sabato 4 febbraio 2012

Tutti ti cercano!

Zillis, romanico svizzero


La quinta domenica di questo tempo di transizione, aspettando la Quaresima, ci indica Gesù che passa, guarisce e va oltre. La Nuova Evangelizzazione consiste proprio in questo: far risuonare la Parola di salvezza quasi come fosse la prima volta, tanto è fresca, proclamata con fervore e sostenuta dalla testimonianza della fede. Buona domenica,  pb. Vito Valente.


5 Febbraio 2012 - V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - Anno B



MESSALE

Antifona d'Ingresso  Sal 94,6-7
Venite, adoriamo il Signore,
prostrati davanti a lui che ci ha fatti;
egli è il Signore nostro Dio.

Colletta 
Custodisci sempre con paterna bontà la tua famiglia, Signore, e poiché unico fondamento della nostra speranza è la grazia che viene da te, aiutaci sempre con la tua protezione. Per il nostro Signore...

  
Oppure:
O Dio, che nel tuo amore di Padre ti accosti alla sofferenza di tutti gli uomini e li unisci alla Pasqua del tuo Figlio, rendici puri e forti nelle prove, perché sull'esempio di Cristo impariamo a condividere con i fratelli il mistero del dolore, illuminati dalla speranza che ci salva. Per il nostro Signore Gesù Cristo...
   
LITURGIA DELLA PAROLA
    
Prima Lettura  Gb 7, 1-4. 6-7
Notti di dolore mi sono state assegnate.

Dal libro di Giobbe
Giobbe parlò e disse:
«L'uomo non compie forse un duro servizio sulla terra
e i suoi giorni non sono come quelli d'un mercenario?
Come lo schiavo sospira l'ombra
e come il mercenario aspetta il suo salario,
così a me sono toccati mesi d'illusione
e notti di affanno mi sono state assegnate.
Se mi corico dico: "Quando mi alzerò?".
La notte si fa lun­ga
e sono stanco di rigirarmi fino all'alba.
I miei giorni scorrono più veloci d'una spola,
svanisco­no senza un filo di speranza.
Ricòrdati che un soffio è la mia vita:
il mio occhio non rivedrà più il bene». 
 
    
Salmo Responsoriale
  Dal Salmo 146
Risanaci, Signore, Dio della vita.
    
È bello cantare inni al nostro Dio,
è dolce innalzare la lode.
Il Signore ricostruisce Gerusalemme,
raduna i dispersi d'Israele.

Risana i cuori affranti
e fascia le loro ferite.
Egli conta il numero delle stelle
e chiama ciascuna per nome.

Grande è il Signore nostro,
grande nella sua potenza;
la sua sapienza non si può calcolare.
Il Signore sostiene i poveri,
ma abbassa fino a terra i malvagi.
     
Seconda Lettura
  1 Cor 9, 16-19.22-23
Guai a me se non annuncio il Vangelo. 

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
Fratelli, annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo!
Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo.
Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero. Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch'io.
  
Canto al Vangelo
   Mt 8,17
Alleluia, alleluia.
Cristo ha preso le nostre infermità
e si è caricato delle nostre malattie.
Alleluia.
   
   
Vangelo  Mc 1, 29-39
Guarì molti che erano affetti da varie malattie.
Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.
Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.
Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini. perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!».
E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.
Parola del Signore.

