domenica 11 dicembre 2011

Il Mistero dell'Avvento - Jean Danielou (2)


PRIMA PARTE
I PRIMI PRECURSORI

Capitolo Primo
ABRAMO E L'ALLEANZA EBRAICA

L'Antico Testamento è la storia dell'educazione religiosa dell'umanità da parte di Dio, in vista di renderla capace di ricevere i beni divini ad essa destinati. Prima di venire nella carne, per compiere pienamente il mistero della salvezza del mondo e il mistero della salvezza delle nazioni, il Verbo di Dio cominciò Lui stesso a preparare le sue vie nella storia. Preludio di questo è la scelta che Dio fece di Abramo e della sua razza, per comunicare loro, già, i segreti del mistero del Cristo in maniera ancora nascosta ed oscura ma ciò nonostante realissima. Così che, mano mano, una umanità grossolana, rudimentale adoratrice degli idoli, potesse essere abituata, adattata - e il vocabolo di Sant'Ireneo rivela tutto il suo peso qui - ad elevarsi, a comprendere e divinare quali sarebbero state le realtà apportate dal Cristo, di modo che al suo apparire e al rivelarsi del suo mistero l'umanità fosse capace di comprenderlo. Non ne sarebbe stata capace se Lui le fosse stato presentato d'un solo colpo, subitamente (1).
Studiando Abramo sotto il nostro punto di vista, come uno di coloro che preparano la strada al Signore, ci porremo successivamente tre questioni: esaminare anzitutto la figura di colui che inaugura questa preparazione, ciò che dà alla sua elezione un carattere unico, e fa della sua partenza un inizio in senso assoluto; quindi contemplare i grandi sacramenti, i grandi misteri della vita di Abramo, e vedere come essi siano già sacramenti del Signore, prefigurazioni della sua vita. Contempleremo così i tre sacramenti - termine che i Padri della Chiesa adoperano per designare queste figure dell' Antico Testamento: l'Alleanza, prefigurazione del Nuovo Testamento e dell' Alleanza del Cristo; la miracolosa nascita di Isacco, prefigurazione della verginale nascita di Gesù; e infine le nozze di Isacco e di Rebecca, in cui i Padri hanno visto una figura delle nozze del Cristo e della Chiesa.
Tenteremo infine di collocare questa vita di Abramo nell'ambito di una teologia della storia, mostrando il rapporto particolare di Abramo col popolo ebreo, col popolo mussulmano, col popolo cristiano, rapporto che fa della vita di Abramo una prefigurazione del succedersi dei popoli nel piano divino, e della evangelizzazione del mondo intero.

