giovedì 2 febbraio 2012

2 Febbraio: Presentazione del Signore - Approfondimenti



Benedetto XVI: Omelia nella Festa della Presentazione al Tempio del Signore - 2 Febbraio 2006

Cari fratelli e sorelle!L’odierna festa della Presentazione al tempio di Gesù, a quaranta giorni dalla sua nascita, pone davanti ai nostri occhi un momento particolare della vita della santa Famiglia: secondo la legge mosaica, il piccolo Gesù viene portato da Maria e Giuseppe nel tempio di Gerusalemme per essere offerto al Signore (cfr Lc 2,22). Simeone ed Anna, ispirati da Dio, riconoscono in quel Bambino il Messia tanto atteso e profetizzano su di Lui. Siamo in presenza di un mistero, semplice e solenne al tempo stesso, nel quale la santa Chiesa celebra Cristo, il Consacrato del Padre, primogenito della nuova umanità.
La suggestiva processione dei ceri all’inizio della nostra celebrazione ci ha fatto rivivere il maestoso ingresso, cantato nel Salmo responsoriale, di Colui che è "il re della gloria", "il Signore potente in battaglia" (Sal 23,7.8). Ma chi è il Dio potente che entra nel tempio? È un Bambino; è il Bambino Gesù, tra le braccia di sua madre, la Vergine Maria. La santa Famiglia compie quanto prescriveva la Legge: la purificazione della madre, l’offerta del primogenito a Dio e il suo riscatto mediante un sacrificio. Nella prima Lettura abbiamo ascoltato l’oracolo del profeta Malachia: "Subito entrerà nel suo tempio il Signore" (Mal 3,1). Queste parole comunicano tutta l’intensità del desiderio che ha animato l’attesa da parte del popolo ebreo nel corso dei secoli. Entra finalmente nella sua casa "l’angelo dell’alleanza" e si sottomette alla Legge: viene a Gerusalemme per entrare in atteggiamento di obbedienza nella casa di Dio.
Il significato di questo gesto acquista una prospettiva ancor più ampia nel brano della Lettera agli Ebrei, proclamato come seconda Lettura. Qui ci viene presentato Cristo, il mediatore che unisce Dio e l’uomo abolendo le distanze, eliminando ogni divisione e abbattendo ogni muro di separazione. Cristo viene come nuovo "sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo" (Eb 2,17). Notiamo così che la mediazione con Dio non si attua più nella santità-separazione del sacerdozio antico, ma nella solidarietà liberante con gli uomini. Egli inizia, ancora Bambino, a camminare sulla via dell’obbedienza, che percorrerà fino in fondo. Lo pone ben in luce la Lettera agli Ebrei: "Nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere e suppliche… a colui che poteva liberarlo da morte ... Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono" (cfr Eb 5,7-9).
La prima persona che si associa a Cristo sulla via dell’obbedienza, della fede provata e del dolore condiviso è sua madre Maria. Il testo evangelico ce la mostra nell’atto di offrire il Figlio: un’offerta incondizionata che la coinvolge in prima persona: Maria è Madre di Colui che è "gloria del suo popolo Israele" e "luce per illuminare le genti", ma anche "segno di contraddizione" (cfr Lc 2,32.34). E lei stessa, nella sua anima immacolata, dovrà essere trafitta dalla spada del dolore, mostrando così che il suo ruolo nella storia della salvezza non si esaurisce nel mistero dell’Incarnazione, ma si completa nell’amorosa e dolorosa partecipazione alla morte e alla risurrezione del Figlio suo. Portando il Figlio a Gerusalemme, la Vergine Madre lo offre a Dio come vero Agnello che toglie i peccati del mondo; lo porge a Simeone e ad Anna quale annuncio di redenzione; lo presenta a tutti come luce per un cammino sicuro sulla via della verità e dell’amore.