* * *

COMMENTI


1. Congregazione per il Clero

La liturgia della parola presenta il tema della sofferenza innocente nella prima lettura, attraverso la figura di Giobbe, uomo giusto ma molto provato, che alza come un grido di preghiera verso il cielo, quasi sconfortato, nel costatare la fatica e la fugacità della propria vita. Giobbe presenta la questione della sofferenza del giusto come sommamente enigmatica, interiormente come lancinante e, al termine del passo, la domanda resta come aperta, in un certo senso sospesa, in attesa di una risposta dall’alto.
La questione trova eco adeguata nella pagina evangelica, che descrive anche il mistero della sofferenza fisica. Vi si incontra la figura della suocera di Pietro, affetta da una febbre.
In questo contesto, appare anche, finalmente, una risposta, data dal Signore Gesù, non con una qualche spiegazione teorica, ma attraverso un gesto. Gesù non parla con la donna malata, ma le si accosta, la solleva, le prende la mano e, in tal modo, afferma il testo, «la febbre subito la lasciò».
L’intervento di Gesù non corrisponde ad un insegnamento sul tema della sofferenza umana, ma si presenta come un intervento silenzioso, e proprio per questo, carico di significati, connotato da una forte fisicità, che affonda le proprie radici nell’inesauribile mistero dell’Incarnazione. Egli tocca la donna, la solleva, le prende la mano: il rapporto che si instaura è diretto, rivelando la profonda e perfetta partecipazione di Gesù al dolore umano, al dolore “incarnato” nella suocera di Pietro.
In tal modo Gesù offre la più perfetta risposta a quella domanda anticipata da Giobbe. Egli partecipa al dolore dell’uomo, lo condivide, lo contrasta e lo vince. La sua azione è realmente salvifica, tanto da indurre i cittadini di Cafarnao ad assieparsi alla porta della casa di Pietro. Commosso dal dolore degli uomini, Gesù guarisce molti malati e scaccia molti spiriti immondi.
La prospettiva offerta, tuttavia, non è unicamente quella dei sofferenti che possono essere guariti. Nella seconda lettura San Paolo descrive la possibilità della partecipazione dell’uomo all’opera salvifica di Cristo, contribuendo a contrastare la sofferenza attraverso una vita dedicata all’instancabile annuncio evangelico.
Come l’Apostolo, ogni cristiano è chiamato a lavorare nella “Vigna del Signore”, nella Chiesa per salvare “ad ogni costo” qualcuno, guarendo; cioè implorando dal Signore che, se è utile per la salvezza eterna, guarisca ancora oggi anche le malattie fisiche, come avviene ancora in moltissimi casi. Sempre collaborando, poi, alla guarigione di chi abbiamo accanto dalle malattie interiori e spirituali. Con l’esempio della vita, che deve essere una vita di fede, una vita santa, siamo chiamati a sfidare il mondo offrendo sempre l’alternativa di uno stile che possa dirsi profondamente cristiano, capace di dare una risposta concreta al problema del male, pur nel permanere delle prove che occorre affrontare e domandare alla potenza dello spirito di superare.
Allora la sofferenza, anche del giusto, può davvero trasformarsi anche in “benedizione”, se diviene occasione per Dio di intervenire direttamente nella vita dell’uomo, per l’uomo di contemplare la “partecipazione” e la prossimità di Dio alla propria esistenza e, soprattutto, di compiere in se stesso ciò che manca ai patimenti di Cristo, partecipando così, in modo misteriosissimo ma reale, all’Opera universale della salvezza.
La Beata Vergine Maria, esperta del soffrire, ma soprattutto del significato del soffrire “accanto” al Suo Figlio, ci ottenga, dalla Divina Provvidenza, la luce e la forza necessarie per vivere, ogni circostanza, nella fede di quello stabat che la caratterizzò sotto la Croce.

* * *

2. Caffarra
 

1. Cari fratelli e sorelle, la parola di Dio – quella dettaci nella prima lettura e quella evangelica – oggi presenta la vita umana nella sua fragilità, nella sua condizione di malattia, e di oscurità in cui l’uomo versa circa il suo destino finale. Come avete sentito, la prima lettura è una vera elegia sulla miseria umana.
In essa l’uomo, la condizione di ogni uomo, è paragonata alle tre condizioni sociali peggiori presso Israele: il servizio militare [il "duro lavoro"]; il lavoro a cottimo ["il mercenario"], che era il livello estremo del proletariato; lo schiavo, possesso di un padrone che lo usa a piacimento.
Ma soprattutto, la situazione dell’uomo è esposta alla peggiore insidia: essere privata della speranza, vero balsamo per ogni nostra tribolazione: "i miei giorni … sono finiti senza speranza".
La pagina evangelica conferma questa visione desolata: "dopo il tramonto del sole, gli portarono tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta".
Non possiamo non porci una domanda a questo punto: perché la Chiesa ci fa ascoltare questa Parola nella giornata della vita? Una Parola che sembrerebbe distoglierci dal servizio per la vita, dalla stima di essa. La vita non è un gioco; la vita è dura. E chi la ama, non lo fa perché è un superficiale.
Da dove dunque viene ultimamente la stima per la vita dell’uomo? Che cosa è che rende ogni uomo un essere dotato di un valore incomparabile dal suo concepimento fino alla morte naturale? La Parola che oggi ci viene detta non si limita ad essere un’elegia sconsolata della miseria della vita. Anzi, essa diventa un canto alla vita. Riascoltiamo nel cuore la pagina evangelica.
2. Essa ci mostra Gesù che guarisce la suocera di Pietro, e "molti malati che soffrivano d’ogni specie di malattia".
"Le guarigioni mettono in evidenza la grandezza del soccorso prestato, ma il loro senso più profondo risiede in una volontà di bandire ogni sorta di dolore dalla terra. Le guarigioni devono essere un segno della misericordia di Dio" [R. Schnackenburg, Vangelo secondo Marco, Città Nuova, Roma 2002, 47].
Non a caso, come avete sentito, l’evangelista accosta la predicazione di Gesù e la sua opera di guarigione. Attraverso la predicazione, Egli manifesta chiaramente qual è la sua missione: rivelare che in Lui Dio si fa vicino all’uomo. Le guarigioni confermano la predicazione, perché costituiscono il segno della salvezza accordata da Dio agli uomini.
In che modo Dio in Gesù guarisce l’uomo e gli dona la salvezza? La guarigione della suocera di Pietro è narrata con maggiore dovizia di particolari.
"Egli (Gesù), accostatosi, la sollevò prendendola per mano". Ogni parola va accuratamente meditata.
Gesù salva "accostandosi". Dio non ci guarisce rimanendo nella sua distanza. In Gesù si fa vicino ad ogni uomo, perché assume la nostra natura e la nostra condizione umana.
Gesù salva "sollevandoci". La parola greca usata è la stessa che la Scrittura usa per narrare la risurrezione di Gesù. Dio in Gesù ci salva, facendoci "risorgere". Cioè: non permettendo che sia la morte a dire l’ultima parola sulla nostra vita. Non permettendo che i nostri giorni "finiscano senza speranza".
Gesù salva "prendendoci per mano". È il gesto di chi ci unisce a sé con una forza ed un potere che nessuno e niente potrà mai spezzare: neppure la morte. Veramente, le parole del Salmo acquistano alla luce di questa pagina evangelica una forza straordinaria: "Signore Dio mio, a te ho gridato e mi hai guarito. Signore, mi hai fatto risalire dagli inferi, mi hai dato vita perché non scendessi nella tomba" [Sal 30 (29), 3-4].
Cari amici, ecco la ragione più profonda del valore della vita: Dio stesso se ne prende cura. Quale preziosità possiede, se Dio stesso ne ha una tale stima! La misura della dignità è determinata dalla misura della cura che Dio se ne prende: infinita.
3. Allora, cari amici, potete capire la sapienza della Chiesa quando ci mostra proprio oggi il grande dittico della vita. La vita può essere considerata ben poca cosa se priva di una speranza vera. Può essere perfino disprezzata e maledetta, se non si sente afferrata – come la suocera di Pietro – dall’Amore che non tradisce.
È per questo che la Chiesa all’inizio di questa celebrazione ha messo sulle nostre labbra la seguente preghiera: "poiché unico fondamento della nostra speranza è la grazia che viene da te, aiutaci sempre con la tua protezione".
Sì, Signore Gesù: siamo a letto come la suocera di Pietro perché abbiamo la febbre della ricchezza, la febbre del disordine sessuale, la febbre della propria autorealizzazione. Accostati; sollevaci prendendoci per mano. E la febbre ci lascerà e noi ci metteremo a servire Te e i nostri fratelli. Amen.

