mercoledì 18 gennaio 2012

L'ecumenismo nel Magistero di Benedetto XVI


Riporto da "L'Osservatore Romano" di oggi 18 gennaio. Segue il testo della catechesi tenuta dal Papa questa mattina.
 
Nel magistero di Benedetto XVI il fondamento cristologico dell'unità tra i cristiani

L'oggi dell'ecumenismo
e l'attesa del suo compimento




di KURT KOCH

"Lavorare senza risparmio di energie alla ricostituzione della piena e visibile unità di tutti i seguaci di Cristo": ecco "l'impellente dovere" del successore di Pietro. Queste parole programmatiche Papa Benedetto XVI le ha pronunciate già nel suo primo messaggio dopo l'elezione al Soglio Pontificio. Volgendo uno sguardo agli oltre sei anni del suo ministero petrino, possiamo constatare con gratitudine che la causa dell'ecumenismo è il filo conduttore del suo pontificato. Non soltanto egli si riferisce, nelle sue numerose omelie e nei suoi molteplici messaggi, alla necessaria "purificazione della memoria" e intravvede nella "conversione interiore" il presupposto indispensabile per il progresso del cammino ecumenico, ma esercita fin da ora, nei suoi tanti incontri con i rappresentanti di altre Chiese e comunità cristiane, un primato ecumenico.
Questa chiara enfasi ecumenica nell'opera del Santo Padre non può sorprendere, se teniamo presente il fatto che Papa Benedetto XVI, già come teologo e cardinale, si è molto impegnato nel fare avanzare il dialogo ecumenico e lo ha arricchito con utili riflessioni teologiche. Nel quadro di un breve articolo, non è naturalmente possibile rendere omaggio nel dettaglio agli svariati contributi apportati da Papa Benedetto XVI all'ecumenismo. Mi concentrerò dunque sul nucleo essenziale del suo operato ecumenico, che a mio parere è espresso in maniera più chiara e più profonda nella sua interpretazione della preghiera sacerdotale di Gesù, che tutti siano una cosa sola, di cui il Papa parla nel suo secondo volume su Gesù di Nazaret.
Poiché in questa preghiera l'invocazione di Gesù per l'unità dei suoi discepoli assume una rilevanza particolare, agli occhi del Papa l'ecumenismo cristiano non può essere altro, in ultima analisi, che una compartecipazione della Chiesa alla preghiera sacerdotale di Gesù, un diventare una cosa sola con lui. Papa Benedetto XVI sottolinea esplicitamente che in questa preghiera lo sguardo di Gesù va oltre la comunità dei discepoli di allora e si volge verso tutti coloro che per la loro parola crederanno: "il vasto orizzonte della comunità futura dei credenti si apre attraverso le generazioni, la futura Chiesa è inclusa nella preghiera di Gesù. Egli invoca l'unità per i futuri discepoli" (Gesù di Nazaret. Dall'ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, p. 109). E il Santo Padre conclude la sua meditazione teologica con la frase chiave nella quale sostiene che dalla preghiera di Gesù scaturisce la Chiesa come "la comunità di coloro che, mediante la parola degli apostoli, credono in Cristo" (Ibidem, p. 118). In questo fulcro essenziale della fede cristologica risiede la visione ecumenica di Papa Benedetto XVI.
In primo luogo, va tenuto presente che Gesù stesso non ha comandato l'unità ai suoi discepoli e non l'ha neppure richiesta loro, ma ha pregato per essa. Da questa semplice ma fondamentale constatazione emerge la centralità della preghiera per l'unità in tutti gli sforzi ecumenici. Con la preghiera per l'unità, noi cristiani esprimiamo la nostra convinzione che non possiamo noi stessi né fare l'unità, né decidere la sua forma e il tempo del suo compimento, ma possiamo soltanto accoglierla come dono di Dio.
Da questa accentuazione della preghiera per l'unità come fondamento di tutto il movimento ecumenico si potrebbe trarre l'erronea conclusione che l'unità della Chiesa è in ultima analisi una realtà meramente interiore e invisibile. Al contrario, Papa Benedetto XVI sottolinea che l'unità della Chiesa certo non può venire dal mondo e dunque non è un fenomeno mondano, ma deve comunque essere visibile in questo mondo. L'unità deve essere tale che il mondo possa riconoscerla e, tramite essa, pervenire alla fede: "Ciò che non proviene dal mondo può e deve assolutamente essere qualcosa che sia efficace nel e per il mondo e sia anche percepibile da esso. La preghiera di Gesù per l'unità ha di mira proprio questo, che mediante l'unità dei discepoli la verità della sua missione si renda visibile agli uomini" (Ibidem, p. 112). Papa Benedetto XVI osserva addirittura che, mediante l'unità dei discepoli, che non proviene dal mondo e non può essere spiegata umanamente ma deve sempre essere visibile nel mondo, "viene legittimato Gesù stesso": "diventa evidente che Egli è veramente il "Figlio"" (Ibidem, p. 112).
La forte enfasi posta sulla visibilità dell'unità della Chiesa fa risaltare anche la fondamentale responsabilità ecumenica di tutti i cristiani. Questa responsabilità consiste nel testimoniare nel mondo di oggi il Dio vivente e nel rendere visibile agli uomini il volto di Dio, che a noi si è rivelato in Gesù Cristo, come ci suggerisce il vero obiettivo della preghiera sacerdotale di Gesù per l'unità dei discepoli: "perché (...) il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me" (Giovanni, 17, 23). Da questa frase conclusiva traspare in maniera inequivocabile che l'unità dei discepoli di Gesù non è un fine in sé, ma è al servizio della credibilità della missione di Gesù e della sua Chiesa nel mondo.
La nuova evangelizzazione voluta in modo particolare dal Santo Padre deve pertanto avere una dimensione ecumenica, dimensione a cui ha fatto esplicito riferimento Papa Benedetto XVI già nell'annunciare l'istituzione del nuovo Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione durante la celebrazione dei primi vespri della solennità dei santi Pietro e Paolo nel 2010: "La sfida della nuova evangelizzazione interpella la Chiesa universale, e ci chiede anche di proseguire con impegno la ricerca della piena unità tra i cristiani". Poiché la nuova evangelizzazione consiste nell'avvicinare gli uomini al mistero di Dio e nell'introdurli in un rapporto personale con Dio, al centro di ogni nuova evangelizzazione deve essere la questione di Dio, che noi dobbiamo assumere ecumenicamente, nella convinzione che alla radice di ogni evangelizzazione non vi è un "progetto umano di espansione", ma il desiderio "di condividere l'inestimabile dono che Dio ha voluto farci, partecipandoci la sua stessa vita" (Ubicumque et semper).
Da ciò si capisce che, per Papa Benedetto XVI, l'unità dei discepoli di Cristo e dunque anche l'unità della Chiesa è profondamente radicata nella fede in Dio e nel suo Figlio, che Dio ci ha mandato. Questa fede è quindi molto più di una parola e di un'idea; essa è piuttosto un entrare, con la propria esistenza, nella comunione con Gesù Cristo e, mediante lui, con il Padre: "È il vero fondamento della comunità dei discepoli, la base per l'unità della Chiesa" (Gesù di Nazaret. Dall'ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, p. 113). Questa fede in Dio è, certamente, invisibile, ma, poiché i singoli credenti si legano a Cristo, essa si fa carne e unisce i singoli fedeli in un unico vero e proprio Corpo.
Quanto la fede in Cristo sia il fondamento che regge l'unità ecumenica è stato illustrato in maniera molto bella da Papa Benedetto XVI in una precedente pubblicazione, con il Breve racconto dell'Anticristo di Soloviev. In questo si dice che, da un lato, al momento del giudizio finale davanti a Dio si vedrà che in tutte e tre le comunità, ovvero in quella di Pietro, di Paolo e di Giovanni, vivono seguaci dell'Anticristo, che fanno causa comune con lui, accanto però ai veri cristiani, che rimangono fedeli al Signore fino all'ora della sua venuta, ma si dice anche che, dall'altro lato, al momento della parusia di Cristo, i cristiani divisi nelle comunità di Pietro, di Paolo e di Giovanni si riconosceranno come fratelli. Con questo racconto, Soloviev, secondo l'interpretazione del Papa, non intende assolutamente rinviare l'unità dei discepoli