domenica 11 dicembre 2011

Il Mistero dell'Avvento - Jean Danielou (5)



CONCLUSIONE
IL CRISTO PROFETA

L'opera del Cristo si presenta come realtà una, ma che. nella sua trascendenza non può essere esaurita da una sola espressione. La Scrittura la esprime sotto diverse formulazioni. Queste grandi espressioni bibliche appaiono nell' Antico Testamento, furono compiute dal Cristo, si prolungano nel ministero della Chiesa. Così l'opera del Cristo può essere considerata come azione sacerdotale, offerta del sacrificio perfetto dal quale il Padre è glorificato, e per mezzo del quale la creazione raggiunge irrevocabilmente il proprio fine. Sotto tale aspetto il ministero del Cristo concreta le figure sacerdotali del. l'Antico Testamento e si perpetua nel sacerdozio della Chiesa. Può essere considerato come trionfo sulle potenze demoniache, sulla morte, il peccato e Satana, e liberazione dell'umanità, che ne era prigioniera. Sotto questo punto di vista il ministero del Cristo è un ministero regale che compie le figure messianiche.
Infine può essere considerato come ministero profetico. E vogliamo ora considerarlo proprio sotto questa luce.
Occorre precisare anzitutto quale senso intendiamo dare al termine di ministero profetico. Molti autori protestanti o razionalisti hanno del profeta una concezione prevalentemente psicologica, come di un uomo che presenta i fenomeni così detti profetici, di trance e di estasi. Diciamo subito che parlando del Cristo profeta noi parliamo di una realtà teologica. C. K. Barret rileva (1) che il termine ha ambedue i sensi (psicologico e teologico). Noi l'adoperiamo nel senso strettamente biblico di uomo introdotto dallo Spirito nei segreti disegni di Dio per esserne il testimone sino alla morte. Ciò può essere accompagnato, o no, da fenomeui estatici. G. Verbeke ha definitivamente dimostrato (2) che l'ispirazione secondo il concetto ellenistico, avente per suo principio un pnenma quasi materiale, e l'ispirazione profetica secondo il concetto biblico, che è il possesso preso sull'uomo dal Pnemna hagion (lo Spirito divino), non ebbero originariamente nulla di comune e vennero confusi soltanto con Filone.
D'altra parte, ci si fa talvolta un concetto troppo limitato del ministero profetico di Gesù riducendolo alle sue «predizioni ». Questo significa avere una nozione troppo angusta della realtà profetica. Essa non riguarda soltanto una parte dell'attività di Gesù, ma è una luce sotto il cui raggio tutta la sua azione può essere posta e guardata. Così i miracoli del Cristo possono riferirsi, come in San Giovanni, al suo ministero sacerdotale: sono sémeia, figure, sacramenti; oppure, come in San Luca, al ministero profetico: sono idynameis, attestanti la potenza dello Spirito che opera nel profeta. Da San Matteo a San Paolo la Passione del Cristo è considerata come vittoria sulle potestà nemiche e instaurazione del Regno di Dio. Ma - rilievo fatto acutamente da Martin Dibelius (3) - viene presentata da Luca come il martirio del profeta. La profezia costituisce allora uno degli aspetti sotto cui può essere meditato tutto il mistero del Cristo.
Dunque il suo ministero profetico non corrisponde soltanto al suo insegnamento. E viceversa l'insegnamento del Cristo non deriva in modo esclusivo dal suo ministero profetico. Diamo qui alla profezia il senso preciso di intelligenza e manifestazione dei disegni di Dio nella storia. Ora, questo non conviene che a una parte dell'insegnamento del Cristo. Egli è anche il legislatore del regno di Dio e ne promulga la carta. Questo appartiene maggiormente al suo ministero regale: e lo mette in evidenza il Vangelo di San Matteo. Egli è il rivelatore del Padre, colui che ci fa conoscere la vita intima di Dio. Ecco l'aspetto propriamente giovanneo del Cristo. Lo si potrebbe raccordare col ministero profetico in quanto il profeta è il testimone di Dio fra gli uomini. Noi tuttavia metteremo l'accento su ciò che costituisce il carattere assolutamente proprio del ministero profetico, ossia la manifestazione di Dio in quanto egli agisce nella storia.
Con Malachia la profezia scompare da Israele. Il fatto è uno degli aspetti misteriosi dell' Antico Testamento. Ma il pensiero dei Giudei rimane orientato verso l'attesa del suo ritorno. Le pietre dell'altare degli olocausti, distrutto perché profanato dai Gentili, sono deposte in luogo sicuro, «sino all'apparire di un profeta che dicesse la sua parola a questo proposito» (1 Macc. IV, 46). Simone Maccabeo riceve l'autorità di sommo sacerdote e di capo del popolo «sino a quando venga un profeta fedele» (I Macc. XIV, 41). Risulta chiaramente che per il popolo giudeo la promessa fatta a Mosè della pari alla sua (4), non si era attuata nella venuta dei profeti dell'epoca regale, e che la venuta di questo profeta era sempre attesa. Il Vangelo riporta l'eco di questa attesa negli ambienti ebrei di allora. Durante la missione di Giovanni Battista, i Giudei mandano a lui dei sacerdoti e dei leviti che gli domandano: «Sei tu Elia?... Sei tu il Profeta?» (Giov. I, 20-21). Così pure davanti alle grandi opere del Cristo i Giudei, come narrano gli apostoli, dicono «alcuni che egli è Elia, altri Geremia, o uno dei profeti» (Mt. XVI, 14).