I. LA VOCAZIONE DI ABRAMO

Il XII capitolo del Genesi ci riferisce come Abramo, figlio di Terah, lasciò Haran nella Siria settentrionale per andare verso il paese di Canaan, per comando di Jahvè.
«E il Signore disse ad Abramo: parti dalla tua terra, dal tuo parentado e dalla casa di tuo padre, e vieni nel paese che io ti mostrerò. lo poi farò di te una grande nazione, ti benedirò e farò grande il nome tuo. Partì dunque Abramo secondo l'ordine del Signore» (Gen. XII, 1-4). Si tratta d'un avvenimento facile a collocarsi nel suo contesto storico. Ur di Caldea, di dove partì il padre di Abramo, Haran nella Siria settentrionale, il paese di Canaan, sono tre centri importanti situati nella «fertile mezzaluna» che circonda a nord il deserto Siriaco. Verso il tramonto del IV millennio la regione era abitata da Semi ti, antenati degli Arabi e degli Ebrei, molti fra i quali sono Beduini nomadi. Numerose tribù emigrano, a quest'epoca. La migrazione di Terah e di Abramo è una delle tante. Essa prende avvio da DI', la ricca città caldea. Ad Haran, sosta. Sbocca nel paese di Canaan, abitato da Semiti affini ai Fenici, di cui gli scavi ci hanno rivelato civiltà e culto (2).
Ma questa migrazione, che noi possiamo così situare nella trama della storia, è al tempo stesso avvenimento di natura quasi unica, al quale nella totalità della storia possono accostarsi solo la creazione originaria del mondo e l'Incarnazione del Verbo.
Un nuovo ordine di realtà appare dunque con esso, e colmerà diciannove secoli.
In questo sta il carattere unico del viaggio di Abramo: esso dividerà col seguito dell' Antico Testamento l'onore di essere stato preparazione e prefigurazione del Cristo: ma possiede in proprio quello di aver inaugurato tale preparazione.
L'avvenimento presenta vari lati. Prima di tutto è un comando di partenza, di separazione. Jahvè ordina ad Abramo, infatti, di iniziare qualche cosa di assolutamente inedito, che implica una rottura con quanto nell'ambito religioso esisteva in precedenza. Sino a quel momento è possibile che Abramo avesse condiviso le credenze idolatriche del suo popolo. Ce lo dice la Scrittura: «I vostri padri, Terah padre di Abramo e padre di Nahor, dimorarono in principio dall'altro lato del fiume (Ur è nella Mesopotamia) e servivano altri dei» (GiosuèXXIV, 2, cf. Giuditta V, 8). La partenza di Abramo segna dunque la rottura con gli idoli e l'inizio del culto del Dio vero. Si può rilevare incidentalmente che Maometto nel Corano (3) sottolinea questo particolare aspetto della storia abramitica: lui che combatté il politeismo delle tribù arabe, esaltò l'uomo il quale, venti secoli prima, aveva inaugurat9 il monoteismo, ripudiando culti idolatrici non molto dissimili da quelli del suo tempo.
Infatti Abramo inaugura quel monoteismo rivelato, che resterà il tesoro comune delle tre grandi famiglie spirituali che lo riconoscono come capostipite: i giudei, i mussulmani, i cristiani.
La partenza di Abramo echeggia lungo tutta la storia religiosa seguente. Per tutta la tradizione giudeo-cristiana egli è il modello e l'iniziatore della conversione al Dio vivente in virtù dell'inizio assoluto della fede. L’Antico Testamento vi si riferisce senza posa, come all’origine della vocazione del popolo ebreo. Il Nuovo Testamento ne fa la stessa personificazione della fede: «È per la fede, che Abramo obbediente alla chiamata di Dio partì verso un paese che doveva ricevere in eredità e si mise in cammino senza sapere dove andasse» (Ebr. XI, 7).
Filone, il teologo ebreo, ha consacrato uno dei suoi trattati alla «Migratio Abrahae» (4) nella quale vede il simbolo dell'anima che lascia le cose visibili per andare incontro alle invisibili. Gregorio di Nissa lo considera modello dell'anima che si mette in cammino verso Dio nell'oscurità della fede, e commenta genialmente il testo dell'Epistola agli Ebrei dicendo che Abramo partì «senza sapere dove andava» e «non sapendo dove andava, sapeva di trovarsi sulla strada buona, perché era certo di non seguire i lumi della intelligenza propria, ma di essere invece guidato dalla volontà di Dio» (C. Eun. XXII, P. G. XLIV 940, B. .D.), La conversione di Pascal nella notte decisiva sarà una conversione al Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, non dei filosofi e dei sapienti. Per Kierkegaard e per Chestov il tipo del pensatore è Abramo, padre della fede, e non Socrate.
Per Abramo, la fede costituiva una nuova dimensione del pensiero sino ad allora sconosciuta, che non era da collocarsi nella coscienza ordinaria, e faceva esplodere le verità costrittive della nostra esperienza e della nostra ragione (5). E Giovanni Hering potrà scrivere: «Il modello del cristiano non è la principessa mandata in esilio e anelante al ritorno, ma Abramo posto si in cammino verso un paese ignoto che Dio gli mostrerà» (6).
Ordine di partenza, rottura col passato, la elezione di Abramo è anche promessa, annunzio d'un avvenire. Qui appare sin da principio il carattere della religione nuova. La religione cosmica riconosceva il divino nella regolarità del corso degli astri e delle stagioni, di cui Dio si era reso garante con l'alleanza noetica (Atti XIV, 17); si trattava d'una religione della natura. Invece la religione biblica sarà l'attesa di avvenimenti storici futuri. L'Epistola agli Ebrei ha lumeggiato in modo incomparabile questo aspetto della promessa: '
«Or quando fece la promessa ad Abramo, Dio non avendo uno di sé più grande per cui giurare, giurò per se stesso, dicendo: Sì certo, ti benedirò e ti farò moltiplicare immensamente. E così aspettando con pazienza, Abramo ottenne il compimento della promessa. Dio, volendo meglio che mai far conoscere agli eredi della promessa l'immutabilità del suo proposito, interpose il giuramento, affinché per mezzo di due cose immutabili nelle quali è impossibile che Dio mentisca, avessimo una grandissima consolazione noi che ci eravamo rifugiati nella sicurezza della speranza posta ci innanzi, speranza che noi riteniamo come àncora dell'anima, sicura e salda e penetrante al di là del velo, dove precursore per noi entrò Gesù» (Ebr. VI, 13-20).
La speranza di Abramo è tuttora la nostra, ma per noi essa non poggia più soltanto sulla irrevocabile fedeltà di Dio alla propria parola, ma sulla realtà già acquisita dell'unione ormai indissolubile in Gesù della divinità e della umanità e dell'ingresso avvenuto per sempre, con l'Ascensione, dell'umanità da Lui assunta nella vita trinitaria. È questa la realtà alla quale noi possiamo aggrapparci con tutte le nostre forze come a un'àncora che ci permette di attraversare tutti i flutti della vita terrestre senza esserne travolti, attendendo come degli eredi di entrare nel godimento dei beni acquistati dal Cristo alla nostra natura e dei quali siamo già virtualmente in possesso. Ma tutto ciò è soltanto lo sviluppo della prima promessa fatta ad Abramo.
Oggetto di tale promessa è il mistero della salvezza universale. «Tutte le genti della terra saranno benedette in te ». Cosa straordinaria, sin dall'inizio della storia sacra ne viene già presentato il termine conclusivo. Il termine, quello stesso di tutta la creazione, ossia che la creazione spirituale riconosca e glorifichi là. beatissima Trinità: - Adveniat regnum tuum - viene senz'altro presentato ad Abramo. Si dispiegherà poi lungo una serie di secoli, attraverso le grandi opere di Dio, nella triplice storia di Israele, di Gesù, della Chiesa. Questa triplice storia è già oggetto della fede di Abramo; gli è chiesto di credere che egli sarà «padre di una grande nazione» mentre la sua donna, Sara, è sterile: che dalla sua discendenza, ossia da uno dei suoi discendenti, la benedizione di Dio si stenderà sull'umanità, ed era l'annunzio che il Messia sarà del suo sangue: «Abramo ha trasalito di gioia, nel vedere il mio giorno» dirà di lui Gesù (Giov. VIII, 56) (7) ; infine, che tutte le genti della terra saranno salvate, e cioè l'edificazione della Chiesa (8). Ma dal principio il nucleo centrale della promessa e della fede è la salvezza delle genti, cioè lo stesso oggetto della costruzione missionaria. Così l'attesa di Abramo è già il cominciare della nostra. E come egli credette - solo a credere in un mondo interamente pagano - alla salvezza universale, ugualmente noi, perseverando nella sua fede nonostante tutte le apparenze contrarie, dobbiamo continuare ad attendere, nell' Avvento della Chiesa, il congregarsi di tutte le genti in colui che prese carne da una figlia di Abramo.
Ora ci risulta chiaro perché S. Paolo, Apostolo delle genti, ha così spesso mostrato nella missione sua il compimento della promessa fatta ad Abramo. Al di là della Legge, economia provvisoria destinata alla educazione preliminare del popolo ebreo, egli rimanda alla promessa fatta ad Abramo. Fatta sin dagli albori dell' Antico Testamento, subisce nel compimento lungo ritardo, perché doveva precederla una paziente preparazione, e si attua nella missione sna, di Paolo: «La Scrittura, antivedendo che Dio avrebbe giustificato le genti per mezzo della fede, annunziò in anticipo ad Abramo questa buona novella: Tutte le genti della terra saranno benedette in te » (Gal. III, 8). Questa buona novella annunziata ad Abramo è secondo il testo greco di Paolo, l'euaggélion, il Vangelo, la Buona Novella unica. Questo il Vangelo che Abramo conosce e di cui, dopo lunghi indugi della divina Saggezza, Paolo diviene banditore. E questo è il Vangelo che continua ad essere bandito durante l'era di grazia rappresentata dal mondo attuale, in cui Dio, per bocca della Chiesa, proclama ufficialmente l'ammissione di tutti gli uomini alla salvezza.
L'evangelizzazione in causa non sarà terminata che alla fine dei tempi. La Scrittura ci ripete: «Il Vangelo del regno sarà prima predicato su tutta la terra, e allora verrà la fine» (Mt. XXIV, 14). La salvezza delle nazioni è dunque ancora per noi oggetto di fede e di attesa, come per Abramo. Avanti la resurrezione escatologica, le resurrezioni operate da Gesù ne furono quasi una figura anticipata e, come rileva acutamente K. L. Schmidt, il fatto stesso che i risuscitati morirono un’altra volta attesta che si trattava di una figura. Nello stesso modo ad un dato e senza uguale momento della storia, l'unità delle genti fu operata dalla miracolosa azione dello Spirito, quando nella Pentecoste i rappresentanti di tutti i popoli radunati a Gerusalemme parlarono una lingua unica, attuando incoativamente e simbolicamente la promessa fatta ad Abramo, la consumazione della quale si avrà alla fine dei tempi.
Questa salvezza universale è il « mistero nascosto in Dio prima della creazione del mondo» - radunare tutte le cose nel Cristo Gesù. San Paolo dirà come fu dato a lui «minimo di tutti i santi» di « evangelizzare questo mistero, di proclamarlo» (Ef. III, 8) - ma, prima di lui, Abramo ne era stato il primo confidente. Sta qui il motivo della sua grandezza senza pari.
Sul limitare della storia sacra, egli è il primo che Dio introduce nel segreto dei suoi disegni, al quale rivela le sue vie piene di amore e di mistero, e questo fa di Abramo il primo dei profeti (9). La profezia infatti è l'intelligenza del mistero della storia sacra comunicata dallo Spirito Santo che, solo, scandaglia le profondità di Dio. Il mistero della storia è infatti il disegno divino di far partecipare le creature spirituali alla vita trinitaria. Si tratta d'un segreto misterioso ,come Dio e nel quale gli Angeli, gli Angeli stessi, non possono affondare lo sguardo. Soltanto lo Spirito, artefice del disegno, ne può dare l'intelligenza. Abramo lo ha contemplato. Dio ha fatto passare sotto lo sguardo di lui i suoi rnagnalia, le grandi opere che Egli compie e che sono la vera storia, quella effettuata da Dio attraverso le epoche umane. Perché la promessa è questa: la manifestazione d'un disegno irrevocabile, per credere il quale la fede si appoggia, al di là della esperienza, su una realtà più salda che le evidenze sensibili, essendo fondata sulla stessa fedeltà di Dio.
Questi magnalia Abramo li ha contemplati. Davanti alla loro grandezza misteriosa la sua anima venne meno come sotto un carico troppo pesante, più pesante di quanto possa portare un uomo fatto di carne. E la Scrittura ci dice che lo assali una specie di estasi, di sospensione dei sensi (tardémah), un terrore, una oscurità (Gen. XV, 12).
Ci torna in mente quella estasi da cui fu preso Adamo nel principio dell'umanità, quando anche a lui fu rivelato nella creazione della donna il mistero del Cristo e della Chiesa e l'estasi (tardémah) venne su di lui, tanto «era grande questo mistero» (Ef. V, :19). Al tempo stesso, ce lo dice il Cristo, l'anima di Abramo esultò anche per la bellezza di quel disegno. E noi rievochiamo un altro giorno, in cui una figlia di Abramo colma di ammirazione per quanto Dio operava in essa, compiendo la promessa fatta a suo padre Abramo: «sicut locutus est ad patrem nostrum », esultò anch'essa e, spinta dallo spirito profetico oltre le piccole cose terrene, confessò la grandezza delle opere divine col grido d'ammirazione che ha attraversato i secoli:« Magnificat anima mea Dominum, et exultavit spiritus meus in Deo salutari meo ».
Dio continua a fare queste grandi cose nel mondo: e noi non le vediamo perché non vi prestiamo attenzione. Bisogna udire il richiamo di Giovanni Battista: «In mezzo a voi sta qualcuno che voi non conoscete ». Bisogna che lo Spirito Santo, artefice delle grandi opere di Dio, ce ne doni l'intelligenza e ci faccia passare oltre la storia apparente, introducendoci nella storia vera. Queste opere nascoste agli occhi della carne sono compiute dallo Spirito nei Sacramenti, che perpetuano in mezzo a noi le grandi opere divine dell' Antico e Nuovo Testamento. Come Dio ha liberato il suo popolo dall'Egitto nella prima Pasqua, come ha liberato il Cristo dalla morte nella seconda Pasqua, così nella terza Pasqua, la nostra, libera dal peccato col Battesimo le anime prigioniere. Così con l'Eucaristia glorifica fra noi, incessantemente, il Padre. E sono, queste, cose tanto
più grandi di quelle che il mondo ammira. Sono realtà più grandi che le vittorie e le rivoluzioni, le invenzioni dei dotti e e le creazioni artistiche dei geni, realtà tanto superiori quanto l'ordine della carità supera quello della carne e quello della intelligenza. Sono le opere che Dio effettua nei segreti dei cuori, le opere della conversione, della santificazione, della divinizzazione degli uomini. Così nel segreto delle vite nascoste viene edificando si nella carità l'incorruttibile corpo del Cristo, che, solo, sfiderà il fuoco del giudizio quando la paglia di tutte le opere umane finirà in fumo. Poiché lo Spirito soltanto attua la incorruttibilità.
La contemplazione missionaria si sofferma su queste grandi opere di Dio: ad essa lo Spirito attira le anime nascoste, traendole dalla sollecitudine delle cose terrene, dal mondo delle apparenze, e introducendole nel mondo reale, fondato sulla fedeltà della parola di Dio. Esse vi ammirano con Abramo, con Maria, con Paolo, coi Santi, l'irrevocabile svilupparsi del piano divino. Vedendo così, in purezza, le opere di Dio, sono rese capaci di essere strumenti suoi: così Abramo, nel lasciare famiglia e paese per porsi a servizio del disegno che Dio inaugurò con lui, cosi Maria nel rispondere col fiat all'annunzio di Gabriele. Qui non vi sono più contemplazione e azione. Vi sono anime possedute dalla realtà divina e divenute suoi strumenti. Grandezza di Abramo, ancora, quella di avere inaugurato la contemplazione missionaria, che è per noi quella di un passato e di un avvenire insieme: quella di un passato più grande dell'avvenire stesso, per noi, ai quali è acquisito, ormai, l'avvenimento essenziale del divino disegno: l'indissolubile eterna unione della divinità e della umanità nel Cristo. Per Abramo, invece, tutta l'azione di Dio era nell'avvenire. Era l'immenso peso di tutto l'avvenire, puramente dell'avvenire, quello che la sua fede dovette portare. Sotto tale peso restò oppresso, come Gesù nell'Orto degli Ulivi (10), ma « non ebbe né esitazione né diffidenza: attingendo la sua forza dalla sua fede rese gloria a Dio, pienamente convinto che Egli saprebbe effettuare la promessa fattagli.
Ecco perché la fede gli fu imputata a giustizia» (Rom., IV, 20-21).