Le parole che in quest’incontro affiorano sulle labbra del vecchio Simeone - "I miei occhi han visto la tua salvezza" (Lc 2, 30) - trovano eco nell’animo della profetessa Anna. Queste persone giuste e pie, avvolte dalla luce di Cristo, possono contemplare nel Bambino Gesù "il conforto d’Israele" (Lc 2,25). La loro attesa si trasforma così in luce che rischiara la storia. Simeone è portatore di un’antica speranza e lo Spirito del Signore parla al suo cuore: per questo può contemplare colui che molti profeti e re avevano desiderato vedere, Cristo, luce che illumina le genti. In quel Bambino riconosce il Salvatore, ma intuisce nello Spirito che intorno a Lui si giocheranno i destini dell’umanità, e che dovrà soffrire molto da parte di quanti lo rifiuteranno; ne proclama l’identità e la missione di Messia con le parole che formano uno degli inni della Chiesa nascente, dal quale si sprigiona tutta l’esultanza comunitaria ed escatologica dell’attesa salvifica realizzata. L’entusiasmo è così grande che vivere e morire sono la stessa cosa, e la "luce" e la "gloria" diventano una rivelazione universale. Anna è "profetessa", donna saggia e pia che interpreta il senso profondo degli eventi storici e del messaggio di Dio in essi celato. Per questo può "lodare Dio" e parlare "del Bambino a tutti coloro che aspettavano la redenzione di Gerusalemme" (Lc 2, 38). La lunga vedovanza dedita al culto nel tempio, la fedeltà ai digiuni settimanali, la partecipazione all’attesa di quanti anelavano il riscatto d’Israele si concludono nell’incontro con il Bambino Gesù.
Cari fratelli e sorelle, in questa festa della Presentazione del Signore la Chiesa celebra la Giornata della Vita Consacrata. Si tratta di un’opportuna occasione per lodare il Signore e ringraziarlo del dono inestimabile che la vita consacrata nelle sue differenti forme rappresenta; è al tempo stesso uno stimolo a promuovere in tutto il popolo di Dio la conoscenza e la stima per chi è totalmente consacrato a Dio. Come, infatti, la vita di Gesù, nella sua obbedienza e dedizione al Padre, è parabola vivente del "Dio con noi", così la concreta dedizione delle persone consacrate a Dio e ai fratelli diventa segno eloquente della presenza del Regno di Dio per il mondo di oggi. Il loro modo di vivere e di operare è in grado di manifestare senza attenuazioni la piena appartenenza all’unico Signore; la loro completa consegna nelle mani di Cristo e della Chiesa è un annuncio forte e chiaro della presenza di Dio in un linguaggio comprensibile anche ai nostri contemporanei. È questo il primo servizio che la vita consacrata rende alla Chiesa e al mondo. All’interno del Popolo di Dio essi sono come sentinelle che scorgono e annunciano la vita nuova già presente nella storia.
Mi rivolgo ora in modo speciale a voi, cari fratelli e sorelle che avete abbracciato la vocazione di speciale consacrazione, per salutarvi con affetto e ringraziarvi di cuore per la vostra presenza. Un saluto speciale rivolgo a Mons. Franc Rodé, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, e ai suoi collaboratori, che concelebrano con me in questa Santa Messa. Il Signore rinnovi ogni giorno in voi e in tutte le persone consacrate la risposta gioiosa al suo amore gratuito e fedele. Cari fratelli e sorelle, come ceri accesi, irradiate sempre e in ogni luogo l’amore di Cristo, luce del mondo. Maria Santissima, la Donna consacrata, vi aiuti a vivere appieno questa vostra speciale vocazione e missione nella Chiesa per la salvezza del mondo.

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La Festa della Presentazione al tempio del Signore. Storia e liturgia. Matias Augé

La festa della Presentazione del Signore idealmente si colloca alla fine del ciclo natalizio e prelude a quello pasquale. Infatti nella presentazione al tempio Cristo è offerto e si offre come vittima sacrificale al Padre, offerta che si consumerà sulla croce. Come ricorda la prima lettura alternativa (Eb 2,14-18), Cristo è veramente sacerdote nell’offrire se stesso per i peccati del popolo. In questo mistero Maria ha un ruolo importante: la Madre offre il Figlio e insieme è offerta al Padre dal Figlio, secondo l’economia nuova della croce redentrice. Secondo la legge di Mosè ogni primogenito ebreo è chiamato “santo”, cioè proprietà del Signore e a lui consacrato quale geloso possesso. Eventualmente può essere riscattato con un’offerta sacrificale (cf. Es 13,2.12.15; Lv 12,2-6.8; 5,11). Gesù è offerto a Dio, come primogenito, e riscattato con l’offerta dei poveri. La lettura evangelica, oltre a sottolineare l’osservanza della legge da parte di Giuseppe e Maria, indica la città santa di Gerusalemme come punto di partenza della salvezza portata da Gesù. I due vecchi, Simeone e Anna, che incontrano Gesù, rappresentano il popolo di Dio in attesa della salvezza promessa. Come si dice all’inizio della benedizione delle candele, Gesù “veniva incontro al suo popolo, che l’attendeva nella fede”. Perciò in Oriente, ma anche in Occidente, la festa è stata chiamataHypapanté (= incontro).
