sabato 18 febbraio 2012

Alzati!


"E' tale il potere che ha la fede da rendere salvo non solo colui che crede, ma di salvare altresì altri in grazia della fede dei credenti".
S. Cirillo di Gerusalemme, Catechesi 5, 8


La Parola che ci aiuta a celebrare questa domenica, VII del Tempo Ordinario - Anno B,  preannuncia il tempo favorevole della Quaresima: una Parola piena di autorità, pronunciata da Gesù, che rimette in moto la nostra vita, sovente arenata su una barella esistenziale, attaccata dal male oscuro che blocca l’anima nella corsa gioiosa verso il bene infinito dell’amore a Dio e ai fratelli.
Buona domenica pb. Vito Valente.


Di seguito la seconda lettura dell'Ufficio di oggi, i testi del Messale, qualche commento 
e qualche testo dalla Tradizione dei Padri.

Dai «Capitoli sulla carità» di san Massimo Confessore, abate
(Centuria 1, c. 1, 45. 16-17. 23-24. 26-28. 30-40; PG 90, 962-967)
 
La carità è la migliore disposizione dell'animo, che nulla preferisce alla conoscenza di Dio. Nessuno tuttavia potrebbe mai raggiungere tale disposizione di carità, se nel suo animo fosse esclusivamente legato alle cose terrene.
Chi ama Dio, antepone la conoscenza e la scienza di lui a tutte le cose create, e ricorre continuamente a lui con il desiderio e con l'amore dell'animo.
Tutte le cose che esistono hanno Dio per autore e fine ultimo. Dio è di gran lunga più nobile di quelle cose che egli stesso ha fatto come creatore. Perciò colui che abbandona Dio, l'Altissimo, e si lascia attirare dalle realtà create dimostra di stimare l'artefice di tutto molto meno delle cose stesse, che da lui sono fatte.
Chi mi ama, dice il Signore, osserverà i miei comandamenti (cfr. Gv 14, 15). E aggiunge «Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri» (Gv 15, 17). Perciò chi non ama il prossimo, non osserva i comandamenti di Dio, e chi non osserva i comandamenti non può neppure dire di amare il Signore.
Beato l'uomo che è capace di amare ugualmente ogni uomo. Chi ama Dio, ama totalmente anche il prossimo, e chi ha una tale disposizione non si affanna ad accumulare denaro, tutto per sé, ma pensa anche a coloro che ne hanno bisogno.
Ad imitazione di Dio fa elemosine al buono e al cattivo, al giusto e all'ingiusto. Davanti alle necessità degli altri non conosce discriminazione, ma distribuisce ugualmente a tutti secondo il bisogno. Né tuttavia si può dire che compie ingiustizia se a premio del bene antepone al malvagio colui che si distingue per virtù e operosità.
L'amore caritatevole non si manifesta solo nell'elargizione di denaro, ma anche, e molto di più, nell'insegnamento della divina dottrina e nel compimento delle opere di misericordia corporale.
Colui che, sordo ai richiami della vanità, si dedica con purezza di intenzione al servizio del prossimo, si libera da ogni passione e da ogni vizio e diventa partecipe dell'amore e della scienza divina.
Chi possiede dentro di sé l'amore divino, non si stanca e non viene mai meno nel seguire il Signore Dio suo, ma sopporta con animo forte ogni sacrificio e ingiuria e offesa, non augurando affatto il male a nessuno. Non dite, esclama il profeta Geremia, siamo tempio di Dio (cfr. Ger 7, 4). E neppure direte: La semplice e sola fede nel Signore nostro Gesù Cristo mi può procurare la salvezza. Questo infatti non può avvenire se non ti sarai procurato anche l'amore verso di lui per mezzo delle opere. Per quanto concerne infatti la sola fede: «Anche i demoni credono e tremano!» (Gc 2, 19).
Opera di carità è il fare cordialmente un favore, l'essere longanime e paziente verso il prossimo; e così pure usare rettamente e ordinatamente le cose create.

MESSALE
Antifona d'Ingresso   Sal 12,6
Confido, Signore, nella tua misericordia,
Gioisca il mio cuore nella tua salvezza,
canti al Signore che mi ha beneficato.
 
  
Colletta

Il tuo aiuto, Padre misericor
dioso, ci renda sempre attenti alla voce dello Spirito, perché possiamo conoscere ciò che è conforme alla tua volontà e attuarlo nelle parole e nelle opere. Per il nostro Signore ... 

