giovedì 2 febbraio 2012

2 Febbraio: Presentazione del Signore - Commenti al Vangelo





Una fiamma squarcerà delle tenebre eterne.

Charles Peguy




Dal Vangelo secondo Luca 2,22-40.


Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore; e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore. Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d'Israele; lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, lo prese tra le braccia e benedisse Dio: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele». Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima». C'era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui. 


IL COMMENTO


Siamo figli della Pasqua, e per questo primogeniti. La Festa di oggi ci svela la nostra identità, e in essa è illuminata la nostra vita, il senso di tutto quanto ci accade: "Quando tuo figlio domani ti chiederà: Che significa ciò?, tu gli risponderai: Con braccio potente il Signore ci ha fatti uscire dall'Egitto, dalla condizione servile. Poiché il Faraone si ostinava a non lasciarci partire, il Signore ha ucciso ogni primogenito nel paese d'Egitto, i primogeniti degli uomini e i primogeniti del bestiame. Per questo io sacrifico al Signore ogni primo frutto del seno materno, se di sesso maschile e riscatto ogni primogenito dei miei figli. Questo sarà un segnosulla tua mano, sarà un ornamento tra i tuoi occhi, per ricordare che con braccio potente il Signore ci ha fatti uscire dall'Egitto" (Es, 13). Queste parole consegnate dal Signore a Mosè sono la risposta ad ogni "domani" sorto nella storia di Israele prima e della Chiesa poi; il "domani" sorto dalla notte di Pasqua, il seno benedetto di Israele, il fonte battesimale dal quale ciascuno di noi è rinato ad una vita nuova. I primogeniti sono la primizia dell'opera di Dio, il segno di contraddizione per il mondo, perchè siano svelati i pensieri dei cuori, e risplenda sulla terra la Verità che il demonio tenta di occultare tenendo in schiavitù l'umanità, come Il faraone ostinato non voleva lasciar partire il Popolo di Israele. Sui primogeniti riverbera la luce che brilla sul volto di Cristo: "E Dio che disse: Rifulga la luce dalle tenebre,rifulse nei nostri cuoriper far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulse sul volto di Cristo" (2 Cor. 4, 6). Le nostre storie nel susseguirsi di ogni secondo ci sono date perchè possa rifulgere in esse la luce di Pasqua, la risposta divina al mistero del dolore dell'uomo. 


Ecco, ciascuno di noi è la risposta che Dio rivela all'umanità, il segno del suo amore nascosto tra le lacrime che bagnano la storia. Quanti "che significa ciò?" intorno e dentro di noi! "Che significa tutto questo?": questa mia storia senza capo né coda; questa malattia che s'è portata via mia madre a soli quarant'anni; questo incidente che mi ha strappato mio figlio mentre si affacciava alla vita; questa crisi economica che dissangua la mia famiglia; il tradimento di mio marito; il terremoto che ha azzerato la vita di migliaia di persone lasciandole senza più passato né futuro, gettate in un presente vuoto, e neanche una tomba dove piangere padri e figli; questa depressione che mi inchioda in casa; la bulimia di mia figlia, impazzita dietro a facebook e alle diete; e le ingiustizie patite, il dolore innocente, le guerre, il male. "Che significa ciò?", non comprendo... E la tristezza soffoca i giorni nella delusione e nel disincanto, l'ira strattona lingua e mani, e la violenza sgorga indomita a macchiare indelebilmente relazioni e sentimenti. 


"Tu gli risponderai: Con braccio potente il Signore ci ha fatti uscire dall'Egitto, dalla condizione servile": Dio ha fatto uscire dalla tomba suo Figlio, ha vinto il male, il peccato e la morte. Tu gli risponderai con la tua vita, crocifissa con Cristo e con Lui risuscitata. La Chiesa è il segno del braccio potente del Signore, capace di liberare dalla condizione servile nei confronti del demonio, dalla schiavitù alla paura della morte. La nostra vita è stata riscatta da Cristo, come una primizia per ogni uomo. In Lui, ciascuno di noi è primogenito della libertà e siamo chiamati a vivere in ogni evento il suo stesso mistero pasquale: "Siamo infatti tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo esposti alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù sia manifesta nella nostra carne mortale. Di modo che in noi opera la morte, ma in voi la vita" (2 Cor. 4,8 ss). Ecco la risposta di Dio, i primogeniti offerti in sacrificio perchè nel mondo operi la vita


Quel "tu gli risponderai" giunge oggi diritto al cuore di ciascuno di noi; quel "tu" si fa "io" nel mistero che oggi celebriamo. Gesù, un bambino di appena quaranta giorni, è condotto al Tempio per essere offerto al Signore. Il Figlio di Dio, apparso per pura grazia nel seno della Vergine Maria, è ufficialmente e pubblicamente consegnato a suo Padre. Dio gioca a carte scoperte, sin dall'inizio. Alla luce di quanto Maria e Giuseppe compiono nel brano odierno, si comprendono le parole di Gesù dodicenne ritrovato tra i dottori nel Tempio: "Devo occuparmi delle cose del Padre mio". Gesù è il primogenito perfetto sacro al Signore, tutta la sua vita sarà un cammino verso il compimento della missione affidatagli. Non si lascerà attirare dalle sirene della carne e non temerà di dire più volte a sua Madre: "Donna, che ho a che fare con te?"; scapperà dalle lusinghe del successo perchè incamminato "decisamente" sulla via del Calvario; Gesù è il primogenito sacro al Signore, in Lui deve risplendere la Luce della Vita nelle tenebre della morte: nulla lo può distogliere, neanche sua Madre, neanche Pietro e gli altri apostoli. 


