sabato 24 dicembre 2011

Buon Natale!


 

Entriamo nel Natale con due riflessioni, la prima su Maria, di Gianfranco Ravasi
e la seconda, sulla figura di Giuseppe, di Josemarìa Escrivà.

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Senza Madre, senza Dio
di Gianfranco Ravasi

Un mondo fondamentalmente maschile nel quale la donna non ha alcuna funzione è sempre più un mondo senza Dio, poiché, senza madre, Dio non può nascervi. Alle porte del Natale è lei a presentarsi davanti a noi, Maria di Nazaret, una donna incinta come tante altre madri, ma destinata a custodire in sé il mistero cristiano per eccellenza. Tutte le madri portano in sé un figlio adottivo di Dio, lei invece il Figlio di Dio senza altre specificazioni. Mentre lei avanza tra le strade di Betlemme col suo sposo Giuseppe alla ricerca di un alloggio, mentre per quelle stesse vie s'affollano coloro che devono registrarsi all'anagrafe imperiale romana, noi che a distanza di secoli contempliamo quella scena, ascoltiamo le parole di un teologo laico ortodosso, Pavel Evdokimov, vissuto e morto a Parigi nel 1970. Dal suo saggio La donna e la salvezza del mondo (1958) abbiamo estratto questo bel canto della femminilità. Certo, se sfogliamo la letteratura, è più facile che imperi l'ironia e persino il disprezzo che fluisce da penne di uomini convinti del loro primato arrogante. Purtroppo ci sono anche donne che si sono allineate a questo stile di spavalderia e di prevaricazione, imitando il maschio. Per fortuna, però, il mondo non è tutto maschile e, proprio per questo, il mondo non è senza Dio. Infatti, «senza madre, Dio non può nascervi». Ecco, allora, lei, la madre di Cristo, che salutiamo alle soglie del suo parto che è anche la nostra festa di Natale, giorno in cui la nostra solitudine nelle lande spesso desolate della nostra storia viene infranta da una presenza che ci supera e ci salva. Pur senza l'enfasi di quel poeta, con Gozzano possiamo dire: «Donna: mistero senza fine bello!».

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Il falegname di Nazareth
di San Josemaría Escrivá
ROMA, sabato, 24 dicembre 2011.- Sappiamo che era un lavoratore come milioni di uomini in tutto il mondo; esercitava li mestiere faticoso e umile che Dio, prendendo la nostra carne e volendo vivere per trent'anni come uno qualunque tra di noi, aveva scelto per sé. La Sacra Scrittura dice che Giuseppe era artigiano. 
Una grande personalità
Dai racconti evangelici risalta la grande personalità umana di Giuseppe: in nessuna circostanza si dimostra un debole o un pavido dinanzi alla vita; al contrario, sa affrontare i problemi, supera le situazioni difficili, accetta con responsabilità e iniziativa i compiti che gli vengono affidati.
Non sono d'accordo con il modo tradizionale di raffigurare san Giuseppe come un vecchio, anche se riconosco la buona intenzione di dare risalto alla verginità perpetua di Maria. Io lo immagino giovane, forte, forse con qualche anno più della Madonna, ma nella pienezza dell'età e delle forze fisiche.
La purezza nasce dall'amore
Per praticare la virtù della castità non c'è bisogno di attendere la vecchiaia o la perdita del vigore. La purezza nasce dall'amore, e non sono un ostacolo per l'amore puro la forza e la gioia della giovinezza. Erano giovani il cuore e il corpo di Giuseppe quando contrasse matrimonio con Maria, quando conobbe il mistero della sua Maternità divina, quando le visse accanto rispettando quell'integrità che Dio affidava al mondo come uno dei segni della sua venuta tra gli uomini. Chi non è capace di capire tale amore vuol dire che sa ben poco del vero amore e che ignora totalmente il senso cristiano della castità.
Tutti i giorni, lavoro
Giuseppe, dunque, era un artigiano della Galilea, un uomo come tanti altri. E che cosa può attendersi dalla vita l'abitante di un villaggio sperduto come Nazaret? Lavoro e null'altro che lavoro; tutti i giorni, sempre con lo stesso sforzo. Poi, terminata la giornata, una casa povera e piccola, per ristorare le forze e ricominciare a lavorare il giorno dopo. 
Ma, in ebraico, il nome Giuseppe significa Dio aggiungerà. Dio aggiunge alla vita santa di coloro che compiono la sua volontà una dimensione insospettata: quella veramente importante, quella che dà valore a tutte le cose, quella divina. Alla vita umile e santa di Giuseppe, Dio aggiunse — mi si permetta di parlare così — la vita della Vergine Maria e quella di Gesù, nostro Signore. Dio non si fa battere in generosità. Giuseppe poteva far sue le parole di Maria, sua sposa: Quia fecit mihi magna qui potens est, grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente, quia respexit humilitatem, perché ha guardato la mia piccolezza (Cfr Lc 1, 48-49). 
Un uomo su cui Dio fece affidamento
Giuseppe era infatti un uomo comune su cui Dio fece affidamento per operare cose grandi. Seppe vivere come voleva il Signore in tutti i singoli eventi che composero la sua vita. Per questo la Sacra Scrittura loda Giuseppe affermando che era giusto (Cfr Mt 1, 19). E, nella lingua ebraica, giusto vuoi dire pio, servitore irreprensibile di Dio, esecutore della volontà divina; significa anche buono e caritatevole verso il prossimo. In una parola, il giusto è colui che ama Dio e dimostra questo amore osservando i comandamenti e orientando la vita intera al servizio degli uomini, propri fratelli.
È Gesù che passa, 40
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Di seguito gli auguri del Card. Angelo Bagnasco, Presidente dei Vescovi italiani,
 da "Avvenire" di oggi.