 
Oppure:
Dio della libertà e della pace, che nel perdono dei peccati ci doni il segno della creazione nuova, fa' che tutta la nostra vita riconciliata nel tuo amore diventi lode e annunzio della tua misericordia. Per il nostro Signore Gesù Cristo...


LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura  Is 43,18-19.21-22.24b-25
Per amore di me stesso non ricordo più i tuoi peccati. 

Dal libro del profeta Isaia
Così dice il Signore:
«Non ricordate più le cose passate,
non pensate più alle cose antiche!
Ecco, io faccio una cosa nuova:
proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?
Aprirò anche nel deserto una strada,
immetterò fiumi nella steppa.
Il popolo che io ho plasmato per me
celebrerà le mie lodi.
Invece tu non mi hai invocato, o Giacobbe;
anzi ti sei stancato di me, o Israele.
Tu mi hai dato molestia con ì peccati,
mi hai stancato con le tue iniquità.
Io, io cancello i tuoi misfatti
per amore di me stesso,
e non ricordo più i tuoi peccati».
 
    

Salmo Responsoriale
  Dal Salmo 40
Rinnovaci, Signore, col tuo perdono
Beato l'uomo che ha cura del debole:
nel giorno della sventura il Signore lo libera.
Il Signore veglierà su di lui,
lo farà vivere beato sulla terra,
non lo abbandonerà in preda ai nemici.

Il Signore lo sosterrà sul letto del dolore;
tu lo assisti quando giace ammalato.
Io ho detto: «Pietà di me, Signore,
guariscimi: contro di te ho peccato».

Per la mia integrità tu mi sostieni
e mi fai stare alla tua presenza per sempre.
Sia benedetto il Signore, Dio d'Israele,
da sempre e per sempre. Amen, amen.

     

Seconda Lettura
  2 Cor 1, 18-22
Gesù non fu «sì» e «no», ma in lui vi fu il «sì». 

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, Dio è testimone che la nostra parola verso di voi non è «sì» e «no». Il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che abbiamo annunciato tra voi, io, Silvano e Timòteo, non fu «sì» e «no», ma in lui vi fu il «sì». Infatti tutte le promesse di Dio in lui sono «sì». Per questo attraverso di lui sale a Dio il nostro «Amen» per la sua gloria.
È Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo e ci ha conferito l'unzione, ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori. 

Canto al Vangelo   Lc 4,18
Il Signore mi ha mandato
a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione. 

Alleluia.
   
.
   
Vangelo 
  Mc 2, 1-12
Il Figlio dell'uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra. 

Dal vangelo secondo Marco
Gesù entrò di nuovo a Cafàrnao, dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone che non vi era più posto neanche davanti alla porta; ed egli annunciava loro la Parola.
Si recarono da lui portando un paralitico, sorretto da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un'apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico. Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Figlio, ti sono perdonati i peccati».
Erano seduti là alcuni scribi e pensavano in cuor loro: «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?». E subito Gesù, conoscendo nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate queste cose nel vostro cuore? Che cosa è più facile: dire al paralitico "Ti sono perdonati i peccati", oppure dire "Àlzati, prendi la tua barella e cammina"? Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te - disse al paralitico -: alzati, prendi la tua barella e va' a casa tua».
Quello si alzò e subito prese la sua barella e sotto gli occhi di tutti se ne andò, e tutti si meravigliarono e lodavano Dio, dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!». 

   

* * *


COMMENTO


Cose malvage pensate nel cuore. Il nostro pensar bene di Dio e della vita si infrange sullo scandalo di una paralisi. Il potere che esigiamo da Dio è quello di scioglierci dai nodi dell’esistenza. Crediamo? Senza dubbio. Ma in un totem che risolva il contingente, quelle situazioni che ci angosciano e che vorremmo cancellare. Le cose malvage pensate nel cuore altro non sono che il nostro modo di tentare Dio per trascinarlo su cammini che non gli si addicono. Un taumaturgo piegato ai nostri desideri.


