mercoledì 21 dicembre 2011

Buon Natale? Che volgarità!

 

 Prima di riportare il testo della Catechesi prenatalizia del Santo Padre, propongo la lettura dell'articolo
seguente, che traggo da "Il Giornale" del 18.XII, a firma di L. Doninelli.

La storia è vecchia, e a poco servirebbe lamentarsi della cattiveria dei tempi. Già lo diceva Charles Péguy: i tempi sono sempre stati cattivi. Il nostro, semplicemente, non fa eccezione.
Sembra che espressioni come «Vacanze di Natale», «panettone natalizio» o perfino «Buon Natale» non si debbano più usare. Unica deroga: i film con Boldi, De Sica & co., ultimo baluardo, verrebbe da dire, del cattolicesimo in questa società senza dio.
Ma provate a dirlo in una scuola elementare italiana - e non di quelle di periferia, piene di figli di immigrati di altre religioni, no: parlo delle belle scuole ricche del centro. Provate a proporre di allestire una bella «recita di Natale». Subito spunta questa cosa che non si trova mai da nessun’altra parte: la «sensibilità» di chi appartiene ad altre religioni.

Non si può offendere la sensibilità di chi non la pensa come noi. Il bello è che della sensibilità di norma non importa niente a nessuno, mai, in nessuna occasione. Tranne questa. Ma queste cose succedono in realtà da ben prima del primo flusso migratorio, da ben prima che l’espressione «politically correct» facesse la sua comparsa.
A nessuno, s’intende, viene impedito di credere in ciò che vuole. L’anima non si nega nemmeno ai cani. Il problema è il corpo, non l’anima. Finché l’anima non ha anche un corpo, non può minacciare nessuno.

Gesù Cristo, però, venne nel mondo per mettere in pericolo il mondo, «questo» mondo, e la prima cosa che fece - prima di tutti i miracoli e di tutte le parabole, prima della predicazione e della Passione - fu di avere un corpo, anzi: di «essere» un corpo, quel corpo lì, che fu dapprima allattato da sua madre come tutti i bambini, e che poi tornò, cadavere, tra le braccia della stessa madre, dopo essere stato crocefisso.

Fu quel corpo a mettere in crisi un mondo che di predicatori e divinità ne aveva fin troppi, un mondo tollerante, al quale un dio in più non avrebbe fatto né caldo né freddo, e che anzi per difendere la «sensibilità» dei cristiani sarebbe forse stato anche disposto a difenderli dalla furia un po’ rozza del popolo al quale il Nazareno apparteneva. Con un po’ di diplomazia, forse, Pilato (che non era granché come politico) avrebbe assunto un’altra posizione, i margini c’erano.
Ma questo nuovo dio, com’era diverso dagli altri! Non solo aveva un corpo, ma voleva che la nuova fede avesse anch’essa un corpo: una comunità di persone in carne e ossa, con una propria identità, una propria antropologia, una propria idea del rapporto con il potere, una propria idea dell’educazione dei figli, e così via.
A questo nemmeno i Romani erano preparati. Professare una fede è una cosa, edificare una chiesa su suolo pubblico è un’altra. Ora, il moderno Stato europeo non è molto diverso. Tollera tutti (anche perché non ama nessuno) ma il corpo è soltanto il suo. Sopporta le religioni unicamente in virtù della loro forza, ma appena queste s’indeboliscono comincia a mostrare i muscoli.

Una mia amica, anni fa, faceva catechismo ai bambini di una parrocchia del centro di Milano. In una delle prime lezioni chiese a questi ragazzini sui dieci anni cosa fosse la Pasqua. Nessuno rispose. Chiese allora se sapevano cos’è il Natale. Ci fu un paio di risposte vaghe, timide. Chiese infine che cos’è Halloween, e tutti seppero rispondere con precisione.

