giovedì 29 marzo 2012

L'incontro come Grazia

 
sopra: Gesù e Zaccheo, Basilica di Sant’Angelo in Formis, Capua (Caserta) 
[© Bruno Brunelli]



Continuo con questo post la esposizione della Dottrina della Grazia cristiana: lo faccio col capitolo I e i canoni 1 e 5 del decreto sulla giustificazione del Concilio di Trento Cum hoc tempore, che si compone complessivamente di 16 capitoli dottrinali e di 33 canoni.
La sua stesura era iniziata nel giugno 1546, durante la prima fase di quel Concilio iniziato nel dicembre precedente, e aveva dovuto scontare, oltre alla difficoltà intrinseca di formulare un testo adeguato su una materia controversa in seguito alle obiezioni dei Riformatori, anche il difficilissimo momento che attraversavano i rapporti in Germania fra i Riformati e l’imperatore Carlo V e, all’interno dello stesso campo cattolico, i rapporti fra l’imperatore e il papa Paolo III.
Superate almeno temporaneamente entrambe le difficoltà, il testo fu approvato nella sessione solenne del 13 gennaio 1547 e, una volta terminato il Concilio di Trento, promulgato da papa Pio IV il 26 gennaio 1564 insieme a tutti gli altri decreti conciliari.
La storia non solo ci informa riguardo a questo iter, ma anche sul fatto che si volle a tutti i costi affrettare l’approvazione del decreto nel gennaio 1547 perché esso potesse giungere in tempo per le imminenti predicazioni quaresimali. A beneficio delle anime, in altre parole. Si temeva infatti il «danno che ne fussero per patire l’anime de molti» (citato in H. Jedin, Storia del Concilio di Trento, vol. II, p. 358 nota 10), se fosse stata ritardata l’approvazione.
A commento dei canoni riporto l'editoriale di "30 Giorni" n. 01/02 2012: si tratta di un testo di don Luigi Giussani tratto da Appunti di metodo cristiano, libro edito a Milano da Gioventù studentesca nel settembre 1964, con il nihil obstat di monsignor Carlo Figini e l’imprimatur della Curia ambrosiana, e dedicato a Paolo VI con queste parole: «Al Papa dell’Ecclesiam Suam come espressione del meditato e fedele tentativo dei suoi studenti di Milano»
 
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Decreto del Concilio di Trento sulla giustificazione

L’impotenza della natura e della legge a giustificare gli uomini

Cap. I Prima di tutto il santo Concilio dichiara che, per comprendere perfettamente e con esattezza la dottrina della giustificazione, è necessario che ciascuno riconosca e professi che, avendo tutti gli uomini perduta l’innocenza per la trasgressione di Adamo (Rm 5, 12; 1Cor 15, 22), «divenuti immondi» (Is 64, 5) e (come dice l’Apostolo) «per natura figli dell’ira» (Ef 2, 3), come è esposto nel decreto sul peccato originale, erano a tal punto servi del peccato (cfr. Rm 6, 20) e sotto il potere del diavolo e della morte, che non solo i Gentili con le forze della natura, ma neppure i Giudei con l’osservanza letterale della Legge di Mosè potevano esserne liberati e risollevarsi, sebbene negli uomini il libero arbitrio non fosse affatto estinto, ma solo attenuato e deviato.

Can. 1 Se qualcuno afferma che l’uomo può essere giustificato davanti a Dio per le sue opere, compiute con le forze della natura umana o grazie all’insegnamento della Legge, senza la grazia divina che gli viene data per mezzo di Gesù Cristo: sia anatema.

Can. 5 Se qualcuno afferma che il libero arbitrio dell’uomo dopo il peccato di Adamo è perduto ed estinto; o che esso è questione solo di nome, anzi, nome senza contenuto, e perfino inganno introdotto nella Chiesa da satana: sia anatema.






