sabato 10 marzo 2012

Noi predichiamo Cristo crocifisso

Prendo lo spunto dalla Liturgia della Parola di oggi, 11 marzo, III Domenica di Quaresima

dell'anno "B" per proporre la lettura delle meditazioni seguenti. Che traggo dal ritiro predicato 
da don Divo Barsotti il l0 marzo del 1985 a Biella.



Ritiro, 10 marzo 1985 - Biella
Letture: Es 20,1-17; 1 Cor 1,22-25; Gv 2,13-25
Prima Meditazione
Mediteremo la Seconda Lettura tratta dalla I Lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi (1 Cor 1,22-25):
"Fratelli mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo Crocifisso scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci; predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini".
Le parole di Paolo sono come una sfida del Vangelo a tutti i valori che il mondo proclama e che il mondo riconosce. Ma sono anche la risposta che egli dà ai credenti medesimi, i quali nella pochezza della loro fede possono sempre rimanere turbati da questa apparente inefficacia del Vangelo, o da questo apparente fallimento della Chiesa.
Pochi di noi infatti, sono così trasformati da vedere le cose unicamente con gli occhi di Dio, dal saper giudicare le cose col parametro stesso; che ci ha dato il Signore nella sua morte di croce.
È quasi naturale che anche noi cristiani pretendiamo di misurare l'efficacia del Cristianesimo dall'efficacia che il Cristianesimo apparentemente ha nella storia e nella vita degli uomini.
Ora, se vogliamo giudicare il Cristianesimo con questi criteri, noi evidentemente non possiamo non conoscere la crisi della fede.
Quelle crisi della fede che veramente oggi hanno, come loro conseguenza, l'incredulità, lo smarrimento e nella massima parte dei credenti un certo intiepidimento della fede.
Si cerca di comporre insieme l'esigenza di un successo mondano con una fedeltà ai principi della morale cristiana, ma non ci si accorge che già in questo noi praticamente abbiamo già rinunciato a una fedeltà piena all'insegnamento del Cristo.
La fedeltà piena all'insegnamento del Cristo implica quello che dice Gesù all'inizio della sua predicazione: "Rovesciate la vostra mente". Non parla Gesù all'inizio dei Vangelo di una conversione morale, ma di una conversione della mente; una conversione, un rovesciamento del nostro modo di pensare, del nostro modo di sentire.
Effettivamente quando non c'è questo rovesciamento del nostro modo di pensare, il Cristianesimo sempre non può non turbare, non può non apparire veramente una menzogna.
Noi possiamo comprendere, non giustificare, ma comprendere l'incredulità del mondo moderno e di molti che pure sono battezzati.
Deriva da questo fatto, non deriva dal fatto che moralmente possono essere corrotti perché in fondo i peccati ci sono anche nei cristiani. Dipende dal fatto che non si vive la fede, che la fede veramente per la massima parte dei cristiani rimane soltanto una adesione formale a dei principi astratti, ma non implica una trasformazione del nostro modo di sentire, del nostro modo di pensare: di fatto anche oggi, per uno che non sia veramente santo, la Croce rimane uno scandalo, la Croce rimane stoltezza.
È difficile accettare che un Dio salvi l'umanità, si manifesti Salvatore degli uomini proprio nel totale fallimento umano, proprio nella suprema umiliazione, nell'abbandono dei discepoli, nell'oltraggio da parte di coloro che Egli stesso aveva beneficato e nello stesso abbandono del Padre.
Ci vuole veramente una grande fede perché noi possiamo riconoscere il Figlio di Dio in Colui che sopra la Croce grida: "Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?"; ci vuole una grande fede per riconoscere che proprio quest'Uomo è Colui nel quale riposa ogni nostra speranza: ogni speranza dell'uomo in uno che grida all'abbandono di Dio.
Rendiamoci conto miei cari fratelli che può essere difficile vivere cristianamente, ma la cosa più difficile, la cosa realmente più grave di tutte è credere.
Dicevo l'altro giorno che in fondo nulla è cambiato, anche oggi noi dobbiamo credere che la Chiesa salva il mondo, che l'ha salvato sempre in ogni generazione. Io non ammetto quello che alcuni dicono dell'infedeltà della Chiesa; gli errori della Chiesa non li ammetto assolutamente. Ci sono sempre degli errori, delle deficienze per il fatto che la Chiesa vive in un contesto storico, me è sempre relativo, fra duemila anni, chissà quanti improperi si diranno della Chiesa di oggi, perché vorranno giudicare la Chiesa di oggi con i criteri che ci saranno allora. Così come oggi noi si pensa di giudicare, di condannare la Chiesa del 1700, del 1500 e del 1200 con i criteri del secolo ventesimo. Ma in questo siamo dei perfetti stupidi, ognuno non può agire che secondo la coscienza che egli ha, e in quel tempo la coscienza del mondo era quella.
Ci sono dei valori assoluti, ma il comportamento dell'uomo dipende poi da condizionamenti culturali che sono quelli che sono e sono sempre relativi. Ma io credo che sul piano di una sua fedeltà a Dio la Chiesa (e non parlo dei singoli uomini di Chiesa), ma la Chiesa – il mistero di Cristo – sia il mistero di una presenza di Dio che salva generazione per generazione tutti gli uomini, tranne coloro che deliberatamente, con piena coscienza, si oppongono a Dio pur avendolo conosciuto.
Questo vuol dire che anche oggi la Chiesa che sembra far acqua de tutte le parti è quella che dirige il mondo. Voi credete che sia il capo della Russia o quello dell'America; tutti stupidi siete! Noi siamo più potenti! Che volete che sia il capo della Russia se non crede in Dio, che forza può avere? Evidentemente non ci appare questa nostra forza, ma appariva la forza di un Dio che moriva sulla Croce, la forza di un Dio che gridava: "Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?". Appariva la forza di questo Dio che proprio in questa sua suprema tristezza, proprio in questa sua suprema desolazione salvava tutta l'umanità?
Rimane vero quello che dice San Paolo: "Noi predichiamo Cristo crocifisso" e anch'io lo predico, lo predico oggi se voglio essere cristiano. il mio annuncio è soltanto: "Gesù crocifisso che ci ha salvato" e Gesù crocifisso rimane anche oggi come allora scandalo e stoltezza.
Chi di noi sa riconoscere nella Croce, nel fallimento umano, nella umiliazione la forza di Dio? Chi la sa riconoscere precisamente in questa povertà umana che Dio ha legato essenzialmente alla Chiesa? Sempre ci sarà la tentazione degli uomini di Chiesa del trionfo, ma la Chiesa non l'avrà mai; sarebbe una disgrazia suprema, sarebbe la rovina del mondo se la Chiesa avesse un trionfo; la Chiesa non potrà continuare che la passione del Cristo.
Vi ricordate quello che scriveva Pascal? "Gesù è in agonia sino alla fine dei tempi".
Egli si fa presente al mondo sotto la specie del pane, sotto un abito esterno di morte e noi siamo associati a Lui in una vita di umiltà, di mortificazione, in una vita di impotenza, in una vita tante volte di fallimento, in una vita di dolore, ma questa è la sua gloria.
Non dobbiamo affatto smarrirci, non dobbiamo affatto perderci d'animo; che fede abbiamo allora? Noi abbiamo predicato Cristo crocifisso.
I santi erano smarriti e sgomenti se le cose andavano bene per loro, si sentivano abbandonati da Dio se le cose andavano troppo bene. Dobbiamo rendercene conto che questo è il Cristianesimo. Dio salva il mondo e salva noi attraverso la Croce: quello che Dio ha scelto una volta l'ha scelto per sempre.