Questo ultimo passo ci dimostra che il Cristo appariva agli occhi dei Giudei come avente in sé i caratteri del Profeta. Così si definì egli stesso e così lo designarono i suoi discepoli. Quando le folle gli danno questo titolo egli non protesta: «Le folle dicono: il Profeta Gesù, di Nazaret in Galilea» (Mt. XXI, 11; Me. VI, 15; Lc. VII, 16 e XXIV, 19) (5). Egli stesso si attribuisce il titolo: «Un profeta non è senza onore che nella sua patria e nella sua casa» (Mt. XIII, 57), o ancora: «Bisogna che io continui il mio cammino oggi e domani e il giorno seguente, perché non conviene che un profeta perisca fuori di Gerusalemme» (Lc. XIII, 33). Subito dopo la Risurrezione i discepoli di Emmaus discorrono di «ciò che riguarda Gesù di Nazaret, profeta potente in parole e in opere davanti a Dio e davanti a tutto il popolo» (Le. XXIV, 19). Ritorneremo su questa sintomatica espressione. A sua volta Pietro, indirizzandosi ai Giudei dopo la Risurrezione, indica loro nel Cristo il Profeta annunziato da Mosè e da tutti i profeti, «da Samuele e da altri successivi a lui» (Atti III, 22-24). Il Cristo è compimento della profezia intera, non solo in quanto essa annunzia Lui - ciò che risulta chiaramente - ma anche in quanto lo prefigura, cioè in quanto è Lui stesso Profeta in senso eminente, attuando pienamente l'essenza del profetismo. Dico, in senso eminente: giacché se Gesù continua la razza dei profeti, Egli però la supera. Quanto Gesù dice del Battista, definendolo «più che profeta », è eminentemente vero di Lui (Mt. XI, 9).
Non soltanto il Nuovo Testamento dà al Cristo il titolo di profeta, ma lo presenta come tale in atto. La cosa, molto significativa, è stata particolarmente posta in valore dal P. Dabek in un articolo di Biblica (6). Ecco i dati: il Cristo appare nel Vangelo di Matteo come un nuovo Mosè, il legislatore della Legge Nuova: e nel Vangelo di Luca, invece, come nuovo Elia. Il P. Dabeck basa la propria tesi su molti accostamenti che risultano decisivi. Anzitutto, rileva che il Vangelo di Luca è il Vangelo dello Spirito Santo. Luca ha essenzialmente questa idea: narrare nella vita del Cristo e poi, con gli .Atti, nella vita della Chiesa, la continuazione delle grandi opere compiute dallo Spirito nell' Antico Testamento. Per Luca, la storia sacra è storia di queste grandi opere dello Spirito, di questi thaumata, svolgentisi attraverso le tre economie successive. Come lo Spirito è stato il principio della prima creazione, riposando sulle acque primitive (Gen. I, 2), così ci viene presentato riposante su Maria all' Annunciazione per suscitare la creazione nuova, la seconda (Lc. I, 35). E la Pentecoste inaugurerà, con un'altra effusione dello Spirito, la terza epoca del piano divino. Per tutto il corso del Vangelo di Luca e degli Atti, lo Spirito Santo è Colui che dirige gli avvenimenti. Gesù viene da lui condotto nel deserto (IV, 1); Pietro si rivolge agli anziani del popolo «pieno dello Spirito Santo» (Atti II, 8); «per mezzo dello Spirito Santo », Stefano di. sputa coi Giudei «in modo che essi non possono resistergli» (VI, 10).
Ora, caratteristica del profeta è d'essere l'uomo introdotto dallo Spirito nelle profondità dei disegni divini - che Dio solo può sondare - in maniera da diventarne testimone e strumento fra gli altri uomini (7). Tale fu Elia nell'Antico Testamento, tale, per San Luca, il Cristo. Le allusioni a Elia sono nel suo Vangelo più frequenti che negli altri. Già Giovanni Battista cammina «con lo spirito e la potenza di Elia» (I, 17). E, ancora, Luca fa un parallelo tra la vita del Cristo e quella di Elia. Nel capitolo quarto il Cristo segnala uno dei principali caratteri del «profeta », la repulsione che provoca nei mondani, paragonandosi ad Elia. «Nessun profeta ha onore nella sua patria... vi erano molte vedove in Israele ai giorni di Elia, e Elia non fu mandato a nessuna di loro» (IV, 15-20). Come Elia risuscitò il figlio della vedova di Sarepta, cosi Gesù risuscita il figlio della vedova di Naim (VII, 11). L'episodio viene narrato dal solo Luca. Evidentemente è suggerito dalla intenzione di accostare il Cristo ed Elia; e lo conferma l'esclamazione della folla: «Tutti furono presi da timore e glorificarono Dio dicendo: Un grande profeta è sorto tra noi» (VII, 16). Quindi la Chiesa collegando i due episodi nella liturgia quaresimale fa propria l'intenzione stessa dell'Evangelista (8).
Altri brani attestano la dipendenza letteraria del racconto di Luca dal Libro dei Re. A un uomo che vuol seguire Gesù e gli chiede soltanto di congedarsi dai genitori Gesù risponde: «Colui che avendo messo la mano all'aratro guarda indietro non è degno del Regno di Dio» (IX, 61). La risposta richiama quella di Elia a Eliseo, che, già con le mani sull'aratro, gli fa la stessa questione: «Permettimi di abbracciare mio padre e mia madre e poi ti seguirò» (III Re XIX, 1). Abbiamo nei due testi la stessa esigenza della immediata fedeltà alla vocazione. Elia fa cadere tre volte il fuoco dal cielo (III Re XVIII, 38; IV Re I, 10, 12). Gesù rimprovera ai suoi discepoli di volere che egli agisca nello stesso modo (IX, 54): è venuto proprio a portare il fuoco sulla terra» (XII, 49), ma si tratta di un altro fuoco, lo Spirito stesso, di cui il fuoco di Elia era soltanto figura. I due caratteristici tratti dello spirito di Elia si ritrovano in un capitolo che costituisce un punto di essenziale saldatura nel Vangelo di Luca, quello dove si racconta l'ultimo viaggio del Cristo a Gerusalemme, il cammino verso la Passione. Il capitolo comincia solennemente: «Avvicinandosi i giorni in cui doveva essere loro tolto (analempsis), Egli prese decisamente la strada di Gerusalemme» (IV, 51). Il capitolo del Libro dei Re che racconta l'ultimo viaggio di Elia e la sua ascensione (anagein), comincia con un brano parallelo. L'espressione di analempsis, ascensione, usata da Luca per il viaggio di Gesù è una allusione all'ascensione di Elia. D'altra parte occorre notare come l'Ascensione di Gesù occupi un posto eminente nell'opera di Luca, dove viene riferita due volte (XXIV, 51; Atti I, 9). Costituiva infatti, questo, un caratteristico tratto della storia di Elia. E si può notare che, prima della sua Ascensione, il Cristo dà ai discepoli lo stesso consiglio dato da Elia ad Eliseo, di restare sul posto sino a quando su di loro avesse effuso il suo Spirito (I, 4).
