. La nostra vita, il nostro corpo, tutto di noi tempio santo per la Sua santità. Santi perchè consegnati, donati al mondo. Non v'è altra beatitudine, altra felicità, altro Cielo sulla terra che l'amore che si fa vita che non muore in noi. Che il Padre illumini gli occhi della nostra mente per comprendere a quale speranza siamo chiamati, "quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità tra i santi".










DALL'OMELIA PASQUALE DI MELITONE DI SARDI


"Il Signore pur essendo Dio, si fece uomo e soffrì per chi soffre, fu prigioniero per il prigioniero, condannato per il colpevole e, sepolto per chi è sepolto, suscitò dai morti e gridò questa grande parola: "Chi è colui che mi condannerà? Si avvicini a me" (Is 50,8). Io, dice, sono Cristo che ho distrutto la morte, che ho vinto il nemico, che ho messo sotto i piedi l'inferno, che ho imbrigliato il forte e ho levato l'uomo alle sublimità del cielo; io, dice, sono il Cristo.
Venite, dunque, o genti tutte, oppresse dai peccati e ricevete il perdono. Sono io, infatti, il vostro perdono, io la Pasqua della redenzione, io l'Agnello immolato per voi, io il vostro lavacro, io la vostra vita, io la vostra risurrezione, io la vostra luce, io la vostra salvezza, io il vostro re. Io vi porto in alto nei cieli. Io vi risusciterò e vi farò vedere il Padre che è nei cieli. Io vi innalzerò con la mia destra.
Egli scese dai cieli sulla terra per l'umanità sofferente; si rivestì della nostra umanità nel grembo della Vergine e nacque come uomo. Prese su di sé le sofferenze dell'uomo sofferente attraverso il corpo soggetto alla sofferenza, e distrusse le passioni della carne. Con lo Spirito immortale distrusse la morte omicida.
Egli infatti fu condotto e ucciso dai suoi carnefici come un agnello, ci liberò dal modo di vivere del mondo come dall'Egitto, e ci salvò dalla schiavitù del demonio come dalla mano del Faraone. Contrassegnò le nostre anime con il proprio Spirito e l le membra del nostro corpo con il suo sangue.
Egli è colui che coprì di confusione la morte e gettò nel pianto il diavolo, come Mosè il faraone. Egli è colui che percosse l'iniquità e l'ingiustizia, come Mosè condannò alla sterilità l'Egitto.
Egli è colui che ci trasse dalla schiavitù alla libertà, dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita, dalla tirannia al regno eterno. Ha fatto di noi un sacerdozio nuovo e un popolo eletto per sempre. Egli è la Pasqua della nostra salvezza.
Egli è colui che prese su di se le sofferenze di tutti. Egli è colui che fu ucciso in Abele, e in Isacco fu legato ai piedi. Andò pellegrinando in Giacobbe, e in Giuseppe fu venduto. Fu esposto sulle acque in Mosè e nell'agnello fu sgozzato.
Fu perseguitato in Davide e nei profeti fu disonorato.
Egli è colui che si incarnò nel seno della Vergine, fu appeso alla croce, fu sepolto nella terra e risorgendo dai morti, salì alle altezze dei cieli. Egli è l'agnello che non apre bocca, egli è l'agnello ucciso, egli è nato da Maria, agnella senza macchia. Egli fu preso dal gregge, condotto all'uccisione, immolato verso sera, sepolto nella notte. Sulla croce non gli fu spezzato osso e sotto terra non fu soggetto alla decomposizione
Egli risuscitò dai morti e fece risorgere l'umanità dal profondo del sepolcro".





CAPPELLA PAPALE PER LA SOLENNITÀ DI TUTTI I SANTI


OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI


Basilica Vaticana
Mercoledì, 1° novembre 2006


Il Santo Padre ha introdotto la Celebrazione e l'atto penitenziale con le seguenti parole:


Fratelli e sorelle amatissimi, noi oggi contempliamo il mistero della comunione dei santi del cielo e della terra. Noi non siamo soli, ma siamo avvolti da una grande nuvola di testimoni: con loro formiamo il Corpo di Cristo, con loro siamo figli di Dio, con loro siamo fatti santi dello Spirito Santo. Gioia in cielo, esulti la terra! La gloriosa schiera dei santi intercede per noi presso il Signore, ci accompagna nel nostro cammino verso il Regno, ci sprona a tenere fisso lo sguardo su Gesù il Signore, che verrà nella gloria in mezzo ai suoi santi. Disponiamoci a celebrare il grande mistero della fede e dell'amore, confessandoci bisognosi della misericordia di Dio.