Non abbiamo bisogno di cercare le croci, ci pensa Nostro Signore a darcele o almeno permetterle. Sappiamo accettarle con umiltà e riconoscenza, sappiamo viverle in una fede profonda, non ci smarriamo, non abbiamo sgomento se la croce visita la nostra casa, se la croce pesa sulle nostre spalle. Desolazioni interiori, difficoltà economiche, incomprensioni. Tutto può avvenire, ma non avverrà mai che un'anima che crede in Dio sia da Lui abbandonata. Proprio nella croce quando tu ti credi abbandonato da Dio, tu sei più unito a Gesù, tu sei una sola cosa con Lui. Non ci si unisce a Cristo che sul talamo della croce.
Che cosa ti ha dato la Comunità quando hai fatto i voti perpetui? Una croce nuda. Per sapere che la tua unione con Cristo non avviene altrimenti, è così. È duro tutto questo? Certo che è duro. Implica veramente quello che si è detto prima, questo rovesciamento del nostro modo di pensare, del nostro modo di sentire. Noi pretendiamo da Dio sempre non la Croce, ma il trionfo.
Ti ricordi anche tu della mamma dei figli di Zebedeo che dice a Gesù: "Fa che questi miei figli siedano uno a destra e uno alla sinistra quando tu sarai nel tuo regno". Non sapeva che cosa chiedeva. Noi non sappiamo che cosa chiediamo; chiediamo sempre che il Signore ci liberi da ogni sofferenza, che il Signore ci liberi da ogni difficoltà, ci liberi da tutto quello che può minacciare la nostra sicurezza umana. Ma se chiediamo questo non sappiamo che cose chiedere, perché quello che il Signore ci dona è una cosa sola: la nostra unione col Figlio suo; quella unione che diverrà sempre più perfetta quanto più noi sapremo accettare con Lui quello che Egli ha accettato: "Il calice che io bevo potete voi berlo? Sì, lo possiamo. Voi lo berrete; darvi il primo posto e il secondo nel mio regno tocca al Padre". Ecco, questo dobbiamo vivere.
Ecco perché noi non vogliamo fare propaganda, ecco perché noi non ci interessiamo di essere massa, non importa. Se Dio è con me sono più grande di tutti. Che volete che siano anche milioni di persone nei confronti di un bimbo solo se Dio è con lui? Se Dio veramente vive nella sua vita? Nella mia povertà, nel mio nulla io mi sento il più forte di tutti se Dio è con me, perché con me è l'Onnipotenza divina.
Ora noi siamo in Quaresima, la Quaresima ci chiama alla conversione. Spesso i sacerdoti parlano della conversione sempre riportandola su un piano morale: è sbagliato. Non è la conversione su un piano morale che il Signore ci chiede; l'espressione greca "convertitevi" implica non la conversione morale, ma la conversione della mente: "metanus (metanoia)", andare al di là di quello che la nostra mente pensa.
Bisogna adattarsi a un piano divino mediante il quale Dio dopo il peccato di Adamo, rovescia i valori e quello che era infimo diviene supremo; l'umiltà diviene il segno della vera grandezza, la povertà umana il segno della presenza di Dio.
Si è detto stamane: "Beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli". Vuoi qualche cosa di più del regno di Dio? Ebbene se tu sei povero già lo possiedi. Sono le parole del Vangelo e noi dobbiamo crederlo. Non è facile credere; appunto per questo la conversione si impone continuamente, perché viviamo in un mondo in cui siamo sempre sollecitati dal successo, dal piacere, dalla ricchezza, dal potere. Dio ci chiama per una vita che non è essenzialmente la croce, ma certamente è sempre qualche umiliazione e qualche difficoltà; è sempre così.
Non crediate che ci sia sempre una comprensione da parte del mondo di quello che noi abbiamo scelto, se abbiamo scelto il Signore. Non crediamo che il Signore ci debba risparmiare, Lui che non ha risparmiato il suo Figlio non risparmia i suoi figli. E allora non ci crediamo abbandonati da Dio, se il Signore permette che anche noi possiamo conoscere l'angoscia del cuore, le difficoltà interiori, la tentazione, se dobbiamo conoscere la sofferenza in qualsiasi modo questa sofferenza ci giunge, ma dobbiamo invece credere che proprio attraverso questa via il Signore ci unisce a Sé.
Ora possiamo dire che veramente Egli ci ama. Non dobbiamo vedere l'amore di Dio nelle cose che ci vanno bene, ma piuttosto in quelle che ci vanno male. È difficile credere in questo; noi vogliamo trarre Dio al pensare come pensiamo noi. Lui invece vuol trarre noi a pensare come pensa Lui e non è tanto facile seguirlo.
Dice oggi il Signore che Gesù Cristo crocifisso è la potenza di Dio e la sapienza di Dio. In che senso noi possiamo dire che la croce è la potenza di Dio? Non vi sembra soltanto un'espressione iperbolica che non dice nulla? Una bella frase, uno slogan come oggi se ne dicono tanti. Oggi tutta la cultura è fatta di slogans! Non si pensa più, si ripetono delle frasi e basta.
Ma sembra una frase anche questa. Vogliamo meditarle attentamente? In che senso Gesù Cristo è la potenza di Dio? A noi sembra che sia la suprema debolezza, un uomo che non si oppone più a nulla, è travolto da tutto, è distrutto e muore. Dov'è la potenza? È la potenza di un amore che vince tutto l'odio del mondo, è la potenza di un amore che è più forte di tutto il male del mondo, perché anche nella sua morte Egli ama.
Vedete, se Nostro Signore, pur pregando, avesse avuto un sentimento di odio verso coloro che lo uccidevano, Egli sarebbe stato non vincitore.
La vittoria del Cristianesimo non è la vittoria di chi distrugge l'altro che l'offende, ma di chi piuttosto lo salva in un amore che è più grande dell'odio da cui viene colpito. La vittoria del Cristo è la potenza dell'amore perché, rendiamoci conto, che gli attributi divini non valgono per sé, ma valgono in quanto sono attributi dell'amore. Allora la potenza non può essere una potenza così in astratto, una potenza che si esprime con tuoni e folgori, una potenza che distrugge tutti coloro che si oppongono a te per dimostrarti più forte di loro. Ti dimostri più forte di loro? No, divieni invece uno di loro, complice come loro nella violenza, complice come loro nell'odio, complice come loro nel male e con il male; il Cristianesimo invece vince in un amore che salva.
È Gesù che prende sopra di Sé tutto l'odio del mondo, e tutto l'odio del mondo non ha la capacità di distruggere in Lui questo amore, questo amore immenso, questo amore infinito per il quale Egli si apre a tutte le anime e tutta l'umanità solleva fino a Dio.
Ecco la potenza di Dio in Gesù crocifisso, e così è la nostra potenza. C'è l'odio del mondo anche nei confronti dei cristiani, non illudiamoci, se siamo cristiani prima o dopo il mondo sarà contrario a noi, perché è una legge irreversibile dopo il peccato di Adamo. Se dunque noi siamo minacciati, noi sentiamo che veramente c'è il pericolo che veniamo messi alla gogna. Tutto questo dobbiamo capirlo, è quello che probabilmente il cristiano deve aspettarsi. E capisco bene, anche Nostro Signore ha sentito sgomento, ha avuto paura perché siamo uomini. Noi dobbiamo saper vincere, non opporre il male al male, ma mantenere la nostra anima nella serenità e nella pace, mantenere la nostra anima in Dio e non escludere il male, vivere nella pace questo amore che il Signore ci ha insegnato e che non può essere mai separato né vinto dal male degli altri.
La Chiesa non potrebbe salvare il mondo se il male del mondo non si scatenasse contro la Chiesa e la Chiesa non prendesse sopra di sé questo male e lo vincesse nell'amore.
