mercoledì 28 marzo 2012

Mostraci, Gesù, la Tua Misericordia!





 Dal 23 al 25 marzo si è svolto a Collevalenza il I Congresso Nazionale della Misericordia (col patrocinio del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione). Di seguito riporto la relazione tenuta da S. Em.il Card. Christoph Schonborn, Arcivescovo di Vienna. Assolutamente da leggere!


  La misericordia di Gesù, speranza per tutti?


 

Introduzione

Cari amici, fratelli e sorelle!
Un cordiale saluto a tutti i partecipanti di questo Convegno Nazionale sulla
Divina Misericordia. Mi rincresce molto che non sono riuscito a partecipare
personalmente al Suo Convegno.
Ieri sera avevo la celebrazione della “GMG Diocesana” a Vienna. Dopo volevo
prendere l’aereo per arrivare a tempo a Collevalenza. Con le misure di risparmio
però questo volo è stato cancellato e purtroppo non ho ancora il dono della
bilocazione!
Sono grato a P. Patrice Chocholski, il segretario generale dei Congressi Mondiali
sulla Divina Misericordia (WACOM) di leggere le mie riflessioni sul tema di
questo Convegno.
Ho scelto due approcci del tema, due grandi interrogativi sull’estensione della
Divina Misericordia: Vale per tutti? E vale fino alla fine?

Misericordia per tutti?
 
Questa riflessione riguarda “la partita finale”: ci sarà alla fine misericordia per
tutti? L’infinita misericordia di Dio si rivelerà relegata entro i limiti della cattiveria
o chiusura umana? Non raggiungerà la misericordia di Dio tutti gli uomini,
benché essa valga per tutti gli uomini? Il giudizio finale sarà la vittoria della
giustizia di Dio. Sarà anche la vittoria della sua misericordia? Se la giustizia divina
significa che noi uomini abbiamo anche la possibilità di chiuderci a Dio per
sempre ed in eterno – proprio questo significa ”inferno” -, che ne è della
misericordia?
Che paradiso sarebbe quello che dovesse coniugare la propria felicità con
l’inferno di altri?
Cosa resta allora della misericordia? Una mamma potrebbe “godere” il
paradiso se suo figlio si trovasse nell’inferno?
Ma seppure una madre dimenticasse suo figlio, il profeta Isaia ci dice che Dio
non potrebbe mai dimenticare suo figlio, la sua creatura. Potrebbe sopportare
lui, che non ha esitato a dare il suo unico figlio per la nostra salvezza, che uno dei
suoi figli vada perduto per sempre (cf. Is 49, 15: Rom 8, 32)?
Oppure sono le nostre idee a riguardo troppo “umane”, troppo “terrene”?
Che ne sappiamo, noi, della beatitudine eterna? Che ne sappiamo noi degli
ultimi, più profondi segreti? Di fronte alle “ultime cose”, all’incomprensibile
mistero di Dio, non dovremmo anche noi, come fece infine Giobbe, metterci il
dito sulla bocca e tacere (cf. Gb 40,5)?