Così è per ciascuno di noi. Per un'insondabile condiscendenza del cuore di Dio siamo stati eletti ad essere primogeniti della nuova creazione, apostoli del Cielo, missionari dell'amore infinito di Dio. Siamo stati presentati al Tempio, la vita non ci appartiene. Essa è la risposta di Dio a chi ci è vicino, a chi soffre senza essere capace di dare un senso al suo dolore. Per questo è necessario tutto quello che ci accade, ogni istante della nostra vita è prezioso, un candelabro acceso posto sull'altare della storia. Nulla è a caso, tutto è per mostrare al mondo il braccio potente del Signore, il suo amore infinito che ha ragione di ogni male. Per questo il male deve raggiungerci, ghermirci, portarci in Egitto. Secondo i rabbini, la schiavitù in Egitto è stata causata dalla malvagità dei fratelli di Giuseppe che lo hanno venduto per invidia. Il midràsh ci spiega che il prezzo del riscatto dei primogeniti fu fissato dalla Torà in base al denaro ricevuto dai fratelli per la vendita di Giuseppe: "E vendettero Giuseppe per 20 denari (Gen. 37, 28) Disse il Santo Benedetto Egli Sia: voi vendete il figlio di Rachele per 20 pezzi d’argento, che corrisponde al prezzo di cinque Selaìm; perciò ciascuno di voi dovrà dare per il riscatto di suo figlio cinque Selaìm" (Ber. Rabbà 84, 18). La sapienza di Israele vede dunque nell'offerta dei primogeniti un legame stretto con il peccato compiuto dai figli di Giacobbe nei confronti del loro fratello. I primogeniti divengono così il segno del riscatto di Giuseppe: il braccio potente del Signore rivela la sua misericordia che perdona riscattando i discendenti di Giacobbe caduti in schiavitù. Gesù, come Giuseppe, è stato venduto per poche monete, e così crocifisso, ucciso e sepolto nella tomba. Ma Dio lo ha riscattato dalla morte, primogenito di molti fratelli, il segno checontraddice per sempre il peccato e la morte. In Lui risplende la misericordia di Dio che non ha lasciato che i suoi figli rimanessero a marcire nel dolore e nella morte eternamente e senza risposta. Scrive Benedetto XVI che “l’ingiustizia, il male come realtà non può semplicemente essere ignorato, lasciato stare. Deve essere smaltito, vinto. Questa è la vera misericordia. E che ora, poiché gli uomini non ne sono in grado, lo faccia Dio stesso – questa è la bontà incondizionata di Dio” (J. Ratzinger - Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, II Parte, pp. 151).


Così l'offerta della nostra vita che segna la nostra primogenitura è il sigillo della sua misericordia che Dio pone in questa generazione. Siamo la prova e la memoria del suo amore, perchè ogni uomo che giace in Egitto possa ricominciare a sperare e la sua speranza non sia delusa. La parola ebraica che definisce il "primogenito", o  "bekhor" deriva dal radicale bkr che significa "portare frutti primaticci, conferire il diritto di primogenitura, essere nato come primogenito, partorire un primogenito". Siamo chiamati a portare i frutti primaticci dello Spirito Santo, l'amore capace di lasciarsi crocifiggere, i segni della fede adulta operante in noi. In un'omelia per il Venerdì Santo, per spiegare la missione dei cristiani, il Padre Cantalamessa esponeva un esempio eloquente: "Cosa si fa per assicurare qualcuno che una certa bevanda non contiene veleno? La si beve prima di lui, davanti a lui! Così ha fatto Dio con gli uomini. Egli ha bevuto il calice amaro della passione. Non può essere dunque avvelenato il dolore umano, non può essere solo negatività, perdita, assurdo, se Dio stesso ha scelto di assaporarlo. In fondo al calice ci deve essere una perla. E questa perla è la risurrezione!". Ciascuno di noi ha conosciuto questa perla nell'esperienza della sua vita. E' la perla che dà sostanza alla primogenitura. E' Cristo stesso, e con Lui possiamo bere ogni giorno il calice amaro della passione che siamo chiamati a vivere. E mostrare al mondo che si può bere anche il veleno, perchè in Cristo, nulla può danneggiare! Secondo il midrash il compito più importante assegnato al primogenito fin dai tempi di Abramo fu di certo quello di esercitare il culto sacerdotale (Ber. Rabbà 63, 18). La nostra vita di primogeniti è dunque una liturgia da servire come sacerdoti santi: "L’unzione nel Battesimo e nella Confermazione è un’unzione che introduce in questo ministero sacerdotale per l’umanità. I cristiani sono popolo sacerdotale per il mondo. I cristiani dovrebbero rendere visibile al mondo il Dio vivente, testimoniarlo e condurre a lui. Quando parliamo di questo nostro comune incarico, in quanto siamo battezzati, ciò non è una ragione per farne un vanto. È una domanda che, insieme, ci dà gioia e ci inquieta: siamo veramente il santuario di Dio nel mondo e per il mondo? Apriamo agli uomini l’accesso a Dio o piuttosto lo nascondiamo? Non siamo forse noi – popolo di Dio – diventati in gran parte un popolo dell’incredulità e della lontananza da Dio? Non è forse vero che l’Occidente, i Paesi centrali del cristianesimo sono stanchi della loro fede e, annoiati della propria storia e cultura, non vogliono più conoscere la fede in Gesù Cristo? Abbiamo motivo di gridare in quest’ora a Dio: Non permettere che diventiamo un non-popolo! Fa’ che ti riconosciamo di nuovo! Infatti, ci hai unti con il tuo amore, hai posto il tuo Spirito Santo su di noi. Fa’ che la forza del tuo Spirito diventi nuovamente efficace in noi, affinché con gioia testimoniamo il tuo messaggio!" (Benedetto XVI).