Vedete, qualche volta mi sono domandato perché noi dobbiamo aiutare, per esempio, l'Iraq, o l'Etiopia? I loro presidenti prendono per sé tutti i beni, tutto quello che gli mandiamo per mangiare, così da avere le vettovaglie per l'esercito che semina strage? Perché devo farlo? E no, questo non è Cristianesimo. Dobbiamo vincere il male col bene, superare l'odio e sappiamo che cosa vuole il governo anche dell'Etiopia nei confronti della Chiesa, eppure pur sapendo che anche il bene che noi possiamo portare là, più o meno verrà preso dal governo per fini che non sono certamente cristiani, noi dobbiamo continuare ad amare. Questo dico della Chiesa nei confronti di questi popoli, ma questo è vero per noi poveri cristiani nei confronti di quelli con i quali lavoriamo.
Quante volte nel tuo lavoro qualcuno ti ha pestato i piedi? E che cosa ci chiede il Signore? Amare; è un po' difficile, non ti sembra? Quante volte nei confronti di quelli che ci pestano i piedi ci verrebbe voglia di pestarli anche noi? E invece no. Dobbiamo fare una carezza; non è una cosa tanto facile. La potenza di Dio, la potenza di un amore che vince il male del mondo. Ecco il Cristianesimo, ed è sapienza di Dio.
Anche qui, com'è diverso il modo di giudicare del mondo da quello del Signore; anche qui le stesse ragioni. Gli attributi divini sono attributi dell'amore perché Dio è carità. Perciò la sapienza in Dio non è quella dell'astuto, del furbo che attraverso macchinazioni, manipolazioni della realtà sa giungere al trionfo. Anche qui è la sapienza di un amore che non si lascia sgomentare, né sgominare da nulla, ma che va dritto al suo fine, di un amore che non viene mai a compromessi e che nonostante tutto rimane fedele a se stesso.
Ecco miei cari fratelli quello che ci insegna oggi San Paolo nella sua Lettera. Ci chiede di cambiare la nostra mente, di capire che supremo valore del Cristianesimo sarà sempre un amore che non potrebbe essere tale se non chiedesse, non la morte degli altri, ma la tua morte, perché l'amore è dono di sé. E tanto più sarà vero quanto più tu avrai rinunziato a te stesso, ai tuoi diritti, alla tua medesima vita per amare e per amare non solo quelli che ti amano, ma anche quelli che ti bastonano, quelli che ti odiano e vogliono la tua morte.
Certo che è molto difficile, certo che sembra quasi impossibile, che sembra inumana una simile dottrina. Non è inumana, è sovrumana. Ma appunto per questo dobbiamo anche sapere che non si vive il Cristianesimo se Dio non vive in noi. Perché? Perché questo amore è l'amore stesso di Dio. Non è amore come l'amore umano che è sempre un amore che risponde all'amore, è un amore invece gratuito, è un amore preveniente, è un amore universale e quest'amore non può essere vivo in noi se Dio stesso non vive in noi.
Che cosa dunque dobbiamo chiedere? Che cosa dunque dobbiamo vivere? Una cosa molto semplice; ci dice il Signore: "Convertitevi, trasformatevi, rovesciate la vostra mente". Io dico al Signore: "Signore, fai Tu, Tu mi hai creato e Tu riplasmi questo mio essere, trasformami perché io divenga strumento della tua carità". Perché la vera conversione non è una conversione morale, anche poi sul piano dell'attività non soltanto sul piano della vita, ma sul piano dell'attività, la vera conversione non è tanto l'obbedienza a delle leggi morali, è invece una carità che si incarna nelle virtù anche morali, ma è soprattutto amore. Perché l'esercizio delle virtù morali, se non è esercizio di carità, non è ancora vita cristiana. Quello che il Signore ci chiede è soltanto una cosa: di amare, di amare senza fine, di amare sempre, di amare tutti, di amare per nulla senza ricevere in cambio del nostro amore che quello che ha ricevuto Gesù.
Che cosa devi chiedere a Dio? Soltanto questo potere di amare fino in fondo, perché nulla potrebbe darti Dio in cambio dell'amore, dal momento che l'amore è la cosa più grande. Quale ricompensa puoi avere? Se il Signore ti desse qualche altra cosa di darebbe meno. Se il Paradiso fosse qualche cosa di più, di diverso dall'amore, tu dovresti rinunciare al Paradiso per vivere quaggiù l'eterna passione di Nostro Signore amando senza ricompensa.
L'amore è la cosa più grande; allora che la nostra preghiera in questo tempo di Quaresima sia questa: "Signore, non solo Tu ci chiami a un rinnovamento spirituale, ma ci dici anche che questo rinnovamento spirituale deve farci sempre più simili a te, a te che per noi hai patito la morte, a te che per noi hai sofferto e sei morto".
Come dice sempre ogni giorno la Chiesa nell'ufficio delle letture: "Adoriamo Cristo Signore che per noi ha patito la morte". La nostra assimilazione a Gesù, la nostra vita nel Cristo.
Accettiamo con amore le nostre piccole pene, l'unica cosa che posso dire è che io sono stato forse eliminato da Dio, forse non andrò nemmeno in Paradiso perché ora non ho umiliazioni né dolori. Ma certamente dovete essere, e anch'io dovrei essere più contento, se qualche dolore ci capita, se qualche umiliazione, se qualche mortificazione ci raggiunge perché questo è il sigillo dell'approvazione divina; questo è il sigillo dell'amore di Dio per noi, per farci conformi all'immagine del Figlio suo.
Accettiamo l'umiltà della nostra condizione umana, la povertà della nostra condizione umana. Tante volte noi vorremmo evadere dagli stretti limiti, dai condizionamenti del nostro vivere terreno. Per esempio mi diceva stamane qualcuna che è brutta la vecchiaia, che meraviglia! Pensa invece è molto meglio essere vecchi che giovani perché vecchi dobbiamo dipendere dagli altri. Non diciamo più che la vecchiaia è brutta, perché è una cosa bella il fatto di non avere più il potere di reagire alla decadenza degli anni.
Accettare tutto questo, amare tutto questo, non disprezzare i doni di Dio e i doni di Dio sono anche questi. Non per nulla la vita cristiana è un cammino continuo, non per nulla la vita cristiana termina nella vecchiaia, se non si muore prima. Allora la vecchiaia deve essere una cosa più grande della giovinezza, sul piano cristiano. Accettiamo già in precedenza l'arteriosclerosi, quando verrà non avremo più la possibilità di santificarci, perché non si capisce più nulla, ma se accettiamo fin d'ora questa umiliazione che può darsi vivremo domani; Dio ne terrà conto. Accettiamo dunque tutto quello che in qualche misura è sul piano della natura mortificante per noi, per vivere in questa mortificazione nostra la nostra adesione a Gesù, la nostra unione con Lui. Non ci sentiamo messi da parte da Dio, non ci sentiamo dimenticati da Dio, non ci sentiamo abbandonati dal Signore come spesso dicono le persone quando sono provate. È nella prova il segno di una predilezione divina. Dobbiamo credere questo e non chiediamo altre prove: Dio solo sa la croce che ci è necessaria, perché noi possiamo essere elevati come Gesù fra la terra e il cielo e ottenere anche noi quello che il Cristo ha compiuto, di essere partecipi non solo di una salvezza per noi, ma anche partecipi di una salvezza che dobbiamo offrire ai fratelli e magari a quelli che ci fanno del male.

Omelia

Vi è un rapporto prima di tutto fra la Prima, la Seconda e la Terza Lettura che abbiamo ascoltato stamane. In generale vi è sempre un rapporto fra la Prima e la Terza Lettura, più difficile che vi sia anche con la Seconda.
