«Padre, mi benedica!».
Ancora oggi non è raro sentirsi chiedere da un fedele una benedizione o
richiederla per il proprio bambino o per un oggetto di devozione. Cosa
significa benedire? Già dal verbo latino si può avere un’idea chiara: bene-dicere,
dire bene di qualcuno o qualcosa, invocare il bene da Dio. É una lode
di Dio per ottenere aiuto e protezione ed è anche una benedizione che
sale dalla terra per benedire Lui che è l’Amore sommo: «Popoli, benedite
il nostro Dio, fate risuonare la voce della sua lode» (Salmo 66,8). San
Paolo, unisce le due benedizioni, ascendente e discendente, all’inizio
della Lettera agli Efesini: «Benedetto Dio, Padre del Signore nostro
Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei
cieli in Cristo» (1,3).
La benedizione non è un sacramento ma un sacramentale.
Che differenza c’è? Ci viene in aiuto il Catechismo della Chiesa
Cattolica (CCC) - che il Papa raccomanda di conoscere e diffondere - il
quale così recita: «La santa Madre Chiesa ha istituito i sacramentali.
Questi sono segni sacri per mezzo dei quali, con una certa imitazione
dei sacramenti, sono significati e, per impetrazione della Chiesa,
vengono ottenuti effetti soprattutto spirituali. Per mezzo di essi gli
uomini vengono disposti a ricevere l'effetto principale dei sacramenti e
vengono santificate le varie circostanze della vita» (CCC 1667).
Quindi, essi dispongono a ricevere la grazia - che san Tommaso diceva
essere un inizio della sperata beatitudine (Summa Theologiae II-II, q.5,
a.1) -, a differenza dei sacramenti che sono segni efficaci che
comunicano concretamente la grazia che significano.
Inoltre, comportano sempre una preghiera,
la lettura della Parola di Dio, un gesto - come ad esempio imporre la
mano -, il segno di croce e l’aspersione con l’acqua benedetta. Gesù,
nel Vangelo, benedice bambini (cf. Mc 10,16) e alimenti (cf. Mt 14,19) e
nella Chiesa si svilupparono riti e formule di benedizione fin dal
primo secolo, sia nella Liturgia che fuori di essa - accompagnate dal
segno di croce -, benedizioni che si svilupparono ampiamente nel
Medioevo. Difatti, il libro delle benedizioni - chiamato Benedizionale -
più antico in Occidente è probabilmente del VII secolo (fonte:
Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano 1949, vol. II, col. 1299). Le
formule di benedizione hanno quindi soprattutto lo scopo di rendere
gloria a Dio per i suoi doni, chiedere i suoi favori e sconfiggere il
potere dell’avversario di Dio per eccellenza, Satana.
Tra le benedizioni troviamo quelle di persone, oggetti, luoghi, della mensa, della campagna,
degli animali, dei mezzi moderni di lavoro ecc. (cf. CCC 1671). Questo a
significare come la Chiesa estenda l’amore di Dio e la Sua benevolenza
sopra tutta la vita dell’uomo, abbraccia tutto e tutti: come le ali
dell’aquila coprono i suoi nati, così ciascuno di noi è protetto e
guidato dal Signore che «spiega le sue ali» con le Sue benedizioni (cf.
Dt 32,11).
In questo periodo natalizio, per il Rito ambrosiano vigente nella Diocesi di Milano,
è tradizione benedire le famiglie e le case. Nel Rito romano, si
benedice normalmente nel tempo pasquale o poco prima della Pasqua, in
Quaresima. Come nasce questa consuetudine pasquale? Una spiegazione la
possiamo cogliere dalla lettura del brano riguardante la Pasqua ebraica
nel libro dell’Esodo (12,1-14). Con il sangue dell’agnello immolato per
la Pasqua, gli ebrei spalmarono gli stipiti e l’architrave della porta
d’ingresso delle loro case. In tal modo il Signore passò oltre le
abitazioni ebraiche non permettendo all’angelo sterminatore di uccidere i
primogeniti maschi, a differenza dei bambini primogeniti del popolo
egiziano - che manteneva in schiavitù il popolo ebreo - che furono
uccisi. Così, accogliendo il sacerdote che reca la benedizione di Dio,
nella Pasqua cristiana ci si prepara alla liberazione dalla schiavitù
del peccato e della morte grazie al sacrificio del vero Agnello, Gesù
Cristo, che con il suo sangue sparso sulla croce segna le nostre case
portando la pace e la benedizione attraverso il ministro della Chiesa.