Oggi questa forza dello Spirito viene ancora una volta in aiuto alla nostra debolezza. E' vero, abbiamo questo tesoro in vasi di creta, ma è bene che sia così perchè appaia chiaramente l'opera di Dio che può compiersi in chiunque. Come si è compiuta in Shahbaz Bhatti, l'uomo politico indiano ucciso recentemente per la sua fede. Nel suo testamento scriveva: “Mi sono state proposte alte cariche al governo e mi è stato chiesto di abbandonare la mia battaglia, ma io ho sempre rifiutato, persino a rischio della mia stessa vita. Non voglio popolarità, non voglio posizioni di potere. Voglio solo un posto ai piedi di Gesù. Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino per me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo. Tale desiderio è così forte in me che mi considererei privilegiato qualora, in questo mio sforzo e in questa mia battaglia per aiutare i bisognosi, i poveri, i cristiani perseguitati del mio paese, Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita. Voglio vivere per Cristo e per Lui voglio morire”.




Un altro commento


"La fede che più amo, dice Dio, è la speranza. Questa piccola speranza che sembra una cosina da nulla. Questa speranza bambina. Immortale" (Charles Peguy). Al fondo d'ogni nostro cuore grida un'attesa. Tra i mulinelli d'una vita angosciata da mille problemi s'alza prepotente il desiderio d'essere salvati. Strappati a un'esistenza che spesso sembra non appartenerci. I soldi, i figli, il lavoro, le stesse vacanze. E la salute, così precaria. Eppure, dentro, una certezza sigillata, insopprimibile: vedremo il Messia. Questa vita ci è data per qualcosa di più. Di molto più Grande. Siamo nati per Lui. Ogni istante della nostra vita, ogni istante in fila sino a questo che stiamo vivendo ora, ogni istante è una traccia di Lui.


Oggi festeggiamo la Presentazione al Tempio del Signore. L'offerta della Sua vita, primogenito d'una moltitudine immensa, al Padre che lo ha generato. Oggi il Signore è offerto a Dio, presentato al Tempio come la primizia d'una nuova creazione. E, nel Padre, è presentato a noi, Suo Tempio vivo, è consegnato alle nostre vite e alle nostre ore. Ed è segno di contraddizione, perchè sia svelata la verità di tante menzogne, e gli inganni, le ferite e i veleni, la radice infetta dell'inganno demoniaco. Lui per noi attraverso le mani di Maria, Madre Sua e Madre nostra, la dolcissima Chiesa che ci ama e ci cura con tenerezza ineffabile.


Oggi Dio si fa carne consegnata alla nostra carne perchè sia redenta. Il grido e l'attesa oggi s'incontrano con la risposta. L'unica, la definitiva. Siamo salvi, in Lui ogni brandello di vita passata, le aride ossa disseminate senza più speranza in un deserto di ore buttate a servire idoli falsi e muti, ogni cosa di noi oggi, in Lui, è salvata. Riconciliata. Ogni pezzo di vita ritrova il suo posto, la luce della Sua misericordia ci ricrea uomini, persone, e tutto di noi riacquista valore. La nostra vita è oggi risorta e appare come un prodigio. Ora possiamo andare in pace, la verità delle nostre contraddizioni pacificate in un Bimbo che è Dio e ci consegna la Sua misericordia. Oggi, e sempre, tra le nostre mani, la Vita e l'amore infinito di Dio. I nostri occhi vedono la salvezza preparata da sempre per noi. Per ogni uomo.


