lunedì 19 marzo 2012

Una vita in attesa


Di seguito il Vangelo di oggi, 20 marzo, martedi della IV settimana di 
Quaresima, con un commento e qualche testo di approfondimento.


Che tirannia è mai questa?
Sono venuto alla vita – bene –,
ma perché essa mi agita con le sue violente ondate?
Voglio dire una parola audace, 
sì audace, ma voglio dirla:
se non fossi tuo, o mio Cristo, quale ingiustizia!
Nasciamo, deperiamo, giungiamo alla fine.
Dormo, riposo, sto sveglio, cammino.
Siamo ora ammalati, ora in salute,
ora tra i piaceri, ora tra gli affanni.
Abbiamo parte alle stagioni solari 
e ai frutti della terra.
Moriamo e la nostra carne imputridisce:
questa è la sorte delle bestie,
che, per quanto ignobili, sono senza colpa.
Cosa dunque ho più di loro?
Niente se non Dio:
se non fossi tuo, o mio Cristo, quale ingiustizia!

Gregorio Nazianzeno, A Cristo




Dal Vangelo secondo Giovanni 5,1-16. 


Vi fu poi una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.
V'è a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, una piscina, chiamata in ebraico Betzaetà, con cinque portici,
sotto i quali giaceva un gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici.
Un angelo infatti in certi momenti discendeva nella piscina e agitava l'acqua; il primo ad entrarvi dopo l'agitazione dell'acqua guariva da qualsiasi malattia fosse affetto.
Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato.
Gesù vedendolo disteso e, sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: «Vuoi guarire?».
Gli rispose il malato: «Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l'acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, qualche altro scende prima di me».
Gesù gli disse: «Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina».
E sull'istante quell'uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare. Quel giorno però era un sabato.
Dissero dunque i Giudei all'uomo guarito: «E' sabato e non ti è lecito prender su il tuo lettuccio».
Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: Prendi il tuo lettuccio e cammina».
Gli chiesero allora: «Chi è stato a dirti: Prendi il tuo lettuccio e cammina?».
Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato, essendoci folla in quel luogo.
Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: «Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio».
Quell'uomo se ne andò e disse ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo.
Per questo i Giudei cominciarono a perseguitare Gesù, perché faceva tali cose di sabato.


IL COMMENTO


Non avere nessuno per avere Cristo. Trentotto anni, una vita, giorni che sembravano perduti mentre accoglievano i passi del Signore diretti al suo incontro.Una vita in attesa, fosse anche un'attesa ormai in agonia, non è mai una vita sprecata perchè è una vita donata per incontrare Lui. Il fallimento umano è il corteggiamento di Dio. Lui ha posto i suoi occhi su di noi. Ci ha scelti per Lui. Come quest'uomo che, secondo il greco originale, si tiene nella sua infermità, legato al male e da esso imprigionato, a volte facendo di esso la sua identità per racimolare qualche spicciolo, a volte ribellandosene senza esito. Un uomo alla porta delle pecore, confuso tra tanta sofferenza, tra gli animali destinati alla macellazione sacrificale nel Tempio. In un sabato che per lui non è festa, è piuttosto legge dura d'espiazione, e "l'espiazione è il miglior combustibile al fuoco della colpa" (S. Fausti,Una comunità legge il vangelo di Giovanni). Odore di morte, acre, fumi grigi di sensi di colpa, e di salvezza improbabile. Odore di sangue. E una piscina agitata dal vento, pochi e fugaci istanti per guarigioni destinate a risolversi in altre, future infermità. E nessuno ad accorgersi di lui. Di noi. Soli con le nostre angosce, con le nostre sofferenze, con le nostre infermità. Una vita senza vita. Trentotto anni.


Che cos'è la vita? E' forse questa solitudine acida che corrode ogni speranza della moltitudine di infermi, letteralmente chi non sta in piedi, ciechi, zoppi, disseccati(secondo l'originale greco della parola paralitico) che giace ai bordi d'una speranza che delude ogni giorno di più? Cesare Pavese descrive l'invivibilità d'una vita che "taglia le gambe": "La vita dell'uomo si svolge laggiù, tra le case, nei campi. Davanti al fuoco e in un letto. E ogni giorno che spunta ti mette davanti la stessa fatica e le stesse mancanze. E' un fastidio alla fine, Melete. C'è una burrasca che rinnova le campagne - nè la morte nè i grandi dolori scoraggiano. Ma la fatica interminabile, lo sforzo di star vivi d'ora in ora, la notizia del male degli altri, del male meschino, fastidioso come le mosche d'estate - quest'è il vivere che taglia le gambe, Melete" (Cesare Pavese, Dialoghi con Leucò). Questo è il vivere che sarebbe meglio non vivere, per il quale, con Geremia e con Giobbe, maledire il giorno della nascita. Nascere, perchè?


Ma dove meno te lo aspetti appare il suo volto, e senti la sua voce: "Vuoi guarire?". Un'eco come una saetta, fin nelle giunture dell'anima. E ti accorgi, come una stretta al cuore, che sei nato per Lui, che le orecchie ti son state date per ascoltare quella voce, e gli occhi per accogliere il suo sguardo, e le gambe inferme per essere guarite da Lui, e la mente senza risposte per la luce della sua sapienza, ed il cuore di pietra per il suo amore fatto carne. Se il paralitico avesse avuto qualcuno ad immergerlo, non avrebbe incontrato il Signore. Non avrebbe ascoltato la sua parola, quella chiamata che l'ha destato alla vita vera. Sarebbe guarito, forse; avrebbe trovato lavoro, una casa, un fidanzato, un bel matrimonio, un po' di salute, uno stipendio adeguato, non avrebbe perso il padre da piccolo, niente violenze, avrebbe studiato e si sarebbe laureato, sarebbe un pochino più bello e presentabile, la sua famiglia non sarebbe stata così povera, non avrebbe subito l'ombra del fratello maggiore. Non sarebbe stato crocifisso trentotto anni. E non avrebbe conosciuto il Signore. E non sarebbe stato salvato. E non sarebbe stato felice.


La Croce, un lettuccio e la vita distesa, prostrata, inutile; la Croce, dove giunge la Parola di Gesù e, con essa, all'istante appare la Gloria, la luce della vita nelle piaghe sanguinanti. La salvezza per sempre, e la gioia, e la pace. In quel momento tutta la vita s'illumina di senso, e si rivela per quello che è sempre stata, un letto d'amore preparato per Lui: i momenti più difficili e dolorosi, illuminati e trasfigurati come un talamo eterno per la Sua misericordia. Il paralitico non lo aveva neanche immaginato, come ciascuno di noi, nell'abisso del dolore non vede altro che oscurità. Ma ogni istante passato "così", disteso, inutile a se stesso e al mondo, dimenticato, rifiutato, disprezzato, nella morsa della solitudine è stato, ed è un passo in più verso di Lui; in ogni momento della nostra vita Dio è già all'opera, è necessaria una Parola, la predicazione della Chiesa, un cammino che gesti la fede, perchè la vita, scrostata dalla patina di menzogne deposta dal demonio per far dubitare di Dio, appaia nel suo splendore autentico. Ogni istante ferito dalla Croce o anche dai nostri peccati è una fessura aperta in noi per accogliere Lui, il nostro unico possibile abbraccio d'amore a Cristo. "Ci sono uomini che impenetrabili alla grazia, non hanno difetti nell’armatura. Non sono feriti. Il loro rivestimento morale, costantemente intatto fa a loro da corazza senza difetti... La carità di Dio non medica colui che non ha delle piaghe. Proprio perchè il volto di Gesù era sporco di sudore, fu asciugato dalla Veronica. Colui che non è caduto, non sarà mai raccolto, e colui che non è sporco non sarà mai ripulito" (Charles Peguy).


La debolezza estrema che ci caratterizza, quel ritrovarci soli con la nostra povertà ci rende come la Vergine Maria che non conosceva uomo, in quel momento non c'era per lei nessuno con cui concepire il bambino annunciato. E' il segreto della verginità, il senso della nostra vita di figli. Lo Spirito Santo, alla Parola del Signore, in virtò della predicazione, scenderà e ci coprirà con la Sua ombra, e concepirà in noi la Vita che non muore. La nostra storia, come quella della Vergine Maria, è da sempre per il Signore. Lei nell'immacolatezza d'una concezione senza peccato, noi nelle piaghe della nostra debolezza, spesso tra le macerie d'una vita distesa su di un lettuccio di dolore. Ma allo stesso modo, misteriosamente, per il Signore. “In uno stato in cui nello stesso tempo essa (Maria) sa e non sa, in questa attesa che non può definire, essa vive per Dio nella confidenza. E’ l’atteggiamento già notato e che chiamerei propriamente “mariale”: la perseveranza davanti all’incomprensibile, attraverso il ricorso a Dio. Quando infine l’angelo porterà il suo messaggio, che Maria deve diventare Madre per la potenza dello Spirito Santo, la sua anima profonda dirà:“Era dunque per questo!” (Romano Guardini, La mere du Seigneur). Era dunque per questo, per essere Madre di Dio, figlia del suo Figlio. Come la storia dolorosa di Giuseppe disceso in Egitto come schiavo, era dunque per questo: per sfamare gli stessi fratelli che lo avevano tradito e venduto. Come la nostra storia, era, è dunque per questo: per essere suoi, perchè risplenda in noi la sua Gloria. Era dunque per questo ogni evento dei nostri lunghi "trentotto anni", dare alla luce il Salvatore, l'amore e la salvezza di ogni uomo. Che vita meravigliosa abbiamo avuto sino ad oggi, e che cosa non sarà quello che Dio ci ha preparato da oggi all'eternità.