Da questo piccolo episodio ho tratto una mia morale, che forse può essere utile al lettore. Alla gente bisogna dare qualcosa. Una vincita alla lotteria, o a un concorso canoro, oppure al gratta-e-vinci. E poi vacanze al mare, ai Tropici, oppure sulla neve. E poi le tradizioni un po’ favolose, qualcosa su cui fantasticare, le fate, gli elfi, Babbo Natale, il Principe Azzurro. Un sano divertimento senza corpo, tutto anima, tutto innocenza allegra e piena di tenerezza («dolcetto o scherzetto!»).

Questo è ciò che piace all’Impero. E non tiratemi in ballo i musulmani o i buddisti, che non c’entrano, anche se c’è sempre qualche babbeo che, fraintendendo il problema, se la prende con la parte sbagliata.
Chiamatelo stato, chiamatelo impero, chiamatelo mercato: è sempre una forma di controllo, di uniformazione, una livella che, a differenza di quella di Totò, interviene prima della morte, affinché siamo tutti cadaveri felici e contenti.

Certo, chi è venuto al mondo per affermare la dignità assoluta di ogni persona, che consiste nel rapporto unico non con la società, lo stato o il mercato, ma con Dio. Dio, che trascende stato e mercato.
E questo è ciò che stato e mercato, molto spesso, non sopportano.


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BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 21 dicembre 2011
 