Dio vuole la salvezza
 
Un brano dal Vangelo di Matteo (Mt 9,9-13) ci indica il cammino: Gesù chiama il
pubblicano Matteo, detto anche Levi, e va a mangiare da lui. Il pranzo con i
pubblicani e i peccatori provoca i farisei. La risposta di Gesù alle loro domande è:
“Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e
imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non
sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori.”
È questo il chiaro messaggio della fede e dell’insegnamento della Chiesa, che
Dio vuole la salvezza di tutti gli uomini. Paolo lo dice espressamente: “Dio vuole
che tutti gli uomini si salvino e arrivino alla conoscenza della verità.” Ed ne
adduce il motivo: “Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli
uomini, l'uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti” (1 Tm 2, 4
segg.). Pietro ripete ugualmente: “Dio non vuole che alcuno perisca, ma che tutti
abbiano modo di pentirsi” (2 Pt 3,9). Non c’è dubbio: Dio vuole la salvezza di tutti
gli uomini.
C. S. Lewis (†1963) dice, a proposito del suo “padre spirituale”, il poeta
scozzese George Mac Donald (†1905): “Sperava davvero che tutti gli uomini si
salvassero, ma solo perché sperava che tutti si pentissero. Sa (e nessuno meglio
di lui lo sa) che neanche l’onnipotenza stessa può redimere chi non si converte.”1
Si tratta dunque di una misericordia condizionata? È come quando i genitori
dicono ai figli: “Se fai il bravo poi puoi andare (a seconda dell’età) al cinema o
alle giostre”? È dunque limitata la misericordia dalle nostre ristrettezze,
condizionata dalle nostre mediocrità? Chi può sperare ancora nella misericordia,
se essa dipende tanto dalla mia conversione?
Non è grazia anche la conversione e non, appunto, merito mio? Se però la
conversione è il presupposto per la misericordia di Dio e d’altra parte un dono
della grazia e della misericordia di Dio, la cosa potrebbe sembrare un “circolo
vizioso”. Ma chi ottiene la grazia della conversione?
Se si dicesse chi l’ha meritata, ci si dovrebbe chiedere: me la posso meritare?
Se Dio dona la grazia solo liberamente, bisogna chiedersi: perché dona la grazia
della conversione ad alcuni ed ad altri no? La misericordia di Dio potrebbe allora
venire intesa come un’assegnazione arbitraria: egli ha misericordia di coloro di
cui vuole avere misericordia, e rifiuta la misericordia a chi non vuole concederla.
L’apostolo Paolo sembra che parli di una predisposizione, di una
predestinazione: “Noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano
Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che egli da
sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine
del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha
predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati;
quelli che ha giustificati li ha anche glorificati” (Rm 8, 28-30).
Che ne è poi degli altri? Sono la “massa damnata”, un numero molto più
grande di anime che si perdono per sempre, come hanno ritenuto molti teologi e
predicatori? Non sono pochi ad aver pensato che all’inferno ci siano molti uomini
e che invece in paradiso arrivi solo una schiera di eletti. Ecco un chiaro ma
difficile testo di Sant’Agostino (†430):
“Tutta la massa umana deve dunque scontare le sue pene e, se a tutti si
rendesse il dovuto castigo della condanna, non si renderebbe certo
ingiustamente. Perciò coloro che vengono liberati dalla condanna per

1 C. S. LEWIS, Die Weisheit meines Meisters. Anthologie aus George MacDonald, Einsiedeln
1986, S. 17.

grazia, non si chiamano vasi pieni di meriti propri, bensì vasi di
misericordia (Rm 9,23). Misericordia di chi, se non di colui che mandò il
Cristo Gesù in questo mondo a salvare i peccatori (1 Tm 1,15), che da
sempre ha conosciuti, predestinati, chiamati, giustificati e glorificati (Rm 8,
29)? Chi dunque vuol essere tanto pazzo da non rendere ineffabili grazie
alla misericordia divina liberatrice di quelli che vuole, se in nessun modo
avrebbe il diritto d’incolpare la giustizia divina anche se fosse
condannatrice di tutti senza eccezione?”2
Alla base di questo testo c’è una concezione centrale che però oggi risulta di
difficile comprensione: noi tutti abbiamo bisogno di redenzione. ”E non c'è
distinzione: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio” (Rm 3,22-23).
“Dio, infatti, ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per usare a tutti
misericordia!” (Rm 11, 32). Paolo ripete qui soltanto quello che Gesù dice ai suoi
discepoli spaventati. Dopo le parole sul matrimonio, sulla sua indissolubilità,
sulla verginità per il regno dei cieli e sulla difficoltà, per un ricco, di entrare in
paradiso, gli apostoli erano sconcertati. “Chi può ancora salvarsi?” La risposta di
Gesù: “Per gli uomini è impossibile. Ma per Dio tutto è possibile” (Mt 19,3-26).
Del tutto impossibile e del tutto possibile – è questo il punto della dottrina
cristiana divenuto oggi maggiormente estraneo. Io ho assolutamente bisogno di
redenzione. Come nessuno può darsi la vita da solo, così nessuno può darsi da
solo la vita eterna. Né prestazione, né impegno possono guadagnare il paradiso.
Ma ciò significa che senza la sua misericordia sono irrimediabilmente perduto.
Ma non è questo il vecchio “trucco dei preti”? Di presentare prima alla gente
l’inferno a tinte infuocate, di minacciarla con tutti i tormenti possibili, con la
pena della dannazione eterna, per poi esortarla alla conversione e per predicare
ai cuori impauriti l’indulgente misericordia di Dio? – Così la cosa non può certo
andare.
A predicare l’inferno si è certamente commesso del male. Oggi si corre il
rischio di non percepirne più il pericolo, di non avvertire più quanto sia
minacciata la nostra salvezza eterna. Prima lo richiamavano alla coscienza le
minacce dell’inferno e della gravità, drasticamente dipinta, del peccato mortale.
Nel convento di Vorau, in Stiria, c’è per esempio in sacrestia un dipinto
terrificante del giudizio universale. Ogni sacerdote deve passare davanti a questo
dipinto prima di andare a celebrare in Chiesa la santa messa, e deve ricordarsi