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Gesù e Zaccheo, Basilica di Sant’Angelo in Formis, Capua (Caserta) [© Bruno Brunelli]
Gesù e Zaccheo, Basilica di Sant’Angelo in Formis, Capua (Caserta) [© Bruno Brunelli]

«Che cosa è l’uomo mortale, perché Tu ti ricordi di lui, il figlio di Adamo, perché Tu te ne prenda cura?» (Sal 8, 5).
«Mosè disse a Dio: Ma chi sono io?» (Es 3, 11).
«E io dissi: Ah, Signore Jahvè, vedi non sono neppure capace di parlare; io non sono che un ragazzo!» (Ger 1, 6).
«Signore..., io non sono degno che tu entri in casa mia...» (Lc 7, 6).
È la coscienza della gratuità assoluta degli interventi di Dio nella storia ch’è il valore più puro e obiettivo della vita cristiana. Perché non esiste verità più grande e dolce ed esaltante: gli incontri, che Egli ha creati per far parte del Suo regno gli uomini – noi! – sono dono altamente puro, che la nostra natura non avrebbe neanche potuto immaginare, prevedere: dono puro al di sopra di ogni capacità della nostra vita, «Grazia».


Gesù Cristo nel suo Corpo Mistico riassume tutto questo regno della «Grazia», della soprannaturale bontà della potenza di Dio. Come fu Grazia per gli ebrei di duemila anni fa l’esistenza fra loro di Gesù di Nazareth e l’incontrarLo per la strada, è la stessa Grazia per gli uomini di oggi l’esistenza della Chiesa nel mondo e l’incontrarLa nella loro società.


E non solo il fatto dell’incontro, ma anche la capacità di intenderne il richiamo è dono di Grazia:
«... Tu sei beato, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’han rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli» (Mt 16,17).
«... In quel tempo disse Gesù: “Io ti rendo lode o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così ti è piaciuto. Ogni cosa mi è stata data dal Padre mio, e nessuno conosce perfettamente il Figlio tranne il Padre; e nessuno conosce perfettamente il Padre tranne il Figlio e colui al quale il Figlio avrà voluto rivelarlo...”» (Mt 11, 25-27). «... Egli rispose loro: Perché a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli: a essi invece non è dato...» (Mt 13, 11).


E la stessa capacità di verificare questo richiamo, di riconoscere il valore è dono di Grazia. «... E io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro Paraclito perché rimanga in eterno con voi, lo Spirito cioè di verità, che il mondo non può ricevere, perché non lo vede né lo conosce; ma voi lo conoscerete, perché dimorerà in voi e sarà in voi...» (Gv 14, 16-17).
«... Ma il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà in mio nome, Egli vi insegnerà ogni cosa e vi suggerirà tutto ciò che io vi ho detto...» (Gv 14, 26).
«... Io ho manifestato il Tuo nome agli uomini che mi hai dato nel mondo; erano tuoi e Tu me li hai dati ed essi hanno conservata la Tua parola. Ora riconoscono che tutto quanto Tu mi hai dato viene da Te...» (Gv 17, 6-7).
«... Lo Spirito stesso attesta allo spirito nostro che siamo figli di Dio» (Rm 8, 16).


