venerdì 27 gennaio 2012

Passare all'altra riva



L'anima che ha conosciuto il Signore non teme nulla,
eccetto il peccato,
e sopratutto il peccato di superbia.
Sa che il Signore ci ama.
E se ci ama, cosa possiamo temere ?

Silvano del Monte Athos


Di seguito il Vangelo di oggi, 28 gennaio, sabato della III settimana del T. O., con un commento e qualche testo per la meditazione.


Dal Vangelo secondo Marco 4,35-41.


In quel medesimo giorno, verso sera, disse loro: «Passiamo all'altra riva». E lasciata la folla, lo presero con sé, così com'era, nella barca. C'erano anche altre barche con lui. Nel frattempo si sollevò una gran tempesta di vento e gettava le onde nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t'importa che moriamo?». Destatosi, sgridò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e vi fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?». E furono presi da grande timore e si dicevano l'un l'altro: «Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?». 


IL COMMENTO


"Passiamo all'altra riva!". Una parola perentoria, una chiamata e sorge la Chiesa. Essa, nuovo Israele, nasce dalla Pasqua, dal passaggio dalle tenebre alla luce, dalla schiavitù alla libertà, dalla morte alla vita. E' sera, incede la notte, e Gesù chiama a raccolta i suoi e li invita ad entrare nella barca, a sciogliere gli ormeggi, e ad inoltrarsi nel mare e nell'oscurità. Notte e mare, mondo e morte, e la barca della Chiesa a solcarne le onde. Tutto si fonda sulla Parola di Gesù. Lui dice di passare all'altra riva, ed è la Verità, la roccia cui aggrapparsi. Nel Vangelo, la Parola di Gesù manifesta la sua autorità, diversa da quella degli scribi, perchè è sempre parola che si compie. E' Parola di Dio, creatrice, che realizza quello che dice.


Ma i discepoli devono imparare a conoscere il Signore. Infatti avevano preso Gesùcosì com'era, ma non sapevano "chi" egli fosse, come appare nella domanda che si pongono a chiusura del brano. E' Dio, e non lo sanno; è un Dio che si fa seme gettato a morire in terra, e se ne scandalizzeranno. Per questo Gesù intima ai discepoli di passare all'altra riva, perchè proprio attraverso il compimento di una parola che sembra diventare assurda e irrealizzabile, imparino a conoscerlo. Senza la conoscenza di Lui la Chiesa non esiste; gli aspetti organizzativi e giuridici, i criteri mondani ne fanno una caricatura, un'associazione filantropica tra le altre, una ONG del tutto identica alle tante, con gli stessi problemi, con le stesse preoccupazioni, le stesse perversioni che utilizzano il bene da fare per le proprie bramosie: "Quanti più apparati noi costruiamo, siano anche i più moderni, tanto meno c'è spazio per lo Spirito, tanto meno c'è spazio per il Signore, e tanto meno c'è libertà(J. Ratzinger, La Chiesa, una compagnia sempre reformanda, intervento tento al Meeting di Rimini del 1990). La paradossale estraneità di Cristo dalla sua Chiesa sarà evidente quando i due fratelli Giacomo e Giovanni chiederanno al Signore di sedere uno alla sua destra e uno alla sua sinistra nel Regno incipiente. Non avevano capito nulla, guardavano Gesù con gli occhi della carne, con i loro pre-giudizi, e così guardavano anche a se stessi e al loro essere con Lui. La Chiesa che dimentica la natura del suo Signore, che perde la fede nella sua risurrezione diviene come il sale che a nulla serve se non a essere gettato e calpestato. Per questo la Chiesa, appoggiata alla Parola del Signore, è costantemente in cammino, verso una conoscenza più profonda e piena del Signore, come scrive San Paolo: "Io penso che noi dovremmo, sotto questo punto di vista, iniziare nella Chiesa a tutti i livelli un esame di coscienza senza riserve... Non è di una Chiesa più umana che abbiamo bisogno, bensì di una Chiesa più divina; solo allora essa sarà anche veramente umana(J. Ratzinger, Ibid).


La storia stessa è il luogo dove la Chiesa viene formata e riformata, attraverso l'esperienza quotidiana della presenza viva e reale del Signore risorto. Una parola dunque, e la Chiesa si trova in mare aperto, nella notte, quando non si riesce a vedere, e le certezze umane si fanno precarie, e l'angoscia e la paura sembrano prendere il sopravvento, come le onde della tempesta improvvisa, tanto frequente sul lago di Tiberiade. I discepoli fanno l'esperienza del caos primordiale, e non comprendono d'essere dentro l'opera di Dio, la più grande, quella che crea la vita laddove regna la morte. Non comprendono che quella tempesta fa parte dell'opera divina, non è un incidente a cui porre rimedio. Le onde nella Scrittura sono sempre segno di morte. Essa è entrata nel mondo per invidia del demonio, e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono. Dio, che ha creato tutto per l'esistenza e senza veleno di morte, non ha abbandonato il mondo in preda al maligno. La storia della salvezza è la storia della fedeltà ad una promessa di riscatto e vita eterna. La barca è il Popolo nuovo della nuova ed eterna Alleanza, il suo cammino descrive l'incedere inesorabile della misericordia di Dio.