di Cristo alla fine dei giorni o rimandarla all'escatologia. Per Papa Benedetto XVI, la dimensione escatologica non è altro che la "vera realtà", che renderà un giorno manifesto ciò che da sempre segna la nostra vita: "Ciò che sarà manifesto alla luce del Cristo della parusia svela la verità del nostro tempo, la verità di ogni tempo". La separazione definitiva tra i seguaci dell'Anticristo e i fedeli discepoli di Cristo avverrà, certo, soltanto nel giorno del raccolto. Ma poiché la vita eterna è la vera vita, i cristiani fin da ora dovrebbero andare incontro gli uni agli altri "con quello sguardo escatologico" che vede inscindibilmente uniti Pietro, Paolo e Giovanni. Per il Papa, dunque, l'ecumenismo cristiano non significa altro che "vivere fin da adesso nella luce escatologica, nella luce del Cristo della parusia" (Weggemeinschaft des Glaubens, Augsburg 2002, pp. 233-234).
Il Santo Padre, intendendo l'ecumenismo alla luce del suo compimento, ci incoraggia a comprendere il carattere provvisorio delle nostre azioni e a non cadere nella tentazione di voler fare ciò che soltanto il Cristo della parusia può realizzare. Visto sotto questa luce, l'ecumenismo significa, in modo semplice ma fondamentale: quando siamo insieme in cammino verso il Cristo della parusia, allora siamo anche in cammino verso la nostra unità. Con questo sguardo escatologico, Papa Benedetto XVI ha il grande coraggio di vedere all'opera nelle divisioni storiche della Chiesa non solo i peccati umani, ma, nel senso delle parole misteriose di san Paolo, il quale dice che "è necessario" che avvengano le divisioni (1 Corinzi, 11, 19), anche una dimensione "che corrisponde ad un disegno divino". In questa visione di fede, il Papa tenta continuamente di trovare l'unità innanzitutto "attraverso la diversità". Questo significa più precisamente decontaminare le divisioni, accogliere in esse ciò che è fruttuoso e prendere proprio dalla diversità ciò che è positivo, naturalmente "nella speranza che la divisione alla fine cessi di essere divisione e rimanga soltanto "polarità" senza contraddizione" (Kirche, Ökumene und Politik, Einsiedeln, 1987, p. 131).
Da ciò si comprende anche in quale senso Papa Benedetto XVI intende la visibile unità ecumenica della Chiesa, ovvero nel senso di un'unità di Chiese che rimangono Chiese e al contempo diventano un'unica Chiesa: il vero obiettivo dell'ecumenismo deve essere quello di "trasformare il plurale di Chiese separate le une dalle altre nel plurale di Chiese locali, che, nella loro varietà di forme, sono realmente un'unica Chiesa" (Ibidem, p. 114). Tuttavia, fin tanto che non ci verrà donata quest'unità visibile della Chiesa, è una priorità del Santo Padre fare in modo che anche come cristiani divisi possiamo fin d'oggi essere una cosa sola, e questo nella fede comune in Cristo. Infatti, l'ecumenismo può crescere in ampiezza soltanto quando ci radichiamo insieme nella fede cristologica, affinché l'ecumenismo cresca anche in profondità.
In questa profondità della fede ci troviamo già nello spazio vitale dell'ecumenismo. Qui risiede anche il più profondo motivo per cui Papa Benedetto XVI concepisce l'ecumenismo non come filantropia, ma come cristologicamente fondato e, di conseguenza, ravvisa l'istituzione della Chiesa e della sua unità nella preghiera sacerdotale di Gesù. Egli domanda così: "Che altro, infatti, è la Chiesa se non la comunità dei discepoli che, mediante la fede in Gesù Cristo come inviato del Padre, riceve la sua unità ed è coinvolta nella missione di Gesù di salvare il mondo conducendolo alla conoscenza di Dio?" (Gesù di Nazaret. Dall'ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, p. 117).