"Per questo" Lui si è giocato la vita, incontrandoci e salvandoci ha firmato la sua condanna, il mistero di amore che dà senso a tutto. Gesù sapeva di infrangere l'interpretazione legalistica del rigido codice farisaico; lo sapeva e ha ordinato di proposito al paralitico di prendere il suo lettuccio, perchè fosse svelata la vera infermità, il cuore seccato di chi, di fronte all'amore, si blocca a difendere i propri criteri. Sembra impossibile, eppure gli occhi dei farisei sono incapaci di vedere la luce del miracolo e fissano lo sguardo sull'apparente infrazione di un precetto umano da loro stabilito. E' questo il pericolo, l'unico, che può rendere vana la Croce di Cristo e impotente la sua Parola onnipotente. Stabilire a priori un recinto di criteri e desideri per ottenere la salvezza e obbligare Dio ad entrarvi per donarci una salvezza che, solo, può esserci donata imprevedibilmente e al di là dei nostri rachitici pensieri. Attraverso il Vangelo di oggi scopriamo dunque che la vera infermità non è quella che affligge il paralitico da trentotto anni gettato alla porta delle pecore. Il male inguaribile è il cuore indurito dei farisei. Il paralitico, grazie alla malattia, incontrerà il Signore e lo riconoscerà nel Tempio dove è potuto entrare con le sue gambe, nella vita nuova dove è entrato con la sua vita passata riconciliata e trasfigurata. Il paralitico ha conosciuto il perdono dei peccati ed il santo timore di Dio lo accompagnerà nei giorni a venire. I farisei, i cuori maliziosamente legati alla propria carne di uomo vecchio, decideranno di uccidere l'amore fatto carne. Che Dio ci conceda la grazia di lasciarci stupire ed amare al fondo del fallimento umano che ci accompagna, e vivere, da oggi, una vita senza peccato, l'intimità pura con il Signore.


APPROFONDIRE

SILVANO FAUSTI. COMMENTO AL VANGELO DEL PARALITICO GUARITO ALLA PISCINA PROBATICA

«Destati, leva la tua barella e cammina», dice Gesù all'uomo che giace sotto il portico della piscina, presso la porta «Pecoraia», dove confluiscono gli animali da sacrificare nel tempio. Il miracolo avverrà per opera dell'agnello di Dio che porta il peccato del mondo (cf. 1,29). Questo è infatti il sacrificio di Dio per l'uomo, che sostituisce il sacrificio dell'uomo per Dio.
Il malato è «un uomo» (v. 5), immagine dell'umanità intera. Langue in mezzo a una moltitudine di suoi simili, tutti infermi, che non stanno in piedi. Sono «ciechi e zoppi», che non hanno accesso al tempio (cf. 2Sam 5,8), se non come carne da macello. Incapaci di «camminare» secondo la Parola, sono una riserva di dannati che la legge esclude dalla vita e condanna alla morte. La loro condizione è di «disseccati», senza linfa vitale. «Ecco l'uomo!» (19,5).
In questo carnaio entra la Parola di vita, diventata carne. La casa del Padre suo ,16) sono ora questi fratelli. Gesù è il «pastore bello» che viene a prendersi cura del
0 gregge e guarire le sue pecore (cf. Zc 10,2s; Ez 34), comunicando loro il suo stes-rapporto con il Padre (10,1-21).
Il e. 5 è da leggere come un'unità articolata in quattro parti: una guarigione v. l-9a) innesca unadiscussione sulla legge (vv. 9b-18), che culmina nella rivelarne del Figlio che da la vita e compie l'opera del Padre (vv. 19-30), il quale da te-monianza per lui con le opere che gli fa compiere e con la parola delle Scritture v. 31-47).
È il secondo viaggio a Gerusalemme. Ora Gesù non punta sul tempio, dal qua-ha espulso gli animali da sacrificare (2,15). Si trova invece tra gli esclusi. Alla fine
1 stesso, escluso e sacrificato (vv. 16-18), sarà il nuovo tempio (2,18-22).
Consideriamo insieme la guarigione e la discussione, perché stanno tra loro ime segno e significato.
All'inizio il testo parla di «una festa» dei giudei (v. 1), al centro del «sabato» (vv. 10) e, alla fine, dell'uccisione di Gesù (v. 18). Sarà questa «la festa» nella quale do-i a tutti la salvezza, simbolicamente descritta in questa guarigione. Con Gesù, il glio che viene verso i fratelli, giunge il «sabato»: l'uomo, creato al sesto giorno e inpace di raggiungere il settimo, finalmente «cammina» verso la pienezza di vita che i sempre ha desiderato.
Con questo racconto inizia «il giudizio», già accennato in 3,17ss: da una parte è il Figlio che da la vita ai fratelli che l'accolgono, dall'altro ci sono i capi del po-)lo che gliela tolgono. Egli compie l'opera di liberazione del Padre per i suoi figli. la alcuni di questi, e precisamente i capi, si oppongono, come il Faraone. Si prepa-così il nuovo esodo, che avverrà nel e. 6. Davanti all'azione di Gesù in favore del-iomo, si è posti nell'alternativa tra accettare il suo dono o rifiutarlo in nome della gge. Chi lo rifiuta resta nella propria morte e uccide colui che, mentre gli ruba la ta, gliela dona. La sua croce sarà il suo giudizio.
Questo racconto sviluppa il precedente, dove Gesù fa vivere uno «che sta per orire» (cf. 4,47.49); contemporaneamente da inizio alla seconda parte del libro dei igni, che culmina nella risurrezione di Lazzaro (cf. ll,lss). La vita che vince la mor-: è la nota dominante del Vangelo. L'uomo che Gesù ha davanti è uno che non sta i piedi; si tiene il suo male da trentotto anni, in un'esistenza inerte e mezza morta. L guarirlo non sarà l'acqua della piscina, simbolo della natura, né l'acqua del pozzo i Giacobbe, simbolo della legge. L'acqua viva, il dono di Dio, sarà l'amore del Pare verso il Figlio, che è lo stesso del Figlio verso i fratelli.
Quest'uomo, come tutti, sa di essere destinato alla morte. La Parola gli dona di uarire da quella «malattia mortale» che è la vita. Il lavoro di Dio si compie proprio i quest'opera: è il sabato, festa di Dio e dell'uomo che si ritrovano insieme.
Origine di questa condizione «inferma» è un «peccato» (v. 14), imprecisato ma ichiarato. Il peccato è la separazione dell'uomo dal suo principio e dal suo fine. La ;gge, che distingue vita da morte, non fa che evidenziarlo. Anzi, induce nel peccale una rassegnazione al male, che gli fa dire: «Non può essere che così. Meglio non ssere nati!». Chi invece si crede giusto, è semplicemente un cieco che crede di ve-ere (9,41). Il male del popolo è la rassegnazione, quello dei capi è la cecità.
La discussione che segue il miracolo riguarda l'interpretazione della legge, di ui il sabato è simbolo. Tutto per noi è questione di interpretazione: l'uomo è l'in-;rpretazione che da di sé e del mondo, di Dio e della legge.
La legge in sé è buona: mostra il bene e condanna il male. Siccome però tutti siamo peccatori, essa colpevolizza chi sa di peccare, facendolo sedere nella morte, e accieca chi non sa di peccare, imprigionandolo nell'autogiustificazione.
In ambedue i casi la legge è interpretata come qualcosa di assoluto, al quale si sacrifica l'uomo. In questo senso la legge diventa per-vertita, volta in direzione contraria alla vita; e i suoi custodi hanno solo il potere di rendere l'uomo schiavo della morte, come loro.
Gesù ci libera dal male e dalla colpa, restituendo alla legge il suo senso positivo, a Dio il suo volto di Padre e a noi il nostro di figli. A questa sua interpretazione si oppone quella dei capi, che ne hanno fatto la garanzia del proprio dominio sugli altri.
La conversione più difficile è il passaggio dalla legge al Vangelo (cf. Fil 3,lss), dal peccato al perdono, dalla colpa alla riconciliazione, da ciò che vorremmo essere a ciò che siamo - che è molto meglio: siamo infatti figli di Dio! Questa conversione è credere all'amore che Dio ha per noi (IGv 4,16), che ci fa passare dalla morte alla vita.
Nel testo ricorre cinque volte «sano» (vv. 4.6.11.14.15: in Gv solo qui e in 7,23, in riferimento a qui), una volta «guarire» (v. 13) e «curare» (v. 10); cinque volte «levare la barella e camminare» (vv. 8.9.10.11.12), e cinque volte «uomo» (vv. 5.7.9.12.15). Lo scenario è prima la cisterna, piena di infermi, ciechi, zoppi e disseccati, poi il tempio. Sullo sfondo c'è l'acqua, morta o turbata, del grande serbatoio, come nel e. 4 c'era l'acqua del pozzo in contrapposizione all'«acqua viva».
L'azione di Gesù è «curare» e «guarire» l'«uomo», in modo che diventi «sano», capace di «camminare» e «levare la barella», dalla quale prima era portato come prigioniero. La cornice è la festa, il sabato: la pienezza di vita di cui è priva l'umanità che sta ai bordi della piscina presso la porta delle Pecore. Gesù riporta all'uomo la sorgente d'acqua viva dalla quale si era allontanato (cf. Ger 2,13). L'attesa o l'eventuale rinvio della morte, che ci paralizza per tutta la vita (Eb 2,14s), diventa capacità di camminare nella libertà. Chi giaceva, ora si leva, sbloccato dal rigore cadaverico, mimesi della morte che teme: è risorto e torna ad essere «viator», in cammino. E qual è il cammino dell'uomo, abitato da un inquieto desiderio che gli ruba il cuore e gli pone il suo centro fuori di sé?
Il testo è ricco di simboli e allusioni, che saranno evidenziati nella lettura.
Gesù è il Figlio che guarisce l'umanità dell'uomo. Nessun elemento naturale e nessuna legge religiosa, né l'acqua della cisterna né quella del pozzo, ma solo l'acqua viva, che egli dona, appaga la sete di vita propria di chi è cosciente di morire.
La Chiesa si riconosce in quest'uomo, che giace presso l'acqua. E sa che la sua salvezza viene dal Figlio, che da la vita a chi ascolta la sua parola.
2. Lettura del testo
v. 1: C'era una festa dei giudei. Non si specifica quale, a differenza di altre volte (cf. 2,13; 6,4; 7,2; 10,22; 11,55). Si dirà poi che è sabato (v. 9). Alla fine si parlerà dell'uccisione di Gesù.
Questa festa è dei «giudei», che in Giovanni sono i capi del popolo: non è la festa del popolo, ma dei gelosi custodi della legge e del tempio.
Gesù salì a Gerusalemme. Era già salito una volta per la Pasqua (2,12ss). Salirà clandestinamente per la festa delle Capanne (7,2.10); ci tornerà per la festa della Dedicazione (10,22) e poi, per l'ultima volta, quando sarà la «sua» Pasqua (cf. 12,12).
v. 2: la (porta) Pecoraia. È il nome di una porta (cf. Ne 3,1), da dove entravano gli animali per i sacrifici del tempio. Sono le pecore e i buoi che Gesù aveva espulso nella sua prima visita a Gerusalemme (2,14s). Il Signore viene a prendersi cura del suo gregge (cf. Zc 10,2s; Ez 34). Il «pastore bello», che conduce le sue pecore fuori dai recinti, perché possano avere la vita (cf. 10,lss), è anche «la porta delle pecore» (10,7). Infatti è il Figlio, l'agnello che sostituisce le vittime del tempio: attraverso di lui abbiamo accesso diretto a Dio.
una piscina. È un grande serbatoio a nord del tempio, presso la porta Pecoraia, che raccoglieva anche le acque piovane del tempio.
chiamata Bethzathà. La seconda parte del nome varia nei codici. Il suo significato, incerto, può essere: casa «delle due fonti» o «degli olivi», «delle pecore» o «della misericordia», «del fosso» o «nuova», secondo la lezione che si sceglie e come si interpreta la seconda parte del nome.
cinque portici. Quattro portici sono ai lati e uno al centro, che taglia in due la piscina. Nel numero cinque i Padri vedono l'allusione ai cinque libri della legge che racchiude in prigione l'umanità peccatrice, esclusa dalla vita. I «portici» richiamano quelli del tempio, dal quale sono fuori.
v. 3: giaceva una moltitudine di infermi. E una massa di umanità che «giace», come animali al chiuso. Sono «in-fermi»; non stanno in piedi. Hanno perso la posizione eretta, da interlocutori di Dio. Ripiegati sulla terra da cui vengono e a cui tornano, non si alzano più verso di lui. In questa seconda venuta a Gerusalemme, il tempio, casa del Padre, è sostituito da questi fratelli infermi; nell'ultima sarà sostituito dalla carne di Gesù, tempio distrutto e riedificato in tre giorni.
ciechi, zoppi. Sono le infermità dell'uomo che non cammina secondo la legge: la Parola non è lampada ai suoi passi e luce al suo cammino (cf. Sai 119,105). Chi non vede e non sa dove andare, non può camminare. Ciechi e zoppi hanno il divieto di entrare nella casa di Dio (cf. 2Sam 5,8).
disseccati. Questi infermi ai bordi della piscina sono secchi: non hanno più quella linfa vitale che viene dallo «stare ritti», dal «vedere» e «camminare» alla luce della vita. Sono tralci secchi (15,6), legno secco (Le 23,31), come la «mano secca» dell'uomo nella sinagoga (cf. Me 3,1). Richiamano il popolo di ossa aride e secche (cf. Ez 37,1-14).
aspettavano il movimento dell'acqua. L'acqua, simbolo di vita, si muoveva di tanto in tanto, quando si aprivano le chiuse per riempire la piscina. Ora è morta e stagnante. L'uomo spera sempre in un moto - un cambio di situazione, una sollevazione o una rivoluzione -, che ravvivi la sua esistenza. Peggio di così non può essere; se qualcosa si muove, non può essere che meglio.
Questa parte del versetto e tutto il v. 4 mancano in molti manoscritti. Per sé sono necessari per capire il v. 7, che dice perché quella gente è lì. Si tratta di un'omissione per non indulgere a pratiche terapeutiche superstiziose, oppure di un'aggiunta per spiegare il v. 7?
v. 4: un angelo del Signore, ecc. Negli scavi di questa piscina sono stati trovati degli ex voto. Essa era diventata un luogo di culto pagano, dedicato a divinità cura-trici. Da sempre l'uomo ha cercato da Dio la salute. Ma l'acqua, anche se è terapeutica, non da la vita; semplicemente mantiene o migliora la vita che c'è. La quale resta però sempre malata di morte. E non c'è rimedio che la curi, neppure l'acqua della piscina. Con tutto ciò che si inventa o immagina, l'uomo trova solo acqua, che sempre è «turbata» dalla paura della morte (cf. Eb 2,14). Se per caso qualcuno guarisce, è solo per breve tempo: rimane comunque votato alla morte.
Il dono della vita, che l'uomo desidera, non può venire da quest'acqua turbata, come neppure dal pozzo; viene da Gesù, Parola diventata carne. Dio è vita: la comunione con lui è la nostra vita (cf. Dt 30,20).
v. 5: c'era là un uomo. Nella massa si evidenzia un uomo. È l'uomo!
si teneva nella sua infermità. Quest'uomo «si tiene» nella sua condizione di non-stare-in-piedi. È legato dal suo male ed è legato ad esso, ne è custodito e lo custodisce: se lo cura e coccola, facendone la sua identità. Gesù parlerà di «peccato» (v. 14). Non si tratta di peccato personale, ma di una «situazione di peccato», di un'eredità che riceviamo e trasmettiamo, aumentandone il capitale. La stessa legge, in una situazione di male, non può che portare o alla rassegnazione o ali'autogiustificazione. Se i capi si autogiustificano, il popolo si rassegna. Ognuno è solo con il suo male (cf. v. 7: «non ho un uomo»), escluso dalla festa, consegnato a quello che ritiene essere ormai il suo destino. Può accedere al tempio solo come vittima, espiando i suoi sensi di colpa e alimentandoli ulteriormente - l'espiazione è il miglior combustibile per il fuoco della colpa. Il sabato non è per lui gioia e riposo: è solo divieto, come tutta la legge (cf. v. 10: «non ti è lecito»). La sua vita è subire il male. I capi, invece, credono di far festa perché custodiscono i divieti della legge e li impongono agli altri. I capi sono vittime del sadismo, i sudditi del masochismo.
da trentotto anni. Mancano due anni per fare quaranta. Quarant'anni è una generazione, una vita. Dt 2,14-17 parla dei trentotto anni di deserto per quelli che uscirono dall'Egitto e perirono senza raggiungere la terra promessa (Sai 95,10 e Nm 32,13 parlano di quarant'anni). Quest'uomo, come tutti, è nato per morire e attende la morte con la frustrante speranza di un'irraggiungibile acqua miracolosa. «Sta per morire» e Gesù viene «prima che muoia» (cf. 4,47.49).
v. 6: Gesù, avendolo visto, ecc. L'occhio del Padre è verso il Figlio e quello del Figlio verso il fratello infermo. Gesù «sa» che l'uomo è così: lo sa perché è la Parola eterna di Dio, lo sa perché è carne come ogni carne.
vuoi diventare sano? La domanda non è superflua. Quest'uomo è un malato cronico, nel quale si è spento il desiderio di vita. Ma il desiderio è la mano per ricevere il dono. Nella donna di Samaria Gesù risveglia il desiderio dell'acqua viva, in quest'uomo malato quello di una vita sana, alla quale ha rinunciato. Questo è il suo peccato: la mancanza di speranza! Dio è amore e vita, dono che si comunica: ognuno ne riceve nella misura in cui lo vuole. L'uomo privo di desideri è morto come uomo: resta immobile e non va da nessuna parte. Il desiderio è segno di qualcosa che manca, ma che è necessario, come la luce per l'occhio, che diversamente si atrofizza.
A differenza di Maria (cf. 2,lss), del padre (cf. 4,46ss) e delle sorelle di Lazzaro (cf. ll,lss), quest'uomo non chiede nulla a Gesù, come il cieco di 9,lss. E infatti facile vedere il male e desiderare il bene dell'altro, mentre è difficile vedere il proprio e volerne essere liberi. Il male altrui è deforme, il proprio invece è considerato conforme alla propria identità personale: «Son fatto così!».
v. 7: non ho un uomo, ecc. Questo infermo non ha nessuno. Il suo bisogno l'ha chiuso nella solitudine. Sta ai bordi della piscina, senza mai entrarvi nel momento giusto. Come in un cattivo sogno, arriva sempre troppo tardi. Eppure continua a star lì, facendo il gioco del perdente, sapendo in anticipo che tutto è illusione che finisce in delusione. Sta lì in modo coatto: l'hanno messo lì gli altri.
v. 8: gli dice. Gesù agisce con la Parola. Essa all'origine disse: «Sia la luce»; e la luce fu.
destati. La Parola, come crea, così ricrea: risveglia l'uomo morto e gli rida vita (vv. 21.25).
leva la tua barella e cammina (ci. Me 2,1-12). Questa espressione è il centro del cconto e della disputa: se ne parla cinque volte (vv. 8.9.10.11.12), come cinque so-i i portici della piscina e i libri della legge. Il letto, per un sano, è luogo di riposo; la rella, per l'ammalato, è luogo di contenzione.
Questa barella, dove giace l'infermo, è simbolo della legge: lo tiene prigionie-come trasgressore e lo conduce alla porta Pecoraia, fuori dall'acqua e dalla festa, "a l'uomo la può portare, camminando sino al tempio, dove Gesù lo ritrova. Se ima era morto, ora è vivo e risorto, perché «cammina», vive secondo la Parola. Se ima era bloccato, ora è capace di portare liberamente ciò che prima lo portava co-; prigioniero. La legge infatti, come porta alla vita chi la custodisce, così tiene in rcere chi trasgredisce.
v. 9: divenne sano. Risorgere, osservare la Parola e camminare davanti a Dio: està è la vita sana, libera dal veleno che il diavolo ha inoculato in chi gli ha presta-ascolto (cf. Sap 1,12-15; 2,24). È quanto la Parola dona all'uomo che non osava più ;rare.
era sabato quel giorno. Quando ciò avviene, è «sabato», compimento della
^azione e pienezza di vita. Gesù, Signore del sabato, giorno del Signore, è venuto
«rtare all'uomo il sabato di Dio. Perché il sabato è fatto per l'uomo (cf. Me 2,27).
v. 10: dicevano dunque i giudei. Questi giudei sono i capi, interpreti della leg-
controllori del sabato, espressione massima degli obblighi della legge.
è sabato e non ti è lecito, ecc. Non importa loro che l'uomo sia risorto e cam-ni. Occupati a dichiarare quanto non è lecito fare di sabato, non intuiscono che vare la barella» non è una trasgressione, ma il simbolo stesso dell'osservanza la legge.
Ci sono due modi opposti di intendere la legge: come divieto e condanna, opre come custode della vita e della libertà dell'uomo (cf. Gen 2,16s). Il primo è quelli Adamo, che fin dall'inizio ascoltò la menzogna del serpente. Il secondo è quel-'oluto da Dio, che ama l'uomo di amore eterno (cf. Ger 31,3) e perdona, come un Ire fa con il figlio. Questo è il senso originario della legge, al quale Gesù ci ripor-non l'uomo è per la legge, ma la legge per l'uomo. Le due diverse interpretazioni ino come risultato due opposti modi di vivere.
Non solo una volta, ma ancora oggi, nel nostro «villaggio globale», il futuro l'uomo dipende da come interpreta la legge, se stesso e Dio. Comunque, al di là )gni osservanza o trasgressione, la sua umanità si gioca nel fare come Gesù, che rende cura del fratello più debole.
v. 11: chi mi ha fatto sano, ecc. Dinanzi ai custodi della legge, l'ex malato risponde c'è un uomo che lo ha fatto sano; cosa che essi trascurano, perché non sono inte-;ati all'uomo, ma alla legge. Proprio ascoltando la sua parola («lui mi disse») e non Ila della legge («non ti è lecito»), è in grado di «levare la barella e camminare».
v. 12: chi è l'uomo, ecc. ? Chi è costui che sta sopra la legge e pone l'uomo sopra i legge? Si arroga il potere di Dio: è una bestemmia (cf. Me 2,l-12p)!
v. 13: non sapeva chi fosse. Quest'uomo non conosce Gesù. Il «prodigio» non è ora letto come «segno».
Gesù infatti si era ritirato, essendoci folla. Gesù evita la prevedibile ressa di al-nfermi in cerca di guarigione. Non vuoi ripetere il «prodigio»; vuole invece che se :olga il valore di segno. Ha guarito uno solo per indicare ciò da cui vuoi guarire i: non da una malattia qualunque, ma da quel male di vivere che è l'idea che ab-no di noi stessi, di Dio e della legge. Gesù non è venuto per dare alla Samaritana qua che può trovare al pozzo, né per dare alle folle pane che perisce (6,26). Non
è venuto a dare salute, ma salvezza. Questa salvezza è la comunione con Dio, che ci fa passare da una vita morta alla condizione di suoi figli (cf. v. 24).
v. 14: lo incontra Gesù nel tempio. Come prima l'ha visto alla porta Pecoraia, ora lo incontra nel tempio. Ma non come pecora da macello. Infatti l'ha preceduto lui stesso, che presto decideranno di uccidere, vero agnello che libera il mondo dal suo peccato. La sua Parola l'ha fatto camminare fin lì, portando da sano la propria barella che prima lo portava da malato. Il tempio, casa del Padre, ora è il fratello vivo e risorto, come prima era il fratello malato e peccatore.
non peccare più. Sembra strana questa affermazione, così diversa da 9,3. Qui Gesù pone un rapporto tra il peccato e la malattia: secondo lui, l'origine di questa infermità è un peccato, che egli ha perdonato (cf. Me 2,5). Il testo sembra suggerire qual è il peccato: è il non voler guarire, la rinuncia al desiderio di vita, la disperazione cupa sul futuro, che fa vivere come «normale» l'esclusione dalla festa, come se Dio fosse cattivo e godesse della morte dell'uomo (cf. Ez 33,11). Questo peccato consiste nel porre la legge, che condanna e punisce, al posto di Dio che giustifica e perdona. perché non ti avvenga qualcosa di peggio (cf. Le 11,24-26; Eb 6,4-8). È meglio giacere a terra infermi che precipitare dall'alto.
v. 15: se ne andò l'uomo. La sua, probabilmente, non è una delazione, ma una testimonianza su Gesù, che può essere accettata o rifiutata.
disse ai giudei che è Gesù colui che lo fece sano. Gesù significa «il Signore salva». v. 16: per questo i giudei perseguitavano Gesù (cf. Me 3,1-6). Comincia lo scontro diretto tra Gesù e i capi del popolo. È in gioco l'interpretazione della legge, il rapporto tra uomo e Dio: questione di vita o di morte.
v. 17: rispose. Invece del solito «apekrithe» (cf. vv. 7.11), qui Giovanni usa la forma «apekrìnato»,che esce nel processo davanti al sinedrio (cf. Me 14,61; Mt 27,12 e Le 23,9). Inizia qui il giudizio contro Gesù, nel quale si rivelerà come il Figlio. È già l'anticipo del punto di arrivo.
il Padre mio. Gesù enuncia il tema della rivelazione del Figlio e della sua opera, di cui si parlerà immediatamente dopo (vv. 19-30). Gesù chiama Dio «Padre mio» (cf. 2,16). «Padre» indica non solo relazione di nascita, ma anche di amore, che si esprime nel fatto che Padre e Figlio sono uniti nel capire, volere e agire.
continua ad operare fino ad ora. Dio è sempre all'opera nella creazione, per condurla al settimo giorno, nel quale si dice che «compì» il suo lavoro e «riposò» (cf. Gen 2,2s). Ma allora il settimo giorno Dio compì il lavoro o riposò? In realtà il suo riposo è compiere la sua opera, che è introdurre l'uomo nel proprio riposo. Gesù agisce di sabato non per dispetto verso le autorità. La sua non è trasgressione o provocazione; indica invece l'opera del Padre nel mondo: portarlo alla libertà del Figlio. v. 18: per questo cercavano di ucciderlo (cf. Me 3,6). Il testo, iniziato con una festa, continua con il dono del sabato e conclude con uno squarcio sulla Pasqua ultima, quando il Figlio sarà ucciso e ci darà il suo Spirito. Il dono della vita gli costerà la vita. scioglieva il sabato. Il sabato prima era legato e legava, ora è sciolto, libero e liberante: è per l'uomo. Come il sabato, così ogni legge, anzi Dio stesso è per l'uomo! Da sempre l'unica legge è l'amore di Dio, principio di vita e libertà. È la cosa nascosta sin dalla fondazione del mondo, che Adamo non capì e il Figlio è venuto a rivelare. facendosi uguale a Dio. Il figlio è simile al padre non solo nelPagire, ma anche nell'essere. Farsi uguale a Dio è il peccato di Adamo (cf. Gen 3,5), del quale accusano ora Gesù. Eppure Dio ha fatto l'uomo a sua immagine e somiglianzà! Il peccato di Adamo non fu quello di farsi uguale a Dio, ma di rapire ciò che non può essere che dono; volle possedere in proprio ciò che gli veniva dal Padre: non accettò di essere figlio. Gesù è il Figlio, il primo uomo che accetta di essere tale: amato dal Padre. Egli «incarna» la Parola eterna di Dio e dona a chi l'accoglie di essere (ri)generato figlio di Dio.