Così il Vangelo ci presenta il Cristo come Profeta. Quale è il senso di questa designazione, a quale aspetto del Cristo corrisponde? Bisogna prendere le mosse dalla concezione biblica del mondo. Esso è il compimento nel tempo di un segreto disegno di Dio, il mysterium paolino. La storia sacra è anche la storia delle grandi opere divine, gesta Dei, mirabilia, che lo Spirito Santo effettua attraverso i tempi. Secondo la Genesi, la creazione costituisce la prima opera dello Spirito. Gli scritti profetici ci mostrano la risurrezione escatologica come una nuova creazione dello Spirito. La Rivelazione cristiana ci fa conoscere, tra la prima e l'ultima creazione, l'Incarnazione, anch'essa opera dello Spirito Santo. E all' Incarnazione succede la Pentecoste, nuova effusione dello Spirito. Fra queste fondamentali opere, tutta la storia sacra è scaglionata delle grandi opere di Dio, gli avvenimenti essenziali dell'Antico Testamento; in particolare l'uscita dall'Egitto, le opere miracolose del Cristo, la sua Resurrezione soprattutto, infine i Sacramenti della Chiesa (10). Si può dunque dire che l'uscita dall'Egitto, la Resurrezione del Cristo, il Battesimo cristiano sono tra loro nella più rigorosa connessione logica, tre grandi opere di liberazione compiute dalla potenza dello Spirito di Dio nelle tre grandi epoche del mondo.
La nozione biblica di profeta si definisce in funzione di questa prospettiva. Il profeta è anzitutto colui al quale lo Spirito Santo, autore di questa storia, ne dà l'intelligenza. Perciò il ministero profetico del Cristo comincia con l'effusione dello Spirito nel giorno del suo battesimo: «Il cielo si apri e lo Spirito Santo discese sopra di Lui in forma corporea, come di colomba» (Lc. III, 22). La colomba sembra qui un'allusione allo Spirito che si librava come un uccello sulle acque originarie (Gen. I, 2). Qui ugualmente nelle acque del Giordano Egli opera una nuova creazione. Tale creazione è l'inizio della predicazione della Parola, del Vangelo, che proseguirà nella Chiesa per la potenza dello stesso Spirito disceso sugli Apostoli a Pentecoste, Spirito la cui potenza continua ad animare la predicazione evangelica. I tre grandi ministeri del Cristo sono inaugurati ciascuno da una teofania trinitaria: il ministero pubblico da quella del Battesimo, il ministero sacerdotale da quella della Trasfigurazione (11) dove la nube simboleggia lo Spirito, e il ministero regale da quella dell' Ascensione dove si ritrova di nuovo la nube. A ciascuna delle due prime teofanie segue una tentazione, quella del deserto dopo il Battesimo, e quella di Satana per bocca di Pietro, dopo la Trasfigurazione. Il carattere di solennità che presenta l'instaurazione del ministero profetico appare così in piena luce, paragonabile da un lato alla solenne vocazione dei Profeti antichi e dall'altro alla vocazione degli Apostoli del Nuovo Testamento.
Questo Spirito effuso su Cristo al Battesimo lo guida attraverso il suo ministero profetico. «Gesù ripieno dello Spirito Santo, si allontanò dal Giordano e dallo Spirito fu condotto nel deserto» (Lc. IV, 2). L'incontro con Giovanni Battista è il momento culminante della storia della profezia, il momento in cui la profezia dell' Antico Testamento, finalmente convenuta in Giovanni Battista, saluta al suo giungere Colui che è il Profeta per eccellenza, di' cui essa non era stata che la figura. Gesù condotto dallo Spirito nel deserto, ci richiama Elia, condotto al torrente Carioth, dopo la divina chiamata, provvisto mattina e sera del suo pane dai corvi (III Re XVII, 4). Dopo la quarantena nel deserto, è ancora sotto l'azione dello Spirito che Gesù inizia il suo ministero profetico: «Gesù ritornò con la potenza dello Spirito in Galilea» (Lc. IV, 14) e nella sinagoga di Nazaret presenta se stesso come il Profeta, che i profeti aveva annunziato, e sul quale riposa lo Spirito: «Lo Spirito del Signore è su di me, avendomi Egli unto per annunciare il Vangelo », (Is. LXI, 1-2: Lc. IV, 18). .È per mezzo dello Spirito di Dio che Gesù scaccia i demoni (Mt. XII, 28). Romano Guardini ha posto in bel rilievo nella sua opera Il Signore questo carattere di effusione dello Spirito, ricordo dei primi giorni della creazione e insieme della Pentecoste, che rivestono gli inizi del ministero profetico: « Sopra Gesù, chiamata dal battesimo, sta la pienezza dello Spirito. Essa discende su di Lui, fiorisce intorno a Lui. Lo Spirito vuole agire e gridare, esprimersi in parole e in opere» (12).
