mercoledì 18 aprile 2012

Chi opera la verità viene alla luce

Di seguito il Vangelo di oggi, 18 aprile, mercoledi della II settimana di pasqua, con un commento
e qualche testo per la meditazione.




L'amore appassionato di Dio per il suo popolo — per l'uomo —
è nello stesso tempo un amore che perdona.
Esso è talmente grande da rivolgere Dio contro se stesso,
il suo amore contro la sua giustizia.
Il cristiano vede, in questo, 
già profilarsi velatamente il mistero della Croce:
Dio ama tanto l'uomo che, facendosi uomo Egli stesso,
lo segue fin nella morte
e in questo modo riconcilia giustizia e amore.

Benedetto XVI, Deus caritas est



Dal Vangelo secondo Giovanni 3,16-21. 

Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna.
Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui.
Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è gia stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie.
Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio.

IL COMMENTO

In mezzo a tante chiacchere sulla moralità, sulla giustizia, il Vangelo di oggi ci inchioda tutti alla verità: le nostre opere in chi sono fatte? Scrive San Giacomo che la fede senza le opere è morta. Per dire che una fede che non si esplicita in un agire concreto è una fede senza vita, ferma ad uno stadio intellettuale o pseudo-mistico, ma priva del soffio dello Spirito. E chi non crede è già condannato: chi rifiuta la Grazia celeste della fede, dimora lontano da Dio e rimane nelle tenebre che avvolgono un condannato, obbligato in una cella due metri per due, lo spazio angusto nel quale strozziamo relazioni piene d'egoismo. Chi non crede è condannato a cercare vita in cisterne screpolate e senz'acqua, obbligato a darsi sempre più piacre, a soddisfare parossisticamente esigenzze vecchie e nuove, perchè il male non sazia mai, affama sino ad uccidere. Nel Vangelo di Giovanni fede e opere quasi coincidono: l’opera per eccellenza infatti, è credere. E’ l’opera fatta in Dio, quella che spalanca le porte della vita alla luce. Credere è appoggiarsi, credere è rimanere nel Signore.

Tutto nel Vangelo di Giovanni conduce ad una relazione di intimità con Gesù. Vedere è credere, e credere è essere uniti profondamente e indissolubilmente a Cristo. Credere in Lui coincide con l'essere in Lui. In Giovanni non v’è nulla di gnostico, intellettuale o ideale. Giovanni è concretissimo, nelle note storiche di cui si serve per il suo vangelo, come nel mostrare la relazione di Gesù con i suoi discepoli. Il discepolo amato infatti, appare come colui che riposa sul petto di Gesù, e ne percepisce i sentimenti più profondi sino ad identificarvisi. Vedere Gesù anche dove non lo si vede più nella carne, nei momenti bui dell’esistenza, dove neanche un briciolo di sentimento può consolare. Nella solitudine della notte, dove ragione e sentire non rispondono all’appello, camminare illuminati dalla sola fede, dall’intimità che supera ogni barriera, come una madre che ha il figlio in guerra e non sa se sia vivo oppure no, che non riceve lettere e notizie, ma che non per questo smette di amarlo, anzi, nella totale incertezza, nella precