martedì 13 dicembre 2011

Dio dà tutto!




Quarantanove giovani diaconi Legionari di Cristo sono stati ordinati sacerdoti ieri mattina presso la basilica di San Giovanni in Laterano. A presiedere il rito è stato il cardinale Velasio de Paolis, delegato pontificio per la Legione di Cristo.
I novelli presbiteri sono di età compresa tra i 29 e i 35 anni e provengono da sette paesi differenti: Stati Uniti, Messico, Brasile, Colombia, Ungheria, Spagna e Italia.
I 49 nuovi presbiteri appena ordinati si vanno ad aggiungere agli 880 sacerdoti legionari che attualmente esercitano il loro ministero in 21 paesi, in differenti campi, dalla catechesi, all’aiuto umanitario, nel mondo della cultura, della formazione sacerdotale, dei mezzi di comunicazione e, in modo particolare, dell’insegnamento presso scuole, collegi, licei e università della congregazione che ospitano un totale di 130mila allievi e studenti.
Nel corso dell’omelia il cardinale de Paolis ha ringraziato i parenti e, in modo particolare, i genitori dei nuovi presbiteri “perché hanno consegnato alla Chiesa questi loro figli, per questo servizio mirabile al popolo di Dio e a Dio stesso”.
A quelle dei 49 Legionari di Cristo si aggiunge, l’ordinazione di un membro dell’Istituto dei Padri della Somasca. Il numero di 50 nuovi sacerdoti è “prezioso”, “rilevante” ed è anche “motivo di consolazione da parte del Signore”, ha proseguito il porporato.
Il cardinale de Paolis ha ricordato le “difficoltà” che la Legione di Cristo sta attraversando, a seguito della rivelazione degli scandali legati alla vita del loro fondatore, Marcial Maciel, e alla conseguente visita apostolica.
Ciononostante i membri della congregazione, ha sottolineato il porporato, “sono impegnati in un cammino in obbedienza alla Chiesa, un cammino di rinnovamento e di riscoperta sempre più profonda della loro missione, della loro collocazione all’interno della Chiesa”.
Tale cammino è “qualche volta faticoso” ma i Legionari di Cristo lo stanno “compiendo generosamente secondo le direttive della Chiesa”, affidandosi “alla grazia del Signore”.
Il cardinale de Paolis ha messo in evidenza la non casuale coincidenza della celebrazione con la memoria liturgica della Beata Vergine di Guadalupe, patrona delle Americhe e in particolare del Messico, paese di origine di moltissimi Legionari di Cristo, tra cui anche 20 di quelli ordinati ieri.
“È un’occasione mirabile – ha detto il cardinale con riferimento alla Madonna di Guadalupe - perché possiamo consegnare questo sacerdoti a Maria che fu la madre di Gesù e Gesù la consegnò a noi e come custodì e protesse il Figlio suo unigenito, il sommo ed eterno sacerdote, così, ne siamo certi, Ella custodirà il sacerdozio di questi candidati che tra poco verranno ordinati”.
L’evento delle ordinazioni, avvenuto in “tempi particolari per la congregazione e per il movimento Regnum Christi”, si legge in un comunicato diffuso dalla Legione, è il segno che 49 giovani religiosi “hanno voluto avere fiducia in Dio che fa meraviglie, anche quando si attraversano delle difficoltà”.
Molti dei nuovi sacerdoti “hanno sentito la loro chiamata vocazionale fin dalla loro prima giovinezza; alcuni di loro hanno ricevuto la vocazione fin dai loro studi durante il seminario minore”, prosegue la nota.
A proposito della formazione ricevuta dai neosacerdoti, il comunicato aggiunge che “il processo di discernimento e di formazione dei sacerdoti Legionari di Cristo si compie in quattro grandi tappe che iniziano prima dei diciotto anni: il noviziato (due anni), gli studi preliminari in lettere classiche e in filosofia (tre anni); lo ‘stage’ pastorale (tre anni), gli studi complementari di filosofia e di teologia (cinque anni)”.
Come ormai è consuetudine presso la Legione di Cristo, le testimonianze dei nuovi sacerdoti sono state incluse in volume, quest’anno intitolato Dio dà tutto! La frase è ispirata a un’esortazione di papa Benedetto XVI ai giovani: “Non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla e dà tutto!”.
Di seguito le testimonianze di tre dei novelli presbiteri.
* * *
"L'essenziale non è visibile a prima vista".
P. Riccardo Garzari (Italia)
Sono sacerdote non per mia volontà, ma per volontà di Dio. Non l’ho mai pensato da piccolo, non l’ho mai cercato come stile di vita. Ho solo cercato di capire quale fosse la mia strada nella vita. L’ho chiesto al Signore e Lui mi ha risposto: mi ha voluto sacerdote, religioso nella Congregazione dei Legionari di Cristo. Ed eccomi qui a descrivere un po’ come il Signore ha guidato la mia vita.