Si tratta, è vero, del seguito dell'azione dello Spirito nei profeti dell' Antico Testamento; ma anche di tutt'altra cosa: ora la pienezza dello Spirito, già divisa tra gli antichi profeti, è raccolta in Lui. Giustino diceva a Trifone: «I vostri profeti hanno ciascuno ricevuto da Dio una o l'altra di queste potenze ed hanno agito come ci insegna la Scrittura; Salomone ebbe lo Spirito di sapienza, Daniele quello di intelletto e di consiglio, Mosè quello di forza 'e di pietà, Elia quello di timore, Isaia quello di scienza. Ciascuno ebbe una sola potenza o alternativamente l'una o l'a1tra. Lo Spirito Santo cessò di effondersi, quando venne Colui, dopo il quale tutte queste cose dovevano scomparire pr,esso di voi: ma in Lui doveva di nuovo prodursi e riposare, secondo la profezia, il dono che, per grazia della potenza di questo Spirito, Egli dà ai credenti in Lui»
(Dial. 87, 4-8). Il dono dello Spirito si è dunque riversato in tre effusioni successive: diviso tra i Profeti, raccolto in Gesù, comunicato da Lui ai suoi (13). A questo Spirito, del resto, Gesù è unito nel seno del1a vita trinitaria. Il possesso dello Spirito costituisce per Lui non soltanto un dono transitorio, ma un bene permanente. Ed in Lui questo dono è acquisito per sempre all'umanità. Ma questo Spirito dimorante in Lui, che si comunica alla sua umanità, è veramente una di quelle comunicazioni indicibilmente misteriose, che ci sono rivelate dal ministero profetico del Cristo. In tale senso la discesa dello Spirito negli antichi profeti prefigurava la sua discesa nel Cristo, realtà della profezia. Come l'ingresso del Cristo nel Tempio celeste compie e insieme abolisce il sacerdozio dell'Antico Testamento, la sua missione di evangelizzatore e di consumatore del piano divino compie e abolisce nello stesso tempo la profezia dell' Antico Testamento.
Scopo della effusione dello Spirito sul profeta è fare di lui il testimone e l'agente dell'effettuazione del piano storico di Dio. Lo Spirito di profezia è anzitutto uno Spirito di intelligenza. Lo Spirito Santo che, solo, scruta le profondità di Dio ne apre, solo, l'adito al profeta. Questa intelligenza non è soltanto conoscenza di Dio, è intelligenza del piano divino, del piano secondo il quale Egli opera. Il profeta viene introdotto nei segreti consigli della Trinità. Ne contempla il dispiegarsi. Al di là della storia profana ed apparente egli penetra nell'ambito del tempo sacro, ossia nella realtà stessa della storia, quella irrevocabilmente effettuata da Dio. Tale storia, di cui dovrà testimoniare presso gli uomini, è anzitutto oggetto della sua contemplazione. Essa si proietta contemporaneamente sul passato, il presente e l'avvenire. Ciò di cui i profeti danno testimonianza è della creazione del mondo fatta da Jahvè, del giudizio per mezzo dell'acqua del Diluvio, della prima Alleanza con Abramo, della liberazione dall'Egitto effettuata dalla potenza di Dio, come anche della seconda creazione e della definitiva alleanza scritta nei cuori di carne, del secondo esodo e della liberazione definitiva (14).
La contemplazione profetica ha per oggetto l'insieme delle vie di Dio sulla storia: e suo scopo, per mezzo della testimonianza resa a tali vie divine, è di condurre gli uomini ad abbandonare le loro proprie vie per rientrare in quelle di Dio. Sulla soglia del Nuovo Testamento la contemplazione delle grandi opere compiute da Dio strappa alla Vergine quel grido di ammirazione che lungo i secoli risuona come la stessa espressione della contemplazione profetica: «Quanto è grande ciò che Dio ha fatto! ». Ma evidentemente, l'accento viene posto sopra tutto sulla storia futura. Di questa storia testimone supremo è Gesù. La sua predicazione è propriamente escatologica. l,a sua attività non costituisce semplicemente l'insegnamento di una dottrina, ma l'annunzio di avvenimenti ai quali occorre prepararsi. Questi avvenimenti sono i Kairoi, i momenti decisivi «fissati dal Padre con la sua autorità divina» (Atti I, 7) 15. Primo momento è quello della Passione, ossia in termine proprio (Kairos), la sua ora: « Verranno i giorni quando lo Sposo sarà loro tolto» (Me. II, 20). Ecco la prima tappa degli avvenimenti finali. Non si comprende al riguardo come il Guardini ne Il Signore abbia potuto presentare la prima predicazione del Cristo come estranea alla eventualità della Passione, quando questa, come vittoria sulla morte, è precisamente la sua opera. Essa è un momento essenziale nell'opera di Dio, non un accidente. Costituisce uno dei segreti della storia sacra, nascosto agli uomini carnali come tutto il piano divino, e non rivelato che ai piccoli: «Egli predicava. ai suoi discepoli e disse loro: Il Figlio dell'Uomo è dato in mano degli uomini, che lo uccideranno e, immolato, Egli risusciterà il terzo giorno. Ma essi non compresero e non osarono interrogarlo» (Me. IX, 30). Aspetto caratteristico della profezia è che gli uomini ricusano di comprenderla, perché le vie di Dio sono opposte alle loro vie carnali.
Soltanto Maria di Betania venne iniziata a .questo mistero: «In anticipo ha versato sul mio corpo il, balsamo della sepoltura» (Mc. XIV, 6). Questo mistero, la Passione, appariva a Gesù nella sua prospettiva apocalittica, come l'episodio centrale della lotta cosmica - iniziatasi alle origini del mondo per terminare col Giudizio - tra Lui e il Principe di questo mondo. Parla veramente il «veggente », in lui, quando Egli dice: «lo vedevo Satana precipitare dal cielo come una folgore» (Le. X, 18). E subito, San Luca aggiunge che Egli « trasalì di gioia nello Spirito» (X, 21). È proprio dello Spirito profetico collocare gli avvenimenti nelle loro vastità cosmiche, nel quadro del dramma spirituale della storia.
Gesù contempla quindi i grandi Kairoi, gli avvenimenti decisivi della vita della Chiesa! Primo, il rifiuto d'Israele e l'ingresso dei Gentili, mistero storico per eccellenza, prefigurato in tutto l'Antico Testamento dal sostituirsi dei fratelli minori ai fratelli maggiori: «Molti verranno da Oriente e da Occidente, si siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel Regno dei Cieli, mentre i figli del regno ne saranno gettati fuori» (Mt. VIII, 11) (16). Poi abbiamo i «misteri del Regno» (Mt. XIII, 11), come li chiama il Cristo stesso, e che ai soli discepoli sarà dato di conoscere. Tutta la predicazione di Gesù è annunzio dell'imminenza del Regno (Mt. IV, 17). Di questo Regno Egli rivela i misteri in parabole «proferendo le cose nascoste sin dalla origine del mondo» (Mt. XIII, 35). È un regno nascosto, presente e invisibile (Lc. XVII, 20). È un Regno che si svilupperà lentamente come un grano di senape (Mt. XIII, 21). È un Regno al quale si accederà per mezzo di libera determinazione. Gli Apostoli continuando l'opera profetica del Cristo con la missione - « mistero in cui gli angeli desiderano immergere i loro sguardi» (I Petr., I, 12) - saranno colmati del suo Spirito. Alcuni, nel mondo, li accoglieranno: «Colui che vi riceve, riceve me. Chi riceve un profeta in qualità di profeta, riceverà
la ricompensa del profeta» (Mt. X, 40). Ma altri lo perseguiteranno, come perseguitarono i profeti sin dalla creazione del mondo (17).