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                                                     3. p. Raniero Cantalamessa ofmcapp.

Il brano evangelico di questa Domenica ci offre il resoconto fedele di una giornata-tipo di Gesù. Uscito dalla sinagoga, Gesù si recò dapprima nella casa di Pietro, dove guarì la suocera che era a letto con la febbre; venuta la sera, gli portarono tutti i malati ed egli ne guarì molti, afflitti da varie malattie; al mattino, si alzò quando era ancora buio e si ritirò in un luogo solitario a pregare; quindi partì per andare a predicare il Regno in altri villaggi.
Da questo resoconto deduciamo che la giornata di Gesù consisteva in un intreccio tra cura dei malati, preghiera e predicazione del regno. Dedichiamo la nostra riflessione all’amore di Gesù per i malati, anche perché fra pochi giorni, nella memoria della Madonna di Lourdes dell’11 Febbraio, ricorre la Giornata mondiale dell’ammalato.
Le trasformazioni sociali del nostro secolo hanno cambiato profondamente la condizione del malato. In molte situazioni, la scienza dà una speranza ragionevole di guarigione, o almeno allunga di molto i tempi di evoluzione del male, nel caso di mali incurabili. Ma la malattia, come la morte, non è ancora, e non sarà mai, del tutto debellata. Fa parte della condizione umana. La fede cristiana può alleviare questa condizione e dare anche ad essa un senso e un valore.
Bisogna fare due discorsi diversi: uno per i malati stessi e uno per chi deve prendersi cura dei malati. Prima di Cristo, la malattia era considerata come strettamente connessa con il peccato. Si era convinti, in altre parole, che la malattia fosse sempre conseguenza di qualche peccato personale da espiare.
Con Gesù, qualcosa è cambiato, a questo riguardo. Egli “ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie” (Matteo 8, 17). Sulla croce ha dato un senso nuovo al dolore umano, compresa la malattia: non più di punizione, ma di redenzione. La malattia unisce a lui, santifica, affina l’anima, prepara il giorno in cui Dio asciugherà ogni lacrima e non ci sarà più né malattia né pianto né dolore.
Dopo la lunga degenza, seguita all’attentato in Piazza san Pietro, il papa Giovanni Paolo II scrisse una lettera sul dolore, in cui, tra le altre cose, diceva: “Soffrire significa diventare particolarmente suscettibili, particolarmente sensibili all’opera delle forze salvifiche di Dio offerte all’umanità in Cristo” (cfr. “Salvifici doloris”, n. 23., ndt). La malattia e la sofferenza aprono tra noi e Gesù sulla croce un canale di comunicazione tutto speciale. I malati non sono delle membra passive nella Chiesa, ma le membra più attive, più preziose. Agli occhi di Dio, un’ora della loro sofferenza, sopportata con pazienza, può valere più che tutte le attività del mondo, se fatte solo per se stessi.
Ora una parola a quelli che devono prendersi cura dei malati, in casa, o in strutture sanitarie. Il malato ha bisogno certamente di cura, di competenza scientifica, ma ha ancor più bisogno di speranza. Nessuna medicina solleva il malato quanto sentirsi dire dal medico: “Ho buone speranze per te”. Quando è possibile farlo senza ingannare, bisogna dare speranza. La speranza è la migliore “tenda ad ossigeno” per un malato. Non bisogna lasciare il malato nella sua solitudine. Una delle opere di misericordia è visitare i malati, e Gesù ci ha avvertito che uno dei punti del giudizio finale verterà proprio su questo: “Ero malato e mi avete visitato… Ero malato e non mi avete visitato” (Matteo 25, 36. 43).
Una cosa che possiamo fare tutti, per i malati, è pregare per loro. Quasi tutti i malati del Vangelo sono guariti perché qualcuno li ha presentati a Gesù e lo ha pregato per essi. La preghiera più semplice, e che tutti possiamo fare nostra, è quella che le sorelle Marta e Maria rivolsero a Gesù, in occasione della malattia del loro fratello Lazzaro: “Signore, colui che tu ami è malato!” (Giovanni, 11, 3, ndt.).
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4. Luciano Manicardi 