Poiché l'"essere-un-noi" nella comunità dei discepoli di Gesù fa parte in maniera costitutiva dell'"essere-cristiani", la questione ecumenica si pone automaticamente come il banco di prova della fede cristologica. Come la preghiera sacerdotale di Gesù non è soltanto parola ma atto, poiché egli si offre per la vita del mondo e come nella preghiera di Gesù l'evento crudele della croce diventa parola, "festa di riconciliazione tra Dio e il mondo" (Ibidem, p. 118) così anche oggi l'ecumenismo ha un prezzo e non è credibile senza sacrificio. Unità ecumenica e sacrificio sono strettamente uniti nel senso che il sacrificio è al servizio della riconciliazione e della ricomposizione dell'unità infranta.
Con ciò si apre contemporaneamente il più ampio orizzonte della responsabilità ecumenica, poiché l'universalità della missione di Gesù si rivolge al mondo intero, al cosmo e poiché la ricerca ecumenica dell'unità dei discepoli di Cristo è al servizio dell'unità dell'umanità e dell'unità tra l'umanità e Dio. A questo orizzonte universale conduce la visione ecumenica di Papa Benedetto XVI precisamente perché essa ha interamente il suo fondamento nella cristologia. Il Santo Padre dà così la bella testimonianza del fatto che fa ecumenismo non soltanto colui che ha continuamente sulla bocca tale parola, ma in prima linea colui che, anche senza usarne il termine, scende nella profondità della fede cristologica e in essa trova la sorgente comune dell'unità della Chiesa. Radicando nella professione di fede cristologica il compito ecumenico della ricerca dell'unità visibile dei discepoli di Cristo, Papa Benedetto XVI è guidato da una visione cristologica dell'ecumenismo e l'ecumenismo cristiano diventa veramente partecipazione alla preghiera sacerdotale di Gesù. La magistrale interpretazione del Papa di questa preghiera di Gesù va dunque letta come una sintesi della sua opera ecumenica, che è ecumenica proprio in quanto è cristocentrica. E nel porre Cristo al centro di tutto il suo annuncio, Papa Benedetto XVI si rivela il più grande ecumenista dei nostri tempi. In questo stesso spirito, egli è anche riuscito, all'interno dell'estenuante lavoro del suo ministero petrino, a trovare il tempo di scrivere il suo libro su Gesù di Nazareth, che va inteso come la professione di fede cristologica del successore di Pietro e come un grande dono che il Santo Padre ha fatto non solo alla nostra Chiesa ma a tutto l'ecumenismo.
Con il suo impegno ecumenico, Papa Benedetto XVI testimonia in modo esemplare in cosa consiste la responsabilità ecumenica di ogni vescovo nella Chiesa cattolica, descritta dal Codex Iuris Canonici con le seguenti parole: il vescovo diocesano "abbia un atteggiamento di umanità e di carità nei confronti dei fratelli che non sono nella piena comunione con la Chiesa cattolica, favorendo anche l'ecumenismo, come viene inteso dalla Chiesa" (Can. 383 § 3). Da ciò traspare in primo luogo che la promozione della causa ecumenica è implicita nello stesso ministero pastorale del vescovo, che è essenzialmente un servizio all'unità, ovvero a quell'unità che dev'essere intesa in maniera più ampia della semplice unità della propria comunità diocesana e che comprende anche e precisamente i battezzati non cattolici. In secondo luogo, nel definire la responsabilità ecumenica del vescovo con l'"atteggiamento di umanità e di carità" che deve avere "nei confronti dei fratelli che non sono nella piena comunione con la Chiesa cattolica", si pone chiaramente l'accento sul "dialogo della carità". In terzo luogo, poiché questo "dialogo della carità" non può sostituire il "dialogo della verità", ma ne costituisce il presupposto indispensabile, il vescovo è tenuto a promuovere l'ecumenismo così "come viene inteso dalla Chiesa".
Questi tre orientamenti evidenziano che il ministero pastorale che il vescovo rende all'unità della propria Chiesa è indissociabile dal suo ministero pastorale ecumenico volto alla ricomposizione dell'unità della Chiesa e che entrambe le dimensioni sono al servizio della fede in Gesù Cristo. Possiamo e dobbiamo essere riconoscenti a Papa Benedetto XVI per aver assunto, come Vescovo di Roma, questa responsabilità ecumenica in modo così esemplare e credibile. Poter essere per suo mandato al servizio dell'ecumenismo è una gioia e un onore, ma anche una sfida e un dovere.
* * *

BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Aula Paolo VI
Mercoledì, 18 gennaio 2012

Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani
Cari fratelli e sorelle!
Inizia oggi la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani che, da oltre un secolo, viene celebrata ogni anno da cristiani di tutte le Chiese e Comunità ecclesiali, per invocare quel dono straordinario per cui lo stesso Signore Gesù ha pregato durante l’Ultima Cena, prima della sua passione: “Perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me ed io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21). La pratica della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani fu introdotta nel 1908 da Padre Paul Wattson, fondatore di una comunità religiosa anglicana che entrò in seguito nella Chiesa cattolica. L’iniziativa ricevette la benedizione del Papa san Pio X e fu poi promossa dal Papa Benedetto XV, che ne incoraggiò la celebrazione in tutta la Chiesa cattolica con il Breve Romanorum Pontificum, del 25 febbraio 1916.
L’ottavario di preghiera fu sviluppato e perfezionato negli anni trenta del secolo scorso dall’Abbé Paul Couturier di Lione, che sostenne la preghiera “per l’unità della Chiesa così come vuole Cristo e conformemente agli strumenti che Lui vuole”. Nei suoi ultimi scritti, l’Abbé Couturier vede tale Settimana come un mezzo che permette alla preghiera universale di Cristo di “entrare e penetrare nell’intero Corpo cristiano”; essa deve crescere fino a diventare “un immenso, unanime grido di tutto il Popolo di Dio”, che chiede a Dio questo grande dono. Ed è precisamente nella Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani che l’impulso impresso dal Concilio Vaticano II alla ricerca della piena comunione tra tutti i discepoli di Cristo trova ogni anno una delle sue più efficaci espressioni. Questo appuntamento spirituale, che unisce cristiani di tutte le tradizioni, accresce la nostra consapevolezza del fatto che l’unità verso cui tendiamo non potrà essere solo il risultato dei nostri sforzi, ma sarà piuttosto un dono ricevuto dall’alto, da invocare sempre.
Ogni anno i sussidi per la Settimana di Preghiera vengono preparati da un gruppo ecumenico di una diversa regione del mondo. Vorrei soffermarmi su questo punto. Quest’anno, i testi sono stati proposti da un gruppo misto composto da rappresentanti della Chiesa cattolica e del Consiglio Ecumenico Polacco, che comprende varie Chiese e Comunità ecclesiali del Paese. La documentazione è stata poi rivista da un comitato composto da membri del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e della Commissione Fede e Costituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese. Anche questo lavoro fatto insieme in due tappe è un segno del desiderio di unità che anima i cristiani e della consapevolezza che la preghiera è la via primaria per raggiungere la piena comunione, perché uniti verso il Signore andiamo verso l'unità. Il tema della Settimana di quest’anno - come abbiamo sentito - è preso dalla Prima Lettera ai Corinzi: - “Tutti saremo trasformati dalla vittoria di Gesù Cristo, nostro Signore” (cfr 1 Cor 15,51-58), la sua vittoria ci trasformerà. E questo tema è stato suggerito dall’ampio gruppo ecumenico polacco che ho citato, il quale, riflettendo sulla propria esperienza come nazione, ha voluto sottolineare quanto forte sia il sostegno della fede cristiana in mezzo a prove e sconvolgimenti, come quelli che hanno caratterizzato la storia della Polonia. Dopo ampie discussioni è stato scelto un tema incentrato sul potere trasformante della fede in Cristo, in particolare alla luce dell’importanza che essa riveste per la nostra preghiera in favore dell’unità visibile della Chiesa, Corpo di Cristo. Ad ispirare questa riflessione sono state le parole di san Paolo che, rivolgendosi alla Chiesa in Corinto, parla della natura temporanea di ciò che appartiene alla nostra vita presente, segnata anche dall’esperienza di “sconfitta” del peccato e della morte, in confronto a ciò che porta a noi la “vittoria” di Cristo sul peccato e sulla morte nel suo Mistero pasquale.