2 S. AGOSTINO, De natura et gratia, 5.

dell’ammonimento di Paolo: “Chi mangia e beve senza riconoscere il corpo [del
Signore], mangia e beve la propria condanna” (cf. 1Cor 11,29). Nella Cappella
Sistina in Vaticano i cardinali votano il Papa davanti al Giudizio Universale di
Michelangelo e confessano, nella formula del giuramento, di votare al cospetto
di Dio, “qui me iudicaturus est” (che un giorno mi giudicherà).

Giustizia nel mondo
 
Il giudizio dopo la morte oggi non fa più paura. Molto più angosciante è il
problema della giustizia in questo mondo. I cuori sono più fortemente colpiti dal
perché Dio possa permettere tanta ingiustizia, tanta iniquità e sofferenza in
questo mondo che non dalla domanda di cosa accada, dopo la morte, ai grandi
malfattori. Papa Benedetto XVI scrive nella sua seconda enciclica Spe salvi
(“Nella speranza siamo stati salvati”, 30 novembre 2007):
“La prospettiva del Giudizio, già dai primissimi tempi, ha influenzato i
cristiani fin nella loro vita quotidiana come criterio secondo cui ordinare la
vita presente, come richiamo alla loro coscienza e, al contempo, come
speranza nella giustizia di Dio… Nella conformazione degli edifici sacri
cristiani… diventò abituale rappresentare sul lato orientale il Signore che
ritorna come re – l'immagine della speranza –, sul lato occidentale, invece,
il Giudizio finale come immagine della responsabilità per la nostra vita, una
raffigurazione che guardava ed accompagnava i fedeli proprio nel loro
cammino verso la quotidianità.“ (Spe salvi 41)
Il Santo Padre vede un profondo cambiamento nell’epoca moderna:
“Il pensiero del Giudizio finale sbiadisce: la fede cristiana viene
individualizzata ed è orientata soprattutto verso la salvezza personale
dell’anima; la riflessione sulla storia universale, invece, è in gran parte
dominata dal pensiero del progresso. Il contenuto fondamentale dell’attesa
del Giudizio, tuttavia, non è semplicemente scomparso… Un mondo, nel
quale esiste una tale misura di ingiustizia, di sofferenza degli innocenti e di
cinismo del potere, non può essere l’opera di un Dio buono. Il Dio che
avesse la responsabilità di un simile mondo, non sarebbe un Dio giusto e
ancor meno un Dio buono… Che da tale premessa siano conseguite le più
grandi crudeltà e violazioni della giustizia non è un caso, ma è fondato
nella falsità intrinseca di questa pretesa. Un mondo che si deve creare da
sé la sua giustizia è un mondo senza speranza. Nessuno e niente risponde
per la sofferenza dei secoli. Nessuno e niente garantisce che il cinismo del
potere – sotto qualunque accattivante rivestimento ideologico si presenti –
non continui a spadroneggiare nel mondo.” (Spe salvi, 42)