Il Santo Natale
Cari fratelli e sorelle,
Sono lieto di accogliervi in Udienza generale a pochi giorni dalla celebrazione del Natale del Signore. Il saluto che corre in questi giorni sulle labbra di tutti è “Buon Natale! Auguri di buone feste natalizie!”. Facciamo in modo che, anche nella società attuale, lo scambio degli auguri non perda il suo profondo valore religioso, e la festa non venga assorbita dagli aspetti esteriori, che toccano le corde del cuore. Certamente, i segni esterni sono belli e importanti, purché non ci distolgano, ma piuttosto ci aiutino a vivere il Natale nel suo senso più vero, quello sacro e cristiano, in modo che anche la nostra gioia non sia superficiale, ma profonda.
Con la liturgia natalizia la Chiesa ci introduce nel grande Mistero dell’Incarnazione. Il Natale, infatti, non è un semplice anniversario della nascita di Gesù, è anche questo, ma è di più, è celebrare un Mistero che ha segnato e continua a segnare la storia dell’uomo – Dio stesso è venuto ad abitare in mezzo a noi (cfr Gv 1,14), si è fatto uno di noi -; un Mistero che interessa la nostra fede e la nostra esistenza; un Mistero che viviamo concretamente nelle celebrazioni liturgiche, in particolare nella Santa Messa. Qualcuno potrebbe chiedersi: come è possibile che io viva adesso questo evento così lontano nel tempo? Come posso prendere parte fruttuosamente alla nascita del Figlio di Dio avvenuta più di duemila anni fa? Nella Santa Messa della Notte di Natale, ripeteremo come ritornello al Salmo Responsoriale queste parole: «Oggi è nato per noi il Salvatore». Questo avverbio di tempo, «oggi», ricorre più volte in tutte le celebrazioni natalizie ed è riferito all’evento della nascita di Gesù e alla salvezza che l’Incarnazione del Figlio di Dio viene a portare. Nella Liturgia tale avvenimento oltrepassa i limiti dello spazio e del tempo e diventa attuale, presente; il suo effetto perdura, pur nello scorrere dei giorni, degli anni e dei secoli. Indicando che Gesù nasce «oggi», la Liturgia non usa una frase senza senso, ma sottolinea che questa Nascita investe e permea tutta la storia, rimane una realtà anche oggi alla quale possiamo arrivare proprio nella liturgia. A noi credenti la celebrazione del Natale rinnova la certezza che Dio è realmente presente con noi, ancora “carne” e non solo lontano: pur essendo col Padre è vicino a noi. Dio, in quel Bambino nato a Betlemme, si è avvicinato all’uomo: noi Lo possiamo incontrare adesso, in un «oggi» che non ha tramonto.
Vorrei insistere su questo punto, perché l’uomo contemporaneo, uomo del “sensibile”, dello sperimentabile empiricamente, fa sempre più fatica ad aprire gli orizzonti ed entrare nel mondo di Dio. La redenzione dell’umanità avviene certo in un momento preciso e identificabile della storia: nell’evento di Gesù di Nazaret; ma Gesù è il Figlio di Dio, è Dio stesso, che non solo ha parlato all’uomo, gli ha mostrato segni mirabili, lo ha guidato lungo tutta una storia di salvezza, ma si è fatto uomo e rimane uomo. L’Eterno è entrato nei limiti del tempo e dello spazio, per rendere possibile «oggi» l’incontro con Lui. I testi liturgici natalizi ci aiutano a capire che gli eventi della salvezza operata da Cristo sono sempre attuali, interessano ogni uomo e tutti gli uomini. Quando ascoltiamo o pronunciamo, nelle celebrazioni liturgiche, questo «oggi è nato per noi il Salvatore», non stiamo utilizzando una vuota espressione convenzionale, ma intendiamo che Dio ci offre «oggi», adesso, a me, ad ognuno di noi la possibilità di riconoscerlo e di accoglierlo, come fecero i pastori a Betlemme, perché Egli nasca anche nella nostra vita e la rinnovi, la illumini, la trasformi con la sua Grazia, con la sua Presenza.
Il Natale, dunque, mentre commemora la nascita di Gesù nella carne, dalla Vergine Maria - e numerosi testi liturgici fanno rivivere ai nostri occhi questo o quell’episodio -, è un evento efficace per noi. Il Papa san Leone Magno, presentando il senso profondo della Festa del Natale, invitava i suoi fedeli con queste parole: «Esultiamo nel Signore, o miei cari, e apriamo il nostro cuore alla gioia più pura, perché è spuntato il giorno che per noi significa la nuova redenzione, l’antica preparazione, la felicità eterna. Si rinnova infatti per noi nel ricorrente ciclo annuale l’alto mistero della nostra salvezza, che, promesso all’inizio e accordato alla fine dei tempi, è destinato a durare senza fine» (Sermo 22, In Nativitate Domini, 2,1: PL 54,193). E, sempre san Leone Magno, in un’altra delle sue Omelie natalizie, affermava: «Oggi l’autore del mondo è stato generato dal seno di una vergine: colui che aveva fatto tutte le cose si è fatto figlio di una donna da lui stesso creata. Oggi il Verbo di Dio è apparso rivestito di carne e, mentre mai era stato visibile a occhio umano, si è reso anche visibilmente palpabile. Oggi i pastori hanno appreso dalla voce degli angeli che era nato il Salvatore nella sostanza del nostro corpo e della nostra anima» (Sermo 26, In Nativitate Domini, 6,1: PL 54,213).