La storia particolare della nazione polacca, che ha conosciuto periodi di convivenza democratica e di libertà religiosa, come nel XVI secolo, è stata segnata, negli ultimi secoli, da invasioni e disfatte, ma anche dalla costante lotta contro l’oppressione e dalla sete di libertà. Tutto questo ha indotto il gruppo ecumenico a riflettere in maniera più approfondita sul vero significato di “vittoria” - che cosa è la vittoria - e di “sconfitta”. Rispetto alla “vittoria” intesa in termini trionfalistici, Cristo ci suggerisce una strada ben diversa, che non passa attraverso il potere e la potenza. Egli infatti afferma: “Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti” (Mc 9,35). Cristo parla di una vittoria attraverso l’amore sofferente, attraverso il servizio reciproco, l’aiuto, la nuova speranza e il concreto conforto donati agli ultimi, ai dimenticati, ai rifiutati. Per tutti i cristiani, la più alta espressione di tale umile servizio è Gesù Cristo stesso, il dono totale che fa di Se stesso, la vittoria del suo amore sulla morte, nella croce, che splende nella luce del mattino di Pasqua. Noi possiamo prendere parte a questa “vittoria” trasformante se ci lasciamo noi trasformare da Dio, solo se operiamo una conversione della nostra vita e la trasformazione si realizza in forma di conversione. Ecco il motivo per cui il gruppo ecumenico polacco ha ritenuto particolarmente adeguate per il tema della propria meditazione le parole di San Paolo: “Tutti saremo trasformati” dalla vittoria di Cristo, nostro Signore” (cfr 1 Cor  15,51-58).
La piena e visibile unità dei cristiani, a cui aneliamo, esige che ci lasciamo trasformare e conformare, in maniera sempre più perfetta, all’immagine di Cristo. L’unità per la quale preghiamo richiede una conversione interiore, sia comune che personale. Non si tratta semplicemente di cordialità o di cooperazione, occorre soprattutto rafforzare la nostra fede in Dio, nel Dio di Gesù Cristo, che ci ha parlato e si è fatto uno di noi; occorre entrare nella nuova vita in Cristo, che è la nostra vera e definitiva vittoria; occorre aprirsi gli uni agli altri, cogliendo tutti gli elementi di unità che Dio ha conservato per noi e sempre nuovamente ci dona; occorre sentire l’urgenza di testimoniare all’uomo del nostro tempo il Dio vivente, che si è fatto conoscere in Cristo.
Il Concilio Vaticano II ha posto la ricerca ecumenica al centro della vita e dell’operato della Chiesa: “Questo santo Concilio esorta tutti i fedeli cattolici perché, riconoscendo i segni dei tempi, partecipino con slancio all’opera ecumenica” (Unitatis redintegratio, 4). Il beato Giovanni Paolo II ha sottolineato la natura essenziale di tale impegno, dicendo: “Questa unità, che il Signore ha donato alla sua Chiesa e nella quale egli vuole abbracciare tutti, non è un accessorio, ma sta al centro stesso della sua opera. Né essa equivale ad un attributo secondario della comunità dei suoi discepoli. Appartiene invece all’essere stesso di questa comunità” (Enc. Ut unum sint, 9). Il compito ecumenico è dunque una responsabilità dell’intera Chiesa e di tutti i battezzati, che devono far crescere la comunione parziale già esistente tra i cristiani fino alla piena comunione nella verità e nella carità. Pertanto, la preghiera per l’unità non è circoscritta a questa Settimana di Preghiera, ma deve diventare parte integrante della nostra orazione, della vita orante di tutti i cristiani, in ogni luogo e in ogni tempo, soprattutto quando persone di tradizioni diverse s’incontrano e lavorano insieme per la vittoria, in Cristo, su tutto ciò che è peccato, male, ingiustizia, violazione della dignità dell’uomo.
Da quando il movimento ecumenico moderno è nato, oltre un secolo fa, vi è sempre stata una chiara consapevolezza del fatto che la mancanza di unità tra i cristiani impedisce un annuncio più efficace del Vangelo, perché mette in pericolo la nostra credibilità. Come possiamo dare una testimonianza convincente se siamo divisi? Certamente, per quanto riguarda le verità fondamentali della fede, ci unisce molto più di quanto ci divide. Ma le divisioni restano, e riguardano anche varie questioni pratiche ed etiche, suscitando confusione e diffidenza, indebolendo la nostra capacità di trasmettere la Parola salvifica di Cristo. In questo senso, dobbiamo ricordare le parole del beato Giovanni Paolo II, che nella sua Enciclica Ut unum sint parla del danno causato alla testimonianza cristiana e all’annuncio del Vangelo dalla mancanza di unità (cfr nn. 98, 99). E’ una grande sfida questa per la nuova evangelizzazione, che può essere più fruttuosa se tutti i cristiani annunciano insieme la verità del Vangelo di Gesù Cristo e danno una risposta comune alla sete spirituale dei nostri tempi.
Il cammino della Chiesa, come quello dei popoli, è nelle mani del Cristo risorto, vittorioso sulla morte e sull’ingiustizia che Egli ha portato e ha sofferto a nome di tutti. Egli ci fa partecipi della sua vittoria. Solo Lui è capace di trasformarci e renderci, da deboli e titubanti, forti e coraggiosi nell’operare il bene. Solo Lui può salvarci dalle conseguenze negative delle nostre divisioni. Cari fratelli e sorelle, invito tutti ad unirsi in preghiera in modo più intenso durante questa Settimana per l’Unità, perché cresca la testimonianza comune, la solidarietà e la collaborazione tra i cristiani, aspettando il giorno glorioso in cui potremo professare insieme la fede trasmessa dagli Apostoli e celebrare insieme i Sacramenti della nostra trasformazione in Cristo. Grazie.