Cari fratelli e sorelle,


la nostra celebrazione eucaristica si è aperta con l'esortazione "Rallegriamoci tutti nel Signore". La liturgia ci invita a condividere il gaudio celeste dei santi, ad assaporarne la gioia. I santi non sono una esigua casta di eletti, ma una folla senza numero, verso la quale la liturgia ci esorta oggi a levare lo sguardo. In tale moltitudine non vi sono soltanto i santi ufficialmente riconosciuti, ma i battezzati di ogni epoca e nazione, che hanno cercato di compiere con amore e fedeltà la volontà divina. Della gran parte di essi non conosciamo i volti e nemmeno i nomi, ma con gli occhi della fede li vediamo risplendere, come astri pieni di gloria, nel firmamento di Dio.
Quest'oggi la Chiesa festeggia la sua dignità di "madre dei santi, immagine della città superna" (A. Manzoni), e manifesta la sua bellezza di sposa immacolata di Cristo, sorgente e modello di ogni santità. Non le mancano certo figli riottosi e addirittura ribelli, ma è nei santi che essa riconosce i suoi tratti caratteristici, e proprio in loro assapora la sua gioia più profonda. Nella prima Lettura, l'autore del libro dell'Apocalisse li descrive come "una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua" (Ap 7, 9). Questo popolo comprende i santi dell'Antico Testamento, a partire dal giusto Abele e dal fedele Patriarca Abramo, quelli del Nuovo Testamento, i numerosi martiri dell'inizio del cristianesimo e i beati e i santi dei secoli successivi, sino ai testimoni di Cristo di questa nostra epoca. Li accomuna tutti la volontà di incarnare nella loro esistenza il Vangelo, sotto l'impulso dell'eterno animatore del Popolo di Dio che è lo Spirito Santo.
Ma "a che serve la nostra lode ai santi, a che il nostro tributo di gloria, a che questa stessa nostra solennità?". Con questa domanda comincia una famosa omelia di san Bernardo per il giorno di Tutti i Santi. È domanda che ci si potrebbe porre anche oggi. E attuale è anche la risposta che il Santo ci offre: "I nostri santi - egli dice - non hanno bisogno dei nostri onori e nulla viene a loro dal nostro culto. Per parte mia, devo confessare che, quando penso ai santi, mi sento ardere da grandi desideri" (Disc. 2; Opera Omnia Cisterc. 5, 364ss). Ecco dunque il significato dell'odierna solennità: guardando al luminoso esempio dei santi risvegliare in noi il grande desiderio di essere come i santi: felici di vivere vicini a Dio, nella sua luce, nella grande famiglia degli amici di Dio. Essere Santo significa: vivere nella vicinanza con Dio, vivere nella sua famiglia. E questa è la vocazione di noi tutti, con vigore ribadita dal Concilio Vaticano II, ed oggi riproposta in modo solenne alla nostra attenzione.


Ma come possiamo divenire santi, amici di Dio? All'interrogativo si può rispondere anzitutto in negativo: per essere santi non occorre compiere azioni e opere straordinarie, né possedere carismi eccezionali. Viene poi la risposta in positivo: è necessario innanzitutto ascoltare Gesù e poi seguirlo senza perdersi d'animo di fronte alle difficoltà. "Se uno mi vuol servire - Egli ci ammonisce - mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà" (Gv 12, 26). Chi si fida di Lui e lo ama con sincerità, come il chicco di grano sepolto nella terra, accetta di morire a sé stesso. Egli infatti sa che chi cerca di avere la sua vita per se stesso la perde, e chi si dà, si perde, trova proprio così la vita (Cfr Gv 12, 24-25). L'esperienza della Chiesa dimostra che ogni forma di santità, pur seguendo tracciati differenti, passa sempre per la via della croce, la via della rinuncia a se stesso. Le biografie dei santi descrivono uomini e donne che, docili ai disegni divini, hanno affrontato talvolta prove e sofferenze indescrivibili, persecuzioni e martirio. Hanno perseverato nel loro impegno, "sono passati attraverso la grande tribolazione - si legge nell'Apocalisse - e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell'Agnello" (v. 14). I loro nomi sono scritti nel libro della vita (cfr Ap 20, 12); loro eterna dimora è il Paradiso. L'esempio dei santi è per noi un incoraggiamento a seguire le stesse orme, a sperimentare la gioia di chi si fida di Dio, perché l'unica vera causa di tristezza e di infelicità per l'uomo è vivere lontano da Lui.