Le Letture che noi abbiamo ascoltato sembra che non abbiano alcun rapporto fra di loro. Che rapporto vi è fra il Decalogo che viene pubblicato nella Prima Lettura e il Vangelo che abbiamo ascoltato stamane? Quale rapporto fra il Vangelo e fra la Prima Lettura e il testo della Lettera di Paolo? Eppure certamente vi è un rapporto.
Il rapporto è questo: i Comandamenti di Dio non esistono più, la Legge è finita, la Legge di Dio non è più scritta su tavole di pietra: già lo annunciava il profeta Geremia cap. 31. Che cosa diceva Geremia? Che la prima alleanza verrà spezzata, che Dio avrebbe scritto nel cuore dell'uomo la sua Legge. Ugualmente il profeta Ezechiele diceva che avrebbe cambiato i cuori di sasso in cuori di carne; avrebbe dato il suo spirito, e allora gli uomini avrebbero compiuto la sua volontà.
Questa parole di Geremia e di Ezechiele ci dicono che ai Comandamenti di Dio scritti su tavole di pietra subentra il dono dello Spirito che vive nel cuore dell'uomo. Ma se subentra lo Spirito che vive nel cuore dell'uomo che cosa ci dice oggi Gesù? Ecco la dimensione propria del Cristianesimo e noi spesso non l'avvertiamo. Il Vangelo di oggi è un Vangelo veramente rivoluzionario; al Tempio di Gerusalemme subentra il Corpo stesso del Cristo e poi, in San Paolo, il corpo di ogni cristiano, perché Tempio di Dio è l'umanità di Gesù.
Ma siccome noi siamo membra di questa umanità, di questo corpo anche noi siamo Tempio di Dio. Di qui ne viene che veramente tutto è trasportato nell'intimo, tutto si fa intimo e personale. Là una Legge, la Legge data ai piedi del Sinai al popolo di Israele, ed è quella legge che crea la nazione. Fino ad allora il popolo di Israele era una tribù di schiavi dispersi, quando al popolo si dà una legge il popolo diviene nazione.
La legge d'Israele ai piedi del Sinai crea Israele come nazione, ma il Cristianesimo non è una nazione, è un popolo peregrinante nel deserto. Fintanto che siamo popolo peregrinante vuol dire che non abbiamo stabile dimora, vuol dire che non abbiamo trovato la terra promessa, vuol dire che non ci siamo stabiliti e radicati.
Il Cristianesimo non ha ancora una dimensione storica piena, non ha ancora una dimensione sociale perfetta, non ha ancora una struttura che pienamente realizzi quello che è su un piano sociale e tanto meno su un piano biologico, su un piano cosmico.
il Cristianesimo, lo dice il Vangelo di oggi, è tutto interiore, soprattutto la sua grandezza è nell'intimo. Questo perché nell'intimo di ciascuno di noi dimora il Signore, quel Dio che i cieli dei cieli non possono contenere, secondo le parole di Salomone. Ciascuno di noi diviene la cosa più sacra dell'universo, ciascuno di noi diviene il cuore dell'universo.
Dice l'Antifona al Cantico dei Vespri del lunedì: "Gesù è il cuore del mondo". Troppo poco, Gesù è più di tutto il mondo, se fosse il cuore sarebbe una parte del mondo, ma noi, ciascuno di noi è il cuore dell'universo, tutto l'universo si raccoglie e si unisce in ciascuno di noi in cui dimora il Signore.
Ecco l'insegnamento che ci viene dal Vangelo di oggi: essere consapevoli di questa grandezza dell'uomo una volta che l'uomo è diventato membro del Cristo mediante il Battesimo; una volta che il Cristo assumendo la nostra natura umana ci ha uniti a Sé in un solo corpo, Dio abita in noi.
La Chiesa, anche la Basilica di San Pietro, è soltanto un luogo dove si riuniscono i cristiani; siccome la Chiesa ha anche una dimensione sociale, sia pure imperfetta e debbo obbedire al Papa, e debbo vivere in unione col Vescovo, è evidente che i cristiani debbono riconoscersi un solo corpo anche su un piano sociale perché altrimenti sfugge questa dimensione.
Allora vi è un luogo dove si raccolgono i cristiani, perché ci si può raccogliere anche fuori, ma d'inverno quando piove non può star fuori a fare una funzione religiosa. È un fatto veramente accidentale che vi siano delle mura, nei primi tempi del Cristianesimo non c'erano mura e anche oggi si ritorna a celebrare la Messa in una stanza e la sala è importante come la Chiesa parrocchiale, come la Basilica di San Pietro.
Anche il Papa lo dimostra chiaramente oggi nelle canonizzazioni, nelle funzioni principali che compie in pazza San Pietro, oppure in queste grandi piazze là si reca, perché? Per due motivi fondamentali: primo la redenzione compiuta dal Cristo in atto primo è redenzione non solo di tutti gli uomini, ma anche di tutta la creazione e non vi è un luogo più sacro dell'altro. Non è il luogo che sacralizza l'uomo, è l'Uomo che rende sacro ogni luogo; dal momento che in ciascuno di noi vive il Signore.
Avere la consapevolezza di questa presenza, avere la coscienza di questa dimora di Dio in noi. Ecco la prima cosa che ci chiede il Vangelo di oggi. Allora il Decalogo scritto su tavole di Pietra può rispondere più precisamente alla legge del Nuovo Testamento che secondo San Tommaso d'Aquino è lo Spirito Santo che vive nel cuore di ciascuno.
Giustamente per questo anche tutta la vita cristiana non è l'obbedienza ai dieci Comandamenti, ma secondo il più grande mistico della Compagnia di Gesù, una legge sola: "Tutta la vita cristiana consiste in una sola cosa: la docilità all'azione dello Spirito", e San Paolo afferma in un modo più pieno: "Sono figli di Dio coloro che si lasciano portare dallo Spirito".
Se tu devi obbedire devi costringere la tua volontà a una volontà estranea a te, l'obbedienza vuol dire questo. Per noi cristiani non c'è più una volontà estranea che ci comanda dal di fuori, perché Dio vive in noi. Allora tutta la vita del cristiano è lasciarsi portare dallo Spirito di Dio.
Dice il IV Vangelo che lo Spirito Santo è come un vento che non sai da dove venga e dove vada, tu sei una piuma portata dal vento e devi lasciarti portare. Allora la prima cosa che s'impone per noi per lasciarci portare è una certa libertà interiore, non essere legato a nulla, avere questo distacco interiore perché lo Spirito Santo possa sollevarci a Sé, possa agire in noi senza trovare impedimento di sorta. Tutto qui, lasciare fare a Dio, dare a Dio la piena libertà di assumere le nostre potenze, non c'è altro da fare.
Non è che sia facile perché siamo legati al nostro modo di pensare, ai nostri piccoli egoismi, attaccati a tante cose e tutti questi attaccamenti impediscono allo Spirito Salto che ci porti via con Sé.
Ma rimane vero che non ci sono più i dieci Comandamenti: nei primi tempi della Chiesa non si insegnavano più perché l'unica legge era precisamente lo Spirito che vive nel cuore dell'uomo. Certo che noi dobbiamo confrontarci anche con i Comandamenti di Dio perché non sappiamo se obbediamo allo Spirito di Dio o se obbediamo ancora a noi stessi perché non siamo. ancora perfettamente trasformati, non siamo ancora perfettamente docili all'azione dello Spirito. Però è certo che se è Dio che vive in noi, Egli non può certamente andare contro la sua volontà dichiarata nell'Antico Testamento.