* * *



Il Dono nel Vangelo di San Giovanni

Terza Meditazione
20 Aprile 2004

- I -

Il discorso della malattia dell’uomo
nel contesto di una scena tipicamente evangelica

Il cap. 5, 1-18 di Giovanni:
«[1]Vi fu poi una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. [2]V’è a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, una piscina, chiamata in ebraico Betzaetà, con cinque portici, [3]sotto i quali giaceva un gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici. [[4]Un angelo infatti in certi momenti discendeva nella piscina e agitava l’acqua; il primo ad entrarvi dopo l’agitazione dell’acqua guariva da qualsiasi malattia fosse affetto]. [5]Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato. [6]Gesù vedendolo disteso e, sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: Vuoi guarire? [7]Gli rispose il malato: Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, qualche altro scende prima di me. [8]Gesù gli disse: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina. [9]E sull’istante quell’uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare.
Quel giorno però era un sabato. [10]Dissero dunque i Giudei all’uomo guarito: È sabato e non ti è lecito prender su il tuo lettuccio. [11]Ma egli rispose loro: Colui che mi ha guarito mi ha detto: Prendi il tuo lettuccio e cammina. [12]Gli chiesero allora: Chi è stato a dirti: Prendi il tuo lettuccio e cammina? [13]Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato, essendoci folla in quel luogo. [14]Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio.[15]Quell’uomo se ne andò e disse ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo. [16]Per questo i Giudei cominciarono a perseguitare Gesù, perché faceva tali cose di sabato. [17]Ma Gesù rispose loro: Il Padre mio opera sempre e anch’io opero. [18]Proprio per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo: perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio».
C’è un elemento di questo racconto che m’interessa molto e allora mi sono fermato un po’ sopra.
Partiamo dalla scena: a Gerusalemme, piscina di Betzaetà presso la porta delle Pecore, e nel contesto di una festa. Che festa sia san Giovanni non lo dice, e quindi è meglio non cercare di indovinarlo, perché vuole dire che non è importante dal suo punto di vista, però è importante che sia una festa. Il contesto dovrebbe essere così, quindi anche gioioso, un richiamo «alle grandi opere di Dio», perché le “feste” sono sempre quelle: sono memoria di quello che Dio ha compiuto.
Ebbene, la scena ci fa vedere una:
«piscina con cinque portici, [3]sotto i quali giaceva un gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici».
È una scena significativa, e si potrebbe dire: è proprio una scena evangelica.