La santità esige uno sforzo costante, ma è possibile a tutti perché, più che opera dell'uomo, è anzitutto dono di Dio, tre volte Santo (cfr Is 6, 3). Nella seconda Lettura, l'apostolo Giovanni osserva: "Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!" (1 Gv 3, 1). È Dio, dunque, che per primo ci ha amati e in Gesù ci ha resi suoi figli adottivi.


Nella nostra vita tutto è dono del suo amore: come restare indifferenti dinanzi a un così grande mistero? Come non rispondere all'amore del Padre celeste con una vita da figli riconoscenti? In Cristo ci ha fatto dono di tutto se stesso, e ci chiama a una relazione personale e profonda con Lui. Quanto più pertanto imitiamo Gesù e Gli restiamo uniti, tanto più entriamo nel mistero della santità divina. Scopriamo di essere amati da Lui in modo infinito, e questo ci spinge, a nostra volta, ad amare i fratelli. Amare implica sempre un atto di rinuncia a se stessi, il "perdere se stessi", e proprio così ci rende felici.


Così siamo arrivati al Vangelo di questa festa, all'annuncio delle Beatitudini che poco fa abbiamo sentito risuonare in questa Basilica. Dice Gesù: Beati i poveri in spirito, beati gli afflitti, i miti, beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, i misericordiosi, beati i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati per causa della giustizia (cfr Mt 5, 3-10). In verità, il Beato per eccellenza è solo Lui, Gesù. È Lui, infatti, il vero povero in spirito, l'afflitto, il mite, l'affamato e l'assetato di giustizia, il misericordioso, il puro di cuore, l'operatore di pace; è Lui il perseguitato a causa della giustizia. Le Beatitudini ci mostrano la fisionomia spirituale di Gesù e così esprimono il suo mistero, il mistero di Morte e Risurrezione, di Passione e di gioia della Risurrezione. Questo mistero, che è mistero della vera beatitudine, ci invita alla sequela di Gesù e così al cammino verso di essa. Nella misura in cui accogliamo la sua proposta e ci poniamo alla sua sequela - ognuno nelle sue circostanze - anche noi possiamo partecipare della sua beatitudine. Con Lui l'impossibile diventa possibile e persino un cammello passa per la cruna dell'ago (cfr Mc 10, 25); con il suo aiuto, solo con il suo aiuto ci è dato di diventare perfetti come è perfetto il Padre celeste (cfr Mt 5, 48).


Cari fratelli e sorelle, entriamo ora nel cuore della Celebrazione eucaristica, stimolo e nutrimento di santità. Tra poco si farà presente nel modo più alto Cristo, vera Vite, a cui, come tralci, sono uniti i fedeli che sono sulla terra ed i santi del cielo. Più stretta pertanto sarà la comunione della Chiesa pellegrinante nel mondo con la Chiesa trionfante nella gloria. Nel Prefazio proclameremo che i santi sono per noi amici e modelli di vita. Invochiamoli perché ci aiutino ad imitarli e impegniamoci a rispondere con generosità, come hanno fatto loro, alla divina chiamata. Invochiamo specialmente Maria, Madre del Signore e specchio di ogni santità. Lei, la Tutta Santa, ci faccia fedeli discepoli del suo figlio Gesù Cristo! Amen.




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SOLENNITÀ DI TUTTI I SANTI

Omelia


La liturgia odierna si apre con l'esortazione: «Rallegriamoci tutti nel Signore» (Ant. ingr.). Siamo così invitati a condividere il gaudio celeste dei santi e ad assaporarne la gioia, contemplando il mistero della comunione dei santi del cielo e della terra. Non siamo soli, ma siamo avvolti da una grande schiera di testimoni: con loro formiamo il Corpo di Cristo, con loro siamo figli di Dio, con loro siamo resi santi dallo Spirito Santo. La gloriosa schiera dei santi intercede per noi presso il Signore, ci accompagna nel nostro cammino, ci sprona a tenere fisso lo sguardo su Gesù il Signore, che verrà nella gloria in mezzo ai suoi santi. A questa gioia ci invita la liturgia!