E non lo conosciamo. E non ci conosciamo. Vi è una sola paralisi: il peccato. E Dio si confronta con il peccato, dove si cela il male, il mistero dell’iniquità. Vorremmo capire i perchè di tante atrocità, di tante ingiustizie. Ma rifiutiamo di accettare che esista una radice del male; il pensiero unico che domina la nostra cultura esclude anche la possibilità di prenderla in considerazione. Mentre il peccato è accovacciato alla nostra porta, insinuato nel nostro cuore. Da esso sgorgano tutti gli abomini.Adagiati nel peccato pensiamo cose malvage. Non riconoscerlo, guardarlo con supponenza, sorvolarne la serietà e la drammaticità è dare del bestemmiatore a Gesù. Significa essere nemici della sua Croce. Ignorare il peccato è ignorare Dio, il suo potere, il suo amore. Restare appiattiti sulle sue conseguenze, cercando come eluderle o sbianchettarle, dimenticando la Rivelazione che indica nel peccato la radice di ogni male, anche quelli che chiamiamo malattie o disastri naturali, conduce a pensare male di Dio, o a escluderlo dalla vita; non possiamo accettare un Dio che sembra non agire contro le ingiustizie, e preferiamo dimenticarlo, o cercare comunque e ad ogni costo un capro espiatorio su cui riversare il dolore e il risentimento. Il giustizialismo e l'indignazione di questi tempi nascondono negli armadi gli scheletri di una società che ha legittimato l'omicidio più efferato, quello perpetrato sulle creature più indifese. Il cortocircuito demoniaco stringe come un cappio mortale le nostre vite, cadute nell'illusione che si possa vincere il male con un male più grande travestito da bene. La paralisi non indica il disordine del peccato, è piuttosto un incidente cui ribellarsi: agli occhi degli scribi quel paralitico non è uno schiavo di cui avere misericordia, ma un'occasione di scandalo di fronte alla quale reagire con la malvagità che colma i loro cuori. E così, per loro, chiudersi alla misericordia diviene la bestemmia contro lo Spirito Santo, il peccato che non potrà essere perdonato.


La Scrittura ci rivela che la morte è entrata nel mondo per invidia del demonio e ne fanno esperienza quelli che gli appartengono. E il male si spande. Anche sugli innocenti. Ma noi, che innocenti non siamo, ne siamo schiavi, paralizzati, stesi sul letto della solita vita, dei soliti peccati. Vi è un solo cammino per guarire: guardare in faccia la Verità, lasciarci giudicare dalle Parole d’amore di Gesù. In Lui i peccati sono rimessi e sperimentiamo la vera liberazione, perchè il mistero del male si svela nel perdonoA Boezio che si chiedeva “Si Deus est, unde malum? et si non est, unde bonum ?”, San Tommaso d'Aquino poteva rispondere capovolgendo i termini: “Si malum est, Deus est”, perchè l'esistenza di Dio è affermata e argomentata proprio a partire dalla realtà del male (Contra Gentiles, 1. III, c.71). Il perdono ci fa accettare le conseguenze dei nostri peccati e, in esse, le conseguenze dei peccati di ogni uomo. Da questa attitudine nasce l'umiltà e spariscono i pensieri malvagi, i giudizi, la malizia. Sulla roccia della Verità si infrangono le onde del male, e sorge un pensiero nuovo, di pazienza e misericordia. Nella Verità si dischiude la porta della vita davanti ad ogni peccatore, a ciascuno di noi: lasciarsi amare, riconciliare, perdonare. Accettare d’essere peccatori, e gettarsi tra le braccia del Signore. Ai Suoi piedi, piangendo e implorando. Aiutati e accompagnati dalla Chiesa. Nella liturgia eucaristica, prima di accostarci alla comunione, ripetiamo con il Celebrante: "Oh Signore, non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa". Come Gesù che è mosso dalla fede degli amici del paralitico a compiere il miracolo del perdono riconsegnando forza e vigore alle membra paralizzate.


Per questo abbiamo bisogno della comunità, dei pastori e dei fratelli, del Popolo santo che è capace, per amore del povero e del debole, di scoperchiare i tetti "nel punto dove è Gesù". E' la Chiesa che apre per noi un cammino distruggendo pareti e tetti che ci accerchiano e ci impediscono di andare a Cristo. E' la comunità che "cala il lettuccio su cui giace il paralitico", dove ci troviamo noi oggi, con le nostre vite senza senso e allegria, e, senza giudicare e senza esigere, con tenerezza e pazienza, ci conduce al trono della misericordia. Occorre dunque lasciarci calare sino ai piedi di Gesù, scendere dalle altezze dei nostri sogni e delle alienazioni. Per conoscere il potere di Dio, la Sua vittoria sul peccato e sulla morte. Per essere liberati e tornare a casa, nella storia di ogni giorno con il letto che è la memoria dei nostri peccati e la consapevolezza della nostra debolezza. A noi la memoria di quello che siamo, a Gesù l’amore e il perdono. Solo così potremo vivere risanati, abbandonati alla sua fedeltà senza nulla presumere di noi stessi.