Nel salmo responsoriale, in un crescendo di grande potenza sonora, le porte del tempio sono invitate a spalancarsi, sollevando i loro frontoni e i loro archi per accogliere il Re della Gloria che entra nel suo tempio. Il tempio è anche evocato nel brano del profeta Malachia, proposto come prima lettura: il profeta annuncia l’arrivo di un messaggero di Dio che entra nel tempio e attraverso un giudizio purificatorio, prepara un sacerdozio puro destinato a offrire a Dio l’oblazione pura e santa di Giuda e di Gerusalemme. La liturgia odierna vede in questo messaggero di Dio che entra nel tempio per purificarlo, la presentazione di Gesù al tempio di Gerusalemme e la purificazione di sua madre Maria in ossequio alla legge mosaica.
Ma Maria va al tempio soprattutto per associarsi all’offerta del Figlio. Maria e Giuseppe, presentando il Bambino, riconoscono che Gesù è “proprietà” di Dio ed entra nel piano dell’attuazione del disegno divino perché “è salvezza e luce per tutti i popoli”. Nel mistero della Presentazione Gesù comincia la sua missione nei riguardi del tempio e dell’intero popolo. Al pari dei profeti, Gesù professa per il tempio un profondo rispetto; vi si reca per le solennità come ad un luogo d’incontro con il Padre suo; ne approva le pratiche cultuali, pur condannandone lo sterile formalismo; con un gesto profetico, scaccia i mercanti dal tempio e afferma che esso è casa di preghiera. E tuttavia annuncia la rovina dello splendido edificio, di cui non rimarrà pietra su pietra. Gesù stabilisce un culto verso il Padre “in spirito e verità” (Gv 4,23), un culto non più legato al tempio o a qualsiasi altra località geografica o sacra. Si tratta del culto che Cristo compie nell’offerta della sua vita, adempimento efficace e definitivo di tutti i molteplici sacrifici e riti anticotestamentari.
Tra le orazioni della messa che meglio esprimono il messaggio delle letture bibliche che abbiamo illustrato, c’è l’orazione sulle offerte quando, rivolgendosi al Padre, ricorda che nella celebrazione eucaristica la Chiesa “ti offre il sacrificio del tuo unico Figlio, Agnello senza macchia per la vita del mondo”. Possiamo aggiungere che offrendo il sacrificio di Cristo, la Chiesa offre anche se stessa al Padre “per Cristo, con Cristo e in Cristo”.

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Presentazione del Signore. Omelia del Card. Caffarra

PRESENTAZIONE DEL SIGNORE
Cattedrale - 2 febbraio 1999


1. “Quando venne il tempo della purificazione secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore”. Con queste semplici parole l’evangelista Luca descrive il divino Mistero che stiamo celebrando. Esso consiste nell’offerta di Gesù fatta nel tempio da Maria e Giuseppe. Luca non pone tanto l’accento sulla purificazione della puerpera, di Maria, ma sull’offerta della vita di Gesù al Padre nel tempio. Ed è assai significativa la circostanza che questa offerta venga compiuta quaranta giorni dopo la nascita del Verbo nella nostra natura mortale. Per l’evangelista, “i quaranta giorni che precedono la presentazione del Bambino Gesù al Signore nel tempio sono gli stessi quaranta giorni che intercorrono fra la risurrezione e l’ascensione (cfr. At.1,3) e che precedono la presentazione definitiva del Risorto, il Cristo vivente, al Padre nel santuario celeste, nella gloria. Gesù, portato dai genitori al tempio a quaranta giorni dalla nascita, anticipa profeticamente il suo ritorno al Padre a quaranta giorni dalla risurrezione” (E.Bianchi): prefigura il suo definitivo ingresso nel santuario celeste, “procurandoci così una redenzione eterna” (Eb. 9,12).