Il confronto con la malattia, con il proprio corpo malato (Giobbe) e con i corpi segnati da malattia di altri uomini e donne (Gesù): questo il tema che unifica la pagina di Giobbe e quella evangelica.
E anzitutto emerge la legittimità del linguaggio di protesta e di contestazione da parte dell’uomo quando si trova nella situazione di malattia. Giobbe si ribella alla situazione di disgrazia che si è abbattuta su di lui e grida a Dio la propria rabbia. Giobbe arriverà a bestemmiare Dio, mostrerà aggressività verso i suoi amici che si rivelano in realtà nemici, “medici da nulla”, ma non conforma il proprio discorso a quello teologicamente corretto dei suoi amici. Giobbe osa esprimere ciò che sente. E Dio stesso, dirà Gb 42,8, gradisce maggiormente le sue invettive che le prediche dei suoi amici. Vi è una legittimità per il malato, nella sua sofferenza, di esprimere una reazione anche di collera, anche irrazionale. In verità, quell’urlo è la maniera con cui il malato cerca di dirsi nella malattia, cerca di esprimere ciò che sta avvenendo alla propria vita. Ed è un momento positivo e vitale in quanto è il primo passo di un possibile cammino di guarigione, o quanto meno di assunzione della malattia: il malato lotta, chiede “perché?”, inveisce, non si rassegna, non la dà vinta al male. Questa presa di parola di fronte al male che invade il proprio corpo non va soffocata da chi sta accanto al malato con esortazioni al silenzio o a “non dire così” o a non disturbare, ma va accolta come un momento importante del faticoso processo di assunzione della crisi esistenziale introdottasi nella vita dell’uomo. Come dice ancora Giobbe: “Per il malato c’è la lealtà degli amici, anche se rinnega l’Onnipotente” (Gb 6,14); “per il malato c’è la pietà degli amici, anche quando Dio si mette contro di lui” (Gb 19,21).

L’incontro di Gesù con i malati, presentato nella pagina evangelica anche mediante un sommario che parla dell’attività di cura e di guarigione dei sofferenti come di un’attività consueta di Gesù (cf. Mc 1,32-34), è istruttivo per il discorso spirituale cristiano circa malattia e sofferenza. Gesù non predica rassegnazione, non chiede di offrire la sofferenza a Dio, non dice mai che la sofferenza di per sé avvicini maggiormente a Dio, non nutre atteggiamenti doloristici. Gesù invece lotta contro il male, cerca di farlo arretrare, di ridare salute all’uomo. Egli si presenta come “medico” (Mc 2,17), attualizzando in sé la potenza del Dio il cui nome è “Colui che ti guarisce” (Es 15,26). E soprattutto l’attività di cura e guarigione che Gesù compie sta all’interno della finalità prima della sua missione: “predicare il vangelo” (cf. Mc 1,38; 1,14), annunciare il Regno di Dio: le guarigioni operate da Gesù appaiono così vangelo in atti e profezia del Regno di Dio. La malattia diviene pertanto, in una prospettiva di fede, un possibile luogo di vangelo.
Gesù non si lascia travolgere dalle folle che vogliono guarigioni, ma cerca e trova spazio e tempo di solitudine e di silenzio per pregare. E sa porre un limite all’attività, sa dire dei no, non si lascia sedurre dal fatto che “tutti lo cercano”. Gesù si rifiuta di divenire un fornitore di prestazioni terapeutiche e sa anche sottrarsi alle richieste che provengono dalla gente. I gesti che egli compie sono sacramentali, sono trasparenza dell’azione divina, nella misura in cui egli vive la sua missione non tanto cercando di soddisfare i bisogni di coloro cui è inviato, quanto nutrendo la relazione con colui che l’ha inviato. Per questo Gesù prega e rivendica il primato dell’annuncio della parola sull’operare il bene che pure è una caratteristica del suo agire (cf. At 10,38). Del resto: da dove attinge Gesù la sua forza? Da dove attinge la pazienza, la dedizione, l’abnegazione, lo spendersi? Da dove, se non dalla relazione nutrita quotidianamente con il Padre?