ALTRI COMMENTI

1. Congregazione per il Clero

Il Profeta Isaia, presenta l’immagine di un Dio che sa perdonare i peccati del suo popolo in modo radicale, di fatto cancellandoli definitivamente, non ricordandoli più. Si tratta di una “capacità divina”, che esprime la volontà di “perdono totale”, tipica del Dio Amore. Tale gesto ricrea totalmente la persona; Dio, perdonando, fa nuova ogni cosa, apre una strada nel deserto, immette fiumi di acqua vive nella steppa.
La prima lettura offre una premessa fondamentale per comprendere la pagina evangelica. In essa viene descritta la scena del paralitico che, pur di riuscire ad incontrare Gesù, si fa calare dal tetto della casa, all’interno della quale si trova il Signore.
Di fronte ad una simile manifestazione di fede, Gesù resta colpito. Egli però inizialmente, non lo guarisce fisicamente, ma, riferendosi al paralitico, afferma: «Ti sono rimessi i tuoi peccati», compiendo un atto dal valore molto più ampio della stessa guarigione fisica.
Ciò suscita l’indignazione degli scribi presenti, che gridano lo scandalo della bestemmia, perché “Dio solo” può rimettere i peccati; come del resto è solennemente affermato dal passo del profeta Isaia.
Gesù, rimettendo i peccati ed affermando di poterli rimettere, si pone sullo stesso piano di Dio, si manifesta come Dio. È una teofania di Cristo!
La guarigione del paralitico avviene in un secondo momento e appare come determinata dallo scandalo degli scribi.
Per confermare la radicale novità del Figlio dell’uomo che ha il potere, sulla terra, di rimettere i peccati, Gesù guarisce il paralitico, lo libera dalla sua malattia. In questo modo, alla guarigione interiore, dovuta al perdono dei peccati, si associa la guarigione fisica e, così, viene perfettamente espressa l’integralità del perdono, che coinvolge tutto l’uomo: il corpo è liberato dalla malattia, lo spirito viene liberato dal peccato.
Gesù, guarendo il paralitico, esprime in modo mirabile la capacità di ricreare la persona perdonata, introducendola in una vita nuova e risanata.
L’azione del Signore accade anche nella compagnia dalla fede degli “amici” del paralitico, che è immagine commovente della fede ecclesiale.
La forza della fede e della testimonianza di ciascuno, sostiene la guarigione dei fratelli, l’autentica comunione è il reale “luogo teologico e spirituale” nel quale il Signore compie i miracoli del perdono e della guarigione.
La liturgia si presenta dunque come un canto solenne del perdono di Dio, della “nuova creazione” operata da cristo Signore e della possibilità di vita nuova offerta a ciascun uomo. Questa novità tocca profondamente le nostre esistenze, soprattutto nella riscoperta della radicalità del perdono che, ancora oggi, Dio, attraverso la mediazione della Chiesa, continua a dispensare a tutti i suoi figli.
Maria, Madre di Misericordia, sostenga la fede ferma di ciascuno nella Divina Misericordia del Signore: una misericordia che è mistero d’Amore e che, gratuitamente, è donata a tutti coloro che umilmente la implorano.