C’è un secondo aspetto al quale vorrei accennare brevemente: l’evento di Betlemme deve essere considerato alla luce del Mistero Pasquale: l’uno e l’altro sono parte dell’unica opera redentrice di Cristo. L’Incarnazione e la nascita di Gesù ci invitano già ad indirizzare lo sguardo verso la sua morte e la sua risurrezione: Natale e Pasqua sono entrambe feste della redenzione. La Pasqua la celebra come vittoria sul peccato e sulla morte: segna il momento finale, quando la gloria dell’Uomo-Dio splende come la luce del giorno; il Natale la celebra come l’entrare di Dio nella storia facendosi uomo per riportare l’uomo a Dio: segna, per così dire, il momento iniziale, quando si intravede il chiarore dell’alba. Ma proprio come l’alba precede e fa già presagire la luce del giorno, così il Natale annuncia già la Croce e la gloria della Risurrezione. Anche i due periodi dell’anno, in cui sono collocate le due grandi feste, almeno in alcune aree del mondo, possono aiutare a comprendere questo aspetto. Infatti, mentre la Pasqua cade all’inizio della primavera, quando il sole vince le dense e fredde nebbie e rinnova la faccia della terra, il Natale cade proprio all’inizio dell’inverno, quando la luce e il calore del sole non riescono a risvegliare la natura, avvolta dal freddo, sotto la cui coltre, però, pulsa la vita e comincia di nuovo la vittoria del sole e del calore.
I Padri della Chiesa leggevano sempre la nascita di Cristo alla luce dall’intera opera redentrice, che trova il suo vertice nel Mistero Pasquale. L’Incarnazione del Figlio di Dio appare non solo come l’inizio e la condizione della salvezza, ma come la presenza stessa del Mistero della nostra salvezza: Dio si fa uomo, nasce bambino come noi, prende la nostra carne per vincere la morte e il peccato. Due significativi testi di san Basilio lo illustrano bene. San Basilio diceva ai fedeli: «Dio assume la carne proprio per distruggere la morte in essa nascosta. Come gli antidoti di un veleno una volta ingeriti ne annullano gli effetti, e come le tenebre di una casa si dissolvono alla luce del sole, così la morte che dominava sull’umana natura fu distrutta dalla presenza di Dio. E come il ghiaccio rimane solido nell’acqua finché dura la notte e regnano le tenebre, ma subito si scioglie al calore del sole, così la morte che aveva regnato fino alla venuta di Cristo, appena apparve la grazia di Dio Salvatore e sorse il sole di giustizia, “fu ingoiata dalla vittoria” (1 Cor 15,54), non potendo coesistere con la Vita» (Omelia sulla nascita di Cristo, 2:  PG 31,1461). E ancora san Basilio, in un altro testo, rivolgeva questo invito: «Celebriamo la salvezza del mondo, il natale del genere umano. Oggi è stata rimessa la colpa di Adamo. Ormai non dobbiamo più dire: ”Sei in polvere e in polvere ritornerai” (Gn 3,19), ma: unito a colui che è venuto dal cielo, sarai ammesso in cielo” (Omelia sulla nascita di Cristo, 6: PG 31,1473).
Nel Natale noi incontriamo la tenerezza e l’amore di Dio che si china sui nostri limiti, sulle nostre debolezze, sui nostri peccati e si abbassa fino a noi. San Paolo afferma che Gesù Cristo «pur essendo nella condizione di Dio… svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini» (Fil 2,6-7). Guardiamo alla grotta di Betlemme: Dio si abbassa fino ad essere adagiato in una mangiatoia, che è già preludio dell’abbassamento nell’ora della sua passione. Il culmine della storia di amore tra Dio e l’uomo passa attraverso la mangiatoia di Betlemme e il sepolcro di Gerusalemme.
Cari fratelli e sorelle, viviamo con gioia il Natale che si avvicina. Viviamo questo evento meraviglioso: il Figlio di Dio nasce ancora «oggi», Dio è veramente vicino a ciascuno di noi e vuole incontrarci, vuole portarci a Lui. Egli è la vera luce, che dirada e dissolve le tenebre che avvolgono la nostra vita e l’umanità. Viviamo il Natale del Signore contemplando il cammino dell’amore immenso di Dio che ci ha innalzati a Sé attraverso il Mistero di Incarnazione, Passione, Morte e Risurrezione del suo Figlio, poiché – come afferma sant’Agostino - «in [Cristo] la divinità dell’Unigenito si è fatta partecipe della nostra mortalità, affinché noi fossimo partecipi della sua immortalità» (Epistola 187,6,20: PL 33,839-840).  Soprattutto contempliamo e viviamo questo Mistero nella celebrazione dell’Eucaristia, centro del Santo Natale; lì si rende presente in modo reale Gesù, vero Pane disceso dal cielo, vero Agnello sacrificato per la nostra salvezza.
Auguro a tutti voi e alle vostre famiglie di celebrare un Natale veramente cristiano, in modo che anche gli scambi di auguri in quel giorno siano espressione della gioia di sapere che Dio ci è vicino e vuole percorrere con noi il cammino della vita. Grazie.