Forcellini



Mia madre mi ha raccontato che fin da quando ero piccolo frequentavo la parrocchia, nonostante la mia famiglia non fosse tanto “di chiesa”, come si dice da noi. Mi ha detto che, tutte le domeniche mattina, alcune ragazze, che abitavano nel nostro stesso condominio, passavano a prendermi per portarmi a Messa, e intanto si coccolavano questo piccoletto. Poi, negli anni delle elementari, andavo in parrocchia per il catechismo, ma era più per le strutture che c’erano che perché ne capissi qualcosa. Infatti, nel quartiere Forcellini, in cui abitavo, la chiesa è un po’ come il centro della zona, quindi per tutti era “a portata di mano”. A gestire la nostra parrocchia, dedicata allo Spirito Santo, erano i padri Verbiti, gli stessi che l’avevano costruita, e avevano pensato ogni cosa per favorire la pastorale giovanile e familiare. Le strutture parrocchiali avevano un campo da calcio per le partite, un campo da calcio per gli allenamenti e le partitelle di tutti i giorni, un campo da pallavolo, uno da basket, uno da pattinaggio, e poi c’era il cinema parrocchiale e la sala del “patronato”, che è il nome con cui noi indichiamo l’oratorio. Ogni anno in estate c’erano i GrEst, i centri estivi parrocchiali (in altre zone d’Italia si chiamano Estate ragazzi o CRE o Oratorio feriale), poi i campi-scuola in montagna, e le richieste erano così tante che si dovevano fare turni diversi per accontentare tutti i ragazzi che volevano partecipare. Oltre a padre Mariano, il parroco, c’erano altri due sacerdoti che si occupavano, tra le altre incombenze, dei giovani: padre Franco e padre Cristoforo. Pur avendo due personalità differenti, per me erano un esempio di sacerdoti che sapevano avvicinarsi con semplicità e simpatia a noi ragazzi: padre Franco nel catechismo, nell’ora di religione a scuola; padre Cristoforo in patronato e ai campi-scuola. La società sportiva parrocchiale era la Polisportiva Audax, che aveva sia la pallavolo che il calcio. Anche per questo motivo, gli impianti della parrocchia erano sempre pieni di ragazzi. Noi più piccoli avevamo come esempio i più grandi, perciò aspiravamo ad essere o animatori o allenatori, e questo comportava che intorno alla parrocchia bazzicasse sempre un buon numero di ragazzi. Il “collante” dei giovani era il ritrovarsi seduti sugli scalini della chiesa, per gruppetti di età, ma sempre là. In questa realtà ho trascorso tutta la mia infanzia e la mia adolescenza. Stando in città, non sentivo il bisogno di avere mezzi motorizzati perché tutto era relativamente vicino, sia il centro, sia le scuole superiori. Per questo, fino ai diciotto anni, praticamente non sono uscito dal giro del quartiere. Poi, un po’ perché avevo cominciato a usare il motorino, un po’ perché ho cominciato a frequentare altra gente, ho cominciato a tralasciare l’abitudine di andare in parrocchia. Sì, parlo di “abitudine”, perché era più una consuetudine che una convinzione personale. In quel periodo ero animatore, ma avevo cominciato a limitare quest’impegno solo all’estate, per i campi scuola.