Terminata la missione, verrà l'ultima tappa, l'ultimo Kairos, il Giudizio. «Questo Vangelo verrà predicato nell'universo intero, e allora sarà la fine»(Mt. XXIV, 14). L'annunzio del Giudizio domina tutta la predicazione di Gesù come domina quella dei Profeti. «Vi sarà meno rigore nel giorno del Giudizio per Sodoma e Gomorra che per questa città» (Mt. X, 15). «I Niniviti si drizzeranno nel giorno del Giudizio contro questa città e la faranno condannare» (Mt. XIII, 41). Le parabole sono in gran parte escatologiche. «Come si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così sarà la consumazione del secolo. Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli e toglieranno dal suo Regno tutti gli scandali e quelli che commettono l'iniquità e li getteranno nella fornace di fuoco» (M t. XIII, 40-42). Infine il discorso escatologico precisa le prospettive. Il Cristo vi contempla tutto il quadro della storia futura: gli eventi immediati, le persecuzioni dei discepoli da parte dei Giudei, la caduta di Gerusalemme; quindi, in una prospettiva più lontana, la lunga attesa durante la quale verrà meno la pazienza di molti, mentre la perseveranza di altri ne uscirà vittoriosa (Mt. XXIV, 12-13). Ciò che occupa questo periodo è la missione. In una prospettiva apocalittica, da accostarsi alla visione di «Satana che precipita dal cielo come la folgore », Cristo contempla la venuta del Figlio dell'uomo «come il lampo va da Oriente fino ad Occidente» (XXIV, 27). E sono questi i grandi orizzonti del Giudizio: le perturbazioni cosmiche e «lo sconvolgimento delle potenze celesti» (Mt. XXIV, 29), da porsi in relazione con la definitiva sconfitta dei «principi di questo mondo ». «Allora apparirà in cielo il Segno del Figlio dell'Uomo ». E «gli angeli raduneranno gli eletti dai quattro venti, con la tromba squillante» (Mt. XXIV, 30-31) (18).
Tale la storia sacra di cui Cristo è il testimone. Egli deve dare davanti agli uomini testimonianza di queste vie di Dio, perché gli uomini si convertano, facciano penitenza e abbandonino le loro proprie vie. Di questa storia gli antichi profeti avevano già testimoniato, ma Gesù, pur continuandoli, li supera infinitamente. Se la sua coscienza profetica, in quanto tale, ha il contenuto proprio della profezia, ossia poggia sulla natura degli eventi attesi, non sulla data loro che gli viene da un'altra scienza, Egli tuttavia non attinge questa scienza profetica da una rivelazione, alla maniera degli altri profeti, ma la possiede per diritto di natura, giacché essa costituisce il segreto del Padre e il Padre ha comunicato tutto al Figlio suo. Perciò il Cristo parla con autorità superiore a quella di tutti i profeti. «Nessun uomo ha mai parlato come costui» (Giov. VII, 46). Questa eccezionale autorità si rivela già nel fatto che Gesù parla sulla .propria autorità personale e «non come gli scribi»; maggiormente ancora si rivela per l'essere Egli non soltanto colui che profetizza, ma l'oggetto della 8tessa profezia. Della storia sacra, da Lui testimoniata, Egli stesso costituisce la realtà, giacché la compie in sé, essendo Colui che gli antichi profeti annunziarono e del quale Egli stesso annunzia la venuta gloriosa nella Parusia. Chiede quindi non soltanto la fede nella sua parola, ma la fede nella sua persona, perché Lui stesso è l'Autore e Consumatore della storia.
Spetta al profeta essere non soltanto il testimone della storia divina, ma anche il suo strumento. Gesù era un profeta potente in opere e in parole (Lc. XXIV, 19). Si noti come proprio ordinariamente in occasione dei suoi miracoli le turbe diano a Gesù il nome di profeta: guarigione del figlio della vedova di Naim (Lc. VI, 16), moltiplicazione dei pani (Giov. VI, 14), guarigione del cieco-nato (Giov. IX, 17). Infatti il profeta nell'Antico Testamento compie opere potenti, nella virtù dello Spirito che è in lui. Questo è vero di Mosè, di Elia, di Eliseo. Tale potenza operativa appartiene in sommo grado a Gesù. Riesce suggestivo comparare qui la laboriosa risurrezione del figlio della vedova di Sarepta, per opera di Elia, alla sovrana autorità con cui il Cristo comanda di sorgere al figlio della vedova di Naim. Pietro pure dirà semplicemente di levarsi a Tabitha (Atti IX, 41).
I tre miracoli così somiglianti, indicano l'unità delle tre economie. I miracoli del Cristo soprattutto, non sono altro che prefigurazioni dell'eminente miracolo della sua resurrezione dove la potenza del Profeta si manifesta, agente nella pienezza della virtù divina da Lui posseduta per natura. Dunque i miracoli, quale testimonianza della potenza dello Spirito che agisce nel Profeta, derivano dal ministero profetico.
Un ultimo carattere, infine, del profeta, nel concetto biblico del termine, è la persecuzione. Anche questo lineamento si inserisce nell'essenzialità del profeta, testimone e strumento dei divini disegni.