I discepoli sono ora dentro questa promessa, ma l'hanno dimenticata. La carne preme sul loro cuore, e lo soffoca e li riempie d'angoscia. Gesù è con loro ma dorme. Ecco com'è quel profeta che li aveva chiamati alla traversata! Un uomo che dorme profondamente, reclinato sul cuscino. Lui c'è ma non fa nulla. Se è davvero il Figlio di Dio, se davvero ha il potere che dice di avere, se è stato Lui a moltiplicare pani e pesci e a guarire infermi e a scacciare i demoni, se può far miracoli e dorme, allorasignifica che non gli importa nulla di noi. Ecco il pensiero di chi non conosce il Signore. Gli occhi del cuore e della mente sono accecati, e non possono comprendere che proprio quel sonno è la loro salvezza, la loro assicurazione sulla vitaFinchè Lui dorme la morte non può raggiungerli, perchè si è infranta proprio nel sonno della morte del Signore, come l'onda più alta e il flutto più rabbioso, si sciolgono come burro infrangendosi sugli scogli. La morte è stata ricacciata indietro per sempre. Il sonno di Gesù strapperà il mondo dall'inferno, e la morte non avrà più potere su di loro, come non l'ha più su di Lui.


Ma ora i discepoli non comprendono, e svegliano Gesù. E lo rimproverano, e desiderano credere che Lui possa fare qualcosa; lo avevano visto, e ora ne sono scandalizzati: a Lui non importa della loro sorte. Quante volte sorge in noi la stessa domanda, che diventa la preghiera di chi non conosce veramente il Signore. Nei templi pagani davanti all'immagine della divinità vi è una grande campana. I fedeli che desiderano pregare si avvicinano e cominciano a scuoterla, per svegliare il loro dio, per attirarne l'attenzione. E' la religiosità naturale, quella che tutti portiamo dentro, che appare evidente nelle parole e nell'attegggiamento dei discepoli impauriti. Quando le onde riempiono la barca e ormai si affonda e sembra che Dio non intervenga, che dorma, allora moltiplichiamo preghiere, sacrifici, offerte, perchè Egli si svegli e si accorga di noi, e cambi il corso della storia secondo i nostri progetti.


E, sorprendentemente, è quello che farà il Signore. Si sveglierà e comanderà ai flutti, e ritornerà la bonaccia. Il Signore ha avuto misericordia dei suoi discepoli ed è andato incontro alla loro poca fede, come tante volte fa anche con noi. L'amore di Dio si piega alla nostra volontà, e così ci aiuta a sperimentare la nostra debolezza e incredulità, ed accende così la domanda decisiva: chi è costui? E' Dio, se anche la natura gli obbedisce, se mio figlio è stato guarito, se ho conservato il lavoro, se ho trovato casa. Ma rimane l'incertezza di quello che è solo un abbozzo di fede, quella comune a tutte le religioni. La fede adulta è ben altro. E' conoscenza, e confidenza. E' addormentarsi con Lui anche nella tempesta, anche quando la nostra vita sembra affondare. E' reclinare il capo e riposare sul legno della Croce che segna le nostre esistenze, come bimbi divezzati in braccio alla propria madre. E' l'àncora piantata dentro, lo Spirito Santo che ci testimonia d'essere figli di Dio, e quindi figli della risurrezione, coeredi della vittoria di Cristo.


La Chiesa, e tutti noi, dobbiamo imparare la fede, nella barca, attraverso le mille tempeste dei progetti naufragati, dei criteri sommersi dalle onde; la fede è un cammino sino alla piscina del battesimo dove le acque devono seppellire completamente l'uomo vecchio, prigioniero della carne e del peccato. I discepoli non erano ancora pronti a scendere nel fonte battesimale, e il Signore li ha presi per mano. Altre tempeste, altri terremoti verranno prima di ricevere il battesimo del fuoco che li renderà apostoli apostoli; altre traversate sino al buio calato su tutta la terra quel pomeriggio sul Golgota, dove vedranno il Signore crocifisso, e poi nel sonno della tomba, all'alba del suo risveglio, e al mattino della Pentecoste zampillante lo Spirito Santo. E' Lui, il Consolatore, che sigillerà indubitabilmente che Gesù Nazareno, crocifisso e sepolto, è davvero risorto ed è il Signore; è lo Spirito Santo che ricorderà loro la Verità tutta intera, le Parole di Gesù, svelando loro quel comando di passare all'altra riva come una Parola profetica compiuta nel suo Mistero Pasquale.


Così, dal giorno di Pentecoste, la Chiesa potrà finalmente compiere la traversata, la Pasqua che attirerà a sé, lungo i secoli, tutte le altre barche che già nella notte del brano odierno, erano con quella dei discepoli, immagine delle Nazioni della terra. Così la Chiesa, appoggiata sulla Parola del Signore e certa dell'approdo all'altra riva, solcherà i mari di ogni generazione, discernendo con uno sguardo soprannaturale ogni evento, riconoscendo nelle onde del martirio e delle difficoltà una parte integrante e imprescindibile della sua missione. La Chiesa, come il suo Signore, deve partecipare in tutto dei destini del mondo, dei suoi fallimenti, sin dentro la morte.