* * *

Il commento che segue è di Massimo Introvigne.

L’udienza del 18 gennaio di Benedetto XVI, interrompendo la consueta «scuola della preghiera», è stata dedicata alla Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani che inizia oggi.
Il Papa ha voluto ricordare la storia della settimana ecumenica. «La pratica della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani fu introdotta nel 1908 da Padre Paul Wattson [1863-1940], fondatore di una comunità religiosa anglicana che entrò in seguito nella Chiesa cattolica. L’iniziativa ricevette la benedizione del Papa san Pio X [1835-1914] e fu poi promossa dal Papa Benedetto XV [18541922], che ne incoraggiò la celebrazione in tutta la Chiesa cattolica con il Breve “Romanorum Pontificum”, del 25 febbraio 1916». Il Pontefice ha anche ricordato il ruolo molto importante svolto «dall’Abbé Paul Couturier [1881-1953] di Lione, che sostenne la preghiera “per l’unità della Chiesa così come vuole Cristo e conformemente agli strumenti che Lui vuole”. Nei suoi ultimi scritti, l’Abbé Couturier vede tale Settimana come un mezzo che permette alla preghiera universale di Cristo di “entrare e penetrare nell’intero Corpo cristiano”; essa deve crescere fino a diventare “un immenso, unanime grido di tutto il Popolo di Dio”, che chiede a Dio questo grande dono». Infine, ha ricordato il Papa, il movimento delle Settimane di Preghiera è stato fatto proprio dal Concilio Ecumenico Vaticano II: ancorché sia importante ricordare che la sua origine è molto più antica.

Come in altre occasioni, Benedetto XVI ha insistito su un ecumenismo «dall’alto» piuttosto che «dal basso». «Questo appuntamento spirituale, che unisce cristiani di tutte le tradizioni, accresce la nostra consapevolezza del fatto che l’unità verso cui tendiamo non potrà essere solo il risultato dei nostri sforzi, ma sarà piuttosto un dono ricevuto dall’alto, da invocare sempre». Per quanto le iniziative e le discussioni teologiche siano interessanti, il Papa ricorda che «la preghiera è la via primaria per raggiungere la piena comunione, perché uniti verso il Signore andiamo verso l'unità».

Il tema della Settimana di quest’anno è tratto dalla Prima Lettera ai Corinzi: «Tutti saremo trasformati dalla vittoria di Gesù Cristo, nostro Signore» (cfr 1 Cor 15,51-58). Questo tema è stato scelto per il 2012 dal gruppo ecumenico polacco, il quale – ha detto il Pontefice – «riflettendo sulla propria esperienza come nazione, ha voluto sottolineare quanto forte sia il sostegno della fede cristiana in mezzo a prove e sconvolgimenti, come quelli che hanno caratterizzato la storia della Polonia». Il tema ha una valenza spirituale, e invita a ricordare «le parole di san Paolo che, rivolgendosi alla Chiesa in Corinto, parla della natura temporanea di ciò che appartiene alla nostra vita presente, segnata anche dall’esperienza di “sconfitta” del peccato e della morte, in confronto a ciò che porta a noi la “vittoria” di Cristo sul peccato e sulla morte nel suo Mistero pasquale».

