venerdì 9 dicembre 2011

Karl Barth


Oggi 10 dicembre ricordiamo la figura di:

Karl Barth

(1886-1968)

pastore riformato

Il 10 dicembre del 1968 conclude la sua parabola terrena Karl Barth, pastore della Chiesa riformata svizzera e teologo fra i più grandi del XX secolo. Nato a Basilea nel 1886, dopo gli studi svolti a Berna, a Berlino, a Tubinga e a Marburgo, Barth divenne pastore a Ginevra e poi a Safenwil, in Argovia. Dapprima fortemente impegnato nelle questioni sociali, sino ad aderire e a partecipare attivamente ai lavori del partito socialista, di fronte all'avanzata nazista egli fu tra i principali animatori della Chiesa confessante di Germania. Esiliato all'università di Basilea nel 1935, Barth si dedicherà sino alla fine dei suoi giorni alla stesura della sua colossale Dogmatica ecclesiale. Frutto di una concreta sollecitudine per l'annuncio dell'Evangelo, la teologia di Barth fu, nella scia di Anselmo e di Kierkegaard, un tentativo di spiegazione della fede a partire dall'esperienza della fede. Barth era infatti convinto che l'annuncio cristiano non nasce in risposta alle ansie dell'uomo, ma nasce piuttosto dall'ascolto di un Dio che è il centro irradiante della teologia: è Dio, in Cristo, ad avere l'iniziativa nel dialogo con l'uomo. Ma proprio perché rivelatasi in Cristo, l'iniziativa di Dio implica già l'uomo nella sua vocazione e totalità: sarà il tema delle sue grandi conferenze del 1956 dedicate all'«umanità di Dio». Mosso da queste convinzioni, Barth continuò a predicare, come compimento dell'ascolto obbediente che l'uomo deve prestare a Dio, la necessità sia di un impegno volto a ricucire l'unità fra le chiese di Cristo, sia di una lotta a favore di ogni uomo vittima del peccato, dell'ingiustizia e della violenza. Alla sua morte, cristiani di ogni chiesa e di ogni continente vollero testimoniargli, accorrendo numerosi alle sue esequie, la loro riconoscenza per la testimonianza che egli aveva reso al Signore con tutta la sua vita.

TRACCE DI LETTURA

In passato, non ci sfuggiva forse proprio questo fatto, che la divinità del Dio vivente - e con lui volevamo certo aver a che fare - ha il suo senso e la sua forza soltanto nel contesto della sua storia e del suo dialogo con l'uomo e quindi nel suo essere insieme a lui? Sì, certo; e questo è il punto oltre il quale non è più permesso tirarsi indietro: si tratta dell'essere-insieme di Dio con l'uomo, il che è da Dio sovranamente costituito in Se stesso e solo da Lui determinato, delimitato, ordinato. Così e non altrimenti, in quel contesto, è avvenimento ed è percepibile. Si tratta però dell'essere insieme di Dio con l'uomo. Chi sia e quale Egli sia nella sua divinità, Dio non rivela nello spazio vuoto di un divino essere-per-sé, ma, autenticamente, proprio in quanto Egli esiste, parla e agisce come partner - certo, un partner assolutamente superiore - dell'uomo. Colui che compie questo è il Dio vivente. E la libertà nella quale Egli fa questo è la sua divinità. Essa è la divinità che come tale ha anche il carattere dell'umanità. In questa forma e in essa sola era ed è da contrapporsi l'affermazione della divinità di Dio alla teologia del passato: accogliendo in modo positivo, non rifiutando avventatamente la particella di vero che non le si può contestare, se anche si scruti fino in fondo la sua debolezza. Proprio la divinità di Dio, ben compresa, include la sua umanità.

Karl Barth, da L'umanità di Dio


Su Karl Barth v. a.:Kairos: Invocami!
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