Così è anche per ciascuno di noi. Gli eventi che ci incalzano e che sembra ci facciano affondare non sono il segno dell'abbandono di Dio. Sono invece il luogo dove conoscere più intimamente il Signore, il paradosso del letto d'amore dove si rinnovano le nozze con il nostro Sposo. Il cristianesimo non è una religione naturale, nella quale svegliare la divinità e pregarla perchè plachi il vento e riconduca la vita alla calma che agognamo. Il cristianesimo è Cristo stesso che ha vinto la morte, e i cristiani, con Lui, entrano ogni giorno nel mare in tempesta, addormentati, abbandonati nella volontà di Dio, certi del fatto che essa è sempre per il bene di ciascuno di noi, della Chiesa, dell'evangelizzazione, e del mondo; possiamo anche noi, nella forza dello Spirito Santo e nella fede della Chiesa, sperimentare come Gesù sulla Croce, l'abbandono apparente di Dio, la sua lontananza, per farne il nostro stesso abbandono alla sua fedeltà. La notte oscura, che ha caratterizzato la storia di tanti santi, è il momento più fecondo della vita; così è stato per Gesù e per la Chiesa; così è per ciascuno di noi. E' l'amore puro, crudo, inossidabile, quello della sposa del Cantico dei Cantici che si getta alla ricerca del suo Amato che sembra essersi nascosto dopo averle rapito il cuore. E' il passaggio verso l'incontro definitivo, alla fine della traversata, sulla sponda del Cielo, dove trovare in pienezza lo Sposo, ed abbracciarlo, e non lasciarlo più: ogni giorno mossi da una Parola che ci scuote, appoggiati ad essa come al Signore stesso, sempre più intimi, più crocifissi con Lui, attraversare il mare, tra le onde, verso il porto sospirato, il destino eterno d'amore che ci attende in Cristo Gesù.


APPROFONDIMENTI





Sant’Agostino (354-430), vescovo d'Ippona (Africa del Nord) e dottore della Chiesa
Discorso 63, 1-3; PL 38, 424-425


Battuti dal vento e dalle onde


Per grazia di Dio vi rivolgo la parola sul passo del santo Vangelo letto poco fa e in nome di lui vi esorto a far sì che nei vostri cuori non si assopisca la fede con cui resistere alle tempeste e ai marosi di questo mondo. In effetti non è vero che Cristo nostro Signore avesse in suo potere la morte e non il sonno e che forse l'Onnipotente fu oppresso dal sonno contro la sua volontà mentre stava sulla barca. Se voi crederete questo, egli dorme nel vostro intimo; se invece Cristo è desto, è desta anche la vostra fede. L'Apostolo dice: « [Chiedo di] far abitare Cristo nei vostri cuori per mezzo della fede » (Ef 3,17).


Anche il sonno di Cristo è dunque un segno esteriore d'un simbolo. Sono come dei naviganti le anime che fanno la traversata di questa vita in una imbarcazione. Anche quella barca era la figura della Chiesa. Poiché anche ogni persona è tempio di Dio e naviga nel proprio cuore e non fa naufragio se nutre buoni pensieri. Se hai sentito un insulto, è come il vento; se sei adirato, ecco la tempesta. Se quindi soffia il vento e sorge la tempesta, corre pericolo la nave, corre pericolo il tuo cuore ed è agitato. All'udire l'insulto tu desideri vendicarti: ed ecco ti sei vendicato e, godendo del male altrui, hai fatto naufragio. E perché? Perché in te dorme Cristo. Che vuol dire: "In te dorme Cristo"? Ti sei dimenticato di Cristo. Risveglia dunque Cristo, ricordati di Cristo, sia desto in te Cristo: considera lui.


Silvano (1886-1938), monaco ortodosso
In Sofronio, Staret Silvano


« Perché avere paura ? »


Il 14 settembre 1932, sul Monte Athos, successe un violento terremoto. Si verificò nella notte, durante la vigilia della festa dell'Esaltazione della Santa Croce. Stavo nel coro di fianco al Padre priore, il quale stava proprio accanto al posto dove di solito confessava. Un mattone venne a staccarsi dal soffitto e cadde proprio in questo punto insieme a molti calcinacci. Prima, fuì un po' spaventato, ma rapidamente mi calmai e dissi al priore : « Ecco che il Signore misericordioso vuole che ci pentiamo. »


Guardammo verso gli altri monaci, giù nella chiesa e nel coro : Erano pochi ad avere paura ; circa sei monaci uscirono dalla chiesa, gli altri rimasero a loro posto, e la vigilia proseguì secondo il suo solito ordine, e così tranquillamente come se non fosse successo niente. Pensai : « Quanto abbondante è la grazia dello Santo Spirito nei monaci. » Infatti, mentre succedeva un così violento terremoto, e l'immenso edificio del monastero tremava, la calce cadeva, i lampadari, le lampade a olio e i candelabri oscillavano, e nel campanile, le campane suonavano – anzi la grande campana batté un colpo a causa della violenza delle scosse – loro, invece, stavano tranquilli. E pensavo : « L'anima che ha conosciuto il Signore non teme nulla, eccetto il peccato, e sopratutto il peccato di superbia. Sa che il Signore ci ama. E se ci ama, cosa possiamo temere ? »