Pallavolo



Io sono sempre stato una mezza cartuccia a calcio, e ci giocavo soprattutto per stare con gli altri ragazzi del quartiere, non perché avessi uno speciale interesse. La pallavolo non era parte della mia vita, se non perché andavamo a vedere le ragazzine allenarsi e giocare le partite. Ma un giorno d’estate, nel campo della mia parrocchia, nel tardo pomeriggio, quando la gente se ne tornava a casa, arrivarono dei giovani sconosciuti e si misero a giocare. E così quasi tutti i giorni. Noi ci fermavamo ai bordi del campo a osservare incuriositi: erano bravi, e ci veniva voglia di chiedere di poter entrare anche noi, ma non c’era spazio, e poi, non ci conoscevamo. Ma, poco a poco, abbiamo fatto amicizia, e anch’io sono entrato in campo. A dire la verità, un po’ ci sapevo giochicchiare, perché il mio compagno di banco a scuola, soprannominato Galak, era un giocatore professionista e mi aveva insegnato un po’ le basi. Da lì, è bastato poco: a settembre stavo già cominciando gli allenamenti nella squadra di questi ragazzi. Ora,



P.  Riccardo Garzari




andando a vedere gli allenamenti di pallavolo delle ragazze del mio quartiere, il loro allenatore, o meglio, il pilastro della pallavolo di Forcellini, Gigi, mi faceva entrare in campo per aiutarlo, visto che un po’ me ne intendevo, ed è finita che sono diventato il vice allenatore. Da cosa nasce cosa, e Gigi mi ha fatto partecipare ai corsi per ottenere il cartellino per allenare, sia nel Centro Sportivo Italiano, dove si dà più importanza alla formazione delle virtù nello sport, sia nella Federazione Italiana Pallavolo (FIPAV), il settore indirizzato specificamente all’agonismo sportivo. Mi è stato affidato il settore del mini volley, e mi sono dedicato a far crescere due squadrette, una di femminucce e una di maschietti.
SICEP e Capitaniato



Finite le superiori dovevo trovarmi un lavoro, cosa non facile nemmeno all’epoca. Un giorno, durante una partita di pallavolo, mi dicono che il papà di una delle bambine del mini volley stava cercando un nuovo dipendente, così mi sono fatto avanti. Lui mi ha accolto volentieri e pazientemente mi ha cominciato a far entrare nel mondo artigiano: alla SICEP costruivamo trasformatori elettrici speciali, tutti a mano e a colpi di martello. I due anni in cui ho lavorato lì mi hanno aiutato a maturare e a capire che ormai la vita era nelle mie mani, e dai miei datori di lavoro, Piero e Francesco, e dai miei colleghi, specialmente il mio “capo” Aldo, ho imparato che la famiglia “mangia” se io porto a casa il pane, e il pane si guadagna con il sudore della fronte. Nonostante i buoni insegnamenti che ho appreso, sapevo che la mia strada non si fermava lì. Certo, i miei datori di lavoro non la pensavano come me, ma quando ho detto loro che mi sarei iscritto all’università per continuare gli studi, mi hanno appoggiato. Così ho cominciato l’università coi soldi che avevo risparmiato per comprarmi la macchina. A dire il vero, il mio obiettivo principale non era l’università, ma avere del tempo per riflettere sulla mia vita. Fino ad allora la mia giornata era piena: lavoro, pallavolo come giocatore, pallavolo come allenatore, amici. Ogni tanto ripensavo ai momenti di “deserto”, sia ai campi-scuola, che alle giornate di ritiro, in cui entravo in me stesso e riflettevo sulla mia vita. Cosa avrei fatto? Non ci vedevo chiaro. Studiavo scienze dell’educazione: l’università era per me un mondo nuovo, non conoscevo nessuno, era passato un po’ di tempo da quando avevo finito le superiori. Ma nell’aula-studio di piazza Capitaniato venivamo da situazioni simili, e tra studenti abbiamo subito fatto tutti amicizia.

Padre Hormuz



E qui, Dio ritorna a fare capolino nella mia vita, di soppiatto, ma impregnando la mia anima. Un volantino arrivato nelle mie mani in un’altra aula-studio, in circostanza particolari, mi ha fatto approdare una sera a un gruppo di discussione formato da “credenti” e da “non-credenti”, in cui si parlava di Dio, ma da diversi punti di vista, ed era moderato da un prete che, stranamente per l’ambiente padovano, usava il distintivo sacerdotale. Questo fatto mi ha colpito, perché io ritenevo che il sacerdote deve usare il distintivo, almeno nelle occasioni in cui deve farsi riconoscere come tale. Ed eccolo lì. Mi aveva inoltre colpito il fatto che non interveniva per imporre le sue idee, ma solo per chiarire il punto a cui era approdata la discussione fino a quel momento. Quando gli ho chiesto di poter parlare da soli, di cose personali, mi ha spiazzato: l’avremmo fatto davanti a una pizza e una birra. Voglio dire: fino a quel momento per me erano due contesti diversi, e invece… dopo la pizza, una camminata per Prato della Valle fino a tarda sera, in cui ho chiesto maggiori approfondimenti sui misteri della nostra fede. Ma per lui i misteri rimanevano dei misteri. «E allora, perché ti sei fatto prete?» gli ho chiesto deluso. E me ne sono andato. Così ho cominciato a cercare Dio per i fatti miei e questo sacerdote, Padre Hormuz, chissà quando l’avrei rivisto.

Idee confuse



Intanto cominciavano i primi innamoramenti seri, quelli che ti chiedi se è la persona giusta per la tua vita. Ma era la mia strada avere una famiglia? Non mi era chiaro nemmeno questo. L’università non riempiva la mia esistenza se non nella misura in cui dovevo pensare a prendere la borsa di studio per iscrivermi agli anni successivi. Di tanto in tanto lavoravo come educatore in progetti, così avevo la possibilità di farmi conoscere nel giro delle cooperative, delle ludoteche e delle associazioni educative. La pallavolo continuava, e pensavo magari a fare carriera come allenatore: sono entrato a far parte di una nuova società sportiva, che aveva in progetto di puntare in alto, di avere una squadra a livello professionista. E Dio? Era lì a bussare alla mia porta. Con alcuni miei amici avevo cominciato a interessarmi di spiritualità orientale, anche se mischiata con nuove forme di spiritualità, quelle della New Age, per cui leggevo libri di queste correnti di pensiero e partecipavo a incontri e sedute sul tema. E, paradossalmente, sentendo parlare di meditazione, di preghiera, di spirito, di anima, pensavo sempre a Gesù: come far combaciare queste cose con la mia religione? Allora: perché non approfondire di più quello che mi avevano già insegnato fin da piccolo, al catechismo, ai campi-scuola, nell’ora di religione a scuola? Perciò sono ritornato a frequentare i gruppi parrocchiali, anche se per poco, perché sono partito per la Spagna.

Jerez de la Frontera



Grazie al Progetto Leonardo della Comunità Europea, istituito per dare la possibilità ai giovani di fare un’esperienza lavorativa all’estero e aprirsi opportunità per la vita, sono arrivato a Jerez de la Frontera, in Andalusia, tra Siviglia e Cadice. Lasciandomi molte sicurezze dietro le spalle, ospitato da una affettuosa famiglia, circondato da simpatici amici venuti con me dall’Italia per condividere la medesima esperienza, ho cominciato questa nuova avventura. A me toccava lavorare come educatore in un centro per disabili mentali. Questa situazione ha cominciato a farmi pensare molto, condividevo le mie riflessioni con Massimo, padovano anche lui, che si occupava del settore sportivo, e tutti e due ci siamo accorti di quanto poco bastasse per strappare loro un sorriso, per farli diventare felici per tutta una giornata e, al contrario, che noi non riusciamo ad accontentarci di quel che abbiamo e , sotto sotto, siamo sempre infelici. Nel frattempo, stavo seguendo le catechesi del cammino neocatecumenale e mi ero accorto che essere cristiano significa qualcosa di più di quello che ero abituato a vivere. Pur non riconoscendomi come chiamato a proseguire in questo Movimento, sono loro grato, ancora oggi, per la chiarezza con cui mi hanno guidato nel mio percorso spirituale. Jerez mi ha profondamente segnato e, quando sono tornato a casa, non ero più lo stesso.

Retta finale



Tornato all’università, dopo un piccolo diverbio con alcuni compagni, me ne andavo in giro per le piazze pensieroso, sotto il cielo grigio di Padova e una pioggerellina fastidiosa, quando, ad un tratto, ho incrociato un sacerdote che usava il distintivo clericale. Inutile dirlo: Padre Hormuz. È bastato un sorriso e un saluto: «Allora? Pizza e birra?» e così è ricominciato tutto. Era l’inizio del nuovo anno, e, nella mia vita, niente era come prima. Non c’era più la pallavolo, non c’era più la serenità con cui affrontavo la vita, non c’era più lo stesso rapporto coi miei compagni di università, mi sentivo solo. Avevo fatto un cammino che altri non avevano fatto e sembrava non ci fosse né la possibilità per loro, di capirlo, né, per me, di spiegarlo. Uscire con le ragazze? Sì, ma avevo la testa da un’altra parte. E se dovessi fare qualcosa di totalmente diverso? Ma chi me lo poteva dire? Più ci pensavo più mi sentivo che dovevo fare un’esperienza forte di “deserto”, entrare in me stesso e cercare la strada giusta, che il Signore mi avrebbe prima o poi indicato, ma doveva essere il prima possibile, non ce la facevo più. Un mio amico era andato a fare una settimana di ritiro dai monaci di Monte Rua, sui colli vicino a Padova, ma, per mantenere il silenzio assoluto, potevano ospitare solo una persona per volta. Così per me non ci sarebbe stato posto per almeno un mese: troppo. Mi confidai con Padre Hormuz ed egli mi propose un’esperienza in un Noviziato in Piemonte, a Gozzano. Io accettai. Quei tre giorni non mi hanno detto nulla, e ho continuato a cercare.