Le menzogne di queste ideologie che pretendevano di portare con violenza una
giustizia immanente al mondo, si fa evidente soprattutto quando esse ritengono
che le sofferenze delle vittime siano da ritenersi una parte del meccanismo della
storia. Tale ideologia, mostrando che nella sua visione non c’è posto per il dolore
del singolo, si smaschera da sola come falsa. Nel comunismo si usava dire che
“quando si pialla volano i trucioli”3. Non c’è speranza e giustizia per quelli che
sono capitati nell’ingranaggio della storia. A che serve infatti alle vittime che per
altri ci sarà, una volta, un futuro migliore, se loro non lo potranno condividere?
“Sono convinto”, scrive Papa Benedetto, “che la questione della giustizia
costituisce l’argomento essenziale, in ogni caso l’argomento più forte, in favore
della fede nella vita eterna” (Spe salvi 43). L’ingiustizia non deve avere l’ultima
parola nella storia. “Solo Dio può creare giustizia. E la fede ci dà la certezza: Egli
lo fa” (Spe salvi 44). Questa è la cosa meravigliosa nella fede nel giudizio finale.
Dio non lascerà che il grido dei sofferenti, dei prigionieri, dei tormentati si
dissolva. L’immagine del giudizio finale non è in primo luogo un’immagine
terrificante, bensì un’immagine di speranza.
Più che un’“immagine di spavento” è un’”immagine di responsabilità”. Una
delle grandi sfide del nostro tempo è quella di tornare a ricordare, con il Giudizio
finale, la responsabilità. Dovremo un giorno rendere ragione anche dei torti del
nostro tempo di cui siamo stati corresponsabili. Che rapporto c’è fra grazia,
misericordia e giustizia?
Il Santo Padre dice:
“La grazia non esclude la giustizia. Non cambia il torto in diritto. Non è una
spugna che cancella tutto così che quanto s’è fatto sulla terra finisca per
avere sempre lo stesso valore. Contro un tale tipo di cielo e di grazia ha
protestato a ragione, per esempio, Dostoëvskij nel suo romanzo «I fratelli
Karamazov». I malvagi alla fine, nel banchetto eterno, non siederanno
indistintamente a tavola accanto alle vittime, come se nulla fosse stato.”
(Spe salvi 44)
Che misericordia sarebbe quella che cancella tutto il dolore e le ingiustizie? “Il
Giudizio di Dio è speranza sia perché è giustizia, sia perché è grazia. Se fosse
soltanto grazia che rende irrilevante tutto ciò che è terreno, Dio resterebbe a noi
debitore della risposta alla domanda circa la giustizia – domanda per noi decisiva