1. L’uomo che s’incontra per la strada nella logica del Vangelo è malato, e una delle immagini caratteristiche di Gesù è proprio quella del medico.

Ha detto un commentatore, e credo giustamente, che se uno si chiede, chi sia l’uomo?, e se va a porre questa domanda al Vangelo, la risposta che il Vangelo gli dà è fondamentalmente che l’uomo è un malato.
Se la domanda viene posta ad un filosofo, naturalmente vi dà l’immagine dell’uomo perfetto, che fisicamente, psicologicamente, spiritualmente e culturalmente è realizzato, è compiuto diremmo noi; l’uomo per il filosofo è quello lì, per chi ragiona in astratto.
Ma il Vangelo non ragiona in astratto, non parla dell’idea di uomo, che evidentemente è perfetta, ma parla dell’uomo che s’incontra per la strada.
E l’uomo che s’incontra per la strada nella logica del Vangelo è malato.
Tutti quelli che Gesù ha incontrato fondamentalmente erano, da un certo punto di vista o dall’altro, malati, o malati fisicamente o spiritualmente. E quando pensavano di essere integri spiritualmente, come il “giovane ricco” (cfr. Mt 19, 16-22), vengono fuori dall’incontro con Gesù che si capisce bene che sono malati, che quindi c’è qualche cosa, magari nascosto, che però non funziona bene.
Allora, questa scena piena di infermi, ciechi, zoppi e paralatici è effettivamente una scena tipicamente evangelica.
D’altra parte una delle immagini caratteristiche di Gesù è proprio quella del medico, del guaritore. Quando Pietro fa quello straordinario discorso di evangelizzazione in casa di Cornelio, dice che:
«[38] (…) Gesù è passato facendo del bene e sanando – rendendo sano – tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui» (At 10, 38).

2. Quando la malattia è significativa, quello che è in gioco è il senso della vita della persona.

Il che ci aiuta anche a capire che la malattia non è semplicemente un fatto fisico. È vero che è malato il fegato o lo stomaco o i polmoni… ma in realtà la malattia è sempre qualche cosa di molto più profondo; s’intende quando è una malattia grossa, se è un’influenza non ci si bada forse neanche. Quando è una malattia significativa, quello che è in gioco è il senso della vita della persona.
La malattia è in qualche modo un anticipo della morte, e quindi una diminuzione di speranza di vita, di quella pienezza di vita a cui l’uomo si sente effettivamente chiamato. Quindi ammalarsi è effettivamente entrare in una crisi, e non semplicemente fisica, ma del modo di intendere noi stessi, del modo di vederci, di comprendere chi siamo e che cosa stiamo vivendo. Molte volte la malattia ripiega la persona su di sé: “perché è così assorbente dal punto di vista psicologico che faccio fatica a vedere il resto del mondo, faccio fatica a vedere se il sole si alza al mattino, e quindi se c’è un cammino di vita che si manifesta nella natura, nella creazione, negli altri”. Perché la mia malattia diventa in qualche modo il punto di riferimento, il punto da cui vedo il mondo che lo vedo a partire da lì. Quindi dentro c’è effettivamente un discorso grande e difficile.
Riuscire a vivere la malattia – non semplicemente come un momento vuoto, tra un periodo di sanità prima e un periodo di guarigione che speriamo ci sia dopo – trasformandola in una prestazione umana, cioè in qualche cosa che vivo con quel briciolino di libertà che mi rimane (quando uno è ammalato è diminuita la libertà, perché molte cose non le può fare) – il riuscire a gestirla con tutto me stesso, con tutto il mio impegno, cercando di vivere autenticamente, e non semplicemente di sopravvivere, è una prestazione difficile.
E proprio per questo il discorso della malattia nel Vangelo ha una importanza così grande.

3. L’essere così dentro la propria malattia da non riuscire nemmeno più a desiderare

Tra questa schiera di ammalati, che riempie la piscina:
«[5]Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato».
Il testo è un po’ più oscuro.
  • Non dice semplicemente che «era malato».
  • Ma che «stava da trent’anni dentro la sua malattia».
Come se la malattia fosse una specie di ambiente che lo circondava da tutte le parti, ci abitava dentro, ormai lui e la malattia erano diventati una cosa sola. Il “trentotto anni” hanno evidentemente pesato e molto, tanto hanno pesato che a prendere l’iniziativa deve essere Gesù.
  • Non è uno di quelli che si presentano al Signore e chiedono:
    • “Signore, abbi pietà di me!”.
    • “Cosa vuoi?”.
    • “Che io sia guarito! Che io sia mondato! Che io possa vedere!”.
No, questo qui è semplicemente “dentro la sua malattia”, sembra che non ci sia per lui altro.
Tanto che, dicevo, Gesù prende l’iniziativa e gli pone quella domanda semplicissima:
«Vuoi guarire?», «Vuoi diventare sano?».
E la stranezza è che questo ammalato non dice: “Sì!”. Che sarebbe la risposta naturale, la più semplice; uno è ammalato da trentotto anni: – “Che cosa vuoi?”. – “Guarire!”.
No, la sua risposta è: «[7] (…) Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, qualche altro scende prima di me».
Che è come dire: – “Ormai non ci spero più”; – “Vuoi guarire?” – “Non ci spero più!”.
È un uomo che si sente solo, non ha nessuno che lo aiuti, proprio nessuno, neanche un cane che gli stia vicino e lo aiuti nel momento in cui possa averne bisogno.
Anzi, gli altri li vede come un ostacolo: “quando sta per scendere nella piscina c’è qualcun altro che ci arriva prima di lui”, e quindi gli porta via la guarigione. “Gli altri” sono evidentemente un impedimento, questo uomo non vive più il rapporto con gli altri. Attenzione, non lo vive più come un rapporto umano, non vede negli altri delle persone che possono comprenderlo e aiutarlo; l’unica immagine che ne può avere è quella di una opposizione, di un ostacolo, da parte di qualcuno.
Insomma, è così messo dentro la sua malattia, che non sa più nemmeno quello che vuole, che non riesce nemmeno più a desiderare.
Ed è significativo che anche il Vangelo non dia un ritratto così preciso di quest’uomo. Generalmente dico che è un paralitico, perché quel «prendi il lettuccio a va a casa tua», potrebbe corrispondere a qualche altra immagine. Ma il Vangelo non lo dice che tipo di malattia avesse, semplicemente è una malattia che lo legava al suo lettuccio. Ma che cosa avesse non si sa, è un tutto confuso dentro l’esperienza di questa persona; appunto si vede solo la malattia, le qualificazioni più precise sono cancellate.

3.1. Dietro la figura di un malato cronico dovete vedere la psicologia di un malato che ormai non ha più nemmeno il desiderio di guarire

E probabilmente dietro a questa figura dovete vedere la psicologia di un malato cronico che ormai non ha più nemmeno il desiderio di guarire, può capitare anche questo.
È vero che la guarigione è sempre un desiderio fondamentale dell’uomo, perché l’uomo può vivere solo mantenendo aperta la speranza, e quindi mantenendo aperto il desiderio.
Però capita che in alcune situazioni l’uomo nella sua malattia ci fa il “nido”, perché per certi aspetti la malattia è anche una protezione: mi dà la possibilità di non assumermi delle responsabilità, di non dovere vivere dei rapporti che sono anche faticosi delle volte. E dopo un po’ che uno nella malattia c’è, questo atteggiamento può diventare prevalente e togliere o corrodere pian piano il desiderio di vivere, quindi il desiderio di amare, di ascoltare, di parlare, di capire, di entrare in rapporto.

4. Chiediamo al Signore di guarire, però con delle riserve, cioè non disposti a mettere in gioco tutto.

E questo non m’interessa dal punto di vista della malattia fisica perché non è il problema. Però m’intersa dal punto di vista della malattia spirituale, perché questo succede. Succede che noi spiritualmente siamo ammalati: è difficile che uno sia proprio integro e perfetto e sano, e quindi ami l’amore e viva e con perseveranza e con impegno l’amore.
Generalmente abbiamo una serie di limiti e di malattie, e capita delle volte che con qualche limite o malattia ci scontriamo davvero. Per cui ci rendiamo conto che lì c’è una partita decisiva da giocare, per fare un passo avanti, per crescere nell’amore del Signore e nell’amore degli altri, per dare alla nostra vita una forza di servizio, un significato di disponibilità più intensa.
Però capita (non dico a voi, ma a me capita qualche volta) di giocare con la richiesta della guarigione: chiediamo al Signore di guarire, però con delle riserve, cioè non disposti a mettere in gioco tutto.

4.1. “Convertimi, Signore, ma non subito”, vuole dire che la volontà e il desiderio non è autentico.

Quando sant’Agostino faceva quella bellissima preghiera, “convertimi, Signore, ma non subito”, faceva venire alla superficie quello che in noi molte volte è nascosto. Il “convertici Signore” lo diciamo, solo che dentro c’è anche il “non subito”.
Sappiamo che lì c’è la strada della vita, della gioia e della santità, che è l’unico senso che può avere la nostra vita. Però ci rendiamo conto che c’è anche un prezzo da pagare, che è il prezzo di una rinuncia, di un non riconoscimento, di qualche cosa che si perde… È vero che sono piccole gratificazioni quelle che si perdono, non sono cose immense, ma noi siamo così piccoli che anche alle piccole gratificazioni ci siamo attaccati, e il riuscire ad accettare il distacco, il taglio, ci costa.
Per cui quel “non subito” ci sta dentro molte volte nella nostra preghiera. E il “non subito” vuole dire evidentemente che la volontà e il desiderio non è autentico, non va fino in fondo, fino al centro della libertà.
E la conversione, il cambiamento, avviene lì, e bisogna riuscire a fare questo passo.