Mi proposero il cammino di san Giacomo di Compostela. Un mese di pellegrinaggio e riflessione sia personale che in gruppo. Faceva al caso mio. Ma Dio era il timoniere della mia barca. Un giorno mi è arrivata la notizia che avevo vinto una borsa di studio per Valladolid, in Spagna, col programma universitario Erasmus. Così Compostela era automaticamente spostata. E l’estate? E la mia esperienza? I miei piani andati in fumo. Io: spaesato totalmente. L’unica prospettiva era un certo corso di discernimento vocazionale a Roma cui ero stato invitato tempo prima da padre Hormuz. Non ci vedevo chiaro, ma non mi si prospettavano alternative migliori. Fino al giorno della mia partenza per Roma, nessuno mi aveva mai guidato fino in a fondo il mio percorso spirituale. D’altra parte, se uno non rivela quello che ha dentro, dal di fuori si può solo intuire, ma non afferrare la verità completa, che a volte nasconde aspetti imprevisti. Forse nemmeno io ero totalmente certo di quello che stava succedendo in me. Ma l’essenziale non è visibile agli occhi, forse nemmeno ai propri.



Così, nel giro di un mese, cercando un rapporto sincero con Dio, togliendomi qualsiasi illusione e cercando solo la verità nella mia vita, ho scoperto che il Signore mi chiamava a seguirlo come religioso nella Congregazione dei Legionari di Cristo. Perché? Bisogna domandarlo a Lui. Eppure sono cresciuto coi padri Verbiti, con le suore Francescane, con quelle Salesiane, con l’ACR diocesana. Dio mi ha guidato per tutto questo tempo. Dio ha mosso le pedine, ha cambiato i piani, ha stravolto gli eventi. Non c’è altra spiegazione. Coincidenze? Forse. Ma sarebbero troppe. Dio ha preparato il terreno e ha aspettato che i tempi fossero maturi, poi mi ha detto che bisognava smetterla di scherzare e cominciare a seguirlo sul serio. Come l’hanno presa i miei familiari e i miei amici? Non bene. Ma Dio sa tutto, sa perché lo permette e, soprattutto, mi ha sempre dato la forza di seguire la strada che mi ha chiesto di percorrere. Mi diceva un mio confratello: “Dio manda il freddo a seconda dei panni”, che, in parole povere, significa che Dio non dà a nessuno un peso che non può sopportare. Ed è così. Così è stato per tutto il mio periodo di formazione e di preparazione al sacerdozio. Non ho mai avuto ripensamenti. Io ero, e lo sono tuttora, certo della mia chiamata. L’unico dubbio sarebbe stato il caso in cui i miei superiori avessero visto che non ero chiamato qui. Ma non è stato così. Ringrazio Dio per tutto l’amore che ha per me. Lui mi dà tutto. È Lui che spinge le persone ad amare. È Lui che instilla nei cuori la generosità. È Lui che dà la forza di rispondere alla sua chiamata. È a Lui che va tutto il mio amore, il mio ringraziamento, il mio sforzo apostolico. Signore, io ti amo, grazie!