Gli uomini vogliono organizzare la storia secondo le proprie vedute carnali, contrarie alle vedute di Dio. Il profeta, rappresentando tali vedute divine, ostacola gli uomini nell'effettuazione dei loro piani: ecco perché essi lo respingono. Il cozzo continuo tra potenti della terra e profeti, che riempie tutto l'Antico Testamento, è la manifestazione del cozzo tra le due storie. Su nessun .altro punto il Cristo ha più espressamente stabilito la continuità tra se stesso e i Profeti dell' Antico Testamento: «Guai a voi, Scribi e Farisei ipocriti, che fabbricate i sepolcri ai profeti e abbellite le tombe dei giusti, dicendo: Se fossimo vissuti ai tempi dei nostri padri non saremmo stati loro complici nel sangue dei profeti. Così voi attestate contro di voi stessi, di essere discendenti di coloro che uccisero i profeti. E colmate la misura dei padri vostri» (Mt. XXIII, 29-32).
Non si sarebbe potuto indicare con maggiore chiarezza nella Passione il culmine, il colmo, della persecuzione che sin dalle origini non ha mai cessato di colpire i profeti. Gesù predice ai discepoli che tale persecuzione si scatenerà anche contro di loro. Essi rientrano nella continuità dei profeti antichi e di Lui come testimoni delle vie divine: «Ecco che io mando a voi profeti e sapienti e di questi ne ucciderete e ne crocifiggerete, onde cada su voi tutto il sangue innocente sparso sopra la terra, dal sangue di Abele .sino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachia, che voi uccideste fra il tempio e l'altare» (Mt. XXIII, 34-36). Luca pure (XI, 50) parla del sangue di tutti i profeti versato dalla creazione del mondo.
Il tema dei profeti si intreccia a quello dei martiri, ossia dei «testimoni ». Essi appaiono già associati nell' Antico Testamento dove i profeti patiscono sempre persecuzione. Così Elia viene inseguito da Iezabele che lo vuol mettere a morte (111 Re XIX, 2). Questo aspetto del profetismo fu sottolineato specialmente nell'epoca maccabea, quando i giudei fedeli dovettero testimoniare fino al sangue la loro fedeltà a Jahvè. Di questa epoca sono i racconti. come quello del martirio di Isaia, segato a mezzo (Ascensione d'Isaia V, 12). Tertulliano vi allude e riavvicina i vari profeti perseguitati, quando scrive: «Elia è perseguitato, Geremia lapidato, Isaia segato in due» (P. L. II, 37). Il giudaismo precristiano aveva un genere letterario per il martirio del profeta. Sembra che San Luca abbia inquadrato in tal genere letterario il suo racconto della Passione. Lo nota Martin Dibelius: «Il giudaismo conobbe già racconti edificanti sul martirio: la storia degli eroi e della persecuzione sotto Antioco Epifane nel Libro dei Maccabei ne è un esempio. Anche il cristianesimo primitivo ebbe le sue narrazioni su episodi di martirio. L'autore del terzo Vangelo ha raccolto negli Atti l'episodio del più antico martire, Santo Stefano: è facilmente comprensibile come si riscontri un andamento somigliante in qualche particolare del suo racconto .della Passione» (19). Dibelius segnala specialmente il particolare dell'angelo consolatore e del sudore di sangue dell'agonia, le parole di consolazione rivolte alle figlie di Gerusalemme, la promessa dell'immediato ingresso nel Paradiso fatta al buon ladrone - promessa che costituiva un privilegio riservato ai martiri -, l'abbandono dell'anima del Cristo nelle mani del Padre. Dal canto loro poi gli «atti» cristiani dei martiri vorranno sottolineare il parallelismo con la Passione del Cristo (Mart. di Policarpo I, 1; VI, 2). Sono da notarsi le manifestazioni di profetismo e le visioni che ordinariamente accompagnano il martirio nei primi secoli (Mart. Polic. V, 2; Act. Perp. et Pelo X, 4 e segg.).
Tutto si riconnette in tal modo, nella realtà religiosa della profezia, con le grandi opere di potenza compiute dallo Spirito Santo. Profeta è colui che è preso dallo Spirito Santo per essere associato alla sua azione nel mondo. La storia sacra è opera esclusiva dello Spirito Santo. I profeti e i loro successori, gli Apostoli, sono strumenti che lo Spirito Santo fa uscire dalle loro proprie visuali e introduce nel segreto dei disegni divini per farne i testimoni in opere e in parole. Essi si identificano talmente con le vedute di Dio da trovarsi necessariamente in situazione di lotta con gli uomini carnali che rappresentano le vedute del mondo. Questa grande realtà, la profezia, culmina nella persona di Gesù, che la rappresenta eminentemente.
Nella varietà delle vocazioni la Chiesa riproduce e prolunga i diversi ministeri del Cristo, nelle opere di misericordia e nelle sue opere di insegnamento, nel suo ministero sacerdotale e nel ministero regale. E ciascuno dei ministeri è insieme una via di santità e una funzione del Corpo mistico. Dobbiamo chiederci se non dobbiamo vedere proprio nel ministero profetico il modello e l'esemplare della via di santità che lo perpetua nella Chiesa, la vita apostolica. La questione della via apostolica di santità subì a lungo la conseguenza di una opposizione ereditata dall'ellenismo, l'opposizione della theoria e della praxi8, questa inferiore a quella, la prima che ci introduce nel mondo delle realtà intelligibili, mentre la seconda ci lascerebbe in quello delle apparenze. 1\1:a la realtà cristiana è precisamente il dogma della Incarnazione, scandaloso per i Greci, dogma di una vita divina e divinizzante che afferra il mondo, il cosmos, per trasfigurarlo. Quindi l'opposizione non è più tra una tendenza speculativa e una attiva, ma tra una vita naturale, sia essa speculativa o attiva, e una vita soprannaturale che può ugualmente presentare i due aspetti. E sul particolare piano dell'azione, l'opposizione sarebbe tra una attività. naturale tutta umana e un'attività soprannaturale avente per principio interiore lo Spirito Santo.