Quest’offerta che Gesù fa di se stesso per le mani di Maria e Giuseppe, porta a compimento l’antica profezia di Malachia, che avete ascoltato nella prima lettura. Solo quando “entrerà nel tempio il Signore”, aveva già detto il profeta,sarà possibile all’uomo “offrire al Signore un’oblazione secondo giustizia”. L’offerta di Cristo rende possibile all’uomo, ad ogni uomo, l’offerta di se stesso. La parola profetica ci introduce in una verità centrale della nostra fede, particolarmente capace di illuminare il significato della nostra celebrazione. E’la seguente: ciò che è accaduto in Cristo, si ri-produce in ciascuno di noi. Non solo nel senso che ciascuno di noi deve imitare ciò che Cristo ha fatto: l’esemplarità di Cristo non significa in primo luogo un rapporto estrinseco di somiglianza o di imitazione. Si tratta del mistero della nostra chiamata ad essere in Lui. Come quando uno scultore si mette a scolpire una statua, dà forma al marmo secondo l’idea o progetto che ha in mente, così il Padre quando ci ha creati ci ha plasmati e configurati in Cristo e secondo Cristo. La sua offerta al tempio prefigura il suo sacrificio sulla croce, mediante il quale è divenuto sorgente di vita nuova. Ogni cristiano è chiamato a riprodurre in sé questo mistero. Come scrive un Padre della Chiesa, S.Massimo il Confessore: “Chi ha compreso il mistero della croce… ha compreso il significato [di tutte le creature]; chi, inoltre, è stato iniziato all’ineffabile potenza della Risurrezione, ha conosciuto lo scopo in vista del quale Dio ha creato in principio tutto” (cfr. Capita theologica et oeconomica I,66). E’ per questo che l’apostolo Paolo ci insegna: “Vi esorto, dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio: è questo il vostro culto spirituale” (Rom. 12,1).2. Questa sera la nostra Chiesa, in comunione piena con tutte le Chiesa Cattoliche, loda il Padre di ogni grazia proprio perché dall’offerta di Cristo, prefigurata nella presentazione al tempio, è fiorita l’offerta che dei loro corpi hanno fatto le vergini e i vergini: dei loro corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio. Nella vostra persona, carissimi consacrati, noi contempliamo in tutto il suo splendore ciò che celebriamo sacramentalmente nell’Eucaristia: l’amore di Cristo che dona se stesso. Assieme agli sposi cristiani, voi siete di questo amore il frutto più prezioso.
Contempliamo questa preziosità, perché salga questa sera più gioiosa la nostra lode e più sentito il nostro ringraziamento. La donazione che voi fate a Cristo di un cuore indiviso, vi rende capaci di amare ogni persona di un amore unico e pieno. Avendo messo a disposizione di Cristo la vostra persona nella forma radicale propria dei consigli evangelici, avete aperto, per così dire, dentro a questo mondo lo spazio perché l’amore di Cristo raggiunga ogni persona. E’ la Chiesa nel suo insieme, certamente, ad essere il «segno efficace» del Regno di Dio dentro a questo mondo. Ma la parte veramente santa della Chiesa, il suo nucleo soprannaturale, per così dire, è formato da quelle donne ed uomini che hanno messo la loro vita intera a disposizione del Regno di Dio, in un’attitudine di amore che prende forma nella verginità consacrata. In voi, noi vediamo la Chiesa nella sua «forma più pura»: un tentativo continuo di prolungare lungo tutti i secoli la vita apostolica, quale fu vissuta alle origini della Chiesa.
Ecco perché questa sera vogliamo dirvi semplicemente questo: come è bello, come è bene che voi ci siate! Senza di voi la Chiesa non sarebbe.
Vi ripongo tutti e ciascuno sull’altare: perché sia grande la vostra offerta. Come dice l’apostolo sia sacrificio vivente in quanto porta in sé Cristo che è la vita; sia sacrificio santo perché vi abita lo Spirito Santo; sia sacrificio gradito perché libero dai peccati e dai vizi. A misura della donazione di Cristo.

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La festa dell'Ingresso del Signore nel Tempio Beato il sacerdote che oggi offre al Padre il Figlio del Padre

di Manuel Nin
La tradizione liturgica siro-occidentale celebra come grande festa il quarantesimo giorno dopo la nascita di Cristo, a partire dal vangelo di Luca (2, 22-40). Già Egeria, nella seconda metà del iv secolo, ci parla di questa celebrazione a Gerusalemme, presso la basilica della Risurrezione e la paragona quasi alla Pasqua: cum summa laetitia ac si per Pascha. Nei secoli v e vi la festa si celebra ad Alessandria, Antiochia e Costantinopoli e alla fine del vii viene introdotta a Roma da papa Sergio 1.