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Il commento che segue è di Massimo Introvigne.

A pochi giorni dal Natale, Benedetto XVI ha interrotto nell'udienza generale di oggi, 21 dicembre,  la sua «scuola della preghiera» per riflettere sul vero senso della festa della Natività e sui rischi di una sua banalizzazione. «Facciamo  in modo che, anche nella società attuale, lo scambio degli auguri non perda il suo profondo valore religioso, e la festa non venga assorbita dagli aspetti esteriori, che toccano le corde del cuore. Certamente, i segni esterni sono belli e importanti, purché non ci distolgano, ma piuttosto ci aiutino a vivere il Natale nel suo senso più vero, quello sacro e cristiano, in modo che anche la nostra gioia non sia superficiale, ma profonda».
La verità del Natale, ha detto il Papa, si trova nella liturgia. «Con la liturgia natalizia la Chiesa ci introduce nel grande Mistero dell’Incarnazione». Questo mistero, ha spiegato il Pontefice, riguarda il presente e non solo il passato. «Il Natale, infatti, non è un semplice anniversario della nascita di Gesù, è anche questo, ma è di più, è celebrare un Mistero che ha segnato e continua a segnare la storia dell’uomo - Dio stesso è venuto ad abitare in mezzo a noi (cfr Gv 1,14), si è fatto uno di noi -; un Mistero che interessa la nostra fede e la nostra esistenza; un Mistero che viviamo concretamente nelle celebrazioni liturgiche, in particolare nella Santa Messa».
Naturalmente per considerare il Natale un fatto di oggi, e non un semplice anniversario, occorre la fede. «Qualcuno potrebbe chiedersi: come è possibile che io viva adesso questo evento così lontano nel tempo? Come posso prendere parte fruttuosamente alla nascita del Figlio di Dio avvenuta più di duemila anni fa?». La risposta si trova, ancora, nella liturgia. «Nella Santa Messa della Notte di Natale, ripeteremo come ritornello al Salmo Responsoriale queste parole: "Oggi è nato per noi il Salvatore"». È molto importante, ha sottolineato il Papa, riflettere sul fatto che «questo avverbio di tempo, "oggi", ricorre più volte in tutte le celebrazioni natalizie». Questa insistenza ha un significato preciso. «Nella Liturgia tale avvenimento oltrepassa i limiti dello spazio e del tempo e diventa attuale, presente; il suo effetto perdura, pur nello scorrere dei giorni, degli anni e dei secoli».
Ricordandoci  «che Gesù nasce "oggi", la Liturgia non usa una frase senza senso, ma sottolinea che questa Nascita investe e permea tutta la storia, rimane una realtà anche oggi alla quale possiamo arrivare proprio nella liturgia». Almeno per i credenti,  «la celebrazione del Natale rinnova la certezza che Dio è realmente presente con noi, ancora "carne" e non solo lontano: pur essendo col Padre è vicino a noi. Dio, in quel Bambino nato a Betlemme, si è avvicinato all’uomo: noi Lo possiamo incontrare adesso, in un "oggi" che non ha tramonto».
Il Pontefice afferma di volere «insistere su questo punto, perché l’uomo contemporaneo, uomo del "sensibile", dello sperimentabile empiricamente, fa sempre più fatica ad aprire gli orizzonti ed entrare nel mondo di Dio». A quest'uomo contemporaneo va anzitutto ricordato che il Natale è un fatto, non una favola o un mito. «La redenzione dell’umanità avviene certo in un momento preciso e identificabile della storia: nell’evento di Gesù di Nazaret; ma Gesù è il Figlio di Dio, è Dio stesso, che non solo ha parlato all’uomo, gli ha mostrato segni mirabili, lo ha guidato lungo tutta una storia di salvezza, ma si è fatto uomo e rimane uomo. L’Eterno è entrato nei limiti del tempo e dello spazio, per rendere possibile "oggi" l’incontro con Lui».