2. Raniero Cantalamessa ofmcap.

Un giorno che Gesù era in casa (forse la casa di Simon Pietro, a Cafarnao), si radunò tanta folla che non si poteva in alcun modo entrare dalla porta. Un gruppetto di persone che aveva un parente o amico paralitico pensò di aggirare l’ostacolo scoperchiando il tetto e calando il malato, per i lembi di un lenzuolo, davanti a Gesù. Gesù, vista la loro fede, dice al paralitico: “Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati”.
Alcuni scribi presenti pensano in cuor loro: “Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?”. Gesù non smentisce la loro affermazione, ma dimostra coi fatti di avere sulla terra il potere stesso di Dio: “Perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino – disse al paralitico – àlzati prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua”.
Quello che avvenne quel giorno in casa di Simone è quello che Gesù continua a fare oggi nella Chiesa. Noi siamo quel paralitico, ogni volta che ci presentiamo, schiavi del peccato, per ricevere il perdono di Dio.
Un’immagine tratta dalla natura ci aiuterà (per lo meno ha aiutato me) a capire perché solo Dio può rimettere i peccati. Si tratta dell’immagine della stalagmite. La stalagmite è una di quelle colonne di calcare che si formano nel fondo di certe grotte millenarie per la caduta di gocce d’acqua calcarea dal tetto della grotta. La colonna che pende dal tetto della grotta si chiama stalattite, quella che si forma in basso, nel punto in cui la goccia cade, stalagmite. Il più non è che acqua e defluisce all’esterno, ma in ogni goccia d’acqua c’è una piccola percentuale di calcare che si deposita e fa massa con la precedente. È così che, col passare dei millenni, si formano quelle colonne dai riflessi iridati, belle a vedersi, ma che a guardarle meglio, somigliano a sbarre di una gabbia o a denti aguzzi di una belva dalle fauci spalancate.
Succede la stessa cosa nella nostra vita. I nostri peccati, nel corso degli anni, sono caduti nel fondo del nostro cuore come tante gocce d’acqua calcarea. Ognuno vi ha depositato un poco di calcare, cioè di opacità, di durezza e di resistenza a Dio, che andava a fare massa con quello lasciato dal peccato precedente. Come avviene in natura, il grosso scivolava via, grazie alle confessioni, alle eucaristie, alla preghiera.
Ma ogni volta rimaneva qualcosa di non dissolto, e questo perché il pentimento e il proposito non erano “perfetti”. E così la nostra personale stalagmite è cresciuta come una colonna di calcare, come un rigido busto di gesso che ingabbia la nostra volontà. Si capisce allora di colpo cos’è il famoso “cuore di pietra” di cui parla la Bibbia: è il cuore che ci siamo creati da soli, a forza di compromessi e di peccati.
Che fare in questa situazione? Non posso eliminare quella pietra con la mia sola volontà, perché essa è proprio nella mia volontà. Si capisce allora il dono che rappresenta la redenzione operata da Cristo. In molti modi Cristo continua la sua opera di rimettere i peccati. C’è però un modo specifico al quale è obbligatorio ricorrere quando si tratta di rotture gravi con Dio, ed è il sacramento della penitenza.
La cosa più importante che la Bibbia ha da dirci circa il peccato non è che noi siamo peccatori, ma che abbiamo un Dio che perdona il peccato e, una volta perdonato, lo dimentica, lo cancella, fa una cosa nuova.
Dobbiamo trasformare il rimorso in lode e ringraziamento, come fecero quel giorno, a Cafarnao, gli uomini che avevano assistito al miracolo del paralitico: “Tutti si meravigliarono e lodavano Dio dicendo: Non abbiamo mai visto nulla di simile”.


3. Luciano Manicardi


Un elemento di unità tra Antico Testamento e vangelo può essere rintracciato nella remissione dei peccati, prerogativa di Dio (Is 43,25; Mc 2,6) che Gesù attualizza nella sua persona (Mc 2,5). Se la remissione dei peccati è la grande esperienza di salvezza che all’uomo è dato di fare, la guarigione fisica del paralitico è il segno dell’autenticità di tale parola salvifica che Gesù ha pronunciato su di lui (Mc 2,5.9-11). Nei vangeli le guarigioni sono sempre segni di una salvezza che si delinea come comunione con Dio in Cristo per mezzo dello Spirito e che solo nel Regno troverà la sua pienezza. Oggi, invece, si osserva un ribaltamento della prospettiva: la reinterpretazione individualizzante del rapporto salvezza – guarigione rende la salvezza metafora di guarigione, un modo di esprimere ciò che veramente è ritenuto essenziale, ovvero la rigenerazione personale, il ritrovamento della pienezza del benessere fisico e psichico.
Il testo presenta il gesto di quattro uomini che portano il malato a Gesù. Questo gesto di portare il malato impotente a muoversi da solo, paralizzato (potremmo aggiungere: costretto su una carrozzella), combina forza e delicatezza, intelligenza e carità e crea una partecipazione profonda tra il malato che accetta di farsi portare e l’accompagnatore che sceglie di portare il peso del malato. Questa scena è in verità una bella rappresentazione della solidarietà che dovrebbe regnare nella comunità cristiana tra le varie membra del corpo. Esperienza che nella comunità cristiana tutti fanno è quella di essere portati perché si è incapaci di camminare da soli. Nelle nostre debolezze e nei nostri peccati noi siamo portati da altri, e nella fede sappiamo che Cristo ha portato noi nelle nostre infermità e nelle nostre trasgressioni. Scrive Dietrich Bonhoeffer commentando la parola di Gal 6,2: “Portate i pesi gli uni degli altri”: “La legge di Cristo è una legge del ‘portare’. Portare vuol dire sopportare, soffrire insieme. Il fratello è un peso per il cristiano. Solo se è un peso, l’altro è veramente un fratello e non un oggetto da dominare”.