II. IL MISTERO DI ISACCO

Dopo aver inaugurato la storia sacra con la fede alla promessa, Abramo, fatto ormai strumento dei divini disegni, sta per porne i primi atti. E giacché le vie di Dio sono fedeli, questi grandi atti posti da Abramo saranno, nello stesso tempo e le prime tappe verso il Cristo, e le prime prefigurazioni dei suoi misteri. Tutto l'Antico Testamento è infatti una figura del Nuovo, nel senso che noi vediamo svolgersi in esso un certo numero di avvenimenti nei quali il comportamento di Dio si manifesta già tale come ce lo mostrerà, pienamente, il Nuovo Testamento. Cosi è una prefigurazione il Diluvio, in cui l'umanità, tutta intera sotto il peccato, viene colpita dal castigo e un solo giusto è risparmiato per essere il seme d'una nuova umanità. La storia di Abramo ci presenta i primi e alcuni fra i maggiori di questi sacramenti. Essi sono elencati nella Lettera agli Ebrei: «Per la fede Abramo dimorò nella terra promessa come in terra straniera, abitando sotto le tende con Isacco e Giacobbe, coeredi della stessa promessa, perché aspettava quella città ben fondata, della quale Dio è architetto e costruttore ». Ecco il mistero dell'antica Alleanza, figura della nuova. «Per la fede anche Sara, sebbene fosse sterile e già fuori d'età, ricevette la virtù di diventar madre, perché credette che fosse fedele chi le aveva fatto le promesse ». Mistero della nascita di Isacco da una sterile, figura della nascita di Gesù da una Vergine. «Per la fede Abramo, messo alla prova, offri in sacrificio Isacco: offriva l'unigenito, egli che aveva ricevuto le promesse, egli a cui era stato detto: da'Isacco sarà la tua discendenza; ma sapeva che Dio può risuscitare anche i morti e dalla morte riebbe Isacco come in figura» (Ebr. XI, 8-19). Qui il testo stesso ci presenta il sacrificio di Isacco come figura della risurrezione del Cristo, ossia della salvezza attuantesi attraverso la sua apparente disfatta.
Primo di questi -sacramenti è l'alleanza. Abramo è il primo col quale Dio ha stretto alleanza. Egli sta, per conseguenza, all'origine della prima alleanza. L'avvenimento è essenziale nella storia del mondo. Si può dire che, avanti la venuta del Cristo, sia l'avvenimento più decisivo, da cui Abramo deriva la sua importanza eccezionale nella storia religiosa dell'umanità, importanza riconosciuta non solo dai cristiani ma anche dagli ebrei e dai mussulmani, straordinaria giacché segna il primo intervento di Dio per stabilire un particolare legame tra Se stesso e l'umanità: Dio che sceglie, elegge per sua grazia un popolo e anzitutto un uomo, Abramo, così da entrare con lui in relazioni più intime e più familiari. È lo stesso fondamento della fede. Credere, equivale a pensare che Dio fa cose simili a questa. Gli uomini che non credono sono quelli che pensano vagamente che esiste, bensì, un Dio, ma rimane estranea a loro l'idea d'un intervento di Dio nella storia.
L'alleanza è dunque un patto stretto fra Jahvè e Abramo. Occorre comprendere la natura del patto in causa. Non si tratta d'un contratto bilaterale, dove le due parti s'impegnano in maniera che, mancando una agli impegni propri, l'altra sia dispensata dai suoi. San Paolo scarta esplicitamente tale interpretazione. (Gal. IV, 20).
Il vocabolo ebraico berith, che esprime tale patto, può essere tradotto con synthéke, ossia alleanza: ma Paolo lo traduce con diathéke, che significa testamento. Di qui la doppia espressione di Antica Alleanza e di Antico Testamento. Il termine Testamento è più esatto. L'alleanza è, infatti, una disposizione, con la quale Dio destina liberamente parte dei suoi beni a un popolo da Lui scelto senza che esso possa vantare titolo alcuno (Ezech. XVI, 1-40). Come la cosa non è meritata da titolo alcuno, così sussiste irrevocabilmente nonostante le infedeltà di colui che ne beneficia. Questi può mettersi in condizione da non cogliere i frutti, ma non può far sì che l'alleanza sia revocata. Ci inoltriamo dunque nell'idea di un ordine stabile che è, al tempo stesso, un ordine di grazia. Tale doppio aspetto dà all'alleanza un carattere assolutamente proprio.
L'ordine che ne risulta è irrevocabile. L'uomo potrà sempre appellarvisi. Nel momento in cui si volge verso di esso ne raccoglie gli effetti. Per questo la preghiera di Israele consisterà sempre nel domandare a Dio «che ricordi la sua alleanza e non rigetti il popolo verso il quale si è impegnato» (Es. II, 23; Salmo LXXXVIII, 3 segg.; C. V.: 8 segg.).
Si tratta dunque, da parte di Dio, di un impegno irrevocabile, irreversibile, preso una volta per sempre. E questo è anticipazione della grazia. Che cosa è, in sostanza, la grazia del Nuovo Testamento? Il fatto che ormai, e per sempre, esiste fra l'umanità e Dio un vincolo che non può essere spezzato giacché si fonda sulla umanità del Cristo, nel quale la divinità e l'umanità sono indissolubilmente legate. Non vi sono più possibilità di rottura. Il Cristo ha introdotto per sempre nella intimità di Dio l'umanità nostra. Possiamo, noi, dunque, - ecco il punto importante della questione - sottrarci alla grazia? Ritroviamo quanto si diceva nella introduzione: alla grazia possiamo sottrarci, ma essa non può più essere abolita. È il mistero proprio dell'alleanza: la fedeltà di Dio non è svincolata dalla nostra infedeltà. Per essere noi infedeli, Dio non cessa di essere fedele. Egli rimane fedele nonostante le infedeltà nostre. Tutto ciò che possiamo fare noi è di non goder della promessa, ma la promessa non sarà distrutta. Potremo sempre appellarci ad essa, farcene forti (11).
La promessa ricevuta da Abramo è una figura di tale realtà; qualunque siano le infedeltà e i peccati d'Israele voltosi verso gli idoli, Dio non annullerà la sua promessa, e tutta la storia d'Israele sarà una storia dell'alleanza, ossia della fedeltà di Dio e della infedeltà d'Israele. La storia di Israele prefigura i rapporti della umanità e del Cristo: la fedeltà di Dio che finisce con l'aver ragione delle nostre infedeltà. È il mistero della pazienza di Dio. Se quando noi siamo infedeli egli ci abbandonasse, da quanto tempo avrebbe dovuto abbandonarci! Ma non ci abbandonerà mai. Questa, la manifestazione del suo amore. Ciò che una volta ha promesso, Egli non lo revoca più. Possiamo non beneficiarne, ma sottrarci non possiamo. Sotto questo punto di vista, i misteri più profondi del Nuovo Testamento cominciano già a compiersi nell' Antico.
La promessa ad Abramo viene da Dio sanzionata con un rito, con un documento che la esprime, che ne è come il sacramento e assicura la conservazione del suo ricordo nella storia ulteriore: «Dopo questi fatti la parola di Jahvè fu indirizzata ad Abramo, dicendogli: Levati, alza lo sguardo verso il cielo e conta le stelle, se puoi contarle. Cosi sarà la tua discendenza. Ecco la promessa. - Abramo ebbe fede in Jahvè, e Jahvè glielo imputò a giustizia» (Gen. XV, 6). È il testo che S. Paolo utilizza nell'Epistola ai Romani.
«E il Signore gli disse: lo sono il Signore che ti trasse da Ur dei Caldei, per darti il possesso di questo paese. Prendimi una giovenca di tre anni, una capra di tre anni, un ariete di tre anni, una tortora e una colomba. E Abramo prese tutti questi animali, e dopo averli divisi per mezzo, pose le due parti l'una dirimpetto all'altra, ma non divise gli uccelli. Or sul tramonto del sole Abramo fu preso da un profondo sonno, e grande e tenebroso spavento lo invase. Allora gli fu detto: Sappi da ora che la tua stirpe dimorerà come straniera in una terra non sua. Tramontato che fu il sole, si fece una caligine tenebrosa, e apparve un fuoco fumante e una lingua di fuoco che passava per mezzo agli animali divini. In quel giorno il Signore fece alleanza con Abramo dicendo: lo darò alla tua progenie questa terra dal fiume d'Egitto fino al gran fiume ». (Gen. XV, 7-21).
È un rito misterioso che possiamo trovare anche altrove nell' Antico Testamento (12). L'alleanza viene simboleggiata da una vittima divina. Ciò significa che quanti hanno cosi partecipato allo stesso sangue sono tutti uniti da un vincolo di alleanza: e le alleanze furono sempre simboleggiate nel mondo, da tutta l'antichità con riti di tal genere. Quando due popoli stringevano patto, per simboleggiare questa unità si procedeva allo scambio del sangue.
Dio adopera qui un simbolo analogo, perché sia come il visibile sacramento di questa alleanza. Abramo e Dio si sono cosi divise le vittime, attraversate dalla lingua di fuoco che è il simbolo della stessa presenza di Jahvè e che in certo modo santifica il sacramento (13). Più tardi vedremo ugualmente, nell' Antico Testamento, il fuoco di Dio gettarsi sulle vittime a consumarle: e ricorderemo che nella Messa lo Spirito Santo è questo fuoco discendente sulla vittima per consacrarla. Cosi avviene l'accettazione della vittima da parte di Dio. Noi abbiamo dunque qui un sacramento dell'alleanza. Ma anche la nuova alleanza ha il sacramento proprio. Come nell' Antico Testamento l'Alleanza era simboleggiata dalla divisione della vittima e del sangue, cosi vi ha un sacramento, un documento dell'alleanza nuova che succede a 1'«antiquum documentum» di cui canta il Tantum ergo; esso è precisamente il sangue d'una vittima immolata, detto dal Vangelo «sangue della Nuova Alleanza », già prefigurato dall'antico rito dell'alleanza abramitica.
In ambedue i casi abbiamo un sacramento che è figura delle promesse e ne custodisce perpetuamente visibile il memoriale.
Uno dei significati dell'Eucaristia, raramente posto in luce, è l'essere un documento destinato a ricordarci la nostra alleanza con Dio, un perenne memoriale che ce ne impedisce l'oblio. L'umanità potrebbe dopo diciannove secoli dimenticare, ma l'Eucaristia è là, a ricordare visibilmente la nuova alleanza, come il sacrificio aiutava il popolo ebreo a tener desto il ricordo della prima. L'alleanza è la grande prova dell'amore di Dio, l'Eucaristia il memoriale di questo amore.
Il secondo sacramentum ha grande importanza perché risponde a uno dei punti più ardui della fede cattolica; la nascita verginale di Gesù. Esso ci mostra che tale nascita verginale di Gesù non fiorì avulsa da qualsiasi dato precedente, come qualche cosa di aberrante. Dio aveva lungamente preparato gli spiriti a comprenderla nel corso dell' Antico Testamento. Se questo miracolo della nascita verginale fosse avvenuto senza nessuna preparazione, gli uomini non avrebbero potuto accettarlo. Perché poterono? Perché l'Angelo Gabriele apparendo a Maria le disse che essa concepirebbe un figlio il quale sarebbe stato Figlio dell' Altissimo. Questo destava un'eco nell'anima della Vergine, ricordandole altri messaggi: lungo l'Antico Testamento, altri angeli erano apparsi ad altre donne per annunciare loro che avrebbero generato in virtù della potenza di Dio. Non si trattava, è vero, in questi casi di nascite verginali, ma di donne che, dopo lunghe sterilità, avevano concepito per potenza divina. Il miracolo di grado inferiore era però prefigurazione del miracolo infinitamente superiore destinato alla Vergine; essa concepì senza aver conosciuto uomo. Abbiamo costantemente la differenza tra figura e realtà: la figura dell' Antico Testamento era una copia, ma copia imperfetta, del Nuovo Testamento.
Nella storia di Abramo e di Sara abbiamo la prima figura del miracolo di Maria. Sara, la donna di Abramo, era sterile. Dio aveva promesso ad Abramo che da lui sarebbe uscita una numerosa discendenza. Egli credette, contro le apparenze. Carattere essenziale della fede è il suo appoggiarsi sulla potenza divina e non sulla esperienza umana. San Paolo ha esaltato questa fede: «Sperando contro ogni speranza, Abramo credette in modo da divenire padre di molte nazioni, secondo quello che gli era stato detto. Tale sarà la sua discendenza. Egli senza vacillar nella fede, non considerò il suo corpo impotente (aveva quasi cent'anni), né il seno di Sara infecondo. Dinanzi alla promessa di Dio non esitò diffidando; reso invece forte dalla fede, diede gloria a Dio» (14).
Qui entrano in scena Agar e Ismaele. Abramo, giacché Sara non gli dava figli, ebbe una concubina, Agar 15: da lei ebbe Ismaele, progenitore dell'Islam. Ma questo non era il figlio della promessa, come più tardi comprese Abramo. Ed ecco che Jahvè apparve a Sara. È la prima Annunciazione: «Secondo quanto le aveva detto, Jahvè mantenne per Sara la promessa fattale. Sara concepì e partorì ad Abramo un figlio nella sua vecchiaia, nel tempo fissatole dal Signore. E Sara disse: Dio mi ha dato un motivo di gioia ». Era Isacco, il motivo di gioia. E Jahvè disse ad Abramo: «Da Sara nasceranno figli, giacché io ho dato un figlio alla sua vecchiaia ».
Ecco una nascita dovuta a un particolare intervento di Dio. Il caso non è unico, nell' Antico Testamento. Lo ritroveremo successivamente. Nel libro di Samuele, sull'inizio, Anna, la madre di Samuele, desolata dalla sua sterilità, si reca al tempio a pregare: l'angelo di Dio le appare e le annunzia che avrà un figlio. E lei canta un cantico che è prototipo del Magnificat.