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5. Enzo Bianchi
Siamo ancora all’interno del sabato trascorso da Gesù a Cafarnao, aperto dal suo entrare al mattino nella sinagoga, dove aveva guarito un uomo malato nella psiche e nello spirito (cf. Mc 1,23-28). E Gesù continua a incontrare uomini e donne feriti nella loro salute, oppressi dalla sofferenza e dalla malattia; li incontra quali persone prossime, come la suocera di Pietro che è preda della febbre, li incontra perché accorrono a lui da ogni parte. Si potrebbe dire che la giornata di Cafarnao è soprattutto incontro di Gesù con i malati, sempre presenti: presenti alla liturgia nell’assemblea dei credenti, presenti in casa, presenti nelle città e nei villaggi…
 A loro Gesù non predica rassegnazione, non chiede di offrire la sofferenza a Dio, né, d’altra parte, incoraggia atteggiamenti di ricerca dello straordinario e del miracolo. No, Gesù incontra i malati, non teme di avvicinarli e anche di toccarli; fa dunque innanzitutto gesti di comunione, si piega su quei corpi per curarli, lotta contro il male per farlo arretrare e così ridona agli uomini salute e pienezza di vita. Va detto con chiarezza: la malattia – questa terribile situazione in cui prima o poi tutti ci imbattiamo – e, con essa, il dolore non ci inducono automaticamente a essere più buoni, ma sovente ci spingono alla chiusura, all’egoismo, all’assenza di fiducia negli altri e nella vita…
 Eppure anche la malattia è un luogo in cui è possibile far risuonare la buona notizia del Regno di Dio. Mentre restituiscono all’integrità della salute le persone malate, le guarigioni operate da Gesù vogliono infatti testimoniare soprattutto che nella malattia l’uomo è sempre oggetto di amore e di cura da parte di Dio: nella malattia è chiesto semplicemente a ogni persona di accettare di essere amata e di cercare a sua volta di amare! Attraverso queste azioni di cura e guarigione dei malati, Gesù ci racconta l’amore di Dio, annuncia il Vangelo con gesti e azioni – così come nella sinagoga l’aveva annunciato a parole (cf. Mc 1,21-22) –, e ci insegna quale deve essere il nostro servizio verso i malati che incontriamo. Questi miracoli sono dunque segni che devono lasciare il posto alla quotidianità della carità, della fede e della speranza, perché solo così si compie la verità dell’uomo: il vero miracolo operato sui malati consiste nel fatto che essi possono conoscere l’amore!
  
 Pur avendo scritto un vangelo che è occupato per quasi un terzo dalla narrazione di miracoli, Marco non chiede ai lettori di interessarsi al miracolistico o al prodigioso. È per questo che Gesù, pur operando tali azioni, non si esalta mai, né si attarda su di esse; al contrario, esige silenzio in proposito (cf. Mc 1,43-44; 5,43; ecc.) e vigila affinché le folle non deducano da questi gesti la sua santità né giungano a conclusioni affrettate sulla sua identità, prima della manifestazione definitiva che egli darà di sé sulla croce. Solo allora si potrà dire: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!” (Mc 15,39).
 Va ancora notato che Gesù non si lascia travolgere né dalle folle che vogliono guarigioni né dalla sua attività di pastore (cf. Mc 6,34): Gesù cerca e trovaspazi e tempi di solitudine, per dedicarsi alla preghiera, all’ascolto del Padre e alla comunione con lui. Nel deserto, nella notte, al mattino presto, egli cerca tenacemente di preservare il tempo essenziale per nutrire la relazione con Dio che lo ha mandato e che gli dà la forza e l’ispirazione per il suo “passare tra di noi facendo il bene” (cf. At 10,38).
 Così Gesù ha speso la vita, così ha insegnato a spenderla a noi, suoi discepoli: una vita che trova la propria forza nella preghiera e nel dialogo con Dio e che diviene vita per Dio e per gli altri, diviene un farsi carico delle sofferenze del fratello, una compassione che non si ferma davanti alla malattia e che senza pretendere guarigioni miracolistiche, sa farsi carico del dolore dell’altro e riesce così ad alleviarlo. Perché se alcune malattie sono ancora oggi inguaribili, nessuna persona è mai incurabile: basta che noi ce ne prendiamo cura, manifestandogli la cura che il Signore si è preso dell’umanità.
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COMMENTI DALLA TRADIZIONE PATRISTICA