Ma portare il fratello a Cristo è anche immagine dell’intercessioneInter-cedere significa fare un passo tra due parti e indica una compromissione attiva, un prender sul serio tanto la relazione con Dio, quanto quella con gli uomini. Nell’intercessione noi assumiamo il fratello davanti a Dio mostrando la nostra responsabilità per la sua situazione di bisogno e la nostra fede in Dio. Non a caso quel gesto, secondo il vangelo, è visibilizzazione della fede dei quattro portatori (Mc 2,5). Gesù vede, discerne la fede di quegli uomini in quel gesto così umano, semplice, deciso, tenero. Che non si reclamizza. La visibilità della fede non è esito di strategie comunicative o di eventi straordinari e numericamente impressionanti, ma è celata, umile, quotidiana.
Nella loro fede essi non reagiscono negativamente alle parole di Gesù che non guarisce ma proclama la remissione dei peccati: forse si attendevano un gesto di guarigione, ma si rimettono a Gesù accogliendo ciò che egli vorrà e potrà fare. Gli scribi invece hanno una reazione in tre momenti che è spesso anche la nostra: indignazione di fronte a ciò che scardina e spiazza gli schemi – teologici, ma non solo – abituali (“Perché costui parla così?”); accusa verso l’altro (“Costui bestemmia!”); razionalizzazione della propria reazione e ricerca di motivi per fondarla (“Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?”). Di contro a tale reazione stizzita, c’è il silenzio in cui si esprime la fede dei quattro uomini che hanno sostenuto e portato il paralitico.
E il testo diviene immagine del posto del malato al cuore della comunità cristiana: “le membra del corpo più deboli sono le più necessarie” (1Cor 12,22). E forse ci viene anche suggerito che la comunità che crede la remissione dei peccati è quella che sa assumere e portare il fratello nelle sue paralisi e nei suoi peccati, il fratello debole e infermo.

4. Enzo Bianchi
La predicazione e l’attività guaritrice di Gesù sembrano conoscere, agli inizi del suo ministero pubblico, un grande successo: “tutti lo cercano” (cf. Mc 1,37), parlano con ammirazione di lui; ma Gesù si nasconde e si muove quasi in incognito, rifuggendo ogni esaltazione e ogni ricerca di acclamazione popolare. Aveva detto al lebbroso guarito: “Guarda di non dire niente a nessuno!” (Mc 1,44), ma costui era corso a divulgare il fatto (cf. Mc 1,45): a dispetto della sua volontà, la fama di Gesù sembra crescere inarrestabile… Così, quando Gesù ritorna a Cafarnao, nella casa da lui condivisa con i discepoli, una folla enorme accorre per vederlo e ascoltarlo: “si radunarono tante persone, da non esserci più posto neanche davanti alla porta”.
 Ma anche in questa circostanza Gesù fa spazioall’incontro con un uomo segnato dalla malattia,un paralitico. La menomazione fisica di questa persona sarebbe tale da impedirgli di avvicinarsi a Gesù, ma altri quattro uomini lo accompagnano e lo aiutano: per consentirgli di incontrare quel rabbi e profeta di Galilea, scoperchiano il tetto della casa e lo calano dall’alto. Ed ecco che Gesù, pur circondato dalla folla e intento ad annunciare la Parola di Dio, vede quel gesto di solidarietà, quel gesto umano carico di amorecompiuto dagli amici nei confronti del paralitico. In questo atto così semplice Gesù discerne il loro desiderio di vita piena per un altro e, insieme, la grande fiducia che li muove; senza indugio, dunque, decide di incontrare quel paralitico e di guarirlo.
 Nel fare questo, però, egli vuole anche svelare ai suoi interlocutori il senso profondo del suo operare guarigioni. L’agire di Gesù, infatti, non si limita mai a restituire l’integrità fisica al malato, ma è di per sépromessa e dono di vita piena, di vita quale pienezza di comunione con gli uomini e con Dio. Sì, ogni guarigione operata da Gesù è liberazione dalla malattia, dal peccato e, in definitiva, dalla morte. È per manifestare questo che egli afferma: “Figlio, ti sono rimessi i tuoi peccati”.