«Il mio cuore esulta nel Signore.
La mia forza è esaltata nel mio Dio.
La mia bocca si è dilatata contro i miei nemici;
Perché mi son rallegrata nel tuo soccorso.
Solleva il mendico dalla polvere, Dio,
E innalza il povero dal letamaio
Per farlo assidere coi principi,
In un trono di gloria
». (Sam. II, 1).

Con queste successive manifestazioni Dio rendeva familiare agli uomini l'idea di nascite miracolose, perché il miracolo della nascita verginale non ripugnasse loro, ma rientrasse anzi in una certa sfera, e acquistasse cosi una certa intelligibilità. Come definire l'intelligibilità? È la possibilità, per un fatto, di essere posto in relazione con altri fatti. Vi è un'intelligibilità della ragione. Ma vi è anche un'intelligibilità propria della Rivelazione per cui gli avvenimenti del Nuovo Testamento sono messi in rapporto con quelli dell' Antico, anziché presentarsi senza alcun riferimento anteriore come costituenti un mondo totalmente a sé, isolato. Si tratta dell'argomento profetico. Esso rende comprensibile la nascita verginale, collocandola nella linea del. l'Antico Testamento.
Terzo sacramentum, il sacrificio di Isacco. Avanzando, entriamo maggiormente nella intimità del mistero del Cristo. Qui raggiungiamo un'altra vetta dell' Antico Testamento.
Questo sacrificio di Isacco, diciamolo subito, occupa un grande posto nel pensiero ebraico. È la hakéda. Secondo i rabbini della prima era cristiana Abramo ha meritato tutte le ulteriori grazie della sua razza sacrificando Isacco: e Isacco accettando di essere sacrificato è causa della salvezza del suo popolo. Tale dottrina subì senza dubbio l'influenza di San Paolo, che presenta il Cristo offerente la propria vita per il suo popolo. Ma l'importanza attribuita al sacrificio di Isacco è di data anteriore (16).
Il tema è carissimo persino alla pietà mussulmana. Ripetutamente nel Corano se ne parla come della grande prova di fede data da Abramo.
Leggiamo anzitutto il capitolo del Genesi: « Dopo ciò Dio mise Abramo a prova e gli disse: Prendi il tuo figlio, il tuo unico, colui che tu ami, e va nel paese di Moria, e là offrilo in olocausto su una delle montagne che io ti indicherò ». In San Paolo abbiamo l'idea che « il Padre ha dato il suo Figlio unico ». Certamente nello scrivere cosi l'Apostolo pensava a q1testo capitolo del Genesi, ad Abramo che dà, lui pure, l'unico figlio. Il sacrificio di Abramo raffigura il sacrificio che il Padre fa di Colui che è il solo, il veramente Unico, il Cristo.
«E Abramo, levatosi quando era ancora notte, mise il basto al suo asino, prese con sé due servi e Isacco. Tagliate le legna per l'olocausto le prese e le pose addosso ad Isacco suo figliolo. E mentre camminavano tutt'e due assieme, Isacco disse a suo padre: «Padre mio ». «Che vuoi figliuolo? ».
«Ecco il fuoco e le legna; ma dov'è la vittima per l'olocausto? »... Giunti finalmente alla sommità del
monte Moria, Abramo vi eresse un altare e vi accomodò le legna e legò Isacco suo figlio. Ed ecco l'Angelo di Jahvè gridare dal cielo e dirgli: Abramo, Abramo! E l'Angelo disse: Non stendere la mano sopra il fanciullo, perché ho già conosciuto che temi Dio e che non gli hai risparmiato il tuo unico figlio.
Abramo alzò gli occhi e vide dietro a sé un ariete impigliato per le corna tra le spine e l'offri in olocausto ».
Rileggiamo il testo della Lettera agli Ebrei, che ora prende tutto il suo significato: «È per la fede che Abramo messo a prova, offri Isacco in sacrificio. Così colui che aveva ricevuto le promesse, al quale era stato detto: È da Isacco che uscirà la tua discendenza, offrì questo figlio unico stimando che Dio è tanto fedele da risuscitare persino i morti ». Tra il sacrificio d'Isacco e quello di Cristo la differenza è che il primo non fu consumato. Le figure dell' Antico Testamento abbozzano le cose, ma non le terminano. San Paolo ce ne offre un altro esempio eloquente, quello del primo sacerdote che entra nel Santo dei Santi una sola volta all'anno.
Il rinnovarsi dell'atto dimostra che si tratta di figura e non di realtà, mentre il Cristo entrò una volta per tutte nel vero Santo dei Santi. Allo stesso modo qui Isacco offerto ma non immolato è un abbozzo del Cristo che sarà, invece, immolato realmente: e secondo il profondo rilievo dell' Epistola agli Ebrei, Isacco restituito vivo al padre, ma non risorto, raffigura il Cristo risuscitato di tra i morti.
Ciò che fa di questo episodio una commovente prefigurazione della Passione del Cristo è che noi vi vediamo l'apparente disfatta divenire il fulcro della attuazione della promessa. Dio aveva promesso ad Abramo che una grande discendenza sarebbe derivata da Isacco, e poi gli domanda la distruzione di questa speranza. Ma da questa stessa distruzione scaturirà il suo effettuarsi. Anche la Passione del Cristo è il crollo apparente della sua opera. Mentre egli riposa nel sepolcro, gli apostoli si disperdono, tutto sembra perduto. Ma attraverso la suprema prova di fede costituita dalla Passione, con la Risurrezione si compie la promessa. Così per noi sarà spesso attraverso la notte della fede, l'insuccesso, l'annientamento di questa o quella speranza, che si attuerà veramente il piano di Dio nei riguardi nostri, in questo mistero di morte e di resurrezione che è il cuore stesso del cristianesimo.
L'azione divina continua a rivelare una linea costante. Ma anche qui procede in senso così inverso alle viste umane, che Dio prima di manifestarla nel Cristo ha voluto renderla progressivamente familiare agli uomini. Altrimenti le realtà riguardanti il Cristo sarebbero sembrate tanto assurde, avrebbero talmente indisposto gli spiriti che essi non avrebbero potuto penetrarvi. Si obietterà che molti, ciò non ostante, vi sono rimasti estranei. Ma questo è dovuto ad altre cause. E, come diremo meglio trattando del1a Vergine, almeno nei confronti di Lei l'educazione ha prodotto quanto doveva. Basta che vi sia riuscita per Lei. La Vergine ci consola di tutto il resto, ci consola di tutte le nostre educazioni mancate.
L'ultimo sacramentum è meno impressionante: le nozze di Isacco e di Rebecca. I Padri ci videro figurate le nozze del Verbo col popolo ebreo, prima, poi con l'umanità intera: queste nozze sono il grande mistero del fatto che Dio ci chiama a una certa partecipazione del1a sua vita, allo scambio simboleggiato da quello tra Sposo e Sposa. Il Cantico dei Cantici che non è poema di amore fiorito a caso nella Bibbia ma il cuore stesso della Bibbia, canta l'epitalamio di questa alleanza tra Dio e il suo popolo, tra l'anima e il Verbo. È contemporaneamente il grande poema ecclesiologico, cosmico, delle nozze della umanità e del Verbo, e il grande poema interiore che canta l'unione tra il Verbo e ogni anima, con tutte le alternative di fedeltà e di infedeltà, per culminare finalmente nell'unione perfetta, nota ai grandi mistici.
Questo i Padri della Chiesa lo vedevano già prefigurato nei Patriarchi. Isacco, figlio della promessa, figura del Cristo, sposa Rebecca, e la sposa incontrandola vicino a dei pozzi che sono, dice Origene, il simbolo dell'acqua battesimale. Ci torna in mente a questo punto la Lettera agli Efesini, dove è detto come lo Sposo debba lavare la Sposa per presentarla bella ed immacolata a Dio, ossia come prima di unire a sé l'umanità il Cristo debba lavarla nelle acque battesimali, affinché essa sia totalmente pura e santa, e possa così celebrare con lui le nozze verginali.
Questo fidanzamento dell'umanità primitiva celebratosi nei pressi dei pozzi dove Isacco sposava la pagana Rebecca è quasi un lontano anticipo, è un primo riflesso delle nozze tra la Chiesa e il Cristo: il suo aspetto religioso veniva dal fatto che Isacco comunicava a Rebecca la sua fede, il suo monoteismo. Sant'Ambrogio ne lumeggiava il valore simbolico: «Rebecca veniva con altre fanciulle del paese ad attingere acqua dal pozzo, e siccome ci veniva ogni giorno poté esservi incontrata dal servo di Abramo, ed essere data in isposa ad Isacco. Tu pensi siano delle favole, e che lo Spirito Santo conti storie nelle Scritture. Invece si tratta d'una lezione per le anime, e di una dottrina spirituale che ti insegna a venire ogni giorno presso la Scrittura. Tutte queste cose sono dei misteri. Il Cristo vuole sposare anche te. Per questo, ti invia il suo servo che è la parola
profetica. Senza averlo prima ricevuto, tu non potrai sposare il Cristo. Penseresti, forse, che sia soltanto per caso che i patriarchi vadano presso a dei pozzi e si sposino in vicinanza delle acque? Colui che pensa così è simile all'animale: non percepisce le cose che sono dello Spirito di Dio. Si fermi pure là se altro non vuole. lo dico che queste cose sono simboliche, e le nozze dei Santi sono in realtà l'unione dell'anima col Verbo di Dio ».