Ma il tema scelto suggerisce pure una meditazione su come i cristiani aggrediti e perseguitati siano stati capaci di sviluppare tra loro un ecumenismo della sofferenza e nel sangue, che non comporta di per sé l’unità dottrinale ma costituisce un elemento comunque significativo. E «la storia particolare della nazione polacca, che ha conosciuto periodi di convivenza democratica e di libertà religiosa, come nel XVI secolo, è stata segnata, negli ultimi secoli, da invasioni e disfatte, ma anche dalla costante lotta contro l’oppressione e dalla sete di libertà». Proprio la storia della Polonia «ha indotto il gruppo ecumenico a riflettere in maniera più approfondita sul vero significato di “vittoria” – che cosa è la vittoria – e di “sconfitta”. Rispetto alla “vittoria” intesa in termini trionfalistici, Cristo ci suggerisce una strada ben diversa, che non passa attraverso il potere e la potenza. […] Per tutti i cristiani, la più alta espressione di tale umile servizio è Gesù Cristo stesso, il dono totale che fa di Se stesso, la vittoria del suo amore sulla morte, nella croce, che splende nella luce del mattino di Pasqua. Noi possiamo prendere parte a questa “vittoria” trasformante se ci lasciamo noi trasformare da Dio, solo se operiamo una conversione della nostra vita e la trasformazione si realizza in forma di conversione». Si torna così al tema dell’ecumenismo «dall’alto».

L’unità non è un compromesso più o meno al ribasso, ma «esige che ci lasciamo trasformare e conformare, in maniera sempre più perfetta, all’immagine di Cristo». Non si tratta dunque «semplicemente di cordialità o di cooperazione, occorre soprattutto rafforzare la nostra fede in Dio, nel Dio di Gesù Cristo, che ci ha parlato e si è fatto uno di noi; occorre entrare nella nuova vita in Cristo, che è la nostra vera e definitiva vittoria». Beninteso, criticare forme insufficienti o sbagliate di ecumenismo non significa abbandonare la strada ecumenica. Questa è parte essenziale della missione della Chiesa oggi. «Il Concilio Vaticano II – ha ricordato il Papa – ha posto la ricerca ecumenica al centro della vita e dell’operato della Chiesa: “Questo santo Concilio esorta tutti i fedeli cattolici perché, riconoscendo i segni dei tempi, partecipino con slancio all’opera ecumenica” (“Unitatis redintegratio”, 4). Il beato Giovanni Paolo II [1920-2005] ha sottolineato la natura essenziale di tale impegno, dicendo: “Questa unità, che il Signore ha donato alla sua Chiesa e nella quale egli vuole abbracciare tutti, non è un accessorio, ma sta al centro stesso della sua opera. Né essa equivale ad un attributo secondario della comunità dei suoi discepoli. Appartiene invece all’essere stesso di questa comunità” (Enc. “Ut unum sint”, 9)».

Nessuno, dunque, potrebbe in coscienza rifiutare l’ecumenismo così come il Magistero lo definisce e lo precisa. «Il compito ecumenico è una responsabilità dell’intera Chiesa e di tutti i battezzati». Anche coloro che non sono specialisti di ecumenismo possono dare il loro contributo, con la preghiera. Anzi, «la preghiera per l’unità non è circoscritta a questa Settimana di Preghiera, ma deve diventare parte integrante della nostra orazione, della vita orante di tutti i cristiani, in ogni luogo e in ogni tempo». L’ecumenismo è anche indispensabile per l’evangelizzazione, ha detto il Papa, e oggi per la nuova evangelizzazione. «Da quando il movimento ecumenico moderno è nato, oltre un secolo fa, vi è sempre stata una chiara consapevolezza del fatto che la mancanza di unità tra i cristiani impedisce un annuncio più efficace del Vangelo, perché mette in pericolo la nostra credibilità. Come possiamo dare una testimonianza convincente se siamo divisi?».

È sempre bene fare notare da una parte che, «per quanto riguarda le verità fondamentali della fede, ci unisce molto più di quanto ci divide», dall’altra – per non indulgere a forme di buonismo o di relativismo – che «le divisioni restano, e riguardano anche varie questioni pratiche ed etiche, suscitando confusione e diffidenza». Nel viaggio in Germania il Papa aveva fatto notare i danni prodotti da comunità cristiane che tollerano o addirittura attivamente promuovono una cultura ostile alla vita e alla famiglia con aperture all’aborto, all’eutanasia, al riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali. La Settimana ci ricorda che la soluzione non verrà dai compromessi ma solo dall’alto, da Cristo. «Solo Lui è capace di trasformarci e renderci, da deboli e titubanti, forti e coraggiosi nell’operare il bene. Solo Lui può salvarci dalle conseguenze negative delle nostre divisioni».