Il P. RICCARDO GARZARI è nato a Padova il 29 agosto 1975. Nel 1994 si è diplomato perito elettrotecnico presso l’ITIS “G. Marconi” di Padova. Dopo il diploma ha lavorato per un periodo come costruttore di trasformatori elettrici. Ha studiato presso l’Università di Padova, nella facoltà di Scienze dell’Educazione. Ha lavorato come educatore in ludoteche e associazioni, tra cui un periodo a Jerez de la Frontera, in Spagna, nel settore dei disabili mentali. È stato allenatore di pallavolo nel settore giovanile, sia come educatore ai valori nello sport, che come tecnico nel settore agonistico. È entrato nel noviziato della Legione di Cristo a Gozzano (Novara) nell’agosto del 2000 e ha poi intrapreso un anno di studi classici a Salamanca, in Spagna. Ha ottenuto il baccalaureato in filosofia a Roma, presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum. Ha interrotto gli studi per tre anni, per prestare servizio nella parrocchia di Isola d’Asti, dedicandosi alla pastorale degli adolescenti e come assistente del Cancelliere della Curia vescovile di Asti. Nel 2009 è tornato a Roma per terminare gli studi di teologia nel medesimo Ateneo. Dall’autunno del 2011 si dedica alla pastorale degli adolescenti a Palermo e all’orientamento vocazionale, in collaborazione con la Cappellania Universitaria
di Palermo e il Movimento Regnum Christi.



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"Misericordias Domini in aeternum cantabo"
P. Massimiliano Maria Irranca (Italia)

Mercoledì 10 agosto 2011, 11:30 del mattino. Insieme a un confratello diacono e ad altri tre sacerdoti ci rivestiamo per iniziare la S. Messa. Di speciale? Soltanto che ci troviamo a 3.375 metri, sulla cima del Blinnenhorn, in Val Formazza. Sono serviti due giorni per salire, pernottare in rifugio e alzarsi presto al mattino prima di arrivare alla cima. Ma la vista a 360 gradi ricompensa ampiamente la fatica. Ho sempre visto così la mia vocazione al sacerdozio: come una lunga e impegnativa gita in montagna, piena di imprevisti, di emozioni, di grandi lezioni di vita; ma soprattutto come qualcosa che, nonostante le difficoltà, vale la pena!

Agli inizi, il mistero



Sono nato e cresciuto in un paesello della bergamasca, nel nord Italia, Desenzano di Albino, meta di pellegrinaggi per il Santuario dedicato alla Madonna, che apparse più di cinquecento anni fa per curare miracolosamente una ragazzetta da un tumore maligno alla gamba. Quando pensai per la prima volta che sarei potuto diventare sacerdote? Non lo so! Mi sembra quasi che quell’idea mi abbia accompagnato fin dai primi anni dell’infanzia, respirata in un ambiente familiare in cui Dio era presente, sia per l’assiduità alla Messa domenicale, sia per quelle preghiere spontanee che mia madre mi aiutava a rivolgere a Gesù durante alcune brevi visite al tabernacolo. E così il Signore é entrato poco a poco a far parte della mia vita.



Galeotta fu la nonna



Credo però che sia stata mia nonna Emilia ad agitare per prima le acque della vocazione, stimolando qualcosa che era solo in nuce… Come quasi tutti i bambini, sentivo una particolare attrazione per la casa dei nonni, dai quali cercavo di andare spesso a dormire soprattutto con un cugino, Damian, di due anni più piccolo di me, che consideravo veramente come un fratello. A casa dei nonni vedevamo alcuni film in bianco e nero, stile anni ’50, che però , per dei bambini degli anni ottanta, erano ancora una meraviglia. Tra quei film spuntava sempre “Don Camillo”, la serie tratta dagli omonimi libri di Guareschi. Vedere quel sacerdote che parlava con tanta semplicità e schiettezza con il Crocifisso dell’altar maggiore mi emozionava sempre. Soprattutto perché il Cristo dell’altare rispondeva a voce alta, ora correggendo, ora consolando, ora animando il buon sacerdote, protagonista delle più svariate avventure. Cominciò così a farsi strada il pensiero più serio di diventare sacerdote, per poter anch’io parlare con Gesù come lo faceva quel sacerdote. Mia nonna, che come tutte le nonne era capace di leggere negli occhi e nell’anima del nipotino, fomentava scherzosamente quell’inquietudine con battute del genere: “quando diventerai vescovo, se continuerai a fare il cattivo, ti picchierò il pastorale sul groppone”.