Se dobbiamo confrontarci con i Comandamenti, i Comandamenti sono tutti negativi. Per vivere basta non essere morti, ma se io sono in un letto in agonia è meglio morire che rimanere sempre lì, perché vivere è qualche cosa di positivo. È necessario confrontarsi con i Comandamenti per renderci conto se in noi vive lo Spirito o meno, però non possiamo contentarci di questo, infatti che cos'è la legge cristiana? Se Dio vive in noi è vivere la vita di Dio: "Siate perfetti come perfetto è il Padre vostro che è nei cieli". Altro che non ammazzare, sembra che esiga un po' di più, altro che non commettere adulterio, altro che non dire falsa testimonianza. È la vita stessa di Dio, ma Dio vivrà in te nella misura che tu lascerai che Egli ti possegga, lascerai che Egli abbia pieno dominio sulle tue potenze, lascerai che Dio agisca con te così come il Verbo di Dio ha agito attraverso l'umanità che Egli ha assunto.
A questo proposito San Tommaso d'Aquino dice che "l'umanità del Cristo divenne con l'incarnazione lo strumento congiunto alla Divinità". La divinità usò di questa umanità come strumento.
Raffaello quando pitturava pitturava con la testa? Aveva un pennello, però il pennello senza Raffaello non avrebbe mica dipinto quelle cose. Il pennello è la causa strumentale delle pitture di Raffaello, però se non c'era Raffaello non venivano fuori né la Trasfigurazione né le altre pitture.
Così Dio agisce attraverso la nostra umanità, Dio vive per noi, ma non senza di noi; bisogna che Lui abbia piena libertà su di noi, abbia piena capacità di agire attraverso di noi, bisogna lasciare a Dio ogni possibilità di possederci perché Egli solo vive in noi e non viviamo più la nostra vita, ma la sua.
Ecco che cosa vuol dire questo tempio che subentra al tempio di Gerusalemme; non è San Pietro, non è il Laterano che subentra, al tempio di Gerusalemme, è il corpo risorto del Cristo ed è nel Cristo, ciascuno di noi. Ecco perché allora torna bene quello che dicevo prima che ciascuno di noi vive nel mondo per essere rivelazione di Dio, per essere come la immagine stessa della Divinità.
Nel tempio si raccoglie il popolo d Dio, in questo tempio, che è l'uomo, sì fa presente Dio per comunicarsi alle anime, per parlare alle anime, per irradiare sul mondo la sua luce. Noi dobbiamo essere questo tempio, la dimora di un Dio che vive attraverso di noi.
La vera dimora di Dio è il cuore dell'uomo, tanto che dimorando in te il Signore ti trasforma; Dio, non può rimanere in te, Lui che è luce, senza illuminarti, Dio non può rimanere in te, Lui che è fuoco, senza darti il calore della carità, Dio non vive in te, che è Santo, senza santificarti.
La presenza di Dio nelle nostre Chiese è vera eppure non è vera perché la presenza di Dio noi la pensiamo come una presenza "cosica" com'è presente questo tavolino, non è così. Voi sapete quello che insegna San Tommaso d'Aquino della presenza di Dio nelle nostre chiese: "La presenza di Dio nell'Eucarestia non è presenza locale, è il segno che mi garantisce la Presenza, ma la Presenza non è qui e non è altrove.
Una Presenza che, se è la presenza di Dio, è l'Immensità; se è la presenza del Cristo, è l'Ubiquità: Egli è dove ama. Il segno del pane è il segno che ci garantisce questa Presenza, ma una presenza non è vera se non è presente a me. La presenza indica veramente un rapporto, un rapporto con Colui nel quale si fa presente e la Presenza è propria di coloro che nella fede si aprono ad accogliere Lui che nell'amore si fa presente perché si dona. Siccome siamo uomini abbiamo bisogno di legarci a dei fatti esteriori, ma in fondo ricordiamoci che la presenza del Cristo nell'Eucarestia importa un duplice ordinarsi: dal Cristo all'uomo e dall'uomo al Cristo.
Vero che la Comunione sacramentale si può fare soltanto due volte al giorno, ma Lui sta lì per comunicarsi anche in questo momento, sempre Egli vive il dono di Sé a chiunque nella fede si apre ad accoglierlo, perché il nome di Dio fatto uomo, è un nome di relazione, come il nome di Dio nella sua natura divina è un nome di relazione. In Dio Egli è Figlio dunque c'è il rapporto col Padre. Tu sei figlio della tua mamma, se non c'erano la tua mamma e il tuo papa c'eri tu? Però sul piano umano il rapporto può anche finire, la tua mamma e il tuo babbo sono morti e tu rimani.
Non è così sul piano soprannaturale, noi siamo nella misura che accogliamo. La generazione del Verbo non è un atto passato, è un atto sempre presente, Egli nasce sempre dal Padre in un atto eterno generato da Lui Anche per noi è così. Ma allora che cosa vuol dire? Che Gesù nella sua natura divina è totalmente rapporto con il Padre celeste, è Figlio, ma in quanto uomo è Gesù. Che cosa vuol dire Gesù? Vuol dire Salvatore, ed è Salvatore in quanto mi salva; certo se non salva me salva gli altri. Io posso anche rifiutare la salvezza, perché la salvezza suppone il mio consenso, Egli è in quanto si dona e se anche tutti noi andassimo all'inferno Egli rimarrebbe Gesù perché c'è la Vergine Santa che accoglie tutta la sua santità. Egli è dono di Sé e la Vergine tutto l'accoglie.
Ma se Gesù è Salvatore lo è per me, ed io devo vivere costantemente il dono che Egli mi fa di Sé stesso; ecco l'Eucarestia. Ma non posso vivere questo accogliere il Cristo se non vivo a mia volta questo mio ordinarmi a Lui. Ecco la vita del cristiano, un ordinarsi di Gesù a noi, un ordinarsi totale di noi stessi a Gesù. Prima viene l'ordinarsi di Gesù a noi che ci comunica la sua vita e noi poi tutto per Lui e la nostra umanità divenga come un'umanità in sovrappiù nella quale Egli vive.
Certo il Cristianesimo ha anche una dimensione sociale, dimensione sociale che poi è la Comunione dei Santi. Noi già in qualche misura la viviamo perché io abito nel cuore di tutti voi e voi abitate tutti nel mio cuore. Anche qui vi è uno scambio di amore per il quale uno vive nell'altro, come diceva Benedetta Bianchi Porro: "La carità è abitare negli altri", ma è anche che gli altri abitano in te. Il mio cuore è il vostro luogo, non avete mica un altro luogo, tutte le persone che vi amano, perché voi non siete in voi stessi, siete in coloro che vi amano e anche gli altri non sono in loro stessi, sono in voi che li amate. Vivere questo essere uno nell'altro, prima di tutto io in Cristo e Cristo in me; ma siccome il Cristo è anche tutta l'umanità redenta, io vivo in tutti coloro che amo e tutti coloro che amo vivono in me.