E la capacità di aderire e di realizzare la proposta cristiana è dono di Grazia: «... Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto Egli lo recide e ogni tralcio che porta frutto lo rimonda, perché ne produca anche più. Voi siete già mondati dalla parola che vi ho annunziata. Restate in me e io resterò in voi. Come il tralcio non può portare frutto da sé medesimo, se non rimane nella vite, così neppure voi se non rimanete in me. Io sono la vite, e voi i tralci. Colui che rimane in me e io in lui porta abbondanti frutti, perché, senza di me, non potete far nulla» (Gv 15, 1-5).
«... Così parlò Gesù. Poi elevati gli occhi al cielo disse: “Padre, l’ora è venuta: glorifica il Tuo figliolo affinché il Tuo figliolo glorifichi Te; come Tu gli hai dato ogni potere sopra ogni carne, affinché dia la vita eterna a tutti coloro che Tu gli hai dato. E la vita eterna è questa, che conoscano Te solo vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo”» (Gv 17, 1-3).
«... Io ho fatto loro conoscere il Tuo nome e lo farò conoscere affinché l’amore con cui mi hai amato sia in essi e io in loro» (Gv 17, 26).
Perché la mente e il cuore dell’uomo non sono mai adeguati ai passi che Dio fa verso di lui: la stessa soprannaturale bontà che fa assumere al mistero di Dio «forma di servo e figura d’uomo» (san Paolo) in Cristo e nella Chiesa, proporziona anche lo spirito e la sensibilità dell’uomo a queste meraviglie, altrimenti esse rimarrebbero come luce per un cieco o parole per un sordo, come per i nostri orecchi gli ultrasuoni, che sono come il silenzio.
Anche l’incontro, dunque, con quel brano di Chiesa che è la comunità cristiana dell’ambiente in cui ci si trova è «Grazia», è un dono della potenza di Dio. E occorre la Grazia anche per intendere il richiamo di coloro che ne fanno parte e di chi guida, e per impegnarsi a verificare questo loro richiamo e per aderire ed essere fedeli alla loro proposta.



L’ultima cena, Basilica di Sant’Angelo in Formis, Capua (Caserta)
L’ultima cena, Basilica di Sant’Angelo in Formis, Capua (Caserta)
A questo punto possiamo capire quale sia l’espressione di una vera disponibilità e impegno di fronte al richiamo cristiano: è l’atteggiamento di domanda, di preghiera. La norma dell’incontro cristiano rende immediatamente consapevole l’uomo sincero della sproporzione fra le sue forze e i termini stessi della proposta, consapevole della eccezionalità del problema posto da un simile messaggio. Il senso della propria originale dipendenza, che è l’aspetto più elementare della religiosità naturale, dispone perciò l’animo semplice a riconoscere che tutta l’iniziativa può essere del mistero di Dio, e l’atteggiamento ultimo da assumere è quello umile di chi chiede di vedere, di capire, e di aderire. È talmente fondamentale questo atteggiamento di preghiera che esso è proprio tanto ai credenti che a chi ancora non crede, tanto a Pietro che esclama: «Credo, Signore, ma aumenta la mia fede», quanto all’Innominato che grida: «Dio, se ci sei, rivelati a me».


Una disponibilità e un impegno col fatto cristiano che non si traducano in domanda, in «preghiera», non sono sufficientemente veri perché non badano con intelligente lealtà a ciò che significa la proposta che si è chiamati a verificare: «Viene l’ora che chiunque vi uccide crederà di rendere culto a Dio. E faranno questo perché non hanno conosciuto né il Padre né me» (Gv 16, 2-3).


Questo della domanda e della preghiera è il punto in cui la coscienza dell’uomo inizia la sua partecipazione al mistero di Colui che lo crea. E il nostro spirito sente quindi le vertigini di questo Mistero che tutto, assolutamente tutto fa, quando riflette che anche questa iniziale attività di domanda e di preghiera è resa possibile solo da un dono del Creatore: «Nessuno può dire: Signore Gesù, se non nello Spirito Santo» (1Cor 12, 3). «Lo Spirito Santo sostiene la nostra debolezza perché noi non sappiamo né cosa si ha da chiedere nella preghiera, né come convenga chiederlo; ma lo Spirito in persona intercede per noi con gemiti inesprimibili» (Rm 8, 26).
La liturgia della Chiesa ci educa a guardare questa iniziativa ineffabilmente profonda di Dio su di noi quando ci fa dire: «I nostri voti, Signore, che tu prevenendoci ci ispiri, degnati poi di accompagnarli con il tuo aiuto».


Anche l’incontro e l’impegno con la più umile comunità cristiana d’ambiente, fatta da solita gente, non si liberano da una impurità che altera giudizi e rapporti, se non sono accolti in quella disponibilità umile e attiva – vigile – del cuore, che è genuino, anche se embrionale, vago e confuso, impeto di preghiera.