Sono venuto a portare il fuoco sulla terra



Se da quanto detto finora potrebbe sembrare che fossi un ragazzetto tranquillo, tutto casa e Chiesa, devo immediatamente sottolineare che non era esattamente così. Il Signore diceva di Se Stesso che era venuto a portare fuoco sulla terra; mi piace pensare che anche a quelli che Lui sceglie per seguirlo metta un po’ di fuoco dentro perché lo aiutino ad accenderlo nel mondo. Il punto é trovare il fuoco giusto. E questo non era sempre facile. Basti un esempio. Non ricordo esattamente come sia successo; so soltanto che ero a casa della solita nonna; avrò avuto dieci anni. Stavo giocando con i fiammiferi e a un certo punto mi prese quella tipica curiosità “scientifica” di voler sapere se le tende del salotto bruciavano o no. Pochi secondi dopo le tende erano in fiamme, io gridavo terrorizzato “al fuoco, al fuoco”, e la vicina cercava disperatamente un estintore per evitare la catastrofe. Sopra le tende, infatti, correvano i fili dell’elettricità… se le fiamme li avessero raggiunti…



Il “fuoco interiore” si manifestava anche a scuola, soprattutto nella relazione con i compagni; non era strano ricevere note sul diario per litigi avvenuti ora con questo, ora con quello, tanto che, terminando le elementari, dovettero separarci in due aule diverse, per evitare gli inevitabili conflitti.



Insomma, un ragazzo come tanti altri, al quale il Signore ha in certo modo toccato il cuore fin da bambino.


Ritenta, sarai più fortunato


E Dio si incaricò anche di mettere sulla mia strada sacerdoti e religiosi che, chi in un modo, chi in un altro, continuavano a renderLo presente nella mia vita. Con loro ho potuto vivere la vita dell’oratorio, essere animatore ai campi estivi, e partecipare


P.  Massimiliano Maria Irranca




alle gite parrocchiali, oltre agli incontri in seminario organizzati per i chierichetti. P. Celestino, P. Giosuè Torquati, oltre ai parroci don Pietro e don Roberto hanno segnato in modo particolare la mia decisione vocazionale, ognuno di loro seminando qualcosa che avrebbe poi dato frutto a suo tempo.



Verso i 16 anni partecipai con i frati francescani di Albino ad un pellegrinaggio a La Verna e ad Assisi. Ritornai a casa con tutta l’intenzione di diventare francescano, ma il promotore vocazionale mi disse che, benché vedesse in me una possibile vocazione, era convinto che non fossi fatto per la vita francescana. Ricordo che non compresi quelle parole, dato che, nella mia ignoranza, pensavo che se uno voleva essere sacerdote, che importava il dove? Con il senno di poi, dopo alcuni anni di vita religiosa e di esperienza nella promozione vocazionale, mi resi conto della saggezza di quel religioso e dell’onestà con la quale mi seppe dire “no”, indirizzandomi a cercare altrove la Volontà di Dio.



Iniziai allora a frequentare alcuni ritiri di discernimento nel seminario diocesano di Bergamo; li ricordo con molta gioia, soprattutto per i momenti di adorazione davanti al Santissimo Sacramento e per la vicinanza dei sacerdoti che li dirigevano. Eppure, nonostante tutto andasse per il meglio, interiormente sentivo che non era quello il luogo preparato per me. E fu un altro “no”.
Parla adesso o taci per sempre



E così, un giorno dopo l’altro, arrivai all’ultimo anno delle superiori. Attratto dalla vita sacerdotale, al tempo stesso iniziava ad interessarmi anche la vita matrimoniale; non riuscivo a capire cosa volesse il Signore da me. Fu allora quando, quasi spontaneamente, nacque quella specie di ricatto scherzoso: “Signore, ti do quest’anno perché tu mi faccia capire; al massimo anche il prossimo, dato che dovrò fare il servizio militare. Dopo di che prenderò la decisione da solo. Parla adesso o taci per sempre”.



La risposta non si fece attendere a lungo. Per il ponte del giorno dei morti andammo con il gruppo Scout a Vezelais, in Francia, per un incontro europeo. Qui conobbi P. Giuseppe, legionario di Cristo, allora diacono, che accompagnava alcuni gruppi in qualità di assessore spirituale. Era la prima volta che Dio metteva sul mio cammino un legionario e, ad essere sincero, non gli feci molto caso. Fu soltanto un paio di mesi dopo, il 26 dicembre, sempre insieme agli scout, quando, andando al noviziato dei Legionari di Cristo a Gozzano (No), iniziai ad interessarmi per la congregazione. Mi ritrovai infatti il buon P. Giuseppe, ordinato sacerdote soltanto due giorni prima. Parlando con lui, ad un certo punto mi successe qualcosa di strano: iniziai a raccontargli che fin da piccolo sentivo il desiderio di diventare sacerdote ma che non riuscivo a trovare il mio cammino. La cosa strana fu che mentre parlavo, dentro di me pensavo “ma perché gliene parli se nemmeno lo conosci”. Era difficile, infatti che parlassi con qualcuno di quel tema, tanto che nemmeno gli amici più vicini ne sapevano qualcosa. Ma Dio aveva i suoi piani.