È possibile la gioia del Natale? Le preoccupazioni e i disagi non mancano mai, ma oggi si avvertono con maggiore corposità: il volto vero della crisi internazionale, che segna anche il nostro Paese, si è manifestato. Forse, nel tempo l’umanità non ha visto abbastanza, o forse non ha voluto guardare, ma una grande mutazione era in atto. Avrebbe costretto a rivedere gli stili di vita e, prima ancora, di lavoro, di fare economia e, soprattutto, finanza. Più ampiamente, mi pare che siamo sollecitati a ripensare il modo di vivere insieme, di fare società.

Dentro alla stretta dell’ora presente, è possibile allora la gioia del Natale? Quella gioia che ci auguriamo gli uni gli altri quando ci auguriamo un Natale buono? Oppure dobbiamo rassegnarci a vivere senza luce e senza speranza, e quindi senza gioia? Ma è possibile vivere senza speranza? L’esperienza ci dice che non è possibile… e che non lo vogliamo! Così come non si può vivere senza certezze. Non tutto nella vita umana è certo, ma non tutto può essere incerto. Un qualche punto fermo e sicuro deve esistere da qualche parte. Ed esiste! «Rallegratevi sempre nel Signore: il Signore è vicino», esorta l’apostolo Paolo. Sta dunque qui il punto roccioso della vita: la vicinanza di Dio all’uomo, la vicinanza dell’Amore. In Gesù, nella grotta di Betlemme, Dio si è messo dalla nostra parte, di noi pellegrini affaticati nel tempo; si è fatto uno di noi per stare con noi, per portare con noi la vita in ogni circostanza, perché nessuno sia solo. Quale commovente stupore dei pastori nella notte santa, davanti a quella carne di Bimbo che portava il cielo sulla terra! Anche noi vogliamo essere come gli umili pastori, gente dal cuore semplice e dallo sguardo lungo e penetrante che sa vedere il Dio-con-noi.

Ma se Lui è con noi, anche noi dobbiamo essere con Lui e così essere con gli altri, riconosciuti non solo come simili, ma come fratelli. Sta qui la radice della solidarietà più vera e della dedizione che deve ispirare famiglie, lavoro, società. Sta qui la sorgente della fiducia robusta che non è frutto di un ottimismo superficiale e colpevole; è questa la fonte del coraggio per guardare avanti, al domani della nostra vita e della vita di tutti. Ma insieme!

Insieme a tutti i livelli e ambienti: dai responsabili della cosa pubblica, del mondo del lavoro, della finanza e dell’economia, del condominio e del borgo, dei singoli cittadini. Abbiamo bisogno di purificare lo sguardo da illusioni menzognere, da sogni di vita facile e lussuosa, da invidie corrosive, da ingordigie devastanti, da furbizie egoiste.

Alla luce del Bambino vogliamo purificare lo sguardo e riscoprirci fratelli che guardano verso il medesimo orizzonte e camminano insieme con fiducia e coraggio. E quindi con la letizia nel fondo del cuore. Buon Natale.

Angelo Bagnasco