L'uomo preso dallo Spirito Santo per essergli strumento nell'attuazione delle opere divinizzanti nel mondo, è il profeta dell' Antico Testamento e l'apostolo della Nuova Alleanza. Incontriamo di nuovo la grande realtà, che ha diretto tutta la nostra . riflessione: vi è una storia sacra, quella che lo Spirito Santo compie e che è la divinizzazione delle creature spirituali. Si tratta di un'opera divina che supera infinitamente le vedute umane. Ora, lo Spirito Santo effettua quest'opera per mezzo degli strumenti scelti da Lui stesso. Perché possano attuare quest'opera, bisogna che lo Spirito Santo li vuoti di se stessi, li spogli delle loro proprie maniere di vedere, così corte e meschine, e li faccia a questo prezzo entrare nelle vie sue, che sono grandi e misericordiose. Devono venir spogliati dalle volontà proprie, egoistiche, carnali e rivestire disposizioni tutte spirituali, disinteressate. Vi ha dunque un mistero di morte e di resurrezione, di distruzione e di trasformazione, col quale lo Spirito Santo, che è fuoco divorante, distrugge l'uomo vecchio per formare l'apostolo. Con questa divina azione Egli forma uomini totalmente consacrati a Lui, sottratti al mondo della storia apparente per essere totalmente immersi in quello della !Storia sacra e diventar ne i testimoni e gli agenti, in tal modo da collimare perfettamente con essa.
Dobbiamo cercare di dedurre da ciò quale sia la spiritualità propria dell'apostolo. Evidentemente la purificazione dell'apostolo sarà anzitutto purificazione dalle sue vedute carnali, umane, da ciò che Paolo chiama «pensieri della carne ». Sono vedute carnali quelle della intelligenza naturale, e divine quelle della fede. L'apostolo dovrà quindi essere spogliato della sua naturale maniera di considerare ogni cosa, per vedere il Cristo in tutto. Ma qui importa. precisare bene il senso di tale spogliamento. In San Giovanni della Croce troviamo una via di spogliamento e di santità, percorsa attraverso la notte dei sensi e della intelligenza, diretta a distruggere, ad oltrepassare le forme naturali dell'intelligenza, perché lo spirito, al di là di ogni immagine, penetri a mano a mano con la fede nuda nella divina tenebra. La purificazione non gli fa cercare Dio al
di fuori delle cose create, ma nelle cose create, dove Egli è presente con la sua azione trasformante. Lo esprime vigorosamente Térome Nadal a proposito della mistica ignaziana, che può essere considerata come una forma di mistica apostolica e profetica. «Io non tralascerò di notare la grazia che egli aveva in tutte le circostanze, operando e parlando, di sentire la presenza di Dio e il gusto delle cose spirituali, e di essere 1tn contemplativo in mezzo alla 8tessa azione, cosa che aveva l'abitudine di definire come un cercare Dio in tutte le cose» (Epist. Tom. IV, 651). Infatti l'apostolo deve vivere fra le cose create. Queste cose, anziché porsi come ostacolo fra Dio e lui, devono diventare un mezzo di unione a Dio. Ecco il problema. Si può dire che tutta la spiritualità apostolica va da uno di questi poli all'altro, ed ha raggiunto il suo scopo quando tutte le creature divengono segno di Dio e mezzo di unione con Lui.
Appare chiaro che lo spogliamento qui riguarda meno le cose e più il loro uso personale. La distruzione riguarda ogni spirito proprio, ogni intelligenza propria, perché siano rivestite, assunte, le vedute spirituali. Queste vedute della fede sono veramente tenebra per l'uomo terrestre: ma qui l'accento cade sul carattere assolutamente sconcertante per la ragione naturale del piano di Dio, più che sulla sua trascendenza in riferimento a tutte le possibili immagini. La fede dell'apostolo è la fede di Abramo, al quale Dio diede la promessa di una posterità più numerosa delle stelle del cielo mentre la sua donna era sterile, e Abramo, credendo alla Parola contro tutte le evidenze dell'esperienza, compie quanto Dio gli domanda. La vocazione del l'apostolo sarà dunque di intraprendere, appoggiandosi puramente sulle vedute della fede, delle opere che la ragione umana giudica impossibili. La sua intelligenza rifiuta così le apparenze della saggezza carnale, per appoggiarsi esclusivamente sulle vedute di Dio. Questo costituisce l'eroismo della sua fede. «Davanti alla promessa di Dio egli non ebbe né esitazione né diffidenza, ma attingendo la sua fortezza dalla fede rese gloria a Dio,- pienamente convinto che Egli avrebbe saputo effettuare la promessa fattagli» (Rom. IV, 20-21).
Alla purificazione della intelligenza, che riveste così i lumi della fede, corrisponde una purificazione della volontà, la cui importanza risulta essenziale nella spiritualità apostolica. Anche qui si tratta meno di una notte di tutti i desideri che di una radicale espropriazione per cui ogni volontà propria è distrutta, così che l'anima dell'apostolo voglia unicamente quanto vuole Dio e, con adesione amorosa, preferisca in ogni cosa le volontà divine.
Anche qui vi è una purificazione profonda e difficile a farsi. Si tratta per l'anima di abbandonare la volontà propria per rivestire quella divina. Questo costituisce una completa abnegazione di sé. In una simile prospettiva va intesa l'obbedienza. Essa è mezzo principale e necessario di quella morte della volontà propria che rende capaci di assumere la divina volontà. Essenzialmente è una via di unione.
Bisogna darle questa dimensione mistica, senza di cui risulta incomprensibile. I tèsti più mirabili qui sono quelli di Sant' Alfonso Rodriguez, che dimostra come l'obbedienza unisce direttamente alla volontà divina agente nell'opera della salvezza: «Dio gli rivelò un modo di obbedienza superiore alla obbedienza di fede con la quale viene creduto ciò che non si vede. Tale modo consiste nel fare quanto si presenta come voluto da Dio, riconoscendovi un comando procedente da Lui ». Ecco perché vi ha qui uno dei grandi misteri della santità apostolica: «Tutte le virtù perfette formano nell'anima dove Dio le semina un grande mistero che può essere conosciuto soltanto dai perfetti, da coloro ai quali Dio lo fa conoscere. Questo mistero è un mistero
di carità. La carità fa sì che l'anima operi cose altissime ed eroiche secondo Dio, cose nelle quali quelli che le vedono dal di fuori non penetrano: esse sono talvolta considerate come imprudenze e follie, perché non se ne penetra il mistero ». Noi siamo qui proprio nell'ordine del mistero, del segreto disegno - inaccessibile all'uomo carnale di Dio operante nel mondo con la potenza del suo Spirito. L'obbedienza introduce là. Essa è condizione necessaria perché l'apostolo sia totalmente strumento delle vie divine.