La Pasqua di Cristo, anche attraverso l’acqua nuova benedetta nella
solenne Veglia del Sabato santo, entra nelle nostre case, rinnova la
nostra vita come nel Battesimo, ci purifica e ci rende nuove creature
rivestendoci di Cristo (cf. Gal 3,27).
Diversa è invece la spiegazione che danno alcuni storici per la tradizionale benedizione natalizia
ambrosiana. Sembra che durante la peste del 1576 san Carlo Borromeo
visitasse le case degli appestati per portare i conforti religiosi e, a
causa della quarantena, i milanesi dovevano restare chiusi in casa
durante quell’inverno freddo che già scoraggiava a uscire. Da questo
gesto di generosità del santo Vescovo sembra derivi la consuetudine di
visitare le case nel tempo invernale-natalizio.
Oppure, una spiegazione più teologica e spirituale,
potrebbe far risalire la benedizione al fatto che nell’Avvento
ambrosiano, che consta di sei Domeniche invece che quattro come nel Rito
romano, si legge il Vangelo dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme
(seconda Domenica di Avvento; prima della riforma liturgica era la
quarta). Questo episodio, normalmente inserito nella Domenica delle
Palme per la sua collocazione storica-cronologica, significa l’incontro
definitivo di Gesù con il suo popolo, come un’immagine del ritorno di
Cristo alla fine dei tempi. Ma significa anche l’incontro di Gesù con
ciascuno di noi, nella nostra vita, l’«ingresso» di Cristo nella nostra
quotidianità , nelle nostre case, come avvenne per il pubblicano Zaccheo:
«Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua» (Lc
19,5).
Ma forse, più semplicemente, questo Bambino che nasce a Natale,
il Verbo di Dio fatto Uomo, rifiutato a Betlemme e dal mondo attuale,
deve trovare spazio nel nostro intimo, nelle nostre case, e la
benedizione natalizia vuole ricordarci che se non apriamo la porta del
nostro cuore non potremo essere veramente in comunione con Dio. «C'è
soprattutto un aspetto che è stato evidenziato anche dal Santo Padre
Benedetto XVI nell'udienza di mercoledì 21 dicembre: "L’evento di
Betlemme deve essere considerato alla luce del Mistero Pasquale: l’uno e
l’altro sono parte dell’unica opera redentrice di Cristo.
L’Incarnazione e la nascita di Gesù ci invitano già ad indirizzare lo
sguardo verso la sua morte e la sua risurrezione: Natale e Pasqua sono
entrambe feste della redenzione". Sembra proprio che le consuetudini
della benedizione delle famiglie nei due Riti, Ambrosiano e Romano,
vogliano sottolineare questi due misteri della vita di Gesù, e che la
tradizione milanese orienti verso quella romana».
Certamente, qualunque sia l’origine storica di questo gesto, vi è sotteso un significato importante:
Gesù, attraverso la sua Chiesa, viene a visitarci e a portarci la gioia
e la pace che solo Lui può donare. Non la falsa pace del mondo o quella
contraffatta dei pacifisti nostrani stile bandiere arcobaleno. Gesù,
infatti, dice così nel Vangelo di Luca: «In qualunque casa entriate,
prima dite Pace a questa casa» (Lc 10, 5), ed entrando nel cenacolo a
porte chiuse la sera della resurrezione esclama: «Pace a voi!» (Gv
20,19). La sollecitudine e la carità pastorale del sacerdote devono
condurlo, quindi, a non rinunciare facilmente a questa occasione annuale
di evangelizzazione e di conoscenza personale di tutti i suoi
parrocchiani e delle loro famiglie.
Riportiamo la bella preghiera di benedizione del Rito romano nel tempo pasquale che,
meglio di ogni cosa, riassume il significato profondo della benedizione
delle famiglie: «Benedetto sei tu, Signore, che nella Pasqua dell'esodo
hai preservato incolumi le case del tuo popolo asperse con il sangue
dell'agnello. Nella Pasqua della nuova alleanza ci hai donato il Cristo
tuo Figlio, crocifisso e risorto, come vero Agnello immolato per noi,
per liberarci dal maligno e colmarci del tuo Spirito. Benedici questa
famiglia e questa casa, e allieta tutti i suoi membri con l'esperienza
viva del tuo amore».
(G. Poggiali)