Ricordo che il padre mi ascoltò con attenzione e mi propose di iniziare un cammino di discernimento. Accettai e, con le difficoltà tipiche di ogni scelta, giunsi al corso vocazionale a Roma; un mese di preghiera, attività e riflessioni, durante l’estate, per cercare di conoscere la volontà di Dio sulla mia vita. Ed effettivamente pochi giorni dopo l’inizio del corso, ero già abbastanza convinto del fatto che Dio mi avesse chiamato alla Legione. Fu soprattutto l’ambiente che si respirava tra i seminaristi e la disponibilità che vedevo nei sacerdoti che mi colpì in modo particolare. Sembrava di essere in famiglia, come se ci conoscessimo da tutta una vita. Decisi così di rispondere SI al Signore che mi chiamava, anche se questo implicava entrare in una congregazione che quasi non conoscevo, allontanarmi dalla mia famiglia per poter essere missionario nel mondo intero e iniziare a scalare una montagna che fino a pochi mesi prima non sapevo nemmeno che esistesse.

“Li portò con Sé su un monte alto”



E così cominciò la grande avventura che dura già da dodici anni e che, comunque, é soltanto agli inizi. Trascorsi i due anni di noviziato a Gozzano, andai in Spagna per un anno di studi umanistici; da lì a Roma per iniziare la filosofia. Terminando il biennio in filosofia, aiutai per un anno nella parrocchia di Villa di Isola d’Asti, della quale conservo molti bei ricordi, soprattutto per il calore della gente e le attività realizzate con i ragazzi.



Partii poi per il Messico per dedicarmi alla pastorale dei ragazzi e alla promozione vocazionale; fu un’esperienza meravigliosa, in cui ho potuto conoscere persone veramente eccezionali e toccare con mano il bisogno ingente di sacerdoti. Aiutando altri a trovare il loro cammino ho potuto valorizzare in modo crescente la mia propria vocazione. Quante persone negli aeroporti, negli ospedali o per la strada mi fermavano chiedendo una benedizione o una confessione e il dover dire spesso “non posso, non sono ancora sacerdote”… Sapere che tra poche settimane Dio farà di me uno strumento della sua misericordia mi fa esclamare “veramente vale la pena lasciare tutto ed essere sacerdote”.



Ritornai poi a Roma per completare gli studi di teologia. Di questo periodo conservo soprattutto l’esperienza dell’amicizia sincera con i confratelli con i quali ci stavamo preparando per l’ordinazione sacerdotale. Veri e propri amici e compagni di strada, che mi hanno edificato moltissimo con il loro esempio di amore a Dio e alle anime. Inoltre mi ha certamente segnato la vicinanza dei superiori, in modo speciale del P. Juan José, che, con grande pazienza, mi ha aiutato a prepararmi per il grande momento dell’ordinazione.



Dopo l’ordinazione diaconale, il 2 luglio 2011, la mia vita ha preso un’altra volta un indirizzo missionario, dato che sono stato destinato a continuare la missione intrapresa alcuni anni fa in Messico.



Ora, a poche settimane dall’ordinazione sacerdotale e constatando già sul campo i molti bisogni spirituali delle anime, sono sempre più convinto che, anche se a volte il cammino può sembrare difficile, vale la pena scalare la montagna che porta alla Vita Eterna, che altro non é che “conoscere Te e colui che Tu hai inviato, Gesù Cristo!”. E soprattutto vale la pena aiutare il Signore affinché altri raggiungano la vetta dell’amicizia con Dio.

P. MASSIMILIANO MARIA IRRANCA è nato a Desenzano al Serio, Bergamo (Italia) l’1 giugno 1980. Terminata la maturità classica presso il Liceo Paolo Sarpi, il 21 luglio 1999 entrò nella Legione di Cristo presso il noviziato di Gozzano (Italia). Ha studiato filosofia e teologia a Roma, presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, ha lavorato alcuni anni nella pastorale giovanile, nella promozione vocazionale nello stato di Guanajuato, in Messico, dove è ritornato dopo l’ordinazione diaconale, nell’estate del 2011.