* * * 



Madre Teresa, MADRE TERESA DI CALCUTTA «la notte» accettata come un dono. Raniero Cantalamessa

A dieci anni dalla morte di Madre Teresa di Calcutta giungono in libreria alcune delle lettere che la religiosa, ora beata, scrisse in diversi momenti ai suoi direttori spirituali e che attestano quella lunga fase della sua vita in cui, com’è noto ormai da tempo, ella sperimentò la «notte della fede». Il libro, che si intitola «Mother Teresa: come be my light» e sarà pubblicato il prossimo 4 settembre nel mondo anglosassone, è stato curato da padre Brian Kolodiejchuk, postulatore nella causa di canonizzazione di Madre Teresa. Già in occasione della beatificazione della suora, nel 2003, padre Brian aveva parlato delle crisi mistiche della religiosa e pubblicato su un "sito internet" brani delle lettere. La decisione di riproporle ora nel libro ribadisce la volontà del postulatore di rendere il più trasparente possibile il processo di canonizzazione. La decisione, infatti, è stata commentata favorevolmente da più parti. Il cardinale Angelo Scola, Patriarca di Venezia, si è detto «molto contento della pubblicazione di questo libro». «Mi sembra – ha proseguito – di poter rilevare che anche nell’esperienza di santità più elevata, anche quando tocca i vertici di preghiera e di contemplazione di Madre Teresa, non si può prescindere dalla libertà finita e limitata dell’uomo». La beata albanese, ha spiegato, «è una di noi, che ha fatto tutte le sue fatiche come facciamo noi. Inoltre quando uno è nella prova, in questo caso la prova dell’aridità perché a Madre Teresa sembrava di non percepire più la presenza di Gesù, ha sempre come risorsa la forma più elementare di esercizio della volontà, che è la domanda quotidiana a Gesù di rivelare il suo volto». Un "plauso" anche dall’arcivescovo di Calcutta, Lucas Sirkar. «Nonostante avesse affrontato il lato oscuro della vita – ha dichiarato – rimase ben salda sulla strada verso la santità e fu quella la sua grandezza».