La doppia purificazione dell'intelligenza e della volontà prelude all'unione trasformante. Per l'anima non si tratta soltanto di essere sottomessa alle vedute e alle vie di Dio. A misura che si svuota di sé e che lo Spirito la invade, essa stessa, secondo l'espressione paolina, ne ha una oscura percezione, che costituisce l'esperienza mistica nella forma propriamente apostolica. Da un lato le stesse opere dell'apostolo non sono più considerate da lei come opere proprie, ma in esse l'anima apostolica gusta lo spirito, ne penetra il senso spirituale. Ricordiamo quanto Nadal dice di Sant'Ignazio, e insistendo sul carattere sperimentale di questa presenza di Dio sentita nell'esercizio dell'apostolato: «Egli aveva questa grazia di sentire, in tutta la sua attività, la presenza divina e il gusto delle cose spirituali, e di contemplare anche in mezzo all'azione ». Nadal dice pure che per i suoi discepoli Sant'Ignazio desiderava provassero «non minore devozione in qualsiasi opera di carità e di obbedienza, che nella meditazione stessa» (Ep. et Inst. III, pag. 500). E proprio Nadal ha dato l'incomparabile formula della mistica apostolica: «Lo Spirito Santo ha la missione di darci la vita dello Spirito, superiore alla vita attiva e anche alla puramente contemplativa: in tale vita noi non facciamo altro che vivere d'una vita spirituale e contemplativa, ma insegnando agli altri e rivelando loro il senso spirituale della vita ». E altrove: «Non soffermarti a nessuna cosa creata senza voler penetrare per mezzo suo sino a Dio, e il Cristo te ne darà il senso interiore ».
Si tratta d'un senso interiore, d'un senso spirituale gustato in tutte le cose, che lo Spirito Santo comunica. Apostolo è colui che ha penetrato nello Spirito questo senso interiore e lo comunica agli altri (20). Il fuoco dello Spirito che lo investì tende a propagarsi. La presenza stessa dello Spirito nel mondo, tendente a tutto ardere, si impossessa di coloro che gli si danno. È veramente la grande corrente della vita dello Spirito effuso con pienezza sul Cristo e comunicato da Lui agli Apostoli nella Pentecoste, che attraversa tutta la storia, o meglio la costituisce, corrente in cui l'Apostolo si trova come immerso. Egli ha coscienza che non si tratta più di sé allora, ma di questa operante presenza dello Spirito che lo afferra, lo strappa a se stesso, lo trasforma. L'esperienza interiore tocca qui la massima realtà delle opere dello Spirito nel mondo. Tale realtà, finalmente, l'Apostolo percepisce nel cuore del suo cuore e contempla in un'estasi di ammirazione. Perché non abbiamo qui una spiritualità esclusivamente personale e soggettiva. Mentre l'Apostolo la percepisce nell'intimo di sé, lo Spirito rivela all' Apostolo 21 le sue grandi opere lungo il corso della storia, la storia del passato, quella del presente, quella dell'avvenire. Lo getta nell'adorazione delle grandi opere dell' Antico Testamento, lo inabissa nell'adorazione della Incarnazione e della Resurrezione, gli svela le grandi opere, nascoste agli occhi carnali, dei tempi della Chiesa: le conversioni, le santificazioni, le missioni; gli mostra il termine a cui tutto tende, la gloriosa Parusia che colma di desiderio l'anima sua. E come Maria nell'altissima ora dell'Incarnazione, spinto da una ammirazione senza misura, non può che gridare: Magnificat anima mea Dominum. «Quanto è grande ciò che opera Iddio ».

[1] The Holy Spirit and the Gospel Tradition, Londra, 1947, pag. 25 e seguenti.
[2] L'évolution de la doctrine du Pneuma du sto'icisme à Saint Augustin, 1945.
[3] La signification religieuse des récits évangéliques de la Passion, Rev. Hist. Phil. Rel., 1933, pag. 38 segg.
[4] Deut., XVIII, 15-19.
[5] Giov., IV, 19; VI, 14: « è veramente il Profeta che deve venire nel mondo» (cfr. VII, 40; IX, 17).
[6] Siehe es erschienen Moses und Elias, 1942, pag. 180 e seguenti.
[7] «In quel medesimo punto, esultando di Spirito Santo, disse: «Ti rendo lode, o Padre, o Signore del cielo e della terra, perché hai nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli... Tutto è stato affidato a me, dal Padre mio... Perocché vi dico che molti profeti bramarono di vedere quello che voi vedete e non videro...)} (Le., X, 21-24). È da notarsi che il passo parallelo di Matteo (XI, 25) non nomina lo Spirito Santo.
[8] Così prende tutto il suo significato l'apparizione di Elia alla Trasfigurazione (Lc., XI, 33).
[9]
Cfr. DABECK, loc. cit., pagg. 183-189.
[10] Cfr. CULLMANN, Urchristentum und Gottesdienst, pagina 76.
[11] SERGE BOULGHAKov, Du Verbe Inearné, trad. fr., pagina 255 segg.
[12] Trad. it., pag. 37 e segg.
[13] Le mystère du salut des nations, 1946, pag. 126 segg. (cfr. anche trad. it. presso Morcelliana).
[14] Cfr. A. G. HEBERT. The authority of the Scripture, 1947, pag. 180 e segg.
[15] Cfr. CULLMANN, Le Christ et le temps, trad. fr., 1947, pag. 27 e segg.
[16] È il grande mistero di cui si farà araldo San Paolo (Ef., IV, 12).
[17] Mt., XXIII, 35-36.
[18] Cfr. LEONZIO DE GRANDMAISON, Jésus-Christ, II, pagine 256 e seguenti: «Le Christ Prophète ».
[19] Récits évangéliques de la Passion et leur signification religieuse, Rev. Hist. Phil. Relig., 1933, pag. 39
[20] NADAL, Joumal spirituel, «Dieu vivant », V, pag. 75.
[21] NADAL, Journal spirituel, «Dieu vivant », V, pag. 57.