III. LA BENEDIZIONE D'ISMAELE

Parliamo, infine, d'Ismaele, lasciato indietro nel nostro cammino perché la strada verso il Cristo non passava attraverso lui. Ismaele è il capo stipite dei Mussulmani, che gli sono particolarmente devoti.
Maometto nel Corano si interessa di lui molto più che di Isacco. La sua storia è commoventissima.
Egli è colui che Dio scarta per eleggere un altro nel quale attua il miracolo delle divine elezioni. E con
tutto ciò, Ismaele non è privo di una certa protezione da parte di Dio. Nel capitolo XXI del Genesi, infatti, leggiamo: «Sara avendo veduto che il figlio generato dall'egiziana Agar ad Abramo si prendeva gioco del suo figliolo Isacco, disse ad Abramo: Caccia questa schiava e il suo figlio, perché il figlio della schiava non deve essere erede col mio figlio Isacco. Queste parole dispiacquero molto ad Abramo, per riguardo al suo figlio Ismaele, ma Dio disse ad Abramo: Non ti rincresca fare tutto ciò... perché da Isacco uscirà la progenie che porterà il tuo nome. Però anche del figlio della schiava io farò una grande nazione, perché è tua progenie ».
«Abramo adunque, alzatosi la mattina presto, prese del pane e un otre di acqua, lo pose sulle spalle di Agar, le consegnò il fanciullo e la licenziò. Ed essa, partitasi, andò errando per il deserto di Bethsabea. Venuta a mancare l'acqua nell'otre, essa, abbandonato il fanciullo sotto un arbusto lì vicino, andò a sedere dirimpetto, alla distanza di un tiro d'arco, dicendo: Non voglio veder morire mio figlio! Sedutasi in faccia, diede in alte grida e pianse. Giunta a Dio la voce del fanciullo, l'Angelo di Dio chiamò Agar dal cielo e le disse: «Che fai, o Agar? Non temere perché Dio ha ascoltata la voce del fanciullo dal luogo ove si trova. Alzati e, preso il
ragazzo, conducilo per mano, perché io lo farò divenire un gran popolo. E avendole Dio aperti gli occhi, essa vide un pozzo d'acqua: andò a riempire l'otre e diede da bere al fanciullo. Dio fu con lui, ed egli crebbe e abitò nel deserto e divenne fin da giovane esperto nel tirar l'arco ».
Il passo, che suscita commozione profonda, ci mostra il mistero delle divine elezioni tra le anime e, insieme, delle divine elezioni tra i popoli. Qui si sbocca in pieno nel mistero missionario e della storia. San Paolo nella Lettera ai Galati cita il brano e vede in Agar, spostando un po' le prospettive, la figura del popolo ebraico che, anch'esso, era figlio, e anch'esso fu messo da parte a un certo momento, per far posto a quelli che sono i figli di Sara, i figli della donna libera e non della schiava, ossia, precisamente, i cristiani.
Vi è dunque qui un mistero, e un mistero compiutosi due volte. Un primo mistero di elezione e di riprovazione è il mistero dell'elezione di Isacco padre della razza israelitica, e del ripudio di Ismaele, padre della razza mussulmana, la razza degli Arabi. Vi si può vedere qualche cosa di duro e di tragico. Perché fu scelto uno e non l'altro?
Questo miracolo si ripresenta nel momento della venuta di Cristo. Anche qui, vi è un popolo scartato da Dio, l'ebreo, e un altro eletto, il popolo cristiano tratto dal gentilesimo. Continua la stessa economia. Ma questa volta sappiamo che l'allontanamento del popolo ebreo è provvisorio, ci dice San Paolo; il popolo ebreo fu scartato perché entrasse l'universalità dei Gentili, ma quando questa sarà entrata, anch'esso a sua volta ritornerà, e il suo ritorno sarà esultanza più grande che l'ingresso stesso dei Gentili.
Vien fatto necessariamente di pensare che un mistero dello stesso ordine sovrasti i Mussulmani. L'Islam fu scartato, ma neppure per esso si tratta d'una repulsa definitiva: su di esso pure sta una elezione di Dio, perché è della razza di Abramo secondo la carne e Dio gli ha fatto delle promesse. Siano pure promesse di ordine temporale, ma sovrasta ad esse una benedizione permanente, per cui noi ci chiediamo quando avverrà il compimento del mistero e quando, a sua volta, Ismaele rientrerà, avanti o dietro i figli di Abramo, per raggiungere i figli della promessa.
Si affaccia un problema: perché uno avanti l'altro? E perché uno dopo l'altro? Siamo nel mistero del disegno di Dio, dove successioni ed elezioni si intrecciano. Perché il Cristo nacque dal popolo ebreo? Perché noi siamo stati cristianizzati sin dal principio e i Cinesi non lo sono stati? È il mistero del piano divino che noi dobbiamo adorare nelle sue ininvestigabili vie, e questo richiede da parte nostra una profonda capacità di contemplazione, di pazienza, di attesa; ma non dimentichiamo che esso è anche un mistero di salvezza universale, il mistero della salvezza delle nazioni. Nel piano divino vi è un ordine degli Ebrei, ma vi è pure un ordine di Ismaele, non uguale a quello dei pagani e che sostiene una parte speciale nel mistero della storia.
Che tutto questo ci renda devoti di Abramo! Non varrebbe la pena di parlare di lui se non fosse per volergli più bene, per renderci più familiari queste figure dell' Antico Testamento, per riconoscere veramente in loro dei Santi intercessori che pregano. Questo riconoscimento interessa particolarmente le nostre intenzioni missionarie, giacché essi sono eminentemente, con Maria e gli angeli, tra coloro che preparano misteriosamente le vie di Dio nei cuori ignari di Lui. Ora Sant' Abramo è il grande intercessore per tre grandi categorie di anime: per gli Ebrei, come padre di Isacco; per l'Islam, come padre di Ismaele; per i peccatori infine, giacché fu lui a supplicare Dio in favore di Sodoma e di Gomorra, quei grandi peccatori che talvolta sono affidati alla. nostra cura spirituale, per coloro i quali, profondamente immersi nel male e desolatamente lontani da Dio, sembrano esclusi da ogni speranza. Per tutti questi Abramo prega tenacemente
e ci insegna a pregare tenacemente, giacché nulla è impossibile alla divina parola che trasforma i cuori.