S. Pier Crisologo 
L' a t t ento  a s col t a tore  d e l l ' o d i e r na  l e t t u ra  ha  appr e so 
p e r c hé  il  S i g n o re del  c i e lo  s ia  e n t r a to  in case  t e r r ene 
e  s e r v i l i.  N u l la di  s t r a n o,  p e r ò,  c he  si  d e g n a s se di 
pr e s ent a r si  in  t u t ti i  l u o g hi  chi  g e n e r o s a m e n te  e ra 
v e n u to a salvare  t u t t i. 
Venuto in casa di Pietro, di c e, Gesù vide la suocera di 
lui che era a letto con la febbre. Vedete che cosa fece 
entrare Cr i s to in casa di Pietro: non certo il desiderio 
di sdraiarsi a mens a, ma  l ' infermi tà di  u n ' amma l a t a; 
non il bisogno di pranzare, ma un'occasione di salvezza; un'ope ra di divina potenza, non l'attrattiva di un 
banche t to  uma n o. In casa di Pietro non si versavano 
v i n i, ma  l a c r ime; non  la preparazione di un convito  agi t ava lì la famiglia, ma l'assistenza di  u na ma l a t a; lì la 
febbre, non la fame ardeva. Cr i s to non per ricevere vivande, ma per rendere  la vi ta vi  ent rò. Dio cerca uom i n i, non cose  uma n e; beni celesti vuole donare, non 
desidera trovare que l li terreni. Cr i s to  d u n q ue è venuto a prendere noi, non a cercare le nostre cose. 
Venuto in casa di Pietro,  d i c e, Gesù vide la suocera di 
lui che era a letto con la febbre. Ent r a to  in casa di Pi et ro,  C r i s to  v i de a  che  e ra  v e n u t o;  n on osservò  l ' aspetto  d e l la casa né  la folla di  q u e l li  che  a c cor r evano 
né  l 'os t ent a z ione di  chi  s a lut ava né  l ' a c cogl i enza  d e lla  f ami g l ia né,  t a n to  m e n o,  il decoro  d e l l ' a r r e d ame nto, ma notò  il  l a m e n to  d e l l ' a m m a l a t a, osservò  l ' a rdore  d e l la febbre, vide il pe r i colo  d e l la  s v e n t u r a ta e, 
s u b i t o, stese  la  m a no per  l 'ope ra  d e l la  sua  d i v i n i t à; 
né  C r i s to si distese a me n sa per cose  u m a ne  p r i ma 
che  la  d o n n a,  che gi a c eva, sorgesse  a l le  d i v i n e.

Le tenne,  d i c e, la mano e la febbre la lasciò. Vede te 
c ome  la febbre  a b b a n d o na  q u e l la  che  C r i s to  ha  t en u t o;  n on  r i m a ne  la  m a l a t t ia  l a d d o ve assiste Fautore 
d e l la  s a l u t e;  n on vi è  a l c un  ingr e s so  d e l la mo r te  l a ddove è  e n t r a to il vivi f i c a tor e. 
Le tenne,  d i c e, la mano.  C he bi sogno  c ' e ra di toccare, 
q u a n do  a g i va  la  p o t e n za  d el  c o m a n d o?  Ma  C r i s to 
t e n ne  la  m a no  d e l la  d o n na per  la  v i ta pe r ché  A d amo,  d a l la  m a no  d e l la  d o n n a, aveva  r i c evuto  la  m o rte. Le tenne la mano pe r ché  c iò  che la  m a no  d e l l ' usurpa tore aveva  p e r d u t o,  la  m a no del  C r e a t o re  r e s t ituisse. Le tenne la mano pe r ché ricevesse il pe rdono 
la  m a no  che aveva  s t r appa to  la  s ent enza  di mo r t e. 
Ed ella si alzò,  d i c e, e lo serviva. E  C r i s to  aveva bi sog no  d ei  s e rvigi  di  u na  d o n n a, e  di  u na  d o n na  di  e tà 
avanz a t a,  m o l to  v e c c h ia e  l o g o r a ta  d ai  f igl i?  C o sì  in 
casa  di Pi e t ro  n on  c ' e ra  un  d ome s t i co  né  un servo 
né  un  f ami l i a re  né  un  v i c i n o,  a l m e no  la  m o g l i e,  c he 
evi t a s se  a l la  m a d re  di  s e rvi r e? E  P i e t ro  s t e s so,  s op r a t t u t t o,  n on  t r o v a va  m o t i vo  di  v e r g o g na  p er  sé 
che  q u e s ta  v e c c h i a,  q u e s ta  s u o c e ra facesse  al  M a es t ro  c iò  c he  il  d i s c e p o lo  a v r e b be  d o v u t o?  F r a t e l l i, 
C r i s to  n on  e s igeva  un  o s s e q u io  u m a no  da  p a r te  di 
col ei a  c ui  aveva pr e s t a to  il servizio  p r o p r io  d e l la  d iv i n i t à; ma  a c c e t tò  c he  l ei  s e rvi s se a  d i m o s t r a z i o ne 
d e l la  s a l u te resa.  C r i s to fuga  le  m a l a t t ie  in  m o do  da 
r ida re  s u b i to  le  e n e r g ie  di  p r i m a.  L a d d o ve  c u ra  l ' a rte  m e d i c a,  la  m a l a t t ia  n on è affatto  s conf i t t a;  l a d d ove  g u a r i s ce  la  p o t e n za  d i v i n a,  il  m a le  n on  l a s c ia 
t r a c c i a. 
... Venuto,  d i c e, Gesù in casa di Pietro. In  c a sa di  P i et ro  v e n ne  C r i s to  p e r c hé  la  c a sa di  P i e t ro veni s se a 
C r i s t o.  In  c a sa  di Pi e t ro  v e n ne  C r i s to  a l l o r c hé  e n t rò 
n e l la  d i m o ra  d e l la  n o s t ra  c a r n e. Venuto Gesù in casa 
di Pietro.  Q u al è  la  c a sa di Pi e t ro?  Q u e l la di  c ui  d i ce 
il  S i g n o r e: E tu, casa di Giuda, non sei la più piccola 
nel regno di Giuda; da te, infatti, uscirà un capo per 
reggere il mio popolo  ( Mt 2,  6 ). 