 All’udire queste parole, alcuni uomini religiosi presenti, autorevoli interpreti delle Sante Scritture, si indignano e si scandalizzano: a loro giudizio Gesù sta bestemmiando, perché Dio solo può perdonare i peccati (cf. Es 34,6-7; Is 43,25; 44,22)! Questa è la reazione tipica degli uomini religiosi: essi non ascoltano mai, non vivono nell'attesa di una possibile parola di Dio, perché credono di possederla già tutta e di conoscerne l’applicazione adatta a ogni circostanza; non accettano che le proprie dottrine e i propri schemi siano posti in discussione… Resosi conto della mal celata irritazione di questi scribi, Gesù si rivolge a loro apertamente, con una domanda retorica che, di fatto, li provoca a interrogarsi sulla sua identità, sul suo essere o meno un profeta autentico, un uomo capace di praticare e insegnare la volontà di Dio: “Che cosa è più facile, dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati” – evento che solo gli occhi della fede possono riconoscere – “o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina?”. Segue la rivelazione decisiva: “Perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino – disse al paralitico – alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua”.
 Gesù è il Figlio dell’uomo, cioè quella figura messianica inviata da Dio per realizzare compiutamente le sue promesse: se Dio aveva promesso di perdonare i peccati (cf. Ger 31,34; 33,8; 36,3), ecco che questo avviene puntualmente attraverso Gesù. “Il Regno di Dio si è avvicinato” (Mc 1,15), è una forza ormai operante in Gesù, che quando libera dal male, libera anche dal peccato e dal potere del demonio; quando risana il corpo, guarisce anche il cuore. E Gesù ci chiede non solo di credere teoricamente alla remissione dei peccati, ma di vivere tale fede nella nostra quotidianità:credere alla remissione dei peccati, infatti, significa assumere e portare il fratello debole e peccatore, così come ci si fa carico di un fratello malato, e accettare a nostra volta di essere portati da chi ci sta accanto…

* * *
Dalla Tradizione Patristica

Dal trattato Omelie su Giosuè di Nave di Origene di Alessandria
(n. 185 ca., + 253) (Om. 5, 6: SC 71, 172-174) 
Il Signore dice nei vangeli: Ti sono rimessi i tuoi peccati (Mc 2, 5), ma
non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio (Gv 5, 14).
Se infatti non pecchi più dopo la remissione dei peccati, è stato veramente tolto da te l’obbrobrio dell’Egitto. Ma se pecchi di nuovo, ricadono per
la seconda volta su di te i vecchi obbrobri, tanto più che c’è colpa molto
più grande nel calpestare il Figlio di Dio e ritenere profano il sangue dell’alleanza (Eb 10, 29) che nel trascurare la legge di Mosè. Difatti molto più
grande è l’obbrobrio per chi, dopo il vangelo, si dà alla fornicazione, che
per colui che è posto sotto la legge, poiché egli, prendendo le membra di
Cristo, ne fa le membra di una prostituta (1 Cor 6, 15).
Vedi dunque quanto più gravi e più accresciuti obbrobri ritornano su
di te se ti lasci andare. E infine nessuno ti accusa più come reo di impudicizia, ma ti condanna per il delitto di sacrilegio, poiché in riferimento a
te si dice: Non sapete che i vostri corpi sono tempio di Dio (1 Cor 6, 19)? Se
uno profana il tempio di Dio, Dio lo manderà in rovina (1 Cor 3, 17).
Anche se in precedenza ignoravi ciò, ora tuttavia, dal fatto che vengono dette queste parole nelle tue orecchie e viene riversata una tale dottrina nel tuo cuore, sappi che, ascoltato ciò, sei ormai divenuto tempio di Dio
e membro di Cristo.
Vedi quanto sei progredito, da pover’uomo terreno: sei andato avanti indubbiamente in tempio di Dio, nel quale Dio deve abitare; e tu che
eri carne e sangue, sei progredito fino ad essere membro di Cristo!
Ma come è grande questo progresso, così anche la decadenza è terribile e irrimediabile la caduta. Infatti non ti è più lecito usare il tempio di
Dio se non nella santità, né di ricondurre le membra di Cristo a un’indegna attività.
E perciò, se un giorno ti eccita l’attrattiva di un cattivo desiderio,
ricordati delle cose che ora stai ascoltando, affronta quel nemico che proviene da te stesso, cioè dal tuo cuore, e resistigli con queste parole, digli:
non mi appartengo, infatti sono stato comprato al prezzo (1 Cor 6, 20) del sangue di Cristo e sono divenuto suo membro, non mi è lecito  prendere un
membro di Cristo e farne membro di una prostituta. Digli: sono diventato
tempio di Dio e non mi è lecito introdurre ivi alcunché di impuro, né ho
il diritto di violare il tempio di Dio.