[1] Vedere SUZANNE DE DIETRICH, Le Dessein de Dieu, 1945. A. G. HERBERT, The authority of the Scripture, 1947.
[2] Vedi R. DE LANGHE, Les textes de Ras Shamra et leurs rapports avec le milieu biblique de l'Ancien Testament, 1945.
[3] Corano, Sura 21.
[4] La traduzione del bel testo da R. Cadiou sarà pubblicata prossimamente nella collezione delle Università di Francia (Soc. Guillaume Budé).
[5] CHESTOV, Athènes et Jérusalem, pag. 347.
[6] Le Royaume de Dieu et sa venue, pag. 150.
[7] v. F. C. HOSKYNS, The Fourth Gospel, pag. 245.
[8] «E per la sua fede venne ad abitare nella terra promessa come in terra straniera; poiché egli attendeva la città fornita di solide fondamenta, di cui architetto e costruttore è Iddio» Ebr. XI, 9, 10.
[9] « Essendo Abramo profeta, e vedendo in spirito il giorno della Apparizione del Signore egli esultò spiritualmente ». (IRENEO, Adv. haer., IV, S, 5).
[10] S. DE DIETRICH, loc. cit., pag. 46.
[11] Questo esprime il carattere battesimale. Una volta stretta alleanza nel Battesimo si può perdere col peccato la grazia del Battesimo: ma non si perde con ciò il diritto a tale grazia quando si fosse ritornati a migliori disposizioni.
[12] Ezech. XXIV, 14.
[13] Il messaggio di Jahvè tra le vittime dimostra che è lui a fare l'alleanza.
[14] Rom. IV, 17-21; cfr. Ebr. XI. 11-12.
[15] Sulla compatibilità della santità di Abramo con la sua poligamia, cf. Histoire d'Abraham ou les étapes de la conscience morale, di Raissa Maritain, pag. 5 segg.
[16] Vedi La typologie d'Isaac dans le christianisme primitit, Biblica, 1947, pag. 363 segg.