Cosa successe dopo che Madre Teresa disse il suo "sì" all'ispirazione divina che la chiamava a lasciare tutto per mettersi a servizio dei più poveri dei poveri? Il mondo ha conosciuto bene ciò che avvenne intorno a lei - l'arrivo delle prime compagne, l'approvazione ecclesiastica, il vertiginoso sviluppo delle sue attività caritative -, ma fino alla sua morte nessuno ha conosciuto ciò che avvenne dentro di lei.
Lo rivelano i diari personali e le lettere al suo direttore spirituale, di cui è imminente la pubblicazione a cura della "Postulazione della causa per la canonizzazione". Non credo che gli editori, prima di decidersi a darli alle stampe, abbiano dovuto superare la paura che tali scritti possano suscitare sconcerto o addirittura scandalizzare i lettori. Lungi da diminuire la statura di Madre Teresa, essi infatti la ingigantiscono, ponendola a fianco dei più grandi mistici del cristianesimo.
«Con l'inizio della sua nuova vita a servizio dei poveri - scrive il gesuita Joseph Neuner che le fu vicino - , una opprimente oscurità venne su di lei». Bastano alcuni brevi stralci per darci un'idea della densità delle tenebre in cui si venne a trovare: «C'è tanta contraddizione nella mia anima, un profondo anelito a Dio, così profondo da far male, una sofferenza continua - e con ciò il sentimento di non essere voluta da Dio, respinta, vuota, senza fede, senza amore, senza zelo… Il cielo non significa niente per me, mi appare un luogo vuoto».
Non è difficile riconoscere subito in questa esperienza di Madre Teresa un caso classico di quello che gli studiosi di mistica, dietro san Giovanni della Croce, sono soliti chiamare la notte oscura dello spirito. Taulero fa una descrizione impressionante di questo stato: «Allora veniamo abbandonati in tal modo da non aver più nessuna conoscenza di Dio e cadiamo in tale angoscia da non sapere più se siamo mai stati sulla via giusta, né più sappiamo se Dio esiste o no, o se noi stessi siamo vivi o morti. Cosicché su di noi cade un dolore così strano che ci pare che tutto quanto il mondo nella sua estensione ci opprima. Non abbiamo più nessuna esperienza né conoscenza di Dio, ma anche tutto il resto ci appare ripugnante, sicché ci pare di essere prigionieri tra due mura».
Tutto lascia pensare che questa oscurità accompagnò Madre Teresa fino alla morte, con una breve parentesi nel 1958, durante la quale poté scrivere giubilante: «Oggi la mia anima è ricolma di amore, di gioia indicibile e di una ininterrotta unione d'amore». Se a partire da un certo momento non ne parla quasi più, non è perché la notte è finita, ma perché ella si è ormai adattata a vivere in essa. Non solo l'ha accettata, ma riconosce la grazia straordinaria che racchiude per lei. «Ho cominciato ad amare la mia oscurità, perché credo ora che essa è una parte, una piccolissima parte, dell'oscurità e della sofferenza in cui Gesù visse sulla terra».
Il silenzio di Madre Teresa
Il fiore più profumato della notte di Madre Teresa è il suo silenzio su di essa. Aveva paura, parlandone, di attirare l'attenzione su di sé. Anche le persone a lei più vicine non hanno sospettato nulla, fino alla fine, di questo interiore tormento della Madre. Su suo ordine, il direttore spirituale dovette distruggere tutte le sue lettere e se alcune se ne sono salvate è perché egli, con il permesso di lei, ne aveva fatto una copia per l'arcivescovo e futuro cardinale Trevor Lawrence Picachy, tra le cui carte furono trovate dopo morte. L'arcivescovo, per nostra fortuna, si era rifiutato di accondiscendere alla richiesta di distruggerle, fatta anche a lui dalla Madre.
Il pericolo più insidioso per l'anima nella notte oscura dello spirito è di… accorgersi che si tratta, appunto, della notte oscura, di quello che grandi mistici hanno vissuto prima di lei e quindi di far parte di una cerchia di anime elette. Con la grazia di Dio, Madre Teresa ha evitato questo rischio, nascondendo a tutti il suo tormento sotto un eterno sorriso. «Tutto il tempo a sorridere, dicono di me le sorelle e la gente. Pensano che il mio intimo sia ricolmo di fede, fiducia e amore… Se solo sapessero e come il mio essere gioiosa non è che un manto con cui copro vuoto e miseria!». Un detto dei Padri del deserto dice: «Per quanto grandi siano le tue pene, la tua vittoria su di esse sta nel silenzio». Madre Teresa lo ha messo in pratica in maniera eroica.
Non solo purificazione
Ma perché questo strano fenomeno di una notte dello spirito che dura praticamente tutta la vita? Qui c'è qualcosa di nuovo rispetto a quello che hanno vissuto e spiegato i maestri del passato, compreso san Giovanni della Croce. Questa notte oscura non si spiega con la sola idea tradizionale della purificazione passiva, la cosiddetta via "purgativa", che prepara alla via "illuminativa" e a quella "unitiva". Madre Teresa era convinta che si trattasse proprio di questo nel caso suo; pensava che il suo «io» fosse particolarmente duro da vincere, se Dio era costretto a tenerla così a lungo in quello stato.
Ma non era certo questo. La interminabile notte di alcuni santi moderni è il mezzo di protezione inventato da Dio per i santi di oggi che vivono e operano costantemente sotto i riflettori dei "media". È la tuta d'amianto per chi deve andare tra le fiamme; è l'isolante che impedisce alla corrente elettrica di disperdersi, provocando corti circuiti…