A n c he  l ' apos tolo: Da essi proviene Cristo secondo la 
carne, egli che è Dio benedetto nei secoli. 
Venuto in casa di Pietro, vide la suocera di lui che era 
a letto con la febbre.  V i de la  s i n a g o ga  g i a c e re  n e l le 
t e n e b re  d e l la  s ua  p e r f i d i a,  c a d u ta  sot to  il peso  d ei 
suoi  p e c c a t i,  f e b b r i c i t a n te di vi zi  f ino  al  d e l i r i o; e 
pe r c iò  le  t e n ne  la  m a n o,  p e r c hé  n on  s o l t a n to  con  la 
p a r o l a, ma  a n c he  con  le  m a ni ope ra  la salvezza del 
p o p o lo  g i u d a i c o. As c o l ta il profeta: Ma Dio, nostro 
re, prima dei secoli operò la salvezza in mezzo alla terra.  (Sal  7 3, 12) Le tenne la mano,  p e r c hé la  m a no di 
l ei fosse  p u r i f i c a ta  d al  s a n g ue  d ei profeti  p r i ma  di 
ricevere  il  s a c r ame n to del  m i n i s t e ro  e c c l e s i a s t i co. 
E si alzò e lo serviva. Per  q u e s to si è  a l z a ta lei  che 
g i a c e v a, e  s e rviva  C r i s t o,  s a n t i f i c a n do ora  in ope re 
b u o ne  le  sue  m a ni  che  p r i ma  m a c c h i a va  con ope re 
c a t t i v e. 
Calata la sera,  d i c e, gli presentarono molti indemoniati ed egli cacciava gli spiriti con la parola.  C iò in 
che  m o do  p uò  u m a n a m e n te  i n t e n d e r s i:  c h e,  d i s d eg n a to  il  g i o r n o, di sera  g li  a v i di di salvezza  p o r t a r ono mo l ti  m a l a ti a  r i c eve re  le  cure  s a l u t a r i? Ma  di  s era è  q u a n do  f ini s ce  il  g i o r no del  m o n d o,  q u a n do  il 
m o n do  si  a l l o n t a na  d a l la  l u ce dei  t e m p i. A  t a r da ora 
v i e ne  il  r e s t i tutore  d e l la  l u ce per  r ende re a  n oi  g e n t il i,  che  s i amo  v e n u ti  n e l la  n o t te dei  s e col i,  il  g i o r no 
s e m p i t e r n o. 
Calata poi la sera, gli presentarono molti indemoniati. 
Di sera,  c ioè  a l l ' u l t i mo  m o m e n to  la  p ia e  d e v o ta  sol e n n i tà  d e g li  apos toli pr e s enta noi  g e n t i li  al  S i g n o r e, 
e sono  s c a c c i a ti i  d e m o ni  che  p r i ma  ci  d o m i n a v a no 
con  il  c u l to  d e g li  i d o l i. 
As c o l ta il profeta: Demoni tutti gli dèi dei gentili  (Sal 
9 5,  5 ).  I g n o r a n do  l ' u n i co  D i o,  o n o r a v a mo  i n n u m erevoli dei  con un  c u l to  s a c r i l ego e  s o r d i d i s s imo. 
E cacciava gli spiriti con la parola,  p e r c hé a noi  C r isto  n on  v e n ne  con  la  c a r n e,  v e n ne  con  la  p a r o l a. 
Q u a n do  d u n q ue  v e n ne la fede dall'ascolto, l'ascolto 

mediante la parola, ci fece  l i b e ri  d a l la  s e r v i tù  d e m oni a c a,  r e n d e n do i  d e m o ni  da  e m pi  d o m i n a t o ri  p r ig i o n i e r i. Per  q u e s to i  d e m o n i, sotto  le nos t re  m a n i, 
sono  t o r m e n t a ti  al nos t ro  c o m a n d o; essi  che  ci sott ome t t e v a no  ai  l e g n i,  ci  a b b a n d o n a v a no  a l le  p i e t r e, 
affliggendoci  o g ni  g i o r n o,  m e d i a n te  v u o te  i m m a g ini,  con  v a no  t i m o r e. 
(Omelia 18)
* * *