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 COMMENTO DELLA CONGREGAZIONE PER IL CLERO

La luce negli occhi e la spada nel cuore: con queste due immagini si riassume l’odierna festa liturgica e, in realtà, lo stesso status di vita di chi crede in Cristo e lo segue giorno dopo giorno.
La luce è innanzitutto Lui, il Signore Gesù, «luce per rivelare Dio alle genti e gloria del popolo di Israele», come attesta l’anziano Simeone nel tempio. La luce è anche quella del segno liturgico delle candele accese, con le quali si entra processionalmente in chiesa, prima dell’inizio della Santa Messa della festa.
La spada nel cuore è, chiaramente, quella che lo stesso Simeone annunzia a Maria come destino suo proprio: la partecipazione alla Passione del Figlio, non nella forma cruenta del martirio di crocifissione, bensì in quella incruenta, ma non meno dolorosa, del martirio dell’anima.
È stato scritto che quello di Simeone è il secondo annuncio ricevuto da Maria, dopo quello dell’arcangelo Gabriele. In questo veniva annunziata alla Vergine Figlia di Sion la sua vocazione ad essere la Madre di Dio: un annuncio eminentemente gioioso, per quanto sorprendente. Il secondo annuncio a Maria – quello dell’anziano profeta – riguarda il modo concreto in cui la Tutta Santa avrebbe dovuto vivere tale ineguagliabile vocazione: attraverso la lacerazione dolorosa del suo Cuore Immacolato.
In Maria si verifica così la permanente compresenza della gioia e del dolore. Anche in questo, Ella è l’immagine più somigliante alla perfezione di Cristo: il Signore Gesù, infatti, è venuto a offrirsi in Sacrificio di espiazione per noi peccatori.
La Sua kenosi implica la più indicibile sofferenza. Nonostante ciò, Gesù ha detto: «Ora questa mia gioia è piena» (Gv 3,29); «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi» (Gv 15,11); «Ma ora io vengo a te [Padre] e dico questo mentre sono nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia» (Gv 17,13). La gioia di Gesù coincide con la sua Passione: il Crocifisso sorride pur nel più crudele dei martirî, perché sa che dalla Sua sofferenza proviene la nostra salvezza.
Maria segue il Suo Figlio sulla via della croce: non soffre nel corpo, come Lui, ma vive il più aspro patimento dell’anima. È la Virgo dolorosa, efficacemente rappresentata con sette spade che trafiggono il Suo Cuore: sette, numero che esprime la perfezione, come perfetto fu il Suo dolore.
Maria rimane così anche come permanente ideale di ognuno di noi. Il cristianesimo, quando è vissuto sul serio, implica sempre – in questa vita – la fusione di gioia e dolore, di luce e di croce. Nel cuore dei santi è sempre conficcata la spada della Passione, e proprio per questo nei loro occhi rifulge sempre una luce ineffabile, inestinguibile, viva, zelante e serena: la luce della fede, la luce dell’amore per Cristo e per i fratelli. Tale fiamma resta accesa perché alimentata dallo zampillo del cuore, mantenuto aperto dalla spada del dolore offerto per amore.

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APPROFONDIRE



Benedetto XVI. Primogenito tra molti fratelli
Omelia nella notte di Natale del 2010


Nel linguaggio formatosi nella Sacra Scrittura dell’Antica Alleanza, "primogenito" non significa il primo di una serie di altri figli. La parola "primogenito" è un titolo d’onore, indipendentemente dalla questione se poi seguono altri fratelli e sorelle o no. Così, nel Libro dell’Esodo (Es 4,22), Israele viene chiamato da Dio "il mio figlio primogenito", e con ciò si esprime la sua elezione, la sua dignità unica, l’amore particolare di Dio Padre. La Chiesa nascente sapeva che in Gesù questa parola aveva ricevuto una nuova profondità; che in Lui sono riassunte le promesse fatte ad Israele. Così la Lettera agli Ebrei chiama Gesù "il primogenito" semplicemente per qualificarLo, dopo le preparazioni nell’Antico Testamento, come il Figlio che Dio manda nel mondo (cfr Eb 1,5-7). Il primogenito appartiene in modo particolare a Dio, e per questo egli – come in molte religioni – doveva essere in modo particolare consegnato a Dio ed essere riscattato mediante un sacrificio sostitutivo, come san Luca racconta nell’episodio della presentazione di Gesù al tempio. Il primogenito appartiene a Dio in modo particolare, è, per così dire, destinato al sacrificio. Nel sacrificio di Gesù sulla croce, la destinazione del primogenito si compie in modo unico. In se stesso, Egli offre l’umanità a Dio e unisce uomo e Dio in modo tale che Dio sia tutto in tutti. Paolo, nelle Lettere ai Colossesi e agli Efesini, ha ampliato ed approfondito l’idea di Gesù come primogenito: Gesù, ci dicono tali Lettere, è il Primogenito della creazione – il vero archetipo dell’uomo secondo cui Dio ha formato la creatura uomo. L’uomo può essere immagine di Dio, perché Gesù è Dio e Uomo, la vera immagine di Dio e dell’uomo. Egli è il primogenito dei morti, ci dicono inoltre queste Lettere. Nella Risurrezione, Egli ha sfondato il muro della morte per tutti noi. Ha aperto all’uomo la dimensione della vita eterna nella comunione con Dio. Infine, ci viene detto: Egli è il primogenito di molti fratelli. Sì, ora Egli è tuttavia il primo di una serie di fratelli, il primo, cioè, che inaugura per noi l’essere in comunione con Dio. Egli crea la vera fratellanza – non la fratellanza, deturpata dal peccato, di Caino ed Abele, di Romolo e Remo, ma la fratellanza nuova in cui siamo la famiglia stessa di Dio. Questa nuova famiglia di Dio inizia nel momento in cui Maria avvolge il "primogenito" in fasce e lo pone nella mangiatoia. Preghiamolo: Signore Gesù, tu che hai voluto nascere come primo di molti fratelli, donaci la vera fratellanza. Aiutaci perché diventiamo simili a te. Aiutaci a riconoscere nell’altro che ha bisogno di me, in coloro che soffrono o che sono abbandonati, in tutti gli uomini, il tuo volto, ed a vivere insieme con te come fratelli e sorelle per diventare una famiglia, la tua famiglia.