Nello stesso tempo l'evento del Natale, senza nulla perdere della sua storicità, diventa parte integrante del tempo presente nella vita spirituale e nella liturgia. «I testi liturgici natalizi ci aiutano a capire che gli eventi della salvezza operata da Cristo sono sempre attuali, interessano ogni uomo e tutti gli uomini. Quando ascoltiamo o pronunciamo, nelle celebrazioni liturgiche, questo "oggi è nato per noi il Salvatore", non stiamo utilizzando una vuota espressione convenzionale, ma intendiamo che Dio ci offre "oggi", adesso, a me, ad ognuno di noi la possibilità di riconoscerlo e di accoglierlo, come fecero i pastori a Betlemme, perché Egli nasca anche nella nostra vita e la rinnovi, la illumini, la trasformi con la sua Grazia, con la sua Presenza». Così il Natale, rimanendo un fatto storico preciso, diventa «evento efficace per noi».
Se ci lasciamo guidare dalla liturgia, scopriamo anche un secondo aspetto essenziale del Natale: il suo legame con la Pasqua. La liturgia ci ripete che «l’evento di Betlemme deve essere considerato alla luce del Mistero Pasquale: l’uno e l’altro sono parte dell’unica opera redentrice di Cristo. L’Incarnazione e la nascita di Gesù ci invitano già ad indirizzare lo sguardo verso la sua morte e la sua risurrezione: Natale e Pasqua sono entrambe feste della redenzione. La Pasqua la celebra come vittoria sul peccato e sulla morte: segna il momento finale, quando la gloria dell’Uomo-Dio splende come la luce del giorno; il Natale la celebra come l’entrare di Dio nella storia facendosi uomo per riportare l’uomo a Dio: segna, per così dire, il momento iniziale, quando si intravede il chiarore dell’alba».
Perfino le stagioni aiutano a capire la liturgia. «Anche i due periodi dell’anno, in cui sono collocate le due grandi feste, almeno in alcune aree del mondo, possono aiutare a comprendere questo aspetto. Infatti, mentre la Pasqua cade all’inizio della primavera, quando il sole vince le dense e fredde nebbie e rinnova la faccia della terra, il Natale cade proprio all’inizio dell’inverno, quando la luce e il calore del sole non riescono a risvegliare la natura, avvolta dal freddo, sotto la cui coltre, però, pulsa la vita e comincia di nuovo la vittoria del sole e del calore».
Né si tratta solo di teologia e di simboli. «Nel Natale noi incontriamo la tenerezza e l’amore di Dio che si china sui nostri limiti, sulle nostre debolezze, sui nostri peccati e si abbassa fino a noi». Questa è la verità, storica e liturgica, della «grotta di Betlemme: Dio si abbassa fino ad essere adagiato in una mangiatoia, che è già preludio dell’abbassamento nell’ora della sua passione. Il culmine della storia di amore tra Dio è l’uomo passa attraverso la mangiatoia di Betlemme e il sepolcro di Gerusalemme».
A Natale, ha concluso il Papa, i buoni cattolici vanno a Messa, e sanno che l'essenziale della festa è «la celebrazione dell’Eucaristia, centro del Santo Natale; lì si rende presente in modo reale Gesù, vero Pane disceso dal cielo, vero Agnello sacrificato per la nostra salvezza». Solo ricordando che il suo centro è la Messa vivremo «un Natale veramente cristiano, in modo che anche gli scambi di auguri in quel giorno siano espressione della gioia di sapere che Dio ci è vicino e vuole percorrere con noi il cammino della vita».