La Chiesa festeggia la propria dignità di Madre dei santi. È nei santi che essa principalmente si riconosce ed essi ne riflettono peculiarmente i tratti caratteristici; nei santi tutta la Chiesa assapora la gioia più profonda. L’Apocalisse li descrive come «Una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua» (Ap 7,9). I santi non sono, infatti, “un’esigua minoranza privilegiata”, ma una folla senza numero, verso la quale la Chiesa esorta a levare lo sguardo. A tale moltitudine non appartengono soltanto i santi ufficialmente riconosciuti, ma i battezzati di ogni epoca e luogo, che hanno cercato di compiere con amore e fedeltà la volontà divina. Della gran parte di essi non conosciamo i volti e nemmeno i nomi, ma con gli occhi della fede li vediamo risplendere, come astri pieni di gloria, nel firmamento di Dio.

Questo nuovo popolo comprende i santi dell'Antico Testamento, a partire dal giusto Abele e dal patriarca Abramo, quelli del Nuovo Testamento, i numerosi martiri dell'inizio del cristianesimo e i santi dei secoli successivi, sino ai testimoni di Cristo di questa nostra epoca. Li accomuna tutti la gioia e la volontà stabile di essere amici di Dio.

Come possiamo anche noi essere santi e amici di Dio?

La santità è anzitutto dono del Signore. L'apostolo Giovanni osserva: «Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!» (1 Gv 3, 1). È Dio, dunque, che per primo ci ha amati e in Gesù ci ha resi suoi figli adottivi. Nella nostra vita tutto è dono del suo amore.

Come restare indifferenti dinanzi a un così grande mistero?

Come non rispondere all'amore del Padre celeste con una vita da figli riconoscenti?

In Cristo ci ha fatto dono di tutto se stesso, e ci chiama a una relazione personale e profonda con Lui. Quanto più imitiamo Gesù e Gli restiamo uniti, tanto più entriamo nel mistero della santità divina e per essere realisticamente uniti a Gesù dobbiamo essere uniti alla Chiesa da Lui fondata. Scopriamo di essere amati da Lui in modo infinito e questo ci spinge, a nostra volta, ad amare i fratelli. Amare implica sempre un atto di rinuncia a se stessi, il "perdere se stessi", e proprio questo rende felici.

È necessario seguire Cristo, così come Egli stesso ci indica: «Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà» (Gv 12, 26). Chi si fida di Lui e lo ama con sincerità, come il chicco di grano sepolto nella terra, accetta di morire a sé. L'esperienza della Chiesa dimostra che ogni forma di santità, pur seguendo strade differenti, passa sempre per la Via Crucis, la via del preferire il Signore a se stessi. Le biografie dei santi descrivono uomini e donne che, docili ai disegni divini, hanno affrontato prove, persecuzioni e martirio. Hanno perseverato nel loro impegno, «sono passati attraverso la grande tribolazione - si legge nell'Apocalisse - e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell'Agnello» (Ap 7,14). L'esempio dei santi è per noi un incoraggiamento a seguirne le orme, a sperimentare la gioia di chi si fida di Dio, perché l'unica vera causa di tristezza e di infelicità per l'uomo è vivere lontano dal proprio Creatore.

Nel Vangelo proclamato in questa splendida Solennità, il Signore Gesù afferma: «Beati i poveri in spirito, beati gli afflitti, i miti, beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, i misericordiosi, beati i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati per causa della giustizia» (cfr Mt 5, 3-10).

In verità, il Beato per eccellenza è solo Lui, Gesù. È Lui, infatti, il vero povero in spirito, l'afflitto, il mite, l'affamato e l'assetato di giustizia, il misericordioso, il puro di cuore, l'operatore di pace; è Lui il perseguitato a causa della giustizia. Le Beatitudini ci mostrano la fisionomia spirituale di Gesù e così esprimono il suo mistero personale; nella misura in cui accogliamo la sua proposta e ci poniamo alla sua sequela - ognuno nelle proprie circostanze - anche noi possiamo partecipare della sua beatitudine ed essergli realmente “amici”. Con Lui l'impossibile diventa possibile e persino «un cammello passa per la cruna dell'ago» (cfr Mc 10, 25); con il suo aiuto, solo con il suo aiuto, ci è dato di «diventare perfetti come è perfetto il Padre celeste» (cfr Mt 5, 48).