In tutte le liturgie cristiane la festa del 2 febbraio è un annunzio evidente della Pasqua. Nella tradizione siro-occidentale l'Ingresso di Gesù nel tempio si celebra in un contesto di prefigurazione pasquale e viene messo in parallelo con la sua discesa agli inferi. Una delle prime preghiere dei vespri recita: "Per salvare gli uomini fatti dalla polvere, ecco che Dio scende fino allo Sheol; concede ai prigionieri la salvezza e la libertà, ai ciechi la vista, e ai muti la voce per cantare: sei benedetto Signore, Onnipotente Dio dei nostri padri".
Diversi testi dell'ufficiatura vespertina leggono allegoricamente lo stesso testo evangelico: "Tu che accetti i sacrifici e porti a compimento i misteri, tu hai, secondo la Legge, presentato un paio di tortore. Ed ecco che l'anziano Simeone seppe che tu sei il Signore dei due Testamenti, dell'Antico e del Nuovo". Simeone è paragonato, nell'accogliere e reggere il bambino, agli angeli attorno al trono di Dio: "Simeone fu un cherubino spirituale e anche un serafino; nelle sue braccia, come delle ali, tenne il Signore dei serafini e chiese a un bambino, come fosse un re, la sua liberazione".
Gli Inni di sant'Efrem cantati nell'ufficiatura della notte sottolineano diversi aspetti della teologia della festa. Simeone viene presentato allo stesso tempo come offerente e offerto, titolo che la liturgia bizantina poi darà direttamente a Cristo: "Per amore di Lui divenne grande il vecchio Simeone, al punto di poter offrire, lui, un mortale, colui che vivifica tutto. Con la forza che viene da Lui Simeone lo poté portare; proprio lui, che lo offriva, era da Lui offerto".
Ancora Efrem presenta Simeone e Anna come due nonni che cantano delle nenie al bambino. In una strofa si ritrovano il tema della discesa agli inferi e il collegamento con la Pasqua: "Nel tempio santo Simeone lo portava cantandogli una nenia: Sei venuto, o clemente, tu che hai clemenza della mia vecchiaia e fai entrare le mie ossa in pace nello Sheol. Grazie a te risusciterò dal sepolcro al paradiso". Come Adamo Simeone verrà introdotto dal Signore in paradiso.
Per Anna una delle strofe utilizza immagini fortemente sacramentali nel descrivere il suo incontro con il bambino: "Lo abbracciò Anna, e pose la propria bocca sulle sue labbra. E lo Spirito si posò sulle sue labbra, come fu con Isaia: muta era la sua bocca, ma il carbone ardente avvicinato alle sue labbra aprì la sua bocca".
Anna è quasi paragonata alla Chiesa e ai cristiani che ricevono i Santi doni. Infatti, la tradizione liturgica siro-occidentale chiama "brace" e "carbone ardente" il Corpo e il Sangue di Cristo nella celebrazione eucaristica. L'altra strofa presenta Anna che contempla nel bambino il Figlio di Dio fattosi piccolo: "Ribolliva Anna dello Spirito dalla sua bocca e gli cantò una nenia: O figlio di condizione regale, o figlio di condizione vile, in silenzio ascolti, invisibile vedi, nascosto intendi, Dio figlio d'uomo sia gloria al tuo nome".
E Simeone, toccando il bambino, viene purificato e santificato: "Beato il sacerdote che, nel santuario, ha offerto al Padre il Figlio del Padre; frutto raccolto dal nostro albero, pur provenendo interamente dalla divina maestà. Beate le sue mani, santificate dall'averlo portato, e la sua canizie, ringiovanita dall'averlo abbracciato. Nel tempio lo Spirito attendeva con ardore il suo ingresso e quando fu crocifisso uscì, strappando il velo".
L'icona della festa mette in luce l'incontro di Dio con l'uomo, manifesta il mistero dell'incarnazione e prefigura la passione, morte e risurrezione di Cristo. Diventando l'annuncio dell'altro grande incontro, quando l'uomo nuovo, Cristo, scende nell'Ade per annunciare ad Adamo la sua salvezza e la sua risurrezione.