La Comunità è questo. È vero che dobbiamo incontrarci per rinnovare qualche cosa di più profondo che sussiste anche quando io non sono presente, perché io so di essere in voi anche quando non sono a Biella e non sarei vostro padre, non vivrei una vera comunione se tutti voi non foste nei mio cuore. Per questo vi ho detto sempre che non posso essere salvo se non siete salvi anche voi, ma posso dire anche che non si salva nessuno di voi senza la mia salvezza, perché la carità è eterna. E quello che Dio ha stretto nella carità Egli non lo separa, quello che Dio ha congiunto l'uomo non lo separi. Ecco, l'unità del Cristo è questa città santa, città che implica una dimensione sociale universale, tutti salvi in ciascuno, ma anche una dimensione personale, persona e Comunità sono al vertice, ma la persona non è a servizio della Comunità e la Comunità non è a servizio della persona, sono valori assoluti, perché anche il Padre nel Figlio e il Figlio nel Padre rimangono l'Uno e l'Altro, Persone divine che sono ciascuna di loro tutto Dio. Bisogna che veramente ciascuno viva nel cuore dell'altro, ma soprattutto in ciascuno di noi viva il Cristo, perché il Cristo prima di tutto è Colui che vive in ciascuno. Di questo non possiamo dubitare, Egli vuole vivere in tutti, Egli vuole essere la vita di tutti, Egli, vuole essere in noi. E nell'accogliere il Cristo, accogliere anche gli altri, ciascuno di noi nell'altro.
questa è la nostra vita, questo è vivere la Comunione dei Santi, questo è realizzare la Chiesa, perché la Chiesa è "la Comunione dei santi". Termine ultimo delle Chiesa è di essere comunione, quella comunione che implica essere uno negli altri, in una vita di amore che non ci isola più, ma ci rende come capacità che accoglie e come dono di noi stessi che si effonde continuamente.
Ecco, questo è il tempio nuovo di Dio, il cuore dell'uomo; vivere prima di tutto questo ordinarsi a Cristo, così come prima di tutto è Dio che si ordina a noi in Cristo Gesù. Ma il Cristo si ordina a noi e noi ci ordiniamo a Lui solo in quanto in questo rapporto il Cristo viene con tutta l'umanità che ha redento, e tutta l'umanità che ha redento, attraverso di noi ritorna a Lui nel suo cuore.
Ecco la "Comunione dei Santi", il nuovo tempio di Dio. Che cresca in noi l'amore per Lui, che sempre noi ci apriamo ad accogliere l'immensità del suo amore per non sentire nulla estraneo a noi. Nulla ci è estraneo, la carità distrugge ogni estraneità, siamo intimi a tutti e tutto è intimo a noi, tutto è nostro. Lo dice anche San Paolo nella Lettera ai Corinzi: "Tutto è nostro, voi siete di Cristo e Cristo è di Dio". Tutto è nostro, ma tutto è nostro perché tutto è di Cristo e Cristo è in noi. Col Cristo tutti gli uomini e col Cristo tutta la creazione. Ma poi d'altra parte noi siamo di Cristo, noi portiamo a Cristo tutta questa ricchezza perché viva in Lui e da Lui sia salvata.
Ecco questo è il Tempio di Dio, più grande del Tempio .di Gerusalemme, più vivo del Tempio di Gerusalemme, perché è la vita Stessa di Dio che è l'amore.

Seconda Meditazione – Sintesi e conclusione del Ritiro

Prima di dire cose nuove s'impone che vediamo un po' quello che abbiamo detto e in che modo quello che abbiamo detto può riassumersi in una lezione unica.
Abbiamo spesso parlato della facilità con la quale noi viviamo una certa idolatria.
"Io sono il Signore Dio tuo, quello che ti ha liberato dalla schiavitù dell'Egitto, non avrai altro Dio all'infuori di me, né avrai altre immagini né di animali né di idoli".
In fondo la vita religiosa rimane questo riconoscimento di un Dio unico a cui deve ordinarsi tutta la nostra vita. Certo che dobbiamo avere rapporti con tutte le cose e riconoscere il valore della creazione, ma dobbiamo anche renderci conto che nulla è fine dell'uomo tranne Dio. Delle cose presenti ne dobbiamo usare solo nella misura che sono un mezzo per il nostro cammino verso il Signore.
Si diceva che è la legge fondamentale della vita cristiana, anzi della vita religiosa, ma è tanto difficile per l'uomo; dopo il peccato originale, perché siamo sollecitati dalla ricchezza, dalla salute, dall'amore umano, dal lavoro e tante volte gli uomini se non sono sollecitati non si ordinano anche a questi valori relativi e vivono proprio il senso del vuoto perché Dio non si fa presente nella loro vita.
I Santi vivevano in uno spogliamento di tutti questi fini secondari eppure non sentivano il vuoto, eppure non si sentivano inutili; non vivevano lo smarrimento dell'inutilità, la loro vita era piena: era l'amore per un Dio che rimaneva nascosto, ma era reale per loro. Vivevano un ordinarsi di tutto l'essere a un Dio che rimaneva in silenzio, ma era la realtà ultima e prima di tutta la loro esistenza.
Com'è facile invece per gli uomini se manca loro il lavoro, se manca loro la salute, se manca loro la ricchezza su cui si appoggiano, che si sentano smarriti come se non avessero più ragione di vivere. La ragione di vivere per noi è al di là della vita perciò non ci manca mai nulla se veramente viviamo per Dio, se veramente abbiamo scelto Dio, se Dio ci toglie i mezzi è perché vuole essere Lui il fine e vuole che sappiamo liberarci da tutti questi trampoli ai quali ci appoggiamo perché la nostra vita viva questo ordinarsi totale dell'essere nostro a Lui che è al di là della morte.
Fintanto che non siamo morti abbiamo da vivere, sembra una frase strana, ma è una verità sul piano teoretico perché fintanto che non siamo morti il fine che abbiamo da raggiungere e al di là, sicché dobbiamo sempre tendere a Lui con tutto il nostro spirito, con tutta la nostra forza, con tutto il nostro amore, non per nulla diciamo ogni giorno che dobbiamo amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze.
Non manca mai all'uomo il potere di vivere fintanto che non ha conseguito Dio e quando avrà conseguito Dio vivrà di Dio in un modo nuovo.
È sempre questa la vita dell'uomo, Dio sia che lo si cerchi, sia che lo si ami possederlo, sia che lo si possegga e si viva nelle gioia di questo possesso, Dio solo è la vita.
Ora se noi non ci abituiamo a vedere nelle cose presenti solo un mezzo per giungere a Dio allora davvero la vecchiaia diviene brutta e difficile da accettare, ma se tu ami Dio non ti è tolto nulla; quando sarai sorda, cieca, quando non potrei più camminare, che bellezza! Ti rimane Dio. Allora potrai vivere unicamente per Lui senza poggiarti sul consenso delle persone, sul fatto che gli altri ti vogliono bene, sul fatto che tu sei sufficiente a te stessa, bisogna abituarsi ad essere liberi da tutti questi appoggi terreni, perché se non ci abituiamo, quando queste cose ci vengono tolte l'anima rimane smarrita e perde ogni vitalità.
È un fatto questo che possiamo riscontrare nelle persone anziane ammalate, ma non è giusto, in fondo l'atto supremo dell'amore sarà sempre per tutti l'atto del nostro morire, perché è nell'atto del nostro morire che noi diamo veramente tutto a Colui che amiamo. Fintanto che non si muore si fa sempre a metà, si dà ma per vivere poi la nostra piccola vita; è nell'atto della morte che veramente noi ci doniamo e ci doniamo senza compenso, ci abbandoniamo in un modo pieno, totale.
Ora non siamo capaci di vivere questo amore pieno, questo amore totale, Dio ci renderà degni di vivere questo atto di amore puro quando moriremo. Tutta la nostra vita, come diceva già Sofocle, dovrebbe essere veramente un imparare come si muore, perché se la morte davvero è l'ultimo atto del nostro vivere, vuol dire che tutta la nostra vita non deve essere altro che una preparazione alla morte. Non c'è nulla da fare, non si vive al di qua, ti sembra di vivere al di qua, ma si vive unicamente per questo traguardo ultimo che solo ci inserisce nella piena vita di Dio, che solo fa sì che noi entriamo nel mare infinito di Dio.