3 Che corrisponde a: “non si fa la frittata senza rompere le uova” (n.d.t.).

davanti alla storia e a Dio stesso. Se fosse pura giustizia, potrebbe essere alla fine
per tutti noi solo motivo di paura” (Spe salvi 47). L’epoca moderna ha spostato il
pensiero del Giudizio nell’immanenza. Le esperienze terribili del ventesimo
secolo hanno però mostrato che non possiamo sottrarci alla domanda circa il
Giudizio divino.
Ma in che relazione sono tra loro giustizia e misericordia davanti al Giudizio
divino?
La dottrina cristiana da sempre ritiene che con la morte la scelta di vita
fatta dall’uomo diventa definitiva. La scelta che ha preso forma, non in un
attimo, ma nel corso dell’intera vita, presenta caratteri diversi nelle diverse
persone: “Possono esserci persone che hanno distrutto totalmente in se
stesse il desiderio della verità e la disponibilità all’amore. Persone in cui
tutto è diventato menzogna; persone che hanno vissuto per l’odio e hanno
calpestato in se stesse l’amore. È questa una prospettiva terribile, ma
alcune figure della stessa nostra storia lasciano discernere in modo
spaventoso profili di tal genere. In simili individui non ci sarebbe più niente
di rimediabile e la distruzione del bene sarebbe irrevocabile: è questo che
si indica con la parola “inferno”. La Chiesa ha sempre insegnato che esiste
indubbiamente questa possibilità, anche se non ha mai detto, di una
persona in particolare, che essa si trovi all’inferno. “Dall’altra parte possono
esserci persone purissime, che si sono lasciate interamente penetrare da
Dio e di conseguenza sono totalmente aperte al prossimo – persone, delle
quali la comunione con Dio orienta già fin d’ora l’intero essere e il cui
andare verso Dio conduce solo a compimento ciò che ormai sono” (Spe
salvi 45).
Da che parte sto io? Probabilmente la maggior parte delle persone pensa di
essere situato a metà, in una qualche parte. Voglio davvero sperare che l’amore
in me non sia del tutto estinto, che il male non mi abbia del tutto afferrato. Non
oso ritenere che l’amore in me sia totalmente puro, che “mi plasmi
completamente”. Come collocare questa situazione nel Giudizio? Qui subentra la
dottrina della Chiesa circa il purgatorio, circa la purificazione. L’apostolo Paolo
parla di un “fuoco” attraverso il quale deve passare l’opera della nostra vita,
quando moriamo: tale fuoco è Cristo stesso (1Cor 3, 12-15). Il Santo Padre
riassume così tale insegnamento:
“L’incontro con Lui è l’atto decisivo del Giudizio. Davanti al suo sguardo si
fonde ogni falsità. È l’incontro con Lui che, bruciandoci, ci trasforma e ci
libera per farci diventare veramente noi stessi. Le cose edificate durante la
vita possono allora rivelarsi paglia secca, vuota millanteria e crollare. Ma
nel dolore di questo incontro, in cui l’impuro ed il malsano del nostro essere
si rendono a noi evidenti, sta la salvezza. Il suo sguardo, il tocco del suo
cuore ci risana mediante una trasformazione certamente dolorosa «come
attraverso il fuoco» È, tuttavia, un dolore beato, in cui il potere santo del
suo amore ci penetra come fiamma, consentendoci alla fine di essere
totalmente noi stessi e con ciò totalmente di Dio. Così si rende evidente
anche la compenetrazione di giustizia e grazia: il nostro modo di vivere non
è irrilevante, ma la nostra sporcizia non ci macchia eternamente, se
almeno siamo rimasti protesi verso Cristo, verso la verità e verso l'amore.
In fin dei conti, questa sporcizia è già stata bruciata nella Passione di
Cristo. Nel momento del Giudizio sperimentiamo ed accogliamo questo
prevalere del suo amore su tutto il male nel mondo ed in noi. Il dolore
dell’amore diventa la nostra salvezza e la nostra gioia.” (Spe salvi 47)
In questo senso il purgatorio è un’immagine di speranza, totalmente diversa e
tanto più ricca di speranza dell’idea della reincarnazione, delle molte rinascite,
una teoria oggi estremamente popolare. Secondo tale teoria l’uomo dovrebbe
scontare da solo, attraverso tante rinascite, il peso del suo karma, della
montagna di colpe che ha accumulato.
Accanto all’immagine di speranza, la domanda sull’inferno resta un mistero
oscuro. Sì, esiste la mostruosa realtà che l’amore sia in sé ritorto e che l’odio
penetri ogni cosa. Esistono anche distruzioni irrevocabili del bene. E a proposito
ci vengono alla mente i nomi di Stalin e Pol Pot, di Hitler o di Himmler. Ma anche
loro avevano madri, forse madri religiose (Stalin di certo). Anche per loro Cristo è
morto, ha dato la sua vita. Sarebbero molte le persone che hanno scelto questo
“inferno”? Se la tradizione agostiniana pensava a grandi moltitudini, alla
maggioranza degli uomini, oggi spontaneamente pensiamo che si tratti
certamente di un piccolo numero. Ma non è il numero la cosa decisiva, bensì il
fatto che tale possibilità esista. Il grande problema è capire come questo si
concili con la misericordia di Dio.
La Chiesa non ha mai dichiarato, con “certezza dogmatica”, per così dire, che
qualcuno si trovi all’inferno. Neanche di Giuda lo si insegna espressamente.
D’altra parte la Chiesa ha dichiarato con certezza che molte persone sono in
paradiso, e la canonizzazione ha carattere fortemente vincolante.