Capitolo secondo
MELCHISEDECH E L'ALLEANZA COSMICA

Quando Abramo rispondendo alla chiamata divina lasciò Haran e arrivò nel Canaan, inaugurando la Storia Sacra, ebbe il saluto d'un personaggio misterioso, la cui storia è contenuta in tre versetti del Genesi: «Melchisedech, re di Salem, portò pane e vino essendo sacerdote del dio Altissimo (El Elijon). Benedisse Abramo e disse: Benedetto sia Abramo dal dio Altissimo che fece il cielo e la terra» (Gen. XIV 18-19). Tutto riesce misterioso in questo brano. Lo stesso testo appartiene a un documento assoluta. mente autonomo, la cui presenza nella Bibbia è un enigma. per gli esegeti.
L'autore della Lettera agli Ebrei ne ha messo in evidenza tutta la singolarità: «Questo Melchisedech, re di Salem, sacerdote del dio Altissimo, che va incontro ad Abramo reduce dalla vittoria ottenuta sui re, e lo benedice, e al quale Abramo offre la decima di tutto il bottino, è anzitutto, secondo il senso del suo nome, re di giustizia, e in secondo luogo re di Salem, ossia della pace, è senza padre, senza madre, senza genealogia, i suoi giorni non hanno inizio, né ha fine la sua vita ».
Questo personaggio misterioso riveste somma importanza per n pensiero biblico. Il Salmo CIX vede nel suo sacerdozio la figura del sacerdozio messianico: «Tu es sacerdos in aeternum, secundum ordinem Melchisedech» (1). Il Nuovo Testamento gli dà significato eminente. L'autore della Lettera agli Ebrei, scrive che egli «rimane sacerdote in eterno» (VII, 3). Esalta il suo sacerdozio al di sopra di quello levitico, giacché questo è provvisorio e sarà abrogato con l'avvento del Cristo, mentre n sacerdozio di Melchisedech è eterno: «Se il sacerdozio levitico, sotto il quale il popolo ricevette la legge, avesse attuato la perfezione, non sarebbe stato nenecessario che sorgesse un altro sacerdozio secondo l'ordine di Melchisedech anziché secondo l'ordine di Aaron» (Ebr. VII, 11).
Questo sacerdozio di Melchisedech appare dunque come una figura del sacerdozio del Cristo, il vero Sommo Sacerdote: «n quale entrò per noi nel tabernacolo come precursore in qualità di Sommo Sacerdote eterno, secondo l'ordine di Melchisedech» (VII, 19-20).
Il sacerdozio suo, infatti, è «istituito non secondo le prescrizioni di una legge carnale, ma secondo la potenza di una vita senza termine» (VII, 16). E così «Egli (Melchisedech) fu simile al figlio di Dio» (VII, 3). Egli è maggiore dello stesso Abramo: «Considerate quanto è grande colui al quale Abramo, n patriarca, offre la decima di tutti i suoi beni. Egli ha benedetto colui che aveva per sé le promesse. Ora, senza dubbio, spetta al superiore benedire l'inferiore» (VII, 4-6).
I Padri della Chiesa giungeranno talvolta a vedere in lui non un personaggio storico, ma addirittura un'apparizione del Verbo o de1Jo Spirito Santo.
Sant'Arnhrogio scriverà: «Chi è Melchisedech, re di giustizia? Un semplice uomo può essere re di
giustizia? Chi è se non la Sapienza di Dio?» (P. L. XVI, 438, B).
Chi era, di fatto, questo personaggio misterioso? N on si ha motivo alcuno di mettere in dubbio quello
che sul conto di lui dice la Bibbia.
«Non è impossibile, scrive M. Lods, che, come vuole un midrash ebraico conservato nel Genesi, una
città cananea abbia dato al suo dio n titolo El Elyon (Dio Altissimo), creatore dei cieli e della terra. I Fenici avevano ugualmente due divinità, dette una Elioun, l'altra El » (2). La città di Salem di cui è re Melchisedech, fu identificata con Gerusalemme e, in ogni caso, potrebbe benissimo essere stata una città del Canaan preisraelita. Il fatto che Melchisedech fosse, insieme, re e sacerdote, armonizzaperfettamente con un'epoca arcaica, nella quale le funzioni sacerdotali erano esercitate dal capo di famiglia o di tribù senza che vi fosse ancora un sacerdozio specializzato. Questo sembra esser stato, in particolare, il caso del Canaan antico. «Sinora - afferma M. Lods - nessun monumento attesta l'esistenza dei sacerdoti in quell'epoca» (loc. cit., pagina 117): e porta la testimonianza di uno scrittore egiziano che nel 1117 fece un viaggio in Palestina e là vide un re sacrificare sacerdotalmente.
Gli scavi archeologici nel Canaan hanno confermato in maniera sorprendente anche l'ultimo particolare, l'offerta del pane e del vino. «Agli dei scrive ancora M. Lods - si facevano non soltanto sacrifici cruenti ma anche libazioni, giacché sono state rinvenute numerose coppe destinate a tale uso.
Si presentavano agli déi offerte vegetali, specialmente pane e schiacciate, sostituiti talvolta da oggetti in terracotta della stessa forma. Se ne trovarono a centinaia nei santuari di Beisan» (loc. cit., p. 115). Così il re di Salem emerge dalla zona di mistero dove lo collocava la Lettera agli Ebrei.
Nel contesto storico appare come un re-sacerdote del Canaan antico, che accolse Abramo al suo arrivo nel paese della promessa presentando gli le oblazioni della sua religione.
Allo stesso tempo però se ne prospettano in piena luce il significato e l'importanza. Che cosa è mai questa religione dell'antico Canaan, che precede la religione positiva inaugurata da Abramo? È la religione cosmica, la religione dell'umanità corrispondente alla rivelazione naturale, cioè alla rivelazione fatta da Dio per mezzo della natura 3, corrispondente alla prima alleanza, l'alleanza no etica, colla quale Dio si impegnò a rispettare le leggi delle stagioni, a dare nei tempi opportuni piogge e sole, e che permette all'uomo di riconoscere la sua Provvidenza personale dalla fedeltà con la quale Egli comunica i suoi doni. Questa alleanza viene riferita nel libro del Genesi, dopo il racconto del diluvio (IX, 8-12). Di essa è documento l'arcobaleno, come l'agnello pasquale lo è dell'alleanza mosaica. Due capitali testi del Nuovo Testamento ricordano che si tratta di una autentica rivelazione di Dio come Provvidenza, indirizzata a tutte le nazioni: «Il Dio vivo, che ha fatto il cielo e la terra, nel passato lasciò che ogni nazione seguisse la sua via non omettendo però di dare testimonianza a Se stesso facendo del bene, inviando le piogge dal cielo, rendendo fertili le stagioni, dando in abbondanza nutrimento e letizia ai nostri cuori» (Atti XIV, 15-17).
È ai pagani di Listri che Paolo si rivolge. Allo stesso modo, parlando dei popoli pagani, così scrive nella lettera ai Romani: «Le perfezioni invisibili di Dio, la sua eterna potenza e la sua divinità, sono divenne dopo la creazione del mondo visibili all'intelligenza umana per mezzo delle opere» (I, 20).
Questa forma religiosa primitiva fu deformata, deturpata, pervertita dalle diverse forme dell'idolatria: «Essi hanno scambiato la maestà dell'incorruttibile Dio con immagini dell'uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili» (Rom. I, 23). Come non evocare qui i culti cananei dell'uccello di Astarte (Lods, loc. cit., pag. 90) e la polemica contro il culto del serpente, simbolo della fecondità, che nel Genesi fa da sfondo al racconto della tentazione? (4).
Ma sotto tutte queste perversioni, la religione primitiva sussiste. «Essa continua a costituire per noi il sacro nella sua forma elementare: l'oscura intuizione d'una presenza divina nel silenzio della notte, nel buio delle foreste, nella immensità del deserto, nel fulgore del genio, nella purezza dell'amore» (5). Proprio dal fondo ancora limpido di questa religione primitiva, tuttora rorido della innocenza paradisiaca, sembra levarsi Melchisedech. In mezzo ai culti cananei già corrotti, crudeli e immorali, egli appare come il fedele sacerdote dell'alleanza noetica, miracolosamente custodito illeso fra le brutture che dopo il diluvio ricominciarono a coprire la terra fino alla comparsa di Abramo, per portare a lui il saluto della religione primitiva. Egli è sacredote del Dio «creatore del cielo e della terra », quel Dio, a cui la creazione, come dice San Paolo negli. Atti, reca testimonianza. Il P. Féret nel suo notevole saggio su Melchisedech rileva come «questo pane e questo vino presentati ad Abramo con un gesto religioso e caritatevole insieme, di ospitalità, siano un'offerta più spirituale, più aderente alla semplicità naturale, che tutte le sacre macellazioni prescritte in seguito dalla legge mosaica» (6).
Infatti l'alleanza con Abramo, pur segnando una nuova tappa e un progresso nel piano di Dio, è sotto un certo aspetto un apparente re gl'esso. La religione di Melchisedech riguarda l'umanità intera. Si tratta d'una alleanza stretta con «tutte le nazioni» (Atti XIV, 15). Viceversa l'alleanza con Abramo non riguarda che un solo popolo. Esso costituisce una limitazione, senza dubbio provvisoria, ma che
per diciannove secoli escluderà le genti dall'alleanza nuova.
Il sacerdozio di Melchisedech è il sacrificio dell'uomo, sacerdote della creazione. Non costituisce il privilegio di una casta particolare: «Melchisedech non era stato scelto dagli uomini, scrive Eusebio, né unto con un olio manufatto» (Demonstr. Evang. V). In Israele, viceversa, il culto diventerà attribuzione di una tribù particolare, quella di Levi, e le altre ne resteranno escluse. Il sacrificio di Melchisedech può essere offerto in ogni luogo, su tutta la terra. Non è riservato a uno spazio particolare. Ormai, invece, il culto verrà localizzato in un luogo unico. «Voi distruggerete interamente tutti i luoghi dove le nazioni che scaccerete avevano i loro déi su gli alti monti, sulle colline, e su ogni albero verde» (Deut. XII, 2). È l'antico culto cananeo che viene qui proscritto, il culto di Melchisedech. Così sotto molti aspetti il culto cristiano risulta indubbiamente più somigliante al culto di Melchisedech che al levitico. Cominciamo a intravedere perché Paolo pone Melchisedech al di sopra di Abramo. Egli è precisamente la figura, imperfetta ma somigliante, di Colui che sarà «il sommo sacerdote secondo l'ordine di Melchisedech ». Ma l'alleanza abramitica costituiva una limitazione necessaria. « Ponendo l'uomo a distanza da Dio, essa proclama due cose. Anzitutto, manifesta la grandezza, la santità di Dio! si sa fin dove l'eccessiva familiarità, il troppo antropomorfismo, abbia condotto i Greci: a quei loro déi immiseriti... Quindi denuncia il peccato dell'uomo, sviluppa il senso di questa fondamentale impurità che chiamiamo peccato originale. Così gli fa prendere coscienza della sua radicale indigenza, e gli fa tendere le braccia al liberatore» (7). Nel misterioso piano di Dio essa è nuovo inizio, acquisizione di nuovi valori.
L'incontro di Melchisedech e di Abramo prende da qui tutto il suo significato. Davanti alla comparsa di Abramo iniziatore di un nuovo ordine di cose che succedeva al presente e lo rendeva caduco, i rappresentanti della religione cosmica potevano reagire in due sensi opposti. Appoggiandosi sulla autenticità della loro rivelazione, derivata veramente da Dio, essi potevano rifiutarsi di riconoscere colui che Dio mandava per instaurare una religione nuova, che si sarebbe sostituita alla loro. Tale fu l'atteggiamento del mondo pagano, nel suo complesso. Tale è ancora oggi l'atteggiamento di quella parte de1 paganesimo che ricusa di accettare la religione positiva. Tale fu, nella terza tappa del piano di Dio, la posizione del popolo ebraico. È il dramma dei prec1tr-sori. Precursore è colui che Dio invia per preparare le strade di un altro. Quando quest'altro appare la sua missione è finita, ed egli deve fare omaggio a lui. Si tratta d'un atto eroico: accettare di rientrare nei ranghi, di fare il discepolo dopo esser stato maestro. E grande è la tentazione di respingere questa umiliazione.
Allo stesso modo, i popoli pagani non vollero riconoscere la rivelazione del Dio di Abramo. E persistono in ciò. Così il popolo ebraico rifiutò il riconoscimento di Gesù. In una mirabile pagina del suo libro «Il Signore» Guardini ha scritto che Budda è stato uno dei grandi precursori del Cristo e sarà il suo ultimo avversario. Budda, rappresentante eminente della religione cosmica, prebiblica, è colui che dalle profondità del passato ha preparato misteriosamente l'India a ricevere il Cristo educandone l'anima, e insieme colui che nel supremo dramma spirituale del mondo, quando lo stesso Israele «sarà reintegrato» (Rom. XI, 15) disputerà al Cristo l'anima dell'India, contrapponendo all'universalismo cristiano l'universalismo della religione cosmica, che è quanto più gli rassomiglia, la caricatura della cattolicità, il sincretismo.
Così il precursore può divenire l'avversario. Ma egli può anche riconoscere con gioia colui che dove
va semplicemente preparare e «trasalire alla voce dello sposo ». Ecco il significato dell'incontro tra Melchisedech ed Abramo. In Melchisedech è la religione cosmica antecedente che viene condotta dallo Spirito a salutare la religione biblica, sorgente, e a renderle omaggio.
Occorreva infatti che la tradizione passasse da un'alleanza all'altra e Melchisedech, riemergendo dalle lontananze dell'alleanza noetica, «senza padre e senza madre », come rileva S. Paolo – giacché non è più in causa una razza particolare ma l'intera umanità - Melchisedech è il delegato di questa prima alleanza.
Si prospetta ora al nostro sguardo un altro incontro nel quale sarà la religione di Abramo a salutare al suo apparire la religione del Cristo, e nello stesso paese dove avvenne l'incontro antico. Giovanni Battista, il maggiore dei profeti, delegato di tutto l'Antico Testamento, saluterà in nome di esso Gesù, presentato da Dio al Giordano come l'instauratore della Terza Alleanza, e lo confesserà come «Colui che doveva venire », prima di eclissarsi davanti a lui. In questo modo, ai punti di saldatura fra le alleanze, Melchisedech e Giovanni, l'uno sorgendo da un mondo paradisiaco in apparenza seppellito sotto l'idolatria, e l'altro ravvivando la fiamma della profezia da lungo tempo spenta sotto le ceneri del legalismo, avranno la missione di portare il saluto della religione del passato a quella dell'avvenire.
Ma bisogna aggiungere un tratto essenziale. Il succedere dell'alleanza abramitica all'alleanza noetica, come quello dell'alleanza cristiana all'alleanza abramitica, non significa il sostituirsi d'una religione nuova a un'altra, in modo che la precedente scompaia nella sua totalità.
Si tratta al contrario di una successione in cui l'ordine nuovo, anziché detronizzare l'antico, lo compie assumendolo e oltrepassandolo. Avviene come nella crescita di un uomo; il passaggio dall'infanzia all'adolescenza, e dall'adolescenza alla maturità, rappresenta delle crisi feconde nelle quali tutte le ricchezze dello stadio anteriore sono riprese dallo stadio successivo, in una nuova armonia vitale.
Così è del Cristo che doveva non «abolire ma compiere» l'antica alleanza. Così già l'antica alleanza aveva non abolito ma compiuto l'alleanza cosmica. La storia stessa lo dimostra. Quando, dopo la schiavitù in Egitto, i discendenti di Abramo giunsero a possedere la terra di Melchisedech, percorsa dal loro progenitore cinque secoli avanti, essi inserirono la loro fede jahvista nei quadri religiosi che erano precisamente quelli dell'antico Canaan. O meglio, come sempre in circostanze del genere, come nel caso del cristianesimo in rapporto al paganesimo, si ebbe un doppio atteggiamento: da un lato i profeti dovettero metterli costantemente in guardia contro il contenuto di quei culti e condannare gli antichi riti cananei; dall'altro sostituirono a qnesti culti la religione propria prendendo da essi certi elementi. Il racconto del sacrificio di Isacco ha valore polemico contro l'uso cananeo (e fenicio) dei sacrifici di fanciulli, e il racconto del Genesi (la tentazione) valore polemico contro l'adorazione del serpente. M:a vediamo il serpente di bronzo divenire un sacramento del culto jahvista - il Cristo stesso vedrà in esso una figura della sua esaltazione sulla croce - e le primizie dei greggi sostituire i primogeniti umani, per significare un'identica realtà. Esse saranno anche figura del sacrificio compiuto nella pienezza dei tempi dal « primogenito tra i morti ». Così pure il Tempio conserverà preciso significato cosmico, simboleggiando con le sue tre parti il cielo, la terra e il mare 8. E infine il Carmelo, altura sacra dei cananei, continuerà ad essere il luogo delle ispirazioni profetiche, divenendo più tardi il mistico vertice dell'ascensione dell'anima, nella divina notte di San Giovanni della Croce.
Il cristianesimo, dopo il giudaismo, attua questa assunzione de]]a religione cosmica. Il simbolo eterno
di tale assunzione ci riporta all'Eucaristia. Quando nell'ultima Cena il Cristo prende il pane e il vino per farne la materia visibile dell'Eucaristia, questo, nella sua stessa intenzione, allude verosimilmente al gesto di Melchisedech, che aveva anche lui offerto il pane e il vino. Scrive il P. Féret: «A chi si sforza di afferrare per mezzo dei testi, ma al di là di essi, ciò che fu la Cena del Giovedì Santo nel suo concreto svolgimento, nella sua potenza di evocazione biblica, gli sviluppi della Lettera agli Ebrei sul sacerdozio del Cristo secondo l'ordine di Melchisedech appaiono tutt'altro che gratuiti, ma solidamente fondati su fatti evangelici, e in particolare sull'offerta del pane e del vino» (loc. cit., pag. 229).
Come istituendo l'Eucaristia durante il pasto pasquale, il Cristo volle affermare la continuità del
sacramento da lui istituito con l'alleanza mosaica, così nell'istituirlo sotto le apparenze del pane e del vino volle affermare la continuità con l'alleanza no etica di cui Melchisedech fu il gran sacerdote.
Non è soltanto il culto dell'Antico Testamento quello che il Cristo perfeziona e di cui concreta le figure; tutti i sacrifici che in tutte le religioni e in tutti i tempi furono offerti dagli uomini, vengono dal Cristo raccolti, assunti e transustanziati nel suo sacrificio proprio. E così tutto lo sforzo degli uomini per rendere culto a Dio ed entrare in comunione con lui, sforzo fino allora inefficace, raggiunge nel sacrificio del Cristo la sua maturazione perfetta.
Questo simboleggiano le specie del pane e del vino, insegnando così che la religione di Abramo circoscritta al popolo ebraico non era che uno stadio, e nel Cristo è la stessa umanità totale a glorificare Dio ed entrare in comunione con lui. Perciò la liturgia della Messa nomina «il sacrificio del padre nostro Abramo» accanto a quello che offrì «summus sacerdos Melchiiledech, sanctum sacrificium, immaculatam hostiam ».
Questo solleva nuovamente il problema della relazione tra cristianesimo e religioni non cristiane: problema missionario nel più stretto senso del termine. I gesti sacramentali combaciano talmente in tutte le religioni che per alcuni questo fatto rende difficile scoprire dove il cristianesimo differisce dal le altre religioni e individuabile la trascendenza. Il sacramentalismo è ciò in cui, difatti, il cristianesimo è più profondamente legato al complesso delle religioni del mondo. Questa, che costituisce per al cune anime la difficoltà maggiore, è dal nostro punto di vista cosa molto importante. Si tratta del problema centrale posto dalla storia comparata delle religioni. Se l'abbordiamo, è perché intorno ad esso gravita tuttora una complessa problematica. Molti pensano che, dopo tutto, quello che importa è avere una religione, e non vedono perché si dovrebbe imporre a gente che trova Dio col buddismo o l'induismo, la religione cristiana, conforme alla umanità occidentale, ma forse non adatta a uomini di altri continenti.
Certamente è possibile salvarsi in tutte le religioni - e questa ammissione rischia di metterci in situazione malagevole; ma bisogna accettare anche questa situazione di disagio quando si tratta di testimoniare per la verità. Ciò nonostante noi vogliamo assolutamente convertire gli uomini al cristianesimo. Ecco il paradosso in cui ci mette la nostra teologia. Era assai più facile dire, come un teologo giansenista: «chiunque non è battezzato è dannato », ma noi sentiamo che non abbiamo il diritto di dirlo. Non bisogna attenersi a una soluzione solo perché più comoda; si deve stare per la verità, anche se questa è più ardua. Noi dunque diremo che ci si può salvare anche al di fuori del cristianesimo - non al di fuori del Cristo bene inteso, ma esistono misteriosi modi di appartenenza a Lui con i quali le anime possono essere salvate - e, allo stesso tempo, affermeremo necessario che tutti gli uomini divengano cristiani, che si convertano alla fede nel Cristo.
Il problema si pone specialmente sul piano sacramentale. Le rassomiglianze tra il cristianesimo e le altre religioni sono qui veramente straordinarie. Prendo, ad esempio, il Battesimo. Il Battesimo
vi diranno quanti hanno un po' studiato la storia delle religioni - si trova dovunque, è un rito universale. Al tempo del Cristo esistevano sette ebraiche che lo praticavano, tanto che certi scrittori pretesero che il cristianesimo fosse il semplice sviluppo di una setta battista. Osservate nell'antichità i misteri pagani, i misteri Eleusini che all'epoca primitiva del cristianesimo erano tra le più elevate forme di religiosità. Il secondo giorno della purificazione si diceva: «Halade, mystai» ossia: Andate al mare e prendete un bagno di purificazione, prima di essere iniziati al seguito dei misteri. Fu quindi affermato da taluni studiosi: il battesimo cristiano non ha nulla di originale; gli uomini erano già abituati a trovare dei battesimi in tutti i culti e il cristianesimo è un mistero equivalente agli altri; voi vi riscontrerete quanto vi era già nei misteri, il battesimo con quel bagno lustrale, l'iniziazione e la rivelazione di cose segrete, il banchetto sacro che è simbolo di unità.
Difatti, vi è grande rassomiglianza. Prendiamo il mondo moderno. Impossibile non pensare - ed è un quadro di splendente evidenza - a tutti quei bagni sacri nel Gange. Impossibile non pensare che come il Giordano, fiume colmo di grazia, così anche il Gange potrebbe ugualmente divenire fiume di grazia, fiume sacro, immagine dello Spirito Santo, e tutti gli uomini che vi si bagnano anziché trovarvi una purificazione tutta esteriore potrebbero attingervi la l'i generazione della vita: le acque del Gange diventerebbero le acque del Battesimo, e il Gange il nuovo Giordano. Non vi è dunque in questo lavacro del Gange come una specie di attesa, un anticipo di quello che sarà un giorno il battesimo dell'India? Siamo davanti a panorami che trovano in noi risonanze profonde, ad analogie da scrutare nei loro significati segreti.
Ho preso l'esempio dal battesimo ma avrei potuto prenderne altri, soprattutto il banchetto sacro, destinato ad esprimere la comunione con Dio o con il dio. Anche il rito del banchetto sacro figura in tutte le religioni: preceduta dal sacrificio, consacrazione al dio di un essere vivente, avviene poi la spartizione della vittima consacrata per significare la comunione di vita tra il dio e i fedeli del dio. Anche qui una specie di forma cultuale comune a tutte le religioni. E quanti altri esempi si potrebbero citare! Ne riparleremo. Con lo studio e la meditazione cercheremo di toccare il fondo di tutti questi problemi. Sotto un certo aspetto il riscontro di queste analogie può essere sconcertante. Si dirà: quale differenza passa tra il cristianesimo e le altre religioni? Per noi l'interrogativo, anziché turbarci, risulta di prodigioso interesse. Che cosa sono questi riti presenti in tutte le religioni? Precisamente la intuizione oscura, comune a tutte le religioni, del fatto che i gesti visibili sono pregni di mistero e che gli elementi visibili e le cose materiali sono i mezzi per cui si va verso il divino. Gli uomini hanno bisogno di purificazione. Quale gesto più naturale, per simboleggiare la purificazione dal peccato, di quello col quale viene versata l'acqua che lava? E per significare la comunione con Dio, quale gesto più naturale del banchetto dove si divide lo stesso pane, e questo uguale pane, nel corpo di ciascuno dei convitati, è come espressione di una specie di vita comune? Non si doveva giungere spontaneamente a fare di questo rito l'espressione stessa dell'idea di una comunione con Dio?
Per conseguenza, ciò che noi scopriamo qui è questa specie di sacramentalismo universale, intuizione profonda del senso sacrale delle cose e, al tempo stesso, realtà che non dà la grazia ma la significa soltanto... È una specie di presentimento, di invocazione, una sorta di addentellato. Che cosa farà il cristianesimo? Creerà riti diversi da tutti quelli delle altre religioni? No. Il cristianesimo raccoglierà questi gesti sacri di tutte le religioni ma li colmerà della grazia del Cristo. Allora quella stessa acqua del Gange, dal momento in cui diviene acqua di battesimo, diventa mezzo della rigenerazione soprannaturale degli uomini. Abbiamo lo stesso banchetto, ma questo pane che si spezza tra i convitati non è soltanto un simbolo, esso ci fa effettivamente comunicare alla realtà stessa del Cristo Gesù.
Appare così in netta evidenza quanto vi ha di simile e quanto di diverso. Sembrerebbe cosa identica ed è totalmente diversa. È uguale il gesto, ma vi è tutta la differenza che passa tra la figura e la realtà, tra il gesto che è un gesto di attesa, e il dono. Ecco l'essenziale del cristianesimo: il dono fatto da Dio della grazia divina, della vita divina. Il nostro così grande interesse risulta pienamente giustificato: il sacramentalismo ci appare essenzialmente come il mezzo con cui il cristianesimo s'incarna in qualche modo nelle religioni del mondo, cioè come la maniera con cui il cristianesimo prolunga queste religioni senza distruggerle, ossia prende da esse tutto ciò che hanno di buono. che può valere come addentellato, tutti questi gesti religiosi. È ciò che il Cristo fece riprendendo il gesto di Melchisedech. Ecco come noi possiamo dire che queste religioni sono una specie di «prefigurazione », di preparazione del Cristo. E allora cercheremo di cogliere questi segni, e di riconoscere, per ogni sacramento, quali siano i suoi addentellati con le diverse grandi civiltà umane.