Giovanni Paolo II. Segno di contraddizione
Omelia nel Mercoledì delle ceneri, 1994

 “. . . Segno di contraddizione” (Lc 2, 34).

Segno di contraddizione è la cenere che oggi la Chiesa impone sul nostro capo. Segno di contraddizione rispetto alla vita e all’immortalità per le quali l’uomo è stato creato. Il rito delle ceneri vuole dirci: “Polvere tu sei e in polvere tornerai!” (Gen 3, 19).
Noi, tuttavia, non vogliamo fuggire davanti a questo segno. Anzi, sentiamo come un intimo bisogno di riviverlo, nella liturgia del Mercoledì delle Ceneri, perché esso racchiude una fondamentale verità sull’uomo. Mediante il segno che rappresenta la sua radicale umiliazione da parte della morte, la creatura umana pronunzia le parole della penitenza ed invoca una radicale purificazione: “Riconosco la mia colpa... Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto” (Sal 51, 5-6).
“Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore” (2 Cor 5, 21).
Celebrando la liturgia delle Ceneri, anche la Chiesa ripete:
“Crea in me, o Dio un cuore puro, 
rinnova in me uno spirito saldo . . . 
Rendimi la gioia di essere salvato” (Sal 51, 12.14).
L’uomo, privato dell’innocenza e sottomesso alla morte, grida a Dio, Datore della Vita, grida a Colui che è il “Segno di contraddizione”:
contraddici la mia morte,
contraddici il mio peccato!
L’uomo invoca da Dio questo segno, e questo segno gli è dato (cf. Is 7, 14) in Gesù Cristo


Beato Guerrico d'Igny (circa 1080-1157), abate cistercense
1a omelia per la Purificazione, 3-5 ; SC 166, p.313s


« Luce per illuminare le genti »


Mi rallegro con te e ti benedico, o piena di grazia ; hai dato alla luce la Misericordia che è venuta su di noi. Hai preparato tu questo cero che ricevo oggi nelle mani [nella liturgia di questa festa]. Hai dato tu la cera a questa fiamma...quando, Madre senza corruzione, hai vestito di una carne senza corruzione il Verbo incorruttibile.


Fratelli, andiamo ! Oggi questo cero brucia nelle mani di Simeone. Venite a prendervi la luce, venite a accendervi i vostri ceri, voglio dire queste lampade che il Signore vuole che teniate nelle mani. « Guardate a lui e sarete raggianti » (Sal 33, 6). Non tanto per portare in mano delle fiaccole, quanto per essere voi stessi fiaccole che brillano dentro e fuori, per il bene vostro e per quello degli altri : ... Gesù accenderà la vostra fede, farà brillare il vostro esempio, vi suggerirà la parola giusta, infiammerà la vostra preghiera, purificherà la vostra intenzione...


E per te, che possiedi dentro di te tante lampade accese, quando si spegnerà la lampada di questa vita, sorgerà la luce di quella vita che non si può spegnere. Sarà per te, di sera, come il sorgere della luce di mezzogiorno. Nel momento in cui pensavi di spegnerti, sorgerai come la stella del mattino (Gb 11, 17) e le tue tenebre saranno come il sole meridiano (Is 38, 10). Il sole non sarà più la tua luce di giorno, né ti illuminerà più il chiarore della luna. Ma il Signore sarà per te luce eterna (Is 60, 19), perché la lampada della nuova Gerusalemme è l'Agnello (Ap 21, 23). A lui sia benedizione e splendore per i secoli ! Amen.



Adamo di Perseigne ( ?-1221), abate cistercense 
Discorso 4 per la Purificazione

«Ecco il Signore Dio, viene con potenza; viene a illuminare il nostro sguardo» (cfr Is, 35,4-5)  

        Il Padre di ogni luce (Gc 1,17) invita i figli della luce (Lc 16,8) a celebrare questa festa di luce: «Guardate a lui e sarete raggianti» dice il Salmo (34,6). Infatti, «colui che abita una luce inaccessibile» (1Tm 6,16) si è degnato di rendersi accessibile; si è abbassato nel velo della carne affinché il debole e il povero possano salire fino a lui. Quale cascata di misericordia! «Abbassò i cieli» cioè le altezze della divinità, «e discese» incarnandosi e una «fosca caligine era sotto i suoi piedi» (Sal 18,10). ...

        Oscurità necessaria per ridarci la luce! La luce vera si è nascosta sotto la nube della carne (cf Es 13,21), nube oscura per la somiglianza con «la nostra condizione umana di peccatori» (Rm 8,3)... Poiché la vera Luce si è nascosto nella carne noi, esseri di carne, avviciniamoci al Verbo fatto carne... per imparare a passare poco a poco dalla carne allo spirito. Avviciniamoci ora, dato che oggi un nuovo sole brilla più del solito. Finora era rinchiuso a Betlemme in un'angusta mangiatoia e conosciuto da ben pochi, ma ora a Gerusalemme è presentato a tanta gente nel Tempio del Signore... Oggi il Sole si espande ad irradiare il mondo intero...