Non giudicare ma salvare
 
È una certezza della nostra fede che Dio abbia mandato suo Figlio nel mondo
non per giudicarlo ma per salvarlo (Gv 3,17). Se questo è il centro del mandato di
Gesù, allora non fa meraviglia che i santi desideravano, nell’amore di Cristo, la
stessa cosa: salvare e non giudicare. Nel suo Breve discorso sull’inferno Hans Urs
von Balthasar cita un testo di Santa Caterina da Siena (†1380). Quando gli spedii
questo testo, mi scrisse: “Queste sante donne che diversamente da Agostino,
hanno pregato in modo evangelico… “ Caterina disse al suo confessore, il beato
Raimondo da Capua (†1380): “Se fossi arsa dal fuoco dell’amore divino, non
pregherei con cuore ardente il mio creatore, il veramente misericordioso, di
mostrare misericordia a tutti i miei fratelli?” Costui racconta che lei poi, con voce
sommessa, disse a Cristo: “Come potrei, o Signore, accettare che uno solo di
quelli che Tu hai creato a tua immagine e somiglianza si perda e sfugga alle Tue
mani? No, in nessun caso voglio vedere andar perduto uno solo dei miei fratelli,
uno solo di coloro che mi sono uniti attraverso la stessa nascita per natura e per
grazia. Voglio” – è tipico che Caterina si rivolga così a Dio –“che essi siano tutti
strappati al vecchio nemico, che Tu li guadagni a maggior gloria del Tuo nome.” E
lei ricevette dal Signore questa risposta: ”L’amore non può stare nell’inferno, lo
distruggerebbe completamente; sarebbe più facile eliminarlo piuttosto che
lasciar dimorare l’amore in esso.” Lei riprese: “Se solo la Tua verità e la Tua
giustizia si manifestassero, desidererei che non ci fosse più alcun inferno o che
almeno nessun anima vi capitasse. Se potessi restare unita con Te nell’amore e
pormi davanti all’ingresso dell’inferno e chiuderlo in modo che nessuno vi possa
entrare, questa sarebbe la mia più grande gioia, perché così si salverebbero tutti
coloro che amo.”4
Negli anni trenta un’altra santa, Teresa Benedecta a Cruce, Santa Edith Stein
(+1942) penetra profondamente nel mistero di come Dio si comporti con la
volontà contraria, quando cioè la libertà umana si oppone alla grazia e alla
misericordia divina. Dio non può costringerla e non può spezzarla. Edith Stein
dice che Dio può ingannare la libertà umana. Esiste un’ultima possibilità, senza
usare violenza alla libertà umana, di aprirle dall’interno la porta alla grazia e alla
misericordia.
“Abbiamo cercato di comprendere quale parte la libertà ha nell’opera della
redenzione. A questo scopo non basta tener conto solo della libertà.
Dobbiamo similmente esaminare quel che la grazia può e se anche per
essa esista un limite assoluto. Questo lo abbiamo già visto: la grazia deve
pervenire all’uomo. Di per sé essa può nel migliore dei casi pervenire fino
alla porta, ma non può mai introdursi con la violenza. Inoltre: essa può