San Paolo diceva: «Perché non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne» (2 Cor 12,7). La spina nella carne che era il silenzio di Dio si è rivelata efficacissima per Madre Teresa: l'ha preservata da ogni ebbrezza, in mezzo al gran parlare che il mondo faceva di lei, perfino al momento di ritirare il premio Nobel per la pace. «Il dolore interiore che sento - diceva - è talmente grande che non provo nulla per tutta la pubblicità e il parlare della gente». Quanto è lontano dal vero Christopher Hitchens quando nel suo saggio velenoso "Dio non è grande. La religione avvelena ogni cosa" ("Einaudi" 2007) fa di Madre Teresa un prodotto dell'era "mediatica"!
C'è una ragione ancora più profonda che spiega queste notti che si prolungano per tutta una vita: l'imitazione di Cristo, la partecipazione all'oscura notte dello spirito che avvolse Gesù nel Getsemani e in cui morì sul Calvario, gridando: «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?». Madre Teresa è giunta a vedere sempre più chiaramente la sua prova come una risposta al desiderio di condividere il "Sitio" di Gesù sulla croce: «Se la pena e la sofferenza, la mia oscurità e separazione da te ti dà una goccia di consolazione, mio Gesù, fa' di me ciò che vuoi… Imprimi nella mia anima e nella vita la sofferenza del tuo cuore… Voglio saziare la tua sete con ogni singola goccia di sangue che puoi trovare in me. Non ti preoccupare di tornare presto: sono pronta ad aspettarti per tutta l'eternità».
Sarebbe grave errore pensare che la vita di queste persone sia tutta tetra sofferenza. Nel fondo dell'anima, queste persone godono di una pace e gioia sconosciute al resto degli uomini, derivanti dalla certezza, più forte in esse del dubbio, di essere nella volontà di Dio. Santa Caterina da Genova paragona la sofferenza delle anime in questo stato a quella del Purgatorio e dice che essa «è così grande, che solo è paragonabile a quella dell'Inferno», ma che c'è in esse una «grandissima contentezza» che sola si può paragonare a quella dei santi in Paradiso. La gioia e la serenità che emanava dal volto di Madre Teresa non era una maschera, ma il riflesso dell'unione profonda con Dio in cui viveva la sua anima. Era lei che si «ingannava» sul suo conto, non la gente.
A fianco degli atei
Il mondo d'oggi conosce una nuova categoria di persone: gli atei in buona fede, coloro che vivono dolorosamente la situazione del silenzio di Dio, che non credono in Dio ma non si fanno un vanto di ciò; sperimentano piuttosto l'angoscia esistenziale e la mancanza di senso del tutto; vivono anch'essi, a loro modo, in una notte oscura dello spirito. Nel suo romanzo "La peste", Albert Camus li chiamava «i santi senza Dio». I mistici esistono soprattutto per essi; sono loro compagni di viaggio e di mensa. Come Gesù, essi «si sono assisi alla mensa dei peccatori e hanno mangiato con loro» (cfr. Lc 15,2).
Questo spiega la passione con cui certi atei, una volta convertiti, si sono buttati sugli scritti dei mistici: Claudel, Bernanos, i due Maritain, L. Bloy, lo scrittore J. K. Huysmans e tanti altri sugli scritti di Angela da Foligno, T. S. Eliot su quelli di Giuliana di Norwich. Vi ritrovavano lo stesso paesaggio che avevano lasciato, ma questa volta illuminato dal sole. Pochi sanno che l'autore di "Aspettando Godot", Samuel Beckett, nel tempo libero leggeva san Giovanni della Croce.
La parola «ateo» può avere un senso attivo e un senso passivo. Può indicare uno che rifiuta Dio, ma anche uno che - almeno così gli sembra - è rifiutato da Dio. Nel primo caso, si tratta di un ateismo di colpa (quando non è in buona fede), nel secondo di un ateismo di pena, o di espiazione. In quest'ultimo senso possiamo dire che i mistici, nella notte dello spirito, sono degli "a-tei", dei senza Dio e che anche Gesù, sulla croce, era un «ateo», un "senza-Dio".
Madre Teresa ha parole che nessuno avrebbe sospettato in lei: «Dicono che la pena eterna che soffrono le anime nell'Inferno è la perdita di Dio… Nella mia anima io sperimento proprio questa terribile pena del danno, di Dio che non mi vuole, di Dio che non è Dio, di Dio che in realtà non esiste. Gesù, ti prego, perdona la mia bestemmia». Ma si rende conto della natura diversa, di solidarietà e di espiazione, di questo suo «ateismo»: «Voglio vivere in questo mondo così lontano da Dio e che ha voltato le spalle alla luce di Gesù, per aiutare la gente, prendendo su di me qualcosa della loro sofferenza». Il rivelatore più chiaro che si tratta di un «ateismo» di ben altra natura è la sofferenza indicibile che esso provoca nei mistici. Gli atei comuni non si tormentano in questo modo per il loro ateismo!
I mistici sono giunti a un passo dal mondo dove vivono i senza Dio; hanno sperimentato la vertigine di buttarsi giù. È ancora Madre Teresa che scrive al suo padre spirituale: «Sono stata sul punto di dire No… Mi sento come se qualcosa un giorno o l'altro dovesse spezzarsi in me». «Prega per me, che io non rifiuti Dio in quest'ora. Non lo voglio, ma temo di poterlo fare». Per questo i mistici sono gli ideali evangelizzatori nel mondo "post-moderno", dove si vive "etsi Deus non daretur", come se Dio non esistesse. Ricordano agli atei onesti che non sono «lontani dal regno di Dio»; che basterebbe loro spiccare un salto per ritrovarsi dalla sponda dei mistici, passando dal nulla al tutto. Aveva ragione Karl Rahner, di dire: «Il cristianesimo del futuro, o sarà mistico, o non sarà». Padre Pio e Madre Teresa sono la risposta a questo segno dei tempi. Non dobbiamo «sprecare» i santi, riducendoli a distributori di grazie, o di buoni esempi.

* * *



S. Giovanni dell Croce. La notte oscura

NOTTE OSCURA

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/e/e3/JohnCross.jpg

1. In una notte oscura,
Soffrendo affanni, in amori infiammata,
- O felice ventura! -
Uscii inosservata,
Che la mia casa s’era già quietata;

2. Entro il buio, e sicura,
Per la segreta scala camuffata,
- O felice ventura! -
Entro il buio, e occultata,
Che la mia casa s’era già quietata;

3. Nella notte gioiosa,
In segreto - nessuno mi vedeva
Né io guardavo cosa -
Senz’altra luce e guida
Aparte quella che nel cuore ardeva.

4. Questa più certamente
Che meridiana luce mi guidava,
Là dove m’aspettava
Colui che ben sapevo,
In luogo in cui nessuno era presente.

5. O notte che guidasti,
O notte grata più dell’alba chiara;
O notte che legasti
Amato con amata,
Amata nell’amato trasformata!

6. Sul mio petto fiorito,
Che intatto per lui solo si serbava,
Se ne restò assopito,
Ed io lo accarezzavo,
E il ventaglio di cedri ventilava.

7. La brezza della torre,
Sciolti che avessi i suoi capelli appena,
Con la mano serena
Nel collo mi pungeva,
Ed i miei sensi tutti sospendeva.

8. Quietata, mi obliai,
Il volto reclinato sull’amato;
Tutto finì, e mi persi,
E i pensieri lasciai
In mezzo ai gigli nell’oblio sommersi.

* * * 

Benedetto XVI: Padre Pio e la Tempesta sedata.

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Sagrato della Chiesa di San Pio da PietrelcinaDomenica, 21 giugno 2009