C'è la facilità di una nostra idolatria. È vero, noi non siamo coscienti di appoggiarci alle cose, di trovare in loro in qualche modo un nostro conforto, un nostro appoggio, un nostro fine, non ne siamo coscienti perciò non siamo degli idolatri, tuttavia una certa idolatria di fatto la si vive, la si vive perché noi crediamo più alla salute che alla malattia, crediamo più alla giovinezza che alla vecchiaia, crediamo più alla ricchezza che alla povertà, crediamo di più anche alla stima degli uomini piuttosto che all'essere messi da parte. E non vi dico che voi dovete cercare di essere poveri o disprezzati perché poi non avete la grazia di vivere né la pace, né la gioia di questa privazione di alcuni mezzi che ci sono necessari oggi per la nostra povertà spirituale.
Siamo dei poveri bambini nel campo spirituale e abbiamo bisogno di appoggiarci. Quando si è bambini si cammina a quattro zampe e noi siamo così, si cammina non soltanto con i piedi, ma anche con le mani per andare verso il Signore, ci si appoggia su tutte le piccole cose che abbiamo, ma la cosa più importante è che si cammini, perché se anche il nostro andare è lento, tuttavia deve essere veramente ordinato a Lui.
È necessario che noi non perdiamo di vista che l'unica ragione del nostro vivere, l'unico fine della nostra vita è il Signore ed Egli è l'unico che può saziare la nostra anima, Lui che è ricchezza infinita, Lui che è infinito amore è l'unico che può essere per noi il riposo dell'anima, la gioia profonda del cuore; tendere a Lui e vivere per Lui. Per Lui che ti ha salvato, che ti ha liberato dalla schiavitù dell'Egitto" come è bella questa interpretazione.
Quando diciamo i Comandamenti di Dio noi iniziamo così: "Io sono il Signore tuo Dio, non avrai altro Dio fuori di me"; è sbagliato questo, nell'Esodo si legge: "Io sono il Signore tuo Dio che ti ha salvato" è un Dio che è il tutto per noi; prima che in noi siamo in Lui; è Lui che ci ha scelto, è Lui che ci ha amato per primo, è Lui che ha voluto essere la nostra gioia, la nostra felicità.
"Colui che ti ha salvato dalla schiavitù dell'Egitto"; per noi queste parole potrebbero essere vane, perché nessuno di noi è stato salvato dall'Egitto, ma esse vogliono significare che Dio è entrato nella nostra vita, ci ha liberato di tutto, ci ha protetto, ci ha difeso, ci ha amato e questo Dio che ci ha amato noi dobbiamo amare e scegliere come unico Dio: "Non avrai altro Dio fuori di me".
Vivere questo e non farci immagini vane di dei che non sono Dio. La ricchezza, il favore degli uomini, il potere, tutte queste cose sono veramente delle palle di piombo ai nostri piedi che ci impediscono di camminare e rendono così lento il nostro cammino, così faticoso, così pieno di pene perché è soltanto nell'ordinarci a Dio che l'anima nostra si scioglie, si libera e viene portata dallo Spirito in un volo purissimo di amore incontro al Signore.
Nella misura che noi cerchiamo le altre cose che non sono Dio, tutto questo è davvero una palla di piombo ai piedi che ci impedisce di camminare; preoccupazioni, ansietà di ogni genere, perdiamo la pace, perdiamola gioia, perdiamo la sicurezza. Siamo troppo preoccupati del la nostra salute e allora cinque volte al giorno telefoniamo al dottore, misuriamo la pressione: ma tanto si muore, non preoccupiamoci troppo, un pochino sì, ma poi basta. Quando il Signore vorrà ci chiamerà, se non ci vuole stiamo qui, non preoccupiamoci troppo di noi stessi, della nostra vita, di quello che siamo, di quello che saremo, siamo nelle mani di Dio, di un Dio che ci ama, di che cosa dobbiamo dubitare? Bisogna avere veramente quest'unico Dio che amiamo come fine della nostra vita sempre davanti a noi, non ci lasciamo turbare da nulla perché le altre cose ci possono turbare, anche se siamo troppo preoccupati per il lavoro perdiamo la pace, dobbiamo mantenere la nostra anima nella pace e nella serenità lasciandoci guidare da Lui.
Vedete come i bambini non si preoccupano di nulla, sanno di essere amati e protetti e allora vivono tranquilli e possono giocare con serenità e gioia. Anche noi dobbiamo diventare bambini e questo vuol dire che l'anima è sciolta, si è liberata da tutti i nostri pesi, da tutti i nostri legami che veramente ci tolgono la serenità e la gioia, la gioia di sentirsi amati, di sentirsi protetti, di sentirsi difesi, così come un bambino è protetto e difeso dai genitori.
Ecco la prima cosa che si impone per noi è precisamente questa, ricordarsi come si inizia il Decalogo: "Io sono il Signore Dio tuo quel Dio che ti ha salvato dalla schiavitù dell'Egitto, non avrai altro Dio fuori di me".
Non farsi altri dei, le cose che ci sono necessarie Dio ce le dona giorno per giorno, non pensiamo, non ci preoccupiamo, lasciamo che il Signore ci conduca, non preoccupiamoci eccessivamente né del mangiare, né del dormire, lasciamo che il Signore ci porti; questo è l'insegnamento che ci dà il Vangelo: "A ciascun giorno il suo affanno".
Che la nostra anima rimanga orientata verso il Signore, non c'è più che Lui, che rimanga in questa attenzione costante a Lui.
Vi ho detto che l'esercizio fondamentale della vita cristiana è uno solo: vivere la sua Presenza, perché non è una Presenza davanti a te, è una Presenza che ci investe, che ci penetra; direi che vivere nella Presenza vuol dire sentirsi bambini, sentirsi portati dalle braccia di Dio.
Ecco quello che dobbiamo sentire, quello che dobbiamo vivere il sentimento di un amore che ci circonda geloso e immenso, vivere un puro abbandono.
Cosa facevi tu quando avevi sei mesi? Ti lasciavi amare ed è così anche per noi, lasciamoci amare da Dio, perché non possiamo pretendere di fare qualche cosa nei confronti di Dio, dobbiamo lasciare che Egli ci ami, non sottrarci al suo amore, ma credere al suo amore per noi.
Vedete come passa il tempo, non ci accorgiamo nemmeno di questo breve rapidissimo passaggio della vita di quaggiù, ci risveglieremo e ci sentiremo allora veramente nelle mani del Signore. Allora ci accorgeremo di quale amore, con quale amore noi siamo stati amati da Lui, amati da Lui anche quando lo dimentichiamo, Egli vuole che noi non ci attacchiamo a quello che non è Lui, vuole che sentiamo in fondo che l'unico vero bene è amare Lui solo.
Nella prima meditazione abbiamo meditato la Seconda Lettura e abbiamo detto che la potenza di Dio non è una potenza che schiaccia, non è la potenza come la pensano gli uomini, una potenza che si impone agli altri, ma è una potenza di amore che si esprime proprio nella sapienza della Croce, in un abbandono in Dio ed è in questo amore che vince il male del mondo che Egli ci dà l'esempio perché noi dobbiamo vivere la sua medesima vita.
Non si tratta soltanto di credere all'amore di Dio, non si tratta soltanto di lasciarci amare da Lui, ma si tratta di voler vivere come una nuova umanità nella quale il Cristo compie il suo mistero divino. Cristo ha vinto, ha salvato il mondo precisamente perché il suo amore è stato più grande dell'odio che si è scatenato sulla terra quando ha trasformato anche il male che lo colpiva in una maggiore testimonianza di amore.
Anche noi dobbiamo amare così, anche noi dobbiamo non credere al potere come tale, al potere che uccide, al potere del mondo, ma amare. Ecco l'insegnamento che ci ha dato Gesù Crocifisso: "Scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani".