(©L'Osservatore Romano - 1-2 febbraio 2010)

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Festa della Presentazione al Tempio di Gesù nella Liturgia Bizantina

Autore: Pagani, Roberto Curatore: Scalfi, P. Romano
Fonte: CulturaCattolica.it
Incontro del Signore, Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo
Quaranta giorni dopo la Natività, la Chiesa celebra la festa della Presentazione al Tempio di Gesù, ovvero, come è chiamata nella tradizione del cristianesimo orientale, la festa dell’Incontro del Signore. È il momento in cui si conclude il tempo natalizio, rivelando e ricapitolando il pieno significato del Natale in una sequenza di gioia pura e profonda. La festa commemora e contempla un evento riportato nell’evangelo di Luca: quaranta giorni dopo la nascita di Gesù a Betlemme, Giuseppe e Maria, secondo la pratica religiosa del tempo, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore, così come prescritto dalla legge mosaica.
Secondo Lv. 12, 2-8, la madre di un figlio maschio doveva presentarlo, quaranta giorni dopo la nascita, davanti al tabernacolo, e offrire in olocausto, come purificazione per sé, un agnello o, per i più poveri, una coppia di colombe o di tortore, che nell’icona della festa sono portate da Giuseppe, rimarcando le modeste condizioni economiche della Sacra Famiglia. La presentazione di un primogenito maschio aveva anche il significato di riscatto, perché apparteneva a Dio (Nm. 18, 14-18).
La prima delle tre letture dell’AT che si leggono nel Vespero (Es. 13, 1-6) formula i precetti relativi alla circoncisione e alla purificazione. La seconda (Is. 6, 1-12) descrive la visione di Isaia dei serafini dalle sei ali e del modo in cui uno dei serafini, con un carbone ardente, purifica le labbra del profeta. La terza, tratta dal 19 capitolo di Isaia, racconta la conversione degli egiziani al Dio di Israele, Signore degli eserciti, e può riferirsi alla rivelazione di Cristo, luce per illuminare le genti.
Abbiamo notizie di questa festa a Gerusalemme da Eteria, la pellegrina più famosa dell’antichità cristiana che visitò i Luoghi Santi verso la metà del sesto secolo; la festa era tuttavia già celebrata da circa un secolo, ad esempio ad Alessandria, dove Cirillo testimonia anche la processione con luci e fiaccole. A Costantinopoli viene spostata dal 14 al 2 febbraio da Giustiniano nel 534, mentre viene introdotta a Roma verso la fine del settimo secolo da papa Sergio, di origine siriana.
Giovanni Damasceno, nello stico del Lucernario che segue il Gloria al Padre, fa emergere alcuni temi della festa: “Il Verbo del Padre senza principio prende inizio nel tempo pur senza separarsi dalla sua divinità e, bambino di quaranta giorni, secondo la legge si lascia portare nel tempio dalla Vergine Madre. Il Vegliardo lo accoglie tra le braccia e dice: “Lascia andare il tuo servo, Signore, poiché i miei occhi hanno visto la tua salvezza!”.
Andrea di Creta, negli stichi rogazionali, ci invita a meditare sulla divina condiscendenza: “Oggi Colui che aveva dato la legge a Mosè sul monte Sinai, si sottomette ai precetti della legge, lui che per noi è divenuto come noi, nella tenerezza del suo cuore; il Dio purissimo, avendo aperto il casto seno materno come bambino santo, si offre a Se stesso, poiché è Dio, per illuminare le nostre anime liberandole dalla maledizione della legge”. “Oggi Simeone riceve tra le sue braccia il Signore della gloria che un tempo Mosè contemplò sotto la nube quando gli consegnò le tavole della legge sul monte Sinai, Colui che ha parlato attraverso i Profeti e Autore stesso della legge, Colui che ci ha annunciato Davide, temibile per tutti, ma così ricco di misericordia e d’amore”. Tutto è santificato: “La santa Vergine ha portato all’uomo santo nel santuario il bambino consacrato”. La differenza tra l’esperienza di Mosè e quella di Simeone viene ulteriormente approfondita: “Colui che aveva meritato di vedere Dio attraverso la nube e di ascoltare la sua voce nel fragore del tuono, con il volto velato, aveva rimproverato agli Ebrei l’infedeltà del loro cuore; mentre Simeone ha portato il Dio che precede i secoli, il Verbo del Padre, incarnato, e rivela la Luce delle genti, la Croce e la Risurrezione. E la profetessa Anna annuncia il Salvatore che riscatta Israele”. Colui che veniva presentato al tempio per essere riscattato, è il vero Redentore, colui che riscatta Israele, vecchio e nuovo, dal peccato.