Guardando al luminoso esempio dei santi risvegliamo in noi il grande desiderio di essere come loro: felici di vivere vicini a Dio, nella sua luce, nella grande famiglia degli amici di Dio. Essere santi significa vivere nella “prossimità con Dio”, vivere nella sua famiglia. Entriamo ora nel cuore della Celebrazione eucaristica: tra poco si farà presente Cristo, vera Vite, a cui, come tralci, sono uniti i fedeli sulla terra ed i santi del cielo, pertanto la comunione della Chiesa pellegrinante nel mondo con la Chiesa trionfante nella gloria è resa ancora più intensa nella celebrazione eucaristica. Nel Prefazio proclameremo che i santi sono per noi amici e modelli di vita. Invochiamoli perché ci aiutino ad imitarli e impegniamoci a rispondere con generosità, come hanno fatto loro, alla divina chiamata. Invochiamo specialmente Maria, Madre del Signore e specchio di ogni santità, Regina degli Angeli e di tutti i Santi. Lei, la Tutta Santa, ci faccia autentici fedeli discepoli del suo figlio Gesù Cristo!


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Omelia 1 p. Raniero Cantalamessa ofmcapp.


Da tempo gli scienziati mandano segnali nel cosmo in attesa di risposte da parte di esseri intelligenti esistenti in qualche pianeta sperduto. La Chiesa da sempre intrattiene un dialogo con abitanti di un altro mondo, i santi. Questo è ciò che proclamiamo dicendo: “Credo nella comunione dei santi”. Se anche esistessero abitanti al di fuori del sistema solare, la comunicazione con essi sarebbe impossibile perché tra la domanda e la risposta dovrebbero passare milioni di anni. Qui invece la risposta è immediata perché c’è un centro di comunicazione e di incontro comune che è il Cristo risorto.

Forse anche per il momento dell’anno in cui cade, la festa di Tutti i santi, ha qualcosa di particolare che spiega la sua popolarità e le numerose tradizioni ad essa legate in alcuni settori della cristianità.

Il motivo è in ciò che dice Giovanni nella seconda lettura. In questa vita, “noi siamo figli di Dio, ma ciò che saremo ancora non appare”; siamo come l’embrione nel senso della madre che anela a nascere. I santi sono quelli che sono “nati” (la liturgia chiama “giorno natalizio”, dies natalis, il giorno della loro morte); contemplarli è contemplare il nostro destino. Mentre intorno a noi la natura si spoglia e cadono le foglie, la festa di Tutti i santi ci invita a guardare in alto; ci ricorda che non siamo destinati a marcire in terra per sempre come le foglie.

Il brano evangelico è quello delle Beatitudini. Una beatitudine in particolare ha ispirato la scelta del brano: “Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati”. I santi sono coloro che hanno avuto fame e sete di giustizia, cioè, nel linguaggio biblico, di santità. Non si sono rassegnati alla mediocrità, non si sono accontentati delle mezze misure.

Ci aiuta a capire chi sono i santi la prima lettura della festa. Essi sono “coloro che hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’Agnello”. La santità si riceve da Cristo; non è di produzione propria. Nell’Antico Testamento essere santi voleva dire “essere separati” da tutto ciò che è impuro; nell’accezione cristiana vuol dire piuttosto il contrario e cioè “essere uniti”, s’intende a Cristo.

I santi, cioè i salvati, non sono soltanto quelli elencati nel calendario o nell’albo dei santi. Vi sono anche i “santi ignoti”: quelli che hanno rischiato la vita per i fratelli, i martiri della giustizia e della libertà, o del dovere; i “santi laici”, come li ha chiamati qualcuno. Senza saperlo anche le loro vesti sono state lavate nel sangue dell’Agnello, se hanno hanno vissuto secondo coscienza e hanno avuto a cuore il bene dei fratelli.

Una domanda viene spontanea: “Cosa fanno i santi in paradiso? La risposta è, anche qui, nella prima lettura: i salvati adorano, gettano le loro corone davanti al trono, gridano: “Lode, onore, benedizione, azione di grazia…”. Si realizza in essi la vera vocazione umana che è di essere “lode della gloria di Dio” (Ef 1,14). Il loro coro è guidato da Maria che in cielo continua il suo cantico di lode: “L’anima mia magnifica il Signore”. È in questa lode che i santi trovano la loro beatitudine ed esultanza: “Il mio spirito esulta in Dio”. L’uomo è ciò che ama e ciò che ammira. Amando e lodando Dio ci si immedesima con Dio, si partecipa della sua gloria e della sua stessa felicità.

Un giorno un santo, S. Simeone il Nuovo Teologo, ebbe una esperienza mistica di Dio così forte che esclamò tra sé: “Se il paradiso non è che questo, mi basta!”. Ma la voce di Cristo gli disse: “Sei ben meschino se ti accontenti di questo. La gioia che hai provato in confronto a quella del paradiso è come un cielo dipinto sulla carta rispetto al cielo vero”.