- II -
Il Signore continua l’attività creatrice del Padre

1. È Gesù che prende l’iniziativa per la conversione di questo infermo; e Gesù giustifica il suo comportamento come un prolungamento dell’attività creatrice di Dio.

Chi fa fare questo passo della conversione, nel racconto di questo infermo, è il comando del Signore, perché anche se questo uomo non ha chiesto di guarire, Gesù prende l’iniziativa e gli dice:
«Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina. [9]E sull’istante quell’uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare».
C’è quindi una parola di Gesù, una serie di imperativi: tre, uno dopo l’altro. E questi tre imperativi creano qualche cosa di nuovo; creano la guarigione, la vita, l’energia e la forza in quest’uomo: – “alzati, – “prendi su”, – “cammina”.
Quel rapporto stretto che il Vangelo pone – tra il comando del Signore, l’obbedienza, e quello che avviene – ha fatto pensare ad alcuni allo schema della creazione:
«[3]Dio disse: Sia la luce! E la luce fu» (Gen 1, 3).
Dove c’è una parola di Dio, è parola creatrice, lì la creazione nasce, si manifesta.
E di fatto, nel discorso che poi seguirà (e che non commenteremo), il riferimento alla creazione c’è. Gesù giustifica il suo comportamento come un prolungamento dell’attività creatrice di Dio:
«[17] (…) Il Padre mio opera sempre e anch’io opero».
Quindi, l’attività del Signore continua prolungare l’attività creatrice del Padre, che vuole dire: c’è una creazione ma non corrisponde ancora al disegno, o al sogno di Dio, non è così come Dio la vorrebbe; c’è ancora qualche cosa da fare, c’è da prolungare e da completare l’opera, o da purificare la creazione perché corrisponda al disegno di Dio; e Gesù fa esattamente questo.
Le guarigioni che Gesù compie prendetele così: è Gesù che rende bella la creazione, che la purifica da quella schiavitù a cui è sottomessa per un potere di male del satana:
«[38] (…) risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui» (At 10, 38).
“Dio era con lui”, vuole dire: è un’opera da Dio quella che Gesù sta facendo, è un’opera da Creatore, e la sta facendo perché c’è un potere di satana che deve essere vinto e superato. Quindi avviene qualche cosa di bello:
«[9]E sull’istante quell’uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare».
È il mondo che nasce, e nasce bello, che nasce sano e integro.

2. L’azione creatrice del Signore non suscita una risposta di gioia da parte di nessuno, anzi sembra suscitare una risposta negativa di rifiuto.

Ebbene, di fronte ad un fatto del genere dovrebbero gioire e cantare tutti i figli di Dio, tutti gli angeli del cielo, tutte le creature… Invece nel Vangelo c’è silenzio, nessuno dice niente… né il guarito comincia a saltare; come nel cap. 3, 1-10 degli Atti degli Apostoli, quando quel paralitico, che era alla porta Bella del tempio, è stato guarito, ha cominciato a saltare nel tempio, a lodare e a benedire Dio, e ha fatto salti di gioia.
Qui niente! E neanche la gente intorno non dice niente, non loda Dio, non dice: «Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti!» (Mc 7, 37).
No, non dice niente! Sembra che il contesto sia un “contesto di freddo”, di indifferenza. Questa azione creatrice del Signore non suscita una risposta di gioia da parte di nessuno, né del guarito né delle persone che stanno intorno.
Anzi, sembra suscitare una risposta negativa di rifiuto, perché continua san Giovanni:
«Quel giorno però era un sabato. [10]Dissero dunque i Giudei all’uomo guarito: È sabato e non ti è lecito prendere su il tuo lettuccio».
Di sabato non si possono sollevare pesi, tanto meno s’intende un letto, un peso di questo genere. Quindi i Giudei pongono questa obiezione all’uomo guarito:
«[11]Ma egli rispose loro: Colui che mi ha guarito mi ha detto: Prendi il tuo lettuccio e cammina.[12]Gli chiesero allora: Chi è stato a dirti: Prendi il tuo lettuccio e cammina? [13]Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato, essendoci folla in quel luogo».
Dunque, ci sono due cose da considerare:
  • Primo, che un uomo malato è guarito.
  • Secondo, che questa guarigione è avvenuta di sabato.
Ebbene, i Giudei si accorgono molto bene della guarigione avvenuta di sabato, ma sembra che non si accorgono che c’è stata una guarigione; per cui esaminano la possibilità che di sabato sia portato un letto, ma non stanno a riflettere sul fatto che di sabato un uomo sia stato guarito.
Insomma, vedono molto bene la Legge, ma non riescono a vedere l’opera di Dio. È così grande l’opera di Dio che sembra sfuggire alla loro attenzione, di quello non si interessano, anzi sembra addirittura che non lo vedono.

2.1. I Giudei non riescono vedere la guarigione, la creazione, l’opera di Dio.

Questa è una piccola osservazione, dopo la potete anche dimenticare.
  • La seconda volta che i Giudei parlano all’uomo guarito gli dicono: «[12] Chi è che ti ha detto (…)».
  • E non poi come dice la traduzione italiana «[12] (…) Prendi il tuo lettuccio e cammina».
  • Ma il testo dice semplicemente: «[12] (…) Prendi su e cammina». Hanno cancellato “il letto”! Non lo “vedono più”. Perché il “letto” in qualche modo ricorda la guarigione.
  • Invece, è diventato solo un “peso”: «[12] (…)Chi è che ti ha detto: Prendi su un peso e cammina?».
Insomma, hanno una scotosi. C’è qualche cosa nel mondo che loro non riescono a vedere, ce l’hanno davanti, il resto lo vedono, ma quella realtà lì, no! La guarigione, la creazione, l’opera di Dio, no! Riescono a vedere solo il resto.

2.2. L’atteggiamento di fondo del guarito non è corretto, è la condizione di un uomo che non ha ancora la sua piena umanità e maturità

È significativa anche la risposta del guarito.
  • Domanda: “Non ti è lecito portare il tuo letto”.
  • Risposta: “Non è colpa mia! Me l’ha detto quello che mi ha guarito”.
L’atteggiamento di fondo evidentemente non è ancora corretto. Perché il discorso del guarito è un dare la colpa a Gesù, è un sottrarsi alla responsabilità, in fondo era lui che portava il lettuccio – anche se è vero che Gesù ha detto: «prendi il tuo lettuccio e cammina» –, quindi la responsabilità ce l’aveva lui, se non altro la responsabilità di obbedire.
Ma sembra – e corrisponde all’immagine che abbiamo visto prima – la condizione di un uomo che non ha ancora la sua piena umanità, la piena maturità. In qualche modo si nasconde. Prima si nascondeva nella malattia, adesso si nasconde nella responsabilità di qualcun altro, non è ancora in grado di vivere in pienezza la sua esistenza.
Di fatto, quest’uomo è stato guarito da Gesù. Ma l’uomo guarito non lo sa chi sia:
«Chi è stato a dirti: Prendi il tuo lettuccio e cammina? [13]Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse».
Infatti, era avvenuta una cosa, che “Gesù si era ritirato dalla folla”. La folla si è in qualche modo allontanata da Lui.
Gesù che si ritira fa parte un po’ di quel distacco a cui il Vangelo di Giovanni incomincia ad alludere (cfr. Gv 14, 27-29).
In fondo, lo ricordavamo prima, il comportamento di Gesù non è stato capito né accettato, non è diventato motivo di lode e di ringraziamento.

3. Il discorso va nella direzione del peccato, proprio perché Gesù è venuto per dare all’uomo la capacità di amare e di santità

L’ultima scena.
«[14]Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio. [15]Quell’uomo se ne andò e disse ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo. [16]Per questo i Giudei cominciarono a perseguitare Gesù, perché faceva tali cose di sabato».
Allora, Gesù ritrova quest’uomo nel tempio, e gli si presenta con un discorso che per certi aspetti è anche un po’ strano, perché incomincia a dire: «Ecco che sei guarito». Sembra quasi che quell’uomo non se ne sia ancora accorto di essere guarito, che i “trentotto anni di malattia” abbiano creato un abito così costante che la guarigione non l’ha ancora assorbita.
Bisogna che qualcuno glielo dica: “Bada che sei guarito!”. Infatti dice:
“Stai attento a «non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio»”.
Il che sottintende che dietro l’atteggiamento di quest’uomo ci fosse qualche cosa di non sano, nemmeno dal punto di vista spirituale.
Comunque in tutti i modi, il discorso va nella direzione del peccato, perché anche fosse solo la guarigione fisica, entra nei segni di quella guarigione integrale dell’uomo che è evidentemente lo scopo dell’attività di Gesù.
Gesù è venuto perché l’uomo sia uomo, siccome vale quella affermazione di sant’Ireneo che “la gloria di Dio è l’uomo vivente”, quindi Dio è glorificato quando l’uomo vive, Dio è glorificato nella libertà dell’uomo, nella sua responsabilità.
Ebbene, Gesù è venuto proprio per dare all’uomo quella libertà e responsabilità e capacità di amare e capacità di santità che permettono all’uomo di essere tale davanti a Dio, e permettono a Dio di essere glorificato nell’uomo e dall’uomo. Quindi il discorso del peccato è sempre ultimo e decisivo.