Abbiamo appena ascoltato il Vangelo della tempesta sedata, al quale è stato accostato un breve ma incisivo testo del Libro di Giobbe, in cui Dio si rivela come il Signore del mare. Gesù minaccia il vento e ordina al mare di calmarsi, lo interpella come se esso si identificasse con il potere diabolico. In effetti, secondo quanto ci dicono la prima Lettura e il Salmo 106/107, il mare nella Bibbia è considerato un elemento minaccioso, caotico, potenzialmente distruttivo, che solo Dio, il Creatore, può dominare, governare e tacitare.
C'è però un'altra forza - una forza positiva - che muove il mondo, capace di trasformare e rinnovare le creature: la forza dell'"amore del Cristo", (2 Cor 5, 14) - come la chiama san Paolo nella Seconda Lettera ai Corinzi -: non quindi essenzialmente una forza cosmica, bensì divina, trascendente. Agisce anche sul cosmo ma, in se stesso, l'amore di Cristo è un potere "altro", e questa sua alterità trascendente, il Signore l'ha manifestata nella sua Pasqua, nella "santità" della "via" da Lui scelta per liberarci dal dominio del male, come era avvenuto per l'esodo dall'Egitto, quando aveva fatto uscire gli Ebrei attraverso le acque del Mar Rosso. "O Dio - esclama il salmista -, santa è la tua via... Sul mare la tua via, / i tuoi sentieri sulle grandi acque" (Sal 77/76, 14.20). Nel mistero pasquale, Gesù è passato attraverso l'abisso della morte, poiché Dio ha voluto così rinnovare l'universo: mediante la morte e risurrezione del suo Figlio "morto per tutti", perché tutti possano vivere "per colui che è morto e risorto per loro" (2 Cor 5, 16), e non vivano solo per se stessi.
Il gesto solenne di calmare il mare in tempesta è chiaramente segno della signoria di Cristo sulle potenze negative e induce a pensare alla sua divinità: "Chi è dunque costui - si domandano stupiti e intimoriti i discepoli -, che anche il vento e il mare gli obbediscono?" (Mc 4, 41). La loro non è ancora fede salda, si sta formando; è un misto di paura e di fiducia; l'abbandono confidente di Gesù al Padre è invece totale e puro. Perciò, per questo potere dell'amore, Egli può dormire durante la tempesta, completamente sicuro nelle braccia di Dio. Ma verrà il momento in cui anche Gesù proverà paura e angoscia: quando verrà la sua ora, sentirà su di sé tutto il peso dei peccati dell'umanità, come un'onda di piena che sta per rovesciarsi su di Lui. Quella sì, sarà una tempesta terribile, non cosmica, ma spirituale. Sarà l'ultimo, estremo assalto del male contro il Figlio di Dio.
Ma in quell'ora Gesù non dubitò del potere di Dio Padre e della sua vicinanza, anche se dovette sperimentare pienamente la distanza dell'odio dall'amore, della menzogna dalla verità, del peccato dalla grazia. Sperimentò questo dramma in se stesso in maniera lacerante, specialmente nel Getsemani, prima dell'arresto, e poi durante tutta la passione, fino alla morte in croce. In quell'ora, Gesù da una parte fu un tutt'uno con il Padre, pienamente abbandonato a Lui; dall'altra, in quanto solidale con i peccatori, fu come separato e si sentì come abbandonato da Lui.
Alcuni Santi hanno vissuto intensamente e personalmente questa esperienza di Gesù. Padre Pio da Pietrelcina è uno di loro. Un uomo semplice, di origini umili, "afferrato da Cristo" (Fil 3, 12) - come scrive di sé l'apostolo Paolo - per farne uno strumento eletto del potere perenne della sua Croce: potere di amore per le anime, di perdono e di riconciliazione, di paternità spirituale, di solidarietà fattiva con i sofferenti. Le stigmate, che lo segnarono nel corpo, lo unirono intimamente al Crocifisso-Risorto. Autentico seguace di san Francesco d'Assisi, fece propria, come il Poverello, l'esperienza dell'apostolo Paolo, così come egli la descrive nelle sue Lettere: "Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me" (Gal 2, 20); oppure: "In noi agisce la morte, in voi la vita" (2 Cor 5, 12). Questo non significa alienazione, perdita della personalità: Dio non annulla mai l'umano, ma lo trasforma con il suo Spirito e lo orienta al servizio del suo disegno di salvezza. Padre Pio conservò i propri doni naturali, e anche il proprio temperamento, ma offrì ogni cosa a Dio, che ha potuto servirsene liberamente per prolungare l'opera di Cristo: annunciare il Vangelo, rimettere i peccati e guarire i malati nel corpo e nello spirito.
Come è stato per Gesù, la vera lotta, il combattimento radicale Padre Pio ha dovuto sostenerli non contro nemici terreni, bensì contro lo spirito del male (cfr. Ef 6, 12). Le più grandi "tempeste" che lo minacciavano erano gli assalti del diavolo, dai quali egli si difese con "l'armatura di Dio", con "lo scudo della fede" e "la spada dello Spirito, che è la parola di Dio" (Ef 6, 11.16.17). Rimanendo unito a Gesù, egli ha avuto sempre di mira la profondità del dramma umano, e per questo si è offerto e ha offerto le sue tante sofferenze, ed ha saputo spendersi per la cura ed il sollievo dei malati, segno privilegiato della misericordia di Dio, del suo Regno che viene, anzi, che è già nel mondo, della vittoria dell'amore e della vita sul peccato e sulla morte. Guidare le anime e alleviare la sofferenza: così si può riassumere la missione di san Pio da Pietrelcina, come ebbe a dire di lui anche il servo di Dio, il Papa Paolo VI: "Era un uomo di preghiera e di sofferenza" (Ai Padri Capitolari Cappuccini, 20 febbraio 1971).
Cari amici, Frati Minori Cappuccini, membri dei Gruppi di preghiera e fedeli tutti di San Giovanni Rotondo, voi siete gli eredi di Padre Pio e l'eredità che vi ha lasciato è la santità. In una sua lettera scrive: "Sembra che Gesù non abbia altra cura per le mani se non quella di santificare l'anima vostra" (Epist. II, p. 155). Questa era sempre la sua prima preoccupazione, la sua ansia sacerdotale e paterna: che le persone ritornassero a Dio, che potessero sperimentare la sua misericordia e, interiormente rinnovate, riscoprissero la bellezza e la gioia di essere cristiani, di vivere in comunione con Gesù, di appartenere alla sua Chiesa e praticare il Vangelo. Padre Pio attirava sulla via della santità con la sua stessa testimonianza, indicando con l'esempio il "binario" che ad essa conduce: la preghiera e la carità.
Prima di tutto la preghiera. Come tutti i grandi uomini di Dio, Padre Pio era diventato lui stesso preghiera, anima e corpo. Le sue giornate erano un rosario vissuto, cioè una continua meditazione e assimilazione dei misteri di Cristo in unione spirituale con la Vergine Maria. Si spiega così la singolare compresenza in lui di doni soprannaturali e di concretezza umana.
E tutto aveva il suo culmine nella celebrazione della santa Messa: lì egli si univa pienamente al Signore morto e risorto. Dalla preghiera, come da fonte sempre viva, sgorgava la carità. L'amore che egli portava nel cuore e trasmetteva agli altri era pieno di tenerezza, sempre attento alle situazioni reali delle persone e delle famiglie. Specialmente verso i malati e i sofferenti nutriva la predilezione del Cuore di Cristo, e proprio da questa ha preso origine e forma il progetto di una grande opera dedicata al "sollievo della sofferenza". Non si può capire né interpretare adeguatamente tale istituzione se la si scinde dalla sua fonte ispiratrice, che è la carità evangelica, animata a sua volta dalla preghiera.
Tutto questo, carissimi, Padre Pio ripropone oggi alla nostra attenzione. I rischi dell'attivismo e della secolarizzazione sono sempre presenti; perciò la mia visita ha anche lo scopo di confermarvi nella fedeltà alla missione ereditata dal vostro amatissimo Padre. Molti di voi, religiosi, religiose e laici, siete talmente presi dalle mille incombenze richieste dal servizio ai pellegrini, oppure ai malati nell'ospedale, da correre il rischio di trascurare la cosa veramente necessaria: ascoltare Cristo per compiere la volontà di Dio. Quando vi accorgete che siete vicini a correre questo rischio, guardate a Padre Pio: al suo esempio, alle sue sofferenze; e invocate la sua intercessione, perché vi ottenga dal Signore la luce e la forza di cui avete bisogno per proseguire la sua stessa missione intrisa di amore per Dio e di carità fraterna. E dal cielo continui egli ad esercitare quella squisita paternità spirituale che lo ha contraddistinto durante l'esistenza terrena; continui ad accompagnare i suoi confratelli, i suoi figli spirituali e l'intera opera che ha iniziato. Insieme a san Francesco, e alla Madonna, che ha tanto amato e fatto amare in questo mondo, vegli su voi tutti e sempre vi protegga. Ed allora, anche nelle tempeste che possono alzarsi improvvise, potrete sperimentare il soffio dello Spirito Santo che è più forte di ogni vento contrario e spinge la barca della Chiesa ed ognuno di noi. Ecco perché dobbiamo vivere sempre nella serenità e coltivare nel cuore la gioia rendendo grazie al Signore. "Il suo amore è per sempre" (Salmo resp.). Amen!