        Se solo l'anima mia potesse bruciare del desiderio che infiammava Simeone, affinché io meriti d'essere portatore di una così grande luce! Tuttavia, se prima l'anima non è stata purificata dai suoi peccati, non potrà andare «incontro al Signore tra le nuvole» della vera libertà (1 Ts 4,17)... Solo allora potrà rallegrarsi con Simeone della vera luce e, come lui, andarsene in pace.  


Alexander Schmemann. L'incontro tra Gesù e Simeone.


L’immagine del vecchio uomo che tiene il bambino tra le sue braccia è suggestiva e bellissima. C’è forse qualcosa al mondo di più gioioso di un incontro con qualcuno che si ama? In questa prospettiva vivere è un attesa, un protendersi verso questo incontro. Simeone non è forse un simbolo anticipatore di questo? Non è forse la sua vita simbolo dell’attesa? Questo vecchio uomo ha speso tutta la sua vita nell’attesa della luce che illumina ogni uomo che ricolma tutto con la sua gioia. E quanto inatteso, quanto inaspettato, quando bene indicibile sopraggiunge a Simeone attraverso questo bambino. Possiamo immaginare le mani tremanti di questo vecchio che accoglie tra le sue braccia un bambino di quaranta giorni con quanta più tenerezza e attenzione possibile, i suoi occhi risplendenti e la sua felice esclamazione: “ora lasciami pure andare, perché ho visto, ho stretto tra le mie braccia, ho abbracciato il senso della mia vita”. Simeone attendeva. Attendeva da tutta la vita, meditando, pregando e approfondendo quello che attendeva, rendendo la sua vita una perenne vigilia di questo gioioso incontro. Non è il caso di chiedere a noi stessi cosa stiamo attendendo? Cosa il nostro cuore ci ricorda con più insistenza? La mia vita si sta gradualmente trasformando in questa attesa di incontro con l’essenziale? In questa festa la vita umana si rivela come affascinante bellezza di un’anima matura, continuamente liberata e arricchita. Non c’è paura, nulla è sconosciuto, tutto è pace, rendimento di grazie e amore. L’Incontro del Signore celebra l’anima che incontra l’amore, incontra colui che dona la vita e mi da la forza per trasfigurarla oggi.



L'icona della Presentazione di Gesù al Tempio



La "Presentazione di Gesù al Tempio" è una delle dodici Grandi feste bizantine. Le notizie storiche più antiche risalgono, come vediamo dal Diario di Viaggio di Egeria, al IV secolo. A Gerusalemme presso la chiesa della Resurrezione (Anastasis), 40 giorni dopo l'Epifania, veniva celebrata la memoria della festa semplicemente con un sermone che verteva sulla presentazione al Tempio di Gesù. Nella tradizione Orientale, questa rilevante festa prese il nome di "festa dell'Incontro" (Hypapànte). Soltanto tra la fine del V e gli inizi del VI secolo le Chiese orientali dell'impero bizantino fecero propria tale festività. La festa venne introdotta nella Chiesa occidentale intorno alla fine del settimo secolo, durante il pontificato di papa Sergio I, un siciliano proveniente dalla tradizione bizantina, con il titolo di "Purificatio Sanctae Marie", cioè purificazione di Maria. Solo dopo la riforma liturgica (Concilio Vaticano II), divenne una festa del Signore e prese il nome di "Presentazione di Gesù al Tempio".
La legge ebraica, contemplata nel Levitico, prevedeva che se non fossero stati compiuti i giorni della purificazione previsti per le puerpere, queste non potevano toccare alcunchè di sacro, né tantomeno potevano partecipare a funzioni sacre. "Quando una donna sarà rimasta incinta e darà alla luce un maschio, sarà immonda per sette giorni; sarà immonda come nel tempo delle sue regole. L'ottavo giorno si circonciderà il bambino. Poi essa resterà ancora trentatre giorni a purificarsi dal suo sangue; non toccherà alcuna cosa santa e non entrerà nel santuario, finché non siano compiuti i giorni della sua purificazione." (Levitico 12,1-4). Compiuti che furono i giorni della purificazione, Giuseppe condusse la sua sposa e il Bambino al tempio del Signore, così come prescriveva la legge. Molto frequentemente il modulo iconografico prevedeva la rappresentazione di Giuseppe nella posizione più esterna alla scena, volendo così mettere in evidenza il suo ruolo di protettore della Sacra Famiglia, colui che è pur sempre presente e con affetto e discrezione provvede ai bisogni della sua famiglia. Ma la famiglia di Gesù non è ricca, il povero falegname non ha i mezzi per acquistare un agnello, egli può permettersi di offrire soltanto due colombi. "Se non ha mezzi da offrire un agnello, prenderà due tortore o due colombi: uno per l'olocausto e l'altro per il sacrificio espiatorio. Il sacerdote farà il rito espiatorio per lei ed essa sarà monda". (Levitico 12,8). 
I valori teologici che caratterizzano questa festa sono molto forti, pertanto lo schema iconografico si è fin dall'inizio mantenuto abbastanza stabile. Da un lato la Beata Vergine che porge il bambino a Simeone, dall'altro il Santo vegliardo che lo riceve. Fanno contorno le figure di San Giuseppe e della profetessa Anna. L'unico elemento importante che può differenziare le icone sta nella rappresentazione di Simeone con il bambino in braccio, in altre la tensione del gesto di Simeone per prendere in braccio Gesù. In secondo piano, ma sempre al centro della scena, si intravedono gli elementi che schematizzano il concetto del Tempio: un baldacchino (ciborium), una rappresentazione del presbiterio (vima), o frequentemente una chiesa bizantina. Non è raro vedere sullo sfondo anche degli elementi architettonici esterni; si tratta di un richiamo visivo al pinnacolo su cui il diavolo portò Gesù per tentarlo. "Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio."(Matteo 4,5)
Il centro della scena è comunque sempre dominato dalla Vergine, ella simboleggia il Tempio vivente. 