[1] G. BARDY, Melchisédech dans la tradition patristique, Rev. Bibl.: 1926, 416 segg., 1927, pag. 24 segg.
[2] Israel des origines au milieu du VIII siècle, pag. 164.
[3] Si intenda bene il significato di questa «rivelazione naturale ». Non si intende qui escludere la esistenza di una rivelazione soprannaturale fatta ai progenitori, che noi conosciamo attraverso la Scrittura interpretata dall'insegnamento dei Padri e del Magistero, cioè per via teologica. Ma non è facile dire quanto e dove questa rivelazione sia sopravvissuta nell'umanità e presso i singoli popoli durante i lunghi millenni che separano l'umanità da noi conosciuta storicamente dai progenitori. E' possibile, infatti, almeno in linea di ipotesi, pensare che presso singoli popoli essa sia andata perduta (così sembra insegnare la Scrittura a proposito 'degli
antenati del popolo ebraico: cfr. Giosuè XXIV, 7; Giuditta V, 8). In tal caso la religione che constatiamo presso questi popoli sarebbe una religione fondata sulla «rivelazione naturale ». Sono noti i risultati degli studi di P.G. Schmidt circa la religione dei primitivi e le induzioni ch'egli ne trae in favore della esistenza storica di una rivelazione soprannaturale primitiva. Ma occorre ricordare che si tratta di una induzione scientifica, soggetta quindi a quel grado di relatività che tocca tutte le induzioni scientifiche che non si possono verificare con metodo rigoroso [N. d. T.]
[4] PAUL HUMBERT, Etudes sur le récit du Paradis et de la chute dans la Genèse, Neufchàtel, 1940, pag. 75.
[5] Le signe du Temple, pag. 10 (Traduz. italiana, Morcelliana, 1953).
[6] La Messe et sa catéchèse, Lex orandi, 1947, pag. 229.
[7] Le signe du Temple, pag. 18.
[8] Le signe du Temple, pag. 19.