San Beda il Venerabile




E subito, uscendo dalla sinagoga, vennero in casa di 
Simone.  Se  d i r e mo  che  un  u o mo  l i b e r a to dal  d e m onio  s igni f i ca  m o r a l m e n te  che è  s t a to pur i f i c a to dal 
r a g i o n a m e n to  i m p u r o,  di  c o n s e g u e n za  la  d o n n a, 
t e n t a ta  d a l la febbre ma  g u a r i ta dal  c o m a n do del  S ignor e,  i n d i ca  la  c a r n e, frenata nel  b r u c i o re  d e l la  s ua 
c o n c u p i s c e n za  m e d i a n te i pr e c e t ti  d e l la  c o n t i n e n z a. 
Infatti  o g ni  a spr e z z a,  s d e g n o,  i r a,  c l a m o r e,  m a l d icenza è furore  d e l lo  s p i r i to  i m m o n do e  c o m p r e n di 
che  f o r n i c a z i o n e,  i m p u r i t à,  c u p i d i g i a,  c a t t i va  c o ncupi s c enza e  ava r i z ia  che è  i d o l a t r ia  sono la febbre 
de l la  c a r ne  s e d u c e n t e. 
E subito gli parlano di lei ed Egli, accostatosi la sollevò 
prendendola per mano ... E subito la febbre la lasciò e 
si mise a servirli. È  n a t u r a le per i  f e b b r i c i t a n t i,  a n c he 
q u a n do  c o m i n c ia  la  g u a r i g i o n e,  e s s e re  s p o s s a ti e 
s e n t i re  il  f a s t i d io  d e l la  m a l a t t i a.  La  s a l u t e,  i n v e c e, 
che è  d o n a ta per  c o m a n do del  S i g n o r e,  r i t o r na  t u t ta 
c o m p l e t a m e n te  in  u no stesso  m o m e n t o. E  n on solo 
r i t o r na essa sola, ma  a n c he  a c c o m p a g n a ta  da  t a n to 
vigore  che ba s ta per  s e rvi re  i m m e d i a t a m e n te  chi  l ' aveva  g u a r i ta  e,  s e c o n do  le  l e g gi  d e l la  t r o p o l o g i a,  le 
m e m b ra  che  p r i ma  avevano  s e rvi to  a l la  i m p u d i c i z ia 
per  p o r t a re frutti  di  m o r t e,  o ra  s e rvono  la  g i u s t i z ia 
per  la  v i ta  e t e r n a. 
Venuta la sera, al tramonto del sole... Il  t r a m o n to del sole  s igni f i ca  la pa s s ione e  la  m o r te di  c o l ui  che  d i sse: finché sono nel mondo sono la luce del mondo (Gv 
9,  5) e  q u a n do  il sole  t r a m o n t a,  p iù  i n d e m o n i a ti  di 
p r i m a,  p iù  i n f e rmi  di  p r i ma  sono  r i s a n a t i. Poi ché, 
c o l ui  che  v i v e n do  p er  un  c e r to  t e m po  n e l la  c a r ne 
i n s e g nò a  p o c hi  G i u d e i,  c a l p e s t a to  il  r e g no  d e l la 
mo r te ha  t r a sme s so a  t u t te  le  g e n t i, per  t u t to  l ' u n ive r so, i  d o ni  d e l la fede e  d e l la salvezza e il  s a lmi s ta 
c a n ta  ai  suoi  m i n i s t ri  c o me a  b a n d i t o ri di  l u ce e di 
v i t a: Aprite la strada a Colui che sale sopra il tramonto 
(Sal  6 7,  5 ).  C e r t o, sale  sopra  il  t r a m o n to  il  S i g n o r e, 
p o i c hé  da dove  t r a m o n tò  n e l la pa s s ione,  di  là risorg e n do mani f e s t e rà  m a g g i o re  la  sua  g l o r i a. 
... E al mattino si alzò quando era ancora buio e uscito se ne andò in un luogo deserto. Se al  t r a m o n to del 
sole  si  e s p r i me  la  m o r te  d el  S a l v a t o r e,  p e r c hé  n on 
s a r ebbe  i n d i c a ta con  il  r i t o r no  d e l la  l u ce  la  sua  r esur r e z ione?  M a n i f e s t a ta  d u n q ue  la  l u ce  d e l la  sua  r es u r r e z i o n e,  se  ne  a n dò  n el  d e s e r to  d e l le  g e n ti e  lì 
pr egava  t ra i  suoi  d i s c e p o li fedeli  p e r c hé  i n c i t a va i 
loro  c u o r i, per  la  g r a z ia del  suo  S p i r i t o, verso  la  p ot enza  d e l la  p r e g h i e r a. 
(Dall'Esposizione sul vangelo di Marco, II, 1)