Inneggiando al tuo parto 
l'universo ti canta 
qual tempio vivente, o Regina! 
Ponendo in tuo grembo dimora 
Chi tutto in sua mano contiene, il Signore, 
tutta santa ti fece e gloriosa 
e ci insegna a lodarti:
(Akathistos, XXIII Stanza)

È meraviglioso contemplare l'espressione della Madonna mentre porge Gesù a Simeone, Maria era pienamente consapevole di ciò che accadeva e fra sé meditava: "Quale nome troverò per designare Te, figlio mio? Se Ti chiamo uomo, quale appari ai miei occhi, sei al di sopra dell'uomo, Tu che hai conservato intatta la mia verginità. Ti chiamerò l'uomo perfetto? Ma so bene che la tua concezione è stata divina: nessun uomo è stato mai concepito senza l'unione nè seme come fosti tu, o senza peccato. E se ti chiamo Dio, mi meraviglio vedendoti del tutto simile a me, perché non hai nulla che ti differenzi dagli attributi degli uomini, salvo che sei stato esente dal peccato nella tua concezione e nella tua nascita. Che cosa ti darò: il mio latte o la mia lode?" (Romano il Melode, XVI, 3-4). Simeone vede la beata Vergine e le viene incontro, le chiede di poter prendere fra le braccia il Salvatore del mondo. Si china sul Bambino e dopo averlo a lungo contemplato, pieno di spirito Santo si rivolge a Maria e le profetizza: "Egli è qui per la rovina e la resurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori." (Luca 2,34-35). La tradizione iconografica attribuisce alla Madonna un mantello (maphorion) di colore rosso, per simboleggiare la grande sofferenza che unirà Maria a Cristo nei momenti della passione. "E anche a te una spada trafiggerà l'anima." (Luca 2,34-35). Il ruolo di Maria sul piano teologico è tuttavia ben presente, lo prova il colore azzurro della veste, richiamo alla luce increata di Dio. 
Vale ancora la pena osservare la centralità della figura di Maria in questa icona, Ella incarna veramente la "Lampada splendente" che porta una vera luce, apparsa a coloro che sono nelle tenebre.

Come fiaccola ardente 
per chi giace nell'ombre 
contempliamo la Vergine santa, 
che accese la luce divina 
e guida alla scienza di Dio tutti, 
splendendo alle menti 
e da ognuno è lodata col canto:
(Akathistos XXI stanza)

Il ruolo di Gesù è però solo apparentemente secondario, l'atteggiamento del Bambino è quello del "Legislatore". Cristo ha tra le mani un documento, il chirografo su cui è scritto il debito della intera umanità, in esso sono scritti i nostri peccati, e le nostre "condizioni sfavorevoli". Sarà questo il foglio che con il suo sacrificio Gesù straccerà rendendoci definitivamente liberi.

Condonare volendo 
ogni debito antico, 
fra noi, il Redentore dell'uomo 
discese e abitò di persona: 
fra noi che avevamo perduto la grazia. 
Distrusse lo scritto del debito, 
e tutti l'acclamano: Alleluia.
(Akathistos XXII stanza)

