sabato 22 ottobre 2011

XXX Domenica del T.O. - Letture della preghiera notturna dei Certosini



Anno A

XXX Domenica Tempo Ordinario

Dal vangelo secondo Giovanni.


6,41-51b

Gesù diceva ai Giudei: "Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno
mangia di questo pane, vivrà in eterno".

Dal Commento di san Cirillo d'Alessandria a questo vangelo.

In Joannis Evangelium, lib. IV, cap.2. PG 73, 560-563. 576-580.

Io sono il pane della vita, dice il Signore ai Giudei. Da ciò imparino
che, se vogliono restare incorrotti e liberarsi dalla stessa morte dovuta
al peccato, devono divenire partecipi di colui che può dare la vita,
distrugge la corruttibilità e annienta la morte: questo è il compito vero e
degno di colui che è vita per natura.

Poi, affermando che ai loro padri fu data nel deserto la manna, Gesù
dice che non ricevettero il pane che veramente discende dal cielo, cioè il
Figlio; perciò paragona necessariamente la figura con la realtà, affinché
in questo modo capiscano che il pane disceso dal cielo non fu la manna, ma
colui che mediante l'esperienza dei fatti palesa la sua natura celeste.

La manna non dava certamente la vita, ma era soltanto un rimedio
contro la fame del corpo, preso come immagine di una realtà superiore.
Quelli, invece, che ricevono in sé il pane della vita avranno, come premio,
l'immortalità e, liberi dalla corruzione e dagli altri mali, saliranno
all'altezza eterna e perpetua della vita in Cristo.

Né è un impedimento che quelli che sono stati fatti partecipi di
Cristo debbano necessariamente provare la morte. Sebbene la morte tocchi ad
essi in quanto sono uomini, tuttavia, come dice Paolo, vivono per vivere,
poi, con Dio.

* * *

Occorreva credere in Cristo e dare senza indugio il consenso alle sue
parole, sforzandosi di comprendere la forma della sua eucarestia, piuttosto
che dire temerariamente, comportandosi da ubriachi: Come può costui darci
la sua carne da mangiare? In questo modo anche la parola costui è
pronunziata con disprezzo: tale parola dimostra implicitamente la loro
arroganza.

Cristo è paziente e molto misericordioso, come si può riscontrare dal
testo suddetto. Incurante di polemizzare con la grettezza degli increduli,
propone loro, di nuovo, la conoscenza vivificante del mistero, e superando,
come Dio, l'orgoglio di quella gente, insegna il cammino della vita eterna.
Non spiega ancora il modo in cui avrebbe dato la sua carne da mangiare:
sapeva, infatti, che essi giacevano nelle tenebre e non potevano capire in
nessun modo quel mistero. Dimostra, invece, quanto vantaggio ne sarebbe
seguito dal mangiare la sua carne, perché, convincendoli, col proporre loro
il godimento eterno, a voler vivere subito, in qualche modo li istruisse a
credere. Una volta che essi avessero creduto, avrebbero potuto logicamente
anche imparare a capire. Lo dice il profeta Isaia: Se non credete, non
capirete. Occorreva dunque che, poste in essi prima le radici della fede,
fosse insinuata, in secondo luogo, la conoscenza di ciò che ignoravano; non
si doveva pensare che la ricerca preceda la fede.

* * *

Credo che Gesù, tralasciando giustamente di spiegare in che modo
avrebbe dato loro da mangiare la sua carne, li esorta a credere prima
ancora che essi indaghino. Infatti, avendo spezzato il pane, lo diede a
quelli che già credevano, dicendo: Prendete e mangiate: questo è il mio
corpo. Egli è, infatti, vita per natura, in quanto è stato generato dal
Padre vivente; ma lo è anche, tuttavia, il suo santo corpo congiunto, in
qualche modo, e unito infallibilmente al Verbo che vivifica tutto: perciò
il corpo è ritenuto suo, ed è creduto come una sola cosa con lui.

Dopo l'incarnazione è indiviso: bisogna tuttavia comprendere che il
Verbo che è da Dio Padre e il tempio assunto dalla Vergine non sono una
stessa cosa quanto alla natura. Infatti, il corpo di Cristo non è
consustanziale al Verbo divino, ma una sola cosa con lui, per una unione e
un incontro che sono incomprensibili. E poiché la carne di Cristo è
divenuta vivificante, in quanto unita al Verbo divino, che è vita per
natura, quando la gusteremo, allora avremo in noi la vita, uniti
strettamente a lui, come la carne dimora col Verbo.


* * *

Se ciò che è corrotto viene vivificato soltanto con il contatto della
sua carne, come non sentiremo più efficace quella Eucaristia vivificante,
quando anche la mangeremo? Ci trasformerà del tutto in ciò che è il suo
proprio bene, ossia nell'immortalità, quando saremo stati partecipi di lui.

E non meravigliarti per questo o, come fanno i Giudei, non chiedere
come, ma pensa piuttosto a questo: l'acqua, fredda per natura, quando viene
versata nella pentola e messa sul fuoco, allora, non ricordandosi quasi
della sua natura, si trasforma nella energia di chi è più forte. Allo
stesso modo, anche noi, sebbene per la natura della carne siano
corruttibili, tuttavia, unendoci alla vera vita, liberatici della nostra
debolezza, ci trasformiamo in ciò che è proprio di lui, cioè nella vita.

Occorreva, infatti, che non solo l'anima fosse trasformata nella
novità della vita per mezzo dello Spirito Santo; ci voleva che questo
nostro corpo materiale e terreno fosse santificato con una partecipazione
più visibile e affine e fosse chiamato alla incorruttibilità.