Cosma, vescovo di Maiuma, negli stinchi conclusivi del Vespero, proietta su Maria l’immagine dell’arca dell’alleanza: “Maria, la Madre di Dio, porta sulle sue braccia Colui che è portato sul carro dei cherubini ed è esaltato nei canti dei serafini, Colui che si è incarnato in lei che non conosceva uomo, il Legislatore che adempie la prescrizione della legge, e lo consegna nelle mani del vecchio sacerdote; e questi, portando la Vita, chiede di essere sciolto dai legami della vita”. Troviamo anche una sintesi delle feste legate alla nascita di Gesù, racchiuse in un percorso che esalta la dimensione storica e reale di quanto celebrato: “Scrutate le Scritture, come nei vangeli disse il Cristo Dio nostro: in esse noi lo troviamo partorito e avvolto in fasce, allevato e allattato, circonciso e portato da Simeone, non in apparenza né come in una visione, ma apparso in verità al mondo”. Non manca il riferimento alla passione, preannunciata da Simeone a Maria: “Simeone, nell’accogliere il compimento delle promesse, benedicendo la Vergine Maria Madre di Dio, le preannuncia i segni della passione”.
Il tropario della festa canta gioiosamente: “Rallegrati, piena di grazia, Madre di Dio e Vergine: da te è sorto infatti il sole di giustizia, Cristo Dio nostro, che illumina quanti sono nelle tenebra. Esulta anche tu, giusto vegliardo, che hai portato tra le tue braccia Colui che libera le nostre anime e ci dona la risurrezione”.
La festa ha un unico canone, composto sempre da Cosma. Sono frequenti i riferimenti a salmi e profezie: “Discenda la pioggia dalle nubi perché Cristo bambino, sole portato da tenue nube, riposa nel tempio su braccia immacolate.” (Is. 45, 8 e Is. 19, 1). “Rafforzatevi, mani di Simeone indebolite dalla vecchiaia, e voi, gambe vacillanti del Vegliardo, correte incontro a Cristo” (Is. 35, 3) “O cieli, che siete stati distesi con sapienza, rallegratevi; allietati, terra, perché l’Artista, Cristo, muovendo dal seno divino, è presentato dalla Vergine Madre a Dio Padre come un bambino, lui che esiste prima di ogni cosa” (Sal 135, 5 e Sal. 95, 11).
Riecheggia il tema dell’incarnazione: “Colui che prima dei secoli è primogenito del Padre, è apparso bambino primogenito di una Vergine incorrotta, per tendere la mano ad Adamo”. “Il Dio Verbo si è fatto bambino per rialzare il primo uomo creato, divenuto bambino nella mente a causa dell’inganno”
“Simeone contempla sbigottito il Verbo eterno nella carne, portato dalla Vergine come sul trono dei cherubini, il principio di tutto fatto bambino” (Sal 79, 2), e dice a Maria: “tu porti come un trono il Dio della luce che non tramonta, il Signore della pace”, (Is. 29, 6). Sempre riprendendo la visione di Isaia, dice ancora a Maria: “tu porti il fuoco, o Pura, e io tremo nell’abbracciare questo bambino”. “Isaia fu purificato ricevendo il carbone ardente del serafino, e tu mi illumini donandomi Colui che, come con molle, mi porti tra le tue mani”. Non si può non notare anche un riferimento eucaristico in quanto il termine usato per identificare le molle, lavìs in greco, è lo stesso che identifica il cucchiaio con cui l’Eucaristia, sotto le due specie del pane e del vino, viene distribuita ai fedeli durante la Divina Liturgia.
Romano il Melode, come consuetudine, delinea nell’ikos del kontàkion le antinomie tipiche della poesia orientale, siriana in particolare: “Colui che ha creato Adamo è portato come bambino; l’infinito è racchiuso tra le braccia del vegliardo; colui che è nel seno incircoscrivibile del Padre suo, è volontariamente circoscritto in quanto alla carne, non in quanto alla divinità, lui che è l’amico degli uomini”.