Il Cristo Bambino è vestito di bianco, come al momento della sua Trasfigurazione sul monte Tabor, Simeone è invece vestito di verde, colore simbolo della terra. Egli conferisce la potenza dello Spirito a ciò che è terrestre, facendo evolvere, come vedremo, la Legge in Amore. Il momento culmine della rappresentazione è l'istante in cui il Signore giunge fra le braccia di Simeone che simboleggia la figura veterotestamentaria. "Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d'Israele." (Luca, 2, 25). In questo momento la storia di Israele trova completamento. 
"Uno dei grandi problemi dei primi secoli fu quello della validità per i cristiani dell'Antico Testamento. Se la Legge antica è sostituita dalla nuova, certamente non se ne esige l'osservanza. E se la storia del popolo ebraico arriva al suo compimento in Cristo, perché dovrebbe ancora essere letta nelle assemblee dei fedeli? La risposta dei Padri fu decisiva per salvaguardare l'intera Scrittura. L'antico testamento rimane valido, non più però secondo la lettera, secondo la carne, ma secondo lo Spirito, nel suo senso spirituale. Questo senso nuovo è dato ai testi ebraici dalla realtà della persona di Cristo. In molte e diverse maniere, ma sempre, tutte le scritture parlano di lui: Egli è il vero pane che si offre per nutrire le anime di coloro che si cibano spiritualmente di ciò che fu scritto. Beati gli occhi, dice Origene, che scoprono la gloria del Lògos di Dio sotto l'umile apparenza della lettera." (La fede secondo le icone, T. Spidlik, M. I. Rupnik). "La sua misericordia è eterna, e proprio questa misericordia ha suscitato nelle menti degli uomini, ottenebrate dal legalismo, una contraddizione che non ha permesso di riconoscerlo come il proprio Dio." (Icone delle dodici grandi feste bizantine, Gaetano Passarelli).
Lo stesso Paolo nella lettera ai Galati ci dice: "Prima però che venisse la fede, noi eravamo rinchiusi sotto la custodia della legge, in attesa della fede che doveva essere rivelata. Così la legge è per noi come un pedagogo che ci ha condotto a Cristo, perché fossimo giustificati per la fede. Ma appena è giunta la fede, noi non siamo più sotto un pedagogo. Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. E se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa." (Galati, 3, 23-29).
La tradizione stessa sottolinea ulteriormente questo concetto; in molte icone, sull'altare raffigurato in secondo piano sono deposti un libro, o dei rotoli, simbolo delle scritture che avevano bisogno di ricevere uno spirito nuovo. 
Colpisce la rappresentazione dinamica di Simeone di alcune Icone, che lo ritraggono in tensione verso Gesù. Simeone sembra correre, o precipitarsi verso il Bambino, contrariamente allo schema classico di composizione che privilegia la staticità dei soggetti come simbolo della perfezione divina. Analizzando con attenzione altri dipinti si può trovare in altri due casi una rappresentazione dinamica di "fretta": nella resurrezione di Lazzaro, sembra che Gesù si affretti per far uscire l'amico dal regno delle tenebre, simboleggiato dalla morte del corpo; nell'Icona dell'ingresso di Cristo a Gerusalemme, Gesù sembra aver fretta di restaurare il regno di Davide. Per analogia in questo caso è l'Antico Testamento che si affretta a ricevere il suo vero e autentico senso ultimo, che trova nella persona di Cristo l'autentico completamento del piano di Dio per gli uomini. Simeone ne è pienamente consapevole e sotto l'azione dello Spirito Santo, riconosce in Gesù il figlio di Dio, la Luce, la Salvezza promessa da Dio agli uomini e dice:

Ora lascia, o Signore, che il tuo servo 
vada in pace secondo la tua parola; 
perché i miei occhi han visto la tua salvezza, 
preparata da te davanti a tutti i popoli, 
luce per illuminare le genti 
e gloria del tuo popolo Israele.
(Luca 2,29-32)

Fra Gesù e Simeone si stabilisce uno sguardo di incredibile tenerezza, meravigliose sono le parole che Romano il Melode mette in bocca a Gesù: "Amico mio, ora permetto che tu lasci questo mondo per il soggiorno eterno. Ti invio là dove si trovano Mosè e gli altri profeti: annuncia loro che sono venuto, io di cui hanno parlato nelle loro profezie: sono nato da una vergine, come hanno predetto; sono apparso a coloro che abitano il mondo ed ho vissuto tra gli uomini come hanno annunziato. Presto verrò a trovarti riscattando l'umanità." I Vangeli apocrifi, in particolar modo quello di Nicodemo, riferiscono che Simeone, in effetti, assolse al compito di precursore che Gesù gli aveva affidato fra i giusti che attendevano negli inferi: "E mentre tutti esultavano nella luce che splendette per noi, sopraggiunse il nostro padre Simeone e disse esultante: "Glorificate il Signore Gesù Cristo Figlio di Dio, giacché, quando nacque il Bambino, io nel Tempio lo ricevetti tra le mie mani e, spinto dallo Spirito Santo, confessai e dissi: ora i miei occhi hanno visto la tua salvezza che hai il preparato al cospetto di tutti popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele". Tutta la moltitudine dei santi, udendo questo, esultava ancora di più."
Gesù si è incarnato ed è apparso all'uomo per attirarlo a sé. Il Signore onnipotente è venuto in noi come umile servitore perché l'uomo rimanesse meravigliato di fronte alla Sua infinita grandezza accorgendosi della sua fragilità e della sua impurità, e come Simeone "correndo" dal Redentore e stringendolo a sé potesse rinascere nello Spirito sperimentandone così pienamente tutta la Sua confidenza. 

Si stupirono gli Angeli 
per l'evento sublime 
della tua Incarnazione divina: 
ché il Dio inaccessibile a tutti 
vedevano fatto accessibile, uomo, 
dimorare fra noi.
(Akathistos, XVI Stanza) 

Maria, ora come allora, è ancora al centro della scena: Ella ci porge Gesù invitandoci ad avvicinarci senza paura, esattamente come fece Simeone, sembra quasi di sentire le sue parole: "Vi invito a venire con me con totale fiducia perché io desidero farvi conoscere mio Figlio. Non abbiate paura, figli miei. Io sono con voi, sono accanto a voi. Vi mostro la strada come perdonare voi stessi, perdonare gli altri, con un pentimento sincero nel cuore, inginocchiarvi davanti al Padre. Fate sì che muoia di voi tutto ciò che vi impedisce di amare e salvare, di essere con Lui e in Lui. Decidetevi per un nuovo inizio, l'inizio dell'amore sincero di Dio stesso.".