La sapienza di Dio è questa sapienza, la potenza di Dio è questa potenza, la sapienza è potenza di un amore che si lascia crocifiggere, ma lasciandosi crocifiggere accetta sopra di sé tutto il male del mondo per vincerlo nell'amore, nell'amore più grande dell'odio.
Per questo, dicevo, che anche la Chiesa non vivrà mai un trionfo sul piano umano. Anche se sempre i Vescovi e anche il Papa e tutti noi siamo tentati di cercare un trionfo nel seno della Chiesa, la Chiesa non trionferà mai, se la Chiesa trionfasse sarebbe la sconfitta di Dio perché Dio vince nella Croce.
La presenza di Dio nell'Eucarestia non è presenza umana, lì sono le specie e le specie ci garantiscono una presenza, ma la presenza non è una presenza locale, la presenza intanto è reale in quanto Egli si fa presente, Egli diventa realtà, non può essere presente il Cristo per te se non vivi questo, la presenza implica un'immanenza come il Padre è nel Figlio e il Figlio nel Padre.
La vera presenza reale del Cristo trova nelle specie consacrate il suo segno che garantisce questa presenza, la presenza allora è il fatto che il Cristo vive in noi e noi viviamo in Lui, perciò noi vivremo realmente il mistero della presenza reale del Cristo se tutta la nostra vita è un accogliere Gesù in noi.
L'anima cristiana deve accogliere il Cristo e aprire il suo cuore perché Dio diventi per noi un vivere in Lui in un rapporto personale e vicendevole del Cristo verso ciascuno di noi. Gesù si fa presente sotto la specie del pane perché noi prendiamo coscienza che Egli vuole venire in noi e lì per essere fatto nostro, si fa presente nel mistero eucaristico in atto di donazione di Sé a ciascuno di noi.
Allora la nostra vita deve essere questa, non solo vivere la presenza di Dio, ma vivere ed accogliere intimamente il Cristo che ci ama.
Come si diceva, la generazione del Verbo è generazione eterna, così la vita del cristiano dovrebbe divenire un atto eterno in cui l'anima accoglie il Cristo in ogni istante, non una comunione sola, ma ogni minuto essere in comunione col Cristo. Ed è veramente una comunione reale, si dice comunione spirituale, spirituale perché non è legata al segno sacramentale del pane, ma reale perché se si dona si dona il Cristo, ma Lui non è condizionato da nulla, nostro Signore è libero.
Egli è tutto per me, tutto realmente Egli si dona a me se io sono tutto con Lui. Come si accoglie il Cristo? Si accoglie il Cristo nella misura che noi ci doniamo, se noi ci doniamo realmente, totalmente Egli si dà realmente, totalmente a noi.
La misura del dono non è nel Cristo che si dona, la misura è la fede e quell'unione che si realizza nell'Eucarestia implica l'unità e l'unità è un amore vicendevole.
La dottrina dell'amore nel Cristianesimo molto spesso si fa coincidere col capitolo XIII della I Lettera ai Corinzi, l'inno alla carità, ma non è vero che quella pagina sia la più bella pagina sulla carità. Infatti quando è stata scritta la Lettera ai Corinzi, già in San Paolo c'è tutta una evoluzione di dottrina teologica attraverso le sue Lettere, e d'altra parte sappiamo che San Giovanni è l'ultimo che scrive nel Nuovo Testamento. Allora è in San Giovanni la rivelazione ultima, se vogliamo sapere quello che è la carità nella sua perfezione ultima dobbiamo chiederlo a San Giovanni. In San Giovanni, tanto nel Vangelo come nella Prima Lettera, l'amore perfetto è l'amore vicendevole: "Amatevi scambievolmente, amatevi gli uni gli altri".
Ora tutto quello che abbiamo detto veramente noi possiamo ridurlo a una dottrina semplice che in fondo mi sembra ci insegni una cosa sola: Dio ci ha amato, Lui che è l'infinito, Lui che è l'Eterno ci ha scelti.
Quante volte il libro del Deuteronomio ci dice questo: "Io non ti ho scelto per quello che sei perché tu sei il più piccolo dei popoli"; il più piccolo: lo stupore dell'uomo che si sente amato da Dio, credere a questo amore, vedere questo amore nella morte di Cristo e rispondere a questo amore.
Tutte le tre Letture che abbiamo ascoltato oggi non ci chiedono altro che prendere coscienza di questo amore divino per rispondere a tale amore con un amore totale, con un amore che veramente ci ordina totalmente a Lui senza idolatria, senza che noi sottraiamo nulla di questo amore che deve ordinarci a Lui solo.
Questa è la formula che in fondo riassume tutto quello che noi abbiamo detto in questa meditazione, la formula è quella che ci ha insegnato il Signore: "Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze". Noi dovremmo far precedere a queste parole altre parole: Dio ti ha amato, Dio ti ha amato di un amore eterno, dice il Profeta Geremia, fin dall'eternità Egli ci ha voluto, ha voluto il Cristo per noi e noi per il Cristo fino al punto da corrispondere a questo amore preveniente, gratuito e infinito per farsi amare.
Perché solo se noi veramente saremmo persuasi, saremmo coscienti di essere amati così, sapremo rispondere all'amore di Dio e fare di tutta la nostra vita e di tutta la nostra esistenza un dono totale a Dio, nell'umiltà, nella pace, nella verità, nella gioia.
Vedete come tutto si riduce a poche parole, si tratta di vivere questo, questo vi insegna la Comunità, ma questo voi dovete insegnarlo al mondo, perché gli uomini si trovano smarriti e delusi, non sanno più di essere amati, non credono più all'amore e tutto il mondo è uno sfacelo e la vita è diventata un mistero. Ma non un mistero cristiano, un mistero incomprensibile di assurdità e di non senso. L'uomo rigetta la vita, non sa più accettare la vita. i giovani che si drogano in fondo non vivono che questo, il rifiuto di una vita di cui non sanno sopportare più il peso, una vita che non ha più senso, che sembra non abbia più una ragione.
Questo noi vogliamo insegnare agli altri, è la nostra missione, non si tratta per noi di vivere soltanto nella presenza cristiana, nell'amore di Dio, ma si tratta di vivere la missione del Cristo, perciò responsabili di tutti: dei giovani, degli anziani, dei peccatori, di quelli che non hanno più nessuna speranza, di quelli che vivono nell'odio, di quelli che vivono nel male, di quelli che rovinano i bambini, di quelli che rovinano il loro matrimonio; sentirci responsabili di tutti. Noi potremmo rispondere a questa nostra responsabilità se saremo davvero nel mondo sacramento della presenza di Gesù.
Quando potrò dire ho visto il Cristo perché ho visto voi? Io spero quando ritornerò a Biella e anche che voi potrete dire altrettanto di me, quando ci incontreremo nuovamente se no altrimenti non c'è ragione di rivederci, bisogna davvero che io possa vedere in voi Cristo Signore, ed è necessario che voi lo possiate vedere in me.
In fondo è facile vedere Gesù nei miracoli, vedere e credere, ma noi l'abbiamo conosciuto e dobbiamo essere per gli altri veri testimoni di questa conoscenza per quelli che non lo conoscono più, per quelli che lo hanno perduto, che l'hanno disprezzato, essere per tutti sacramento della presenza del Cristo.
Ecco l'impegno nostro, oltre che amare Dio, oltre che essere amati da Lui, essere come il Cristo il dono di Dio che salva tutte queste anime desolate, queste anime che non conoscono altro che la disperazione. Assumere ogni cosa, Dio è amore e noi dobbiamo divenire amore.