Omelia 2 p. Raniero Cantalamessa ofmcapp.


La festa di Tutti i Santi e la commemorazione dei fedeli defunti hanno una cosa in comune e per questo sono poste l’una di seguito all’altra. Anche il brano evangelico è lo stesso ed è la pagina delle beatitudini. Ambedue le ricorrenze ci parlano dell’aldilà. Se non credessimo in una vita dopo la morte, sarebbe vano celebrare la festa dei Santi e ancora più vano recarci al cimitero. Chi andremmo a visitare e perché accendiamo una candela o portiamo un fiore?

Tutto dunque in questo giorno ci invita a una riflessione sapienziale: “Insegnaci a contare i nostri giorni –dice un salmo – e giungeremo alla sapienza del cuore”. “Si sta come d’autunno sull’albero le foglie” (G. Ungaretti). L’albero a primavera torna a fiorire, ma con altre foglie; anche il mondo continuerà dopo di noi, ma con altri abitanti. Le foglie non hanno una seconda vita, marciscono dove cadono. È così anche di noi? Qui l’analogia qui si interrompe. Gesù ha promesso: “Io sono la risurrezione e la vita, chi vive e crede in me anche se muore, vivrà”. È la grande sfida della fede, non solo dei cristiani, ma anche degli ebrei e degli islamici, di tutti coloro che credono in un Dio personale.

Quelli che hanno visto il film Dottor Zivago ricordano la celebre canzone di Lara che fa da colonna sonora. Nella versione italiana essa dice: “Dove non so, ma un posto ci sara' da dove noi non torneremo mai...”. La canzone esprime bene il senso del celebre romanzo di Pasternac da cui è tratto il film: due innamorati che si incontrano, si cercano, ma che la sorte (siamo all’epoca tempestosa della rivoluzione bolscevica) ogni volta crudelmente separa, fino alla scena finale in cui le loro strade tornano a incrociarsi, senza però riconoscersi.

Ogni volta che mi capita di ascoltare le note di quella canzone, la mia fede mi fa quasi gridare tra me: Sì un posto c’è da dove noi non torneremo –e non vorremo tornare – mai. Gesù è andato a prepararcelo, ci ha aperto la via con la sua risurrezione e ci ha indicato la strada per seguirlo con la pagina delle beatitudini. Un posto in cui il tempo si fermerà su di noi per cedere il passo all’eternità; dove l’amore sarà pieno e totale. Non solo l’amore di Dio e per Dio, ma anche ogni amore onesto e santo vissuto sulla terra.

La fede non esenta i credenti dall’angoscia di dover morire, essa però la tempera con la speranza. Il prefazio della Messa di domani dice: “Se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consola la speranza dell’immortalità futura”. A questo proposito c’una testimonianza sconvolgente situata anch’essa in Russia. Nel 1972 su una rivista clandestina fu pubblicato un testo. Si tratta di una preghiera trovata nel taschino della giubba del soldato Aleksander Zacepa, composta pochi istanti prima della battaglia in cui perse la vita nella seconda guerra mondiale. Dice:

Ascolta, o Dio! Non una volta nella mia vita ho parlato con te, ma oggi mi vien voglia di farti festa.
Sai, fin da piccolo mi hanno sempre detto che non esisti... io stupido ci ho creduto.
Non ho mai contemplato le tue opere,
ma questa notte ho guardato dal cratere di una granata al cielo di stelle sopra di me
e affascinato dal loro scintillare,
ad un tratto ho capito come possa esser terribile 1'inganno... Non so, o Dio, se mi darai la tua mano,
ma io ti dico e tu mi capisci...
Non e strano che in mezzo a uno spaventoso inferno mi sia apparsa la luce e io abbia scorto te?
Oltre a questo non ho nulla da dirti. Sono felice solo perché ti ho conosciuto. A mezzanotte dobbiamo attaccare,
ma non ho paura, tu guardi a noi.
E il segnale! Me ne devo andare. Si stava bene con te. Voglio ancora dirti, e tu lo sai, che la battaglia sarà dura: può darsi che questa notte stessa venga a bussare da te. E anche se finora non Sono stato tuo amico,
quando verrò, mi permetterai di entrare?
Ma che succede, piango?
Dio mio, tu vedi quello che mi e capitato, soltanto ora ho incominciato a veder chiaro... Salve, mio Dio, vado... difficilmente tornerò. Che strano, ora la morte non mi fa paura.

(Edito in di V. Cattana, Le più belle preghiere del mondo, Mondadori 2006, p. 188).