Il desiderio di Simeone di essere congedato da questa vita non è da intendersi come una sorta di disimpegno: “Vado nell’Ade a portare la buona novella ad Adamo ed Eva”. Ma anche “Dio andrà sino nell’Ade per liberare la stirpe terrestre e concedere la remissione ai prigionieri”. Ecco il modo scelto da Dio per scendere negli inferi, ed è sempre Simeone che lo indica a Maria: “Anche a te, o pura, una spada trafiggerà l’anima perché vedrai tuo Figlio sulla croce”. “L’Emmanuele, nato bambino dalla Vergine, è la gloria del popolo di Israele, che canta in coro davanti all’arca divina”. “Sarà segno di contraddizione, perché è Dio e bambino”.
Sono interessantissimi i brevi tropari che si cantano nella nona e ultima ode del canone: “Quanto si compie in te, o Pura, è incomprensibile per gli angeli e i mortali”. “Volendo salvare Adamo, il Creatore ha preso dimora nel tuo grembo di Vergine pura”. “Tu guardi la terra e la fai tremare: come può un vecchio stanco tenerti tra le braccia?”. “Tu, Maria, sei le mistiche molle, perché hai concepito in seno Cristo, il carbone ardente”. (Is. 6, 6).
Nelle Lodi, anche in relazione alla luce naturale del giorno che ne accompagna normalmente il canto, il tema della luce prende il sopravvento: “Tu sei apparso come luce per illuminare le genti, Signore, assiso su una nube leggera, sole di giustizia, per dare compimento alle ombre della legge e manifestare l’inizio della nuova grazia”.
Origene, nel suo commento al Vangelo di Luca, ci dice che “Simeone non era venuto al tempio per caso, ma mosso dallo Spirito di Dio. Anche tu, se vuoi tenere in braccio Gesù e stringerlo tra le mani, se vuoi essere degno di essere liberato dalla prigione, dedica ogni sforzo per essere condotto dallo Spirito e venire al tempio di Dio. Ecco, ora tu stai nel tempio del Signore Gesù, cioè nella sua Chiesa; questo è il tempio costruito di pietre vive”.
Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, uomo dell’attesa e dello Spirito Santo, esprime se stesso e la sua spiritualità in un breve inno, il Nunc dimittis, che, per la sua serena certezza, conclude i Vesperi nel rito bizantino, così come conclude la Compieta nel rito romano.
Alexander Schmemann, uno dei più eminenti teologi russi della diaspora morto poco più di vent’anni fa in America, pronunciò questa omelia quindici giorni prima di morire: “L’immagine del vecchio uomo che tiene il bambino tra le sue braccia è suggestiva e bellissima. C’è forse qualcosa al mondo di più gioioso di un incontro con qualcuno che si ama? In questa prospettiva vivere è un attesa, un protendersi verso questo incontro. Simeone non è forse un simbolo anticipatore di questo? Non è forse la sua vita simbolo dell’attesa? Questo vecchio uomo ha speso tutta la sua vita nell’attesa della luce che illumina ogni uomo che ricolma tutto con la sua gioia. E quanto inatteso, quanto inaspettato, quando bene indicibile sopraggiunge a Simeone attraverso questo bambino. Possiamo immaginare le mani tremanti di questo vecchio che accoglie tra le sue braccia un bambino di quaranta giorni con quanta più tenerezza e attenzione possibile, i suoi occhi risplendenti e la sua felice esclamazione: “ora lasciami pure andare, perché ho visto, ho stretto tra le mie braccia, ho abbracciato il senso della mia vita”. Simeone attendeva. Attendeva da tutta la vita, meditando, pregando e approfondendo quello che attendeva, rendendo la sua vita una perenne vigilia di questo gioioso incontro. Non è il caso di chiedere a noi stessi cosa stiamo attendendo? Cosa il nostro cuore ci ricorda con più insistenza? La mia vita si sta gradualmente trasformando in questa attesa di incontro con l’essenziale? In questa festa la vita umana si rivela come affascinante bellezza di un’anima matura, continuamente liberata e arricchita. Non c’è paura, nulla è sconosciuto, tutto è pace, rendimento di grazie e amore. L’Incontro del Signore celebra l’anima che incontra l’amore, incontra colui che dona la vita e mi da la forza per trasfigurarla oggi”.