4. L’uomo guarito, che non si assume mai la sua responsabilità, viene condotto fino a diventare testimone

«[15]Quell’uomo se ne andò e disse ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo».
Conclusione un poco strana e anche un po’ ambigua, nel senso che non si capisce che cosa voglia dire. Perché può volere dire due cose:
  1. Può volere dire che questo uomo è andato a fare la spia, a dire ai Giudei che tutta la colpa di quello che era avvenuto (il sabato e il lettuccio, ecc.) era colpa di Gesù. Siccome prima non era stato in grado di spiegarlo, e quindi di giustificarsi del tutto, va a giustificarsi in modo definitivo ma accusando Gesù. Di fatto, quello che viene dopo può essere inteso così:
«[16]Per questo i Giudei cominciarono a perseguitare Gesù, perché faceva tali cose di sabato».
Quindi, in qualche modo ha scatenato la persecuzione dei Giudei.
  1. Però potete anche essere più buoni, e pensare che in realtà questa sia una testimonianza, che questo uomo finalmente guarito – che ha raggiunto dopo le ultime parole del Signore una consapevolezza di sé, della sua guarigione, di quello che di bello e di positivo è avvenuto nella sua vita – va ad annunciare ai Giudei quello che Gesù ha compiuto. Quindi una testimonianza, e una testimonianza evangelica bella e positiva.
Quale delle due sia l’interpretazione giusta lo decidete voi. E le potete prendere anche tutte e due, perché tutte e due hanno per noi un significato grosso.
  • Sia quella dell’uomo che non si assume mai la sua responsabilità ed quindi fa pagare gli altri.
  • Sia quella di chi partendo dalla condizione di malattia, che è così profonda che l’uomo non ha più nemmeno il desiderio di guarire, però pian piano attraverso l’incontro con Gesù, viene condotto fino a diventare testimone.
Dicevo, ci stanno bene tutte e due le letture, e vanno bene per noi. Alla fine la seconda lettura è consonante, il dire:
“È vero, un poco ci siamo anche noi nella condizione spirituale di questo uomo, che nelle nostre malattie spirituali ci facciamo un poco il nido, l’abitudine. Venirne fuori lo desideriamo teoricamente, facciamo fatica però a dire di sì con tutto il cuore, a pagare il prezzo. Però attraverso l’incontro con il Signore, con il suo imperativo, con le difficoltà anche di assumerci la responsabilità di figli di Dio, pian piano forse si apre anche per noi quel cammino della testimonianza che va fino a raccontare le grandi opere di Dio che sono state compiute in noi”.

- III -
Il senso dell’azione del Signore come continuazione
dell’attività di creazione del Padre

Dopo di che c’è un lungo discorso che, come dicevo, non riusciamo a commentare (per mancanza di tempo). Però varrebbe la pena che si leggesse e ritrovaste, attraverso questo discorso, il senso dell’azione del Signore come continuazione dell’attività di creazione del Padre:
«[17] (…) Il Padre mio opera sempre e anch’io opero».
Gesù si giustifica in questo modo perché, secondo la teologia ebraica, è vero che il libro della Genesi dice che il sesto giorno Dio si è riposato, però gli Ebrei dicono tranquillamente che anche in quel settimo giorno l’opera creatrice di Dio continuava. Perché anche nel settimo giorno c’è gente che nasce e che muore, e il Signore dona la pioggia dal cielo; quindi ci sono tutte una serie di attività che continuano anche nel settimo giorno e fanno parte dell’opera creatrice di Dio.
La cosa interessante è che Gesù collochi la sua attività nella continuazione dell’opera creatrice di Dio.

1. L’attività di Gesù è giustificata e spiegata da quel rapporto di comunione perfetta che c’è tra Lui e il Padre, questo è molto “cattolico” e fondamentale per noi.

Dopo bisognerà spiegare questo, e si spiegherà con quel rapporto di amore e di intimità intenso che c’è tra il Padre e il Figlio, per cui il Padre dà al Figlio tutto quello che ha, e il Figlio compie tutto e solo quello che vede compiere dal Padre. C’è una serie di attività di Gesù (che è bellissima almeno mi sembra):
«[19] (…) In verità, in verità vi dico, il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa. [20]Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, e voi ne resterete meravigliati. [21]Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi vuole» (Gv 5, 19-21).
Cioè, l’attività di Gesù è giustificata e spiegata da quel rapporto di comunione perfetta che c’è tra Lui e il Padre.
Dicevo, questo credo sia molto bello e sia molto “cattolico”. Cioè il fatto che dentro la storia del mondo, dentro al tessuto degli avvenimenti mondani, ci siano azioni, parole, gesti e decisioni nelle quali Dio passa, Dio si manifesta. Questo (almeno a me sembra) è fondamentale per noi, e provo a spiegarmi.

2. Attraverso l’Incarnazione del Figlio di Dio, la presenza di Dio nella storia del mondo c’è e rimane nella vita che Lui ha compiuto

Ogni tanto viene riporta o richiamata quella teoria della cabala, secondo cui quando dio ha creato il mondo lui si è ritirato. La creazione del mondo è come un ritiro di dio: dio che riempie tutto, si è tirato da parte per lasciare spazio al mondo. E da una teoria di questo genere, che in origine è della cabala, viene fuori (o molti tirano fuori l’idea) che il mondo è staccato, separato, da dio; va avanti senza che la presenza di dio nel mondo sia rilevabile, perché appunto dio si è tirato indietro, per lasciare spazio al mondo dio ha tolto un po’ della sua potenza perché il mondo potesse avere lo spazio per respirare.
Ora, una visione di questo genere è lontanissima dalla visione cattolica delle cose. Perché, è vero che il mondo non è Dio, ci mancherebbe altro, la creazione vuole proprio dire questo: che non è una emanazione di Dio, che non c’è una visone panteistica, per cui il mondo e la natura sono dio, che si identificano con dio; ci mancherebbe altro!
Però la presenza di Dio nel mondo ci sta e profondamente; il senso dei Sacramenti è quello. Se non c’è una presenza di Dio nel mondo, che cosa allora significano i Sacramenti? Che cosa allora significa la parola di Dio?
Se quando annuncio il Vangelo dico alla fine: Parola del Signore! Bisognerà pure che ci sia una presenza del Signore dentro la nostra storia, perché qui l’abbiamo incontrato.
E da dove allora viene la capacità di amare se Dio si è ritratto dal mondo? se non c’è una comunicazione tra Dio e il mondo?
È vero che nel mondo ci sono tante miserie e sofferenze e ingiustizie e tanti peccati che questo mi angoscia, e può darmi l’impressione che Dio non intervenga con quella pienezza che io desidererei, che io mi aspetterei. Ma da questo a dire che non c’è una presenza di Dio nel mondo, e il mondo va avanti per una autonomia assoluta, c’è un passo grosso da fare, e credo sia un passo che un cristiano non possa fare.
L’Incarnazione del Figlio di Dio non vuole dire solo che in quei trent’anni c’è stata una presenza di Dio in mezzo al mondo; ma vuole dire che, attraverso l’Incarnazione del Figlio di Dio, la presenza di Dio nella storia del mondo c’è e rimane nella vita che Lui ha compiuto, ma nella vita che sono chiamati a compiere tutti gli uomini, tutti i credenti, in modo che:
  • «Cristo diventi il primogenito di una moltitudine di fratelli» (Rm 8, 29),
  • «il mondo sia ricapitolato in Cristo» (Ef 1, 10).
E così via…
Allora m’interessa soprattutto questo discorso. Il resto lo potete leggere per conto vostro. Questo 5° capitolo è molto bello e anche teologicamente ricchissimo.

- IV -
L’esercizio da fare

Nella seconda Meditazione abbiamo fatto l’esercizio fondamentalmente del “raccontare i doni di Dio nella nostra vita”, quindi raccontare la nostra vita dall’ottica della misericordia, della generosità infinita di Dio.

1. Una riflessione sulla nostra “malattia”, interrogare il nostro cuore se vuole davvero guarire, e trasformarla in una preghiera.

Adesso l’esercizio fa fare, sarebbe quello di diagnosi, del rivedere dentro di noi… quindi si potrebbe raccontare nella prospettiva delle nostre malattie, di quelle realtà della nostra esperienza spirituale che hanno dimensioni di debolezza, di miseria, di falsità… di malattia in genere. Notando i sintomi, quindi bisognerebbe riuscire non solo a fare la malattia in modo astratto, ma a vedere i sintomi, le cose in cui questa malattia si esprime, e evidentemente anche le cause.
E poi bisognerebbe fare un passettino in più, e interrogare il nostro cuore, e chiedere al nostro cuore se vuole davvero guarire, se quando chiediamo al Signore che ci perdoni, e quindi ci guarisca, lo chiediamo davvero, cioè se c’è in noi la disponibilità a quella novità di vita che scaturisce dalla guarigione.
Oppure, se invece siamo ancora, e non ci sarebbe niente di strano perché c’è stato sant’Agostino, nell’atteggiamento di dire: “Convertimi ma non subito, ma non ora”. Però dobbiamo rendercene conto se c’è questo meccanismo. Dicevo, non è stranissimo perché fa parte della condizione dell’uomo, però è un meccanismo che bisogna smascherare, perché fin che è nascosto è un pasticcio. Quando lo vediamo in faccia, non dico che lo abbiamo superato, questa sarebbe una visione un po’ freudiana, ma riusciamo a controllarlo meglio; e la sincerità con il Signore ci può aiutare a percorrere un cammino di guarigione.
E il trasformare tutta questa riflessione sulla nostra “malattia” o su quello che abbiamo nel cuore in una preghiera. La preghiera come volete, la scrivete o non la scrivete.
* Cv. Documento rilevato come amanuense dal registratore, scritto in uno stile didattico e con riferimenti biblici, ma non rivisto dall’autore.

* * *

Dai Discorsi sul Cantico dei cantici di san Bernardo. Per meditare il Vangelo del paralitico alla Piscina Probatica

Dai Discorsi sul Cantico dei cantici di san Bernardo.