4 Brano citato da H U von BALTHASAR, Breve discorso sull’inferno, Milano, p.60.

venire a lui senza che egli la cerchi, senza che egli la voglia. Il problema è
sapere se essa può compiere la sua opera senza la sua collaborazione. Ci
è sembrato che occorra rispondere con un no a tale domanda. Si tratta di
una risposta grave. Qui infatti la libertà di Dio, che diciamo onnipotenza,
trova evidentemente un limite nella libertà umana. La grazia è lo Spirito di
Dio, che si abbassa fino all’anima dell’uomo. Essa non può trovarvi posto,
se non viene liberamente accolta. Questa è una verità dura. Essa significa
– oltre alla menzionata limitazione dell’onnipotenza divina – la possibilità in
linea di principio di una autoesclusione dalla redenzione e dal regno della
grazia. Non equivale a una limitazione della misericordia divina. Infatti,
anche se non possiamo chiudere gli occhi né di fronte alla realtà che molti
sono sorpresi dalla morte temporale senza aver mai pensato all’eternità e
essersi fatto un problema della salvezza, né di fronte alla realtà che molti si
sono premurati per tutta la vita della salvezza, senza divenire partecipi
della grazia, tuttavia non sappiamo se per tutti costoro l’ora decisiva arrivi
in un luogo ultraterreno, e la fede ci può dire che le cose stanno così. […]
Quanto più terreno la grazia sottrae a ciò che, prima di lei riempiva l’anima,
tanto più ne sottrae agli atti diretti contro di lei. E a tale lavoro di rimozione
non esistono in linea di principio limiti. Quando tutti gli impulsi che si
oppongono allo Spirito della luce sono stati rimossi dall’anima, una libera
decisione contro di lei è divenuta infinitamente inverosimile. Allora la fede
nell’illimitatezza dell’amore e della grazia divina giustifica anche la
speranza in una universalità della redenzione, anche se, per la possibilità
in linea di principio permanente della opposizione alla grazia, pure la
possibilità di una dannazione eterna permane. In questa luce scompaiono
di nuovo anche i limiti precedentemente indicati dell’onnipotenza divina.
Essi sussistono solo finché ci si limita a contrapporre tra loro libertà divina
e libertà umana e non si tiene conto della sfera, che costituisce il
fondamento della libertà umana. La libertà umana non può esser spezzata
e messa fuori causa da quella divina, però può esser per così dire aggirata.
La discesa della grazia nell’anima umana è un’azione libera dell’amore
divino. E alla sua diffusione non esistono limiti. Quali vie essa scelga per
operare, perché cerchi di conquistare un’anima e induca un’altra a
ricercarla, se, come e quando sia all’opera anche lì ove i nostri occhi non
notano alcun suo effetto, tutte queste sono domande che si sottraggono
all’indagine razionale. Per noi esiste solo una conoscenza delle possibilità
di principio e, sulla base delle possibilità di principio, una comprensione dei
fatti che ci sono accessibili.“5

5 Il brano di Edith STEIN è citato da Hans Urs von BALTHASAR, Breve discorso sull’inferno, Milano
1997, pp.64-68.

Il primato assoluto della misericordia non significa voler sminuire il male o la
giustizia. Come abbiamo già visto in precedenza, la giustizia, e ancor più la
misericordia, hanno un loro prezzo. La misericordia è costata la vita a Gesù. Gli
costò il sangue del suo cuore implorarla. Un’altra donna, suor Faustina, vede
consistere la propria vocazione nell’aprire, in un certo senso alla misericordia le
persone che si chiudono alla misericordia divina, nel portarle a Gesù. Le anime
che si aprono completamente alla misericordia di Dio sono i veri collaboratori di
Gesù. Gesù le dice: “Non trovo il completo abbandono al mio amore. Tante
riserve, tanta diffidenza! Tanta cautela! Per tua consolazione ti dirò che ci sono
anime che vivono nel mondo, che mi amano sinceramente… L’amore di queste
anime ed il loro sacrificio mantengono l’esistenza del mondo” (Diario 367).
Come tutti i santi, anche suor Faustina è convinta che la preghiera e
l’abnegazione, le suppliche e il sacrificio sono forze che superano tutto quello
che altrimenti potrebbe fare l’uomo. Il segreto della misericordia è sempre stato
un segreto di abnegazione, di penitenza, di sacrificio e d’amore. Senza
pentimento non c’è salvezza. Senza conversione non c’è redenzione. Ma la grazia
del pentimento non viene assegnata arbitrariamente da Dio. Essa va implorata
nella preghiera, va sofferta e viene donata da Dio in seguito alle preghiere di
intercessione e all’amorosa dedizione di coloro che pregano. Dio aspetta in un
certo senso solamente che si vada a “ritirare” la sua misericordia.

Mostra, Gesù, la tua misericordia

Concludo questa meditazione sulla speranza nella Divina Misericordia con una
preghiera di Santa Teresa di Lisieux (†1897):
O Gesù! Perché non posso dire a tutte le anime “piccole” quanto la tua
condiscendenza è ineffabile! Sento che se, cosa impossibile, Tu trovassi
un’anima più debole, più piccola della mia, ti compiaceresti di colmarla di
favori anche più grandi, se si abbandonasse con perfetta fiducia alla tua
misericordia infinita… Ma perché desiderare di comunicare i tuoi segreti
d’amore, o Gesù, non sei stato Tu solo ad insegnarmeli e non puoi forse
rivelarli ad altri?... Sì, lo so, lo puoi, e ti scongiuro di farlo.6

6 Santa Teresa di Gesù, Manoscritti autobiografici, Storia di un’anima, Milano, ed Ancora 1976,
pp. 246-247.