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Sant'Ambrogio (circa 340-397), vescovo di Milano e dottore della Chiesa 
Commento al Vangelo di San Luca 5, 11-13 ; SC 45 (trad. it)


Vedendo la loro fede, Gesù lo perdona


        «Vedendo la loro fede, Gesù dice al paralitico 'I tuoi peccati sono perdonati'». Il Signore è grande: a causa degli uni, perdona agli altri; accetta la preghiera dei primi e perdona ai secondi i loro peccati. Perché allora oggi il tuo prossimo non può far nulla per te, se presso il Signore il suo servo ha diritto d'intervenire e ottenere?


        Voi che giudicate, imparate a perdonare; e voi che siete malati, imparate a chiedere. Se non sperate il perdono direttamente per le vostre gravi colpe, ricorrete a chi può intercedere per voi, ricorrete alla Chiesa che pregherà per voi. Per riguardo a lei, il Signore vi accorderà il perdono che avrebbe potuto rifiutarvi. Non dimentichiamo la realtà storica della guarigione del paralitico; ma prima di tutto riconosciamo in lui la guarigione dell'uomo interiore, a cui sono stati perdonati i peccati...


        Il Signore vuole salvare i peccatori; mostra la sua divinità attraverso la conoscenza dei segreti e le azioni prodigiose. «Che cosa è più facile, dire: Ti sono rimessi i tuoi peccati, o dire: Alzati e cammina?» In questo modo fa vedere un'immagine completa della resurrezione, poiché, guarendo la ferita dell'anima e del corpo..., l'uomo intero è guarito.


San Pietro Crisologo (circa 406-450), vescovo di Ravenna, dottore della Chiesa
Discorsi 50, CCL 24, p. 276-282. PL 52, 339


« Vista la loro fede »


“Venne nella sua città ; ed ecco che gli fu presentato un paralitico che giaceva su un lettuccio” (Mt 9,1). Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico : « Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati ». Il paralitico, pur avendo udito questo perdono, resta muto. Non risponde con nessun ringraziamento. Desiderava infatti la guarigione del corpo più della guarigione dell’anima. Piangeva i mali passaggeri del suo corpo ammalato mentre non piangeva i mali eterni della sua anima, ancor più malata. Riteneva infatti la vita presente più preziosa della vita futura.


Cristo a ragione, tiene conto della fede di coloro che gli presentano il malato, senza tenere in nessun conto la sciocchezza di costui. Grazie alla fede altrui, l’anima del paralitico verrà guarita prima del suo corpo. «Vista la loro fede », dice il Vangelo. Notate bene, fratelli, che Dio non si preoccupa di quanto vogliono gli uomini insensati. Non si aspetta di trovare la fede dagli ignoranti, non presta riguardo agli sciocchi desideri di un infermo. Invece, non rifiuta di portare aiuto alla fede altrui. Questa fede è un regalo della grazia, e si accorda con la volontà di Dio.


Sant'Agostino (354-430), vescovo d'Ippona (Africa del Nord) e dottore della Chiesa 
Esposizione sul salmo 36, no. 3, §3


« Si recarono da lui con un paralitico »


Possiamo, fratelli, sollevare costui che ha perduto in tutte le sue membra interiori la facoltà di compiere opere buone, quasi fosse un paralitico, e aprire il tetto di questa Scrittura, e presentarlo al Signore?


Io intravvedo un certo paralitico nell'anima. E vedo questo tetto (della Scrittura), e sotto il tetto riconosco Cristo nascosto. Farò, per quanto posso, ciò che si loda in coloro che, aperto il tetto, presentarono a Cristo il paralitico, affinché Egli gli dicesse: « Confida, figlio, ti sono rimessi i tuoi peccati ». Perché così salvò l'uomo interiore dalla paralisi, rimettendo i peccati, e rinsaldando la fede.


Ma vi erano là uomini che non avevano occhi capaci di vedere che il paralitico interiore era già guarito, e credettero che il Medico che lo curava bestemmiasse. « Chi è questi - dicono - che rimette i peccati? Costui bestemmia. Chi può rimettere i peccati, se non il solo Dio? » E poiché egli era Dio, intendeva ciò che essi pensavano. Pensavano queste cose di Dio, ma non vedevano il Dio presente. Compì allora quel medico qualcosa anche nel corpo del paralitico, in modo da risanare l'interiore paralisi di coloro che tali cose avevano detto. Compì cose che essi potessero vedere, e dette loro modo di credere.


Orsù, chiunque tu sia, tanto infermo e debole di cuore da attenerti agli esempi umani e voler perciò rinunziare alle opere buone, ed essere come colpito da una interiore paralisi, fatti forza per vedere se possiamo, aperto questo tetto, presentarti al Signore.