Sermones in cantica XV, 4-7 . PL 183, 845-847
So qual è il nome di cui leggiamo nel profeta Isaia: I miei servi saranno chiamati con un altro nome [Is 65,15-16]. Infatti chi vorrà essere benedetto nel paese, vorrà esserlo per il Dio fedele.
O nome benedetto, sei olio sparso dovunque. Dove? Dal cielo sulla Giudea e da lì su tutta la terra; e in tutto il mondo la Chiesa esclama: Olio sparso è il tuo nome [Ct 1,3 Volgata].Veramente sparso, perché non solo dilagò in cielo e sulla terra, ma irrorò anche gli inferi, a tal punto che nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami [Fil 2,10]: Olio sparso è il tuo nome [Ct 1,3 Volgata]. Ecco Cristo, ecco Gesù: infuso negli angeli e sparso sugli uomini, per salvare quelli che erano andati totalmente in putrefazione come bestie nel loro letame; egli, che salva uomini e bestie, in quanti modi ha moltiplicato la sua misericordia su di noi!
Quanto prezioso e quanto umile è questo nome! Umile, ma strumento di salvezza. Se non fosse stato umile, non si sarebbe lasciato spargere per me; se non fosse stato strumento di salvezza, non avrebbe potuto riscattarmi.
Io sono partecipe del suo nome e lo sono anche della sua eredità. Sono cristiano, quindi fratello di Cristo. Se sono veramente quale son chiamato, sono erede di Dio, coerede di Cristo. Quale meraviglia, se è sparso il nome dello Sposo, dal momento che egli stesso è stato sparso? Egli infatti spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo [Fil 2,7]. E infine dice: Come acqua sono versato [Sal 21,15].
La pienezza della Divinità abitando in forma umana sulla terra è stata sparsa, perché quanti siamo rivestiti di un corpo di morte fossimo ricolmi della sua pienezza e, fragranti del suo profumo di vita, esclamassimo: Olio sparso è il tuo nome [Ct 1,3 Volgata].
C'è senza dubbio una certa analogia tra l'olio e il nome dello Sposo, e non senza motivo lo Spirito Santo li ha accostati. C'è - dico - e consiste nella triplice funzione dell'olio: illumina, nutre, unge. Alimenta la fiamma, nutre il corpo, lenisce il dolore: è luce, cibo, medicina. Lo stesso possiamo dire del nome di Cristo Sposo: annunziato illumina, meditato nutre, invocato lenisce e unge.
Donde pensi che si sia diffusa in tutto il mondo una sì grande e repentina luce di fede, se non dalla predicazione del nome di Gesù? Non è forse con la luce di questo nome che Dio ci chiamò all'ammirabile sua luce? Da lui illuminati, alla sua luce vediamo la luce [Cf Sal 35,10], al punto che Paolo giustamente dice: Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore [Ef 5,8].
All'apostolo Paolo fu ordinato di portare questo nome dinanzi ai re e alle genti, e agli stessi figli di Israele; ed egli lo portava come fiaccola che illuminava la patria, e andava gridando: La notte è avanzata, il giorno è vicino. Gettiamo via perciò le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente come in pieno giorno [Rm 13,12-13]. E a tutti mostrava la fiamma sul candelabro, annunziando in ogni luogo Gesù Crocifisso.
Come brillò questa luce e come abbagliò gli occhi di tutti i presenti, quando, uscita come folgore dalla bocca di Pietro, consolidò le piante e le caviglie dello storpio e illuminò molti ciechi nello spirito! Davvero sparse fiamme quando disse: Nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina! [At 3,6].
Non è solo luce il nome di Gesù, ma anche cibo. Non ti senti confortato ogni volta che affiora alla tua mente? Quale cosa nutre meglio lo spirito di colui che lo medita? Chi è che calma così il tumulto dei sensi, rinvigorisce le virtù, sviluppa le abitudini buone e oneste, e nutre i casti affetti? Arido è all'anima ogni cibo, se non è cosparso di quest’olio; insipido se non è condito con questo sale.
Se scrivi, non mi sa di niente se non vi leggo Gesù. Se parli o predichi, non provo alcun gusto se non odo il nome di Gesù. Gesù è miele alla bocca, melodia all’orecchio, giubilo al cuore.
Infine, questo nome è un farmaco. Qualcuno fra di noi è triste? Il nome di Gesù gli venga in cuore e da lì gli salga sul labbro. Appena esso splende si dissipano le nuvole, torna il sereno.
Qualcuno ha commesso una colpa grave e in preda alla disperazione corre verso la morte? Basterà che invochi il nome di vita e ritroverà il gusto di vivere.
Di fronte a questo nome salvifico nessuno potrà mantenere la durezza di cuore abituale, la svogliatezza torpida, i rancori amari o il tedio che avvilisce mortalmente. Qualora la fonte delle lacrime si fosse inaridita, basterà invocare Gesù, perché subito essa riprenda a zampillare più dolce e abbondante. Chi nel pericolo è preso dal panico, se invoca questo nome potente, scaccia la paura, ritrova la fiducia. Chi, sballottato dal dubbio, non vedrà brillare fulminea la certezza invocando quel nome di luce? Non c'è nessuno che nell'ora della disgrazia, quando ormai sta per venir meno, non ritrovi il coraggio all'udire il nome che è aiuto.
Queste sono le malattie dell'anima e questa è la medicina.
La Scrittura offre la prova di quanto fin qui si è affermato: Invocami nel giorno della sventura: - canta il salmo - ti salverò e tu mi darai gloria [Sal 49,15]. Nulla come l'invocazione del nome di Gesù smonta l'ira, sgonfia la superbia, cicatrizza le piaghe dell'invidia; arresta il flusso dell'impurità e spegne l’incendio delle passioni, estingue la sete dell'avarizia, placa ogni voglia malsana.
Quando dico "Gesù", mi vedo davanti un uomo mite e umile di cuore, pieno di bontà, sobrio, casto, misericordioso, eccelso per giustizia e santità. Al tempo stesso, mi trovo alla presenza del Dio onnipotente, il quale con l'esempio mi guarisce e con l'aiuto mi fortifica.
Tutto questo mi canta dentro appena risuona al mio orecchio il nome di Gesù. Come uomo egli mi offre uno stile di vita, come Dio mi sostenta. Gli esempi sono essenze preziose, il soccorso divino ne aumenta il valore. Confeziono così un farmaco che nessun medico non potrà mai offrirmi.
Anima mia, possiedi nel flacone di un solo vocabolo la medicina efficacissima per ogni tuo male: Gesù! Consérvatelo sempre in seno, a portata di mano, in modo che pensieri e atti siano senza sosta rivolti al Signore. Lui stesso ti invita: Mettimi come sigillo sul tuo cuore, egli dice,come sigillo sul tuo braccio [Ct 8,6].
Non mi dilungherò oltre: ormai hai il rimedio per sanare il tuo braccio e il tuo cuore. Sì, il nome di Gesù ti è dato per correggere le tue perversioni e perfezionare le tue incompletezze. In questo nome santissimo conserverai integri i sensi e gli affetti o li sanerai, se corrotti.

* * * 





San Massimo di Torino ( ? – circa 420), vescovo
Discorso per la Quaresima ; CC Sermon 50, 202-204 ; PL 57, 585A-586B


« Vuoi guarire ? » La Quaresima conduce al battesimo


Leggiamo nell'Antico Testamento che al tempo di Noè, mentre l'intero genere umano era in preda al peccato, le cataratte del cielo si sono aperte e durante quaranta giorni, le piogge si sono abbattute ; simbolicamente, la terra ha ricevuto l'acqua per quaranta giorni. Più di un diluvio, si tratta di un battesimo. Infatti è proprio un battesimo che ha spazzato via l'iniquità dei peccatori e risparmiato la giustizia di Noè. Allo stesso modo, oggi il Signore ha dato anche a noi la Quaresima affinché, per lo stesso numero di giorni, si aprano i cieli per inondarci dell'acquazzone della misericordia divina. Una volta lavati, nelle acque salutari del battesimo, il sacramento ci illumina ; come in questi tempi, le acque spazzano via l'iniquità delle nostre colpe e rassodano la giustizia delle nostre virtù.
La situazione di oggi è simile a quella del tempo di Noè. Il battesimo è diluvio per il peccatore e consacrazione per coloro che sono fedeli. Nel battesimo il Signore salva la giustizia e distrugge l'iniquità. Lo vediamo nell'esempio di un unico uomo ; l'apostolo Paolo, prima di essere stato purificato dai precetti spirituali, era persecutore e blasfemo. Una volta bagnato dalla pioggia celeste del battesimo, il bestemmiatore è morto, morto il persecutore, morto Saul ; allora nasce l'apostolo, il giusto, Paolo... Chiunque vivrà religiosamente la Quaresima e osserverà le prescrizioni del Signore vedrà morire in sè il peccato e vivere la grazia : egli succedendo, in un certo senso, a se stesso, muore in quanto peccatore, e vive come giusto.


Odi di Salomone (scritti cristiani del 2o secolo)
N°6


«L'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna» (Gv 4,14)


Il Signore si è fatto conoscere meglio. Si adopera per far conoscere meglio i doni ricevuti dalla sua grazia. Ci ha concesso di lodare il suo nome ; i nostri spiriti cantano il suo Spirito Santo. Infatti ha fatto scaturire un ruscello ; esso è divenuto un torrente largo e potente (Ez 47, 1s). Ha inondato e solcato l'universo, l'ha trascinato via e portato verso il Tempio. Gli ostacoli posti dagli uomini non hanno potuto fermarlo, neanche gli artifici ai quali ricorrono coloro che costruiscono dighe. Perché esso è venuto su tutta la terra e l'ha interamente riempita.
Hanno bevuto, tutti gli assetati della terra ; la loro sete è stata placata, perché l'Altissimo ha dissetato i suoi. Beati quei servi ai quali egli ha affidato le sue acque. Hanno potuto placarvi le loro labbra inaridite e raddrizzare le loro volontà inferme. Le anime che morivano sono state strappate dalla morte ; le membra spossate sono state raddrizzate e stanno in piedi. Hanno dato fortezza ai loro passi e luce ai loro occhi. Sono stati conosciuti da tutti nel Signore ; vivono grazie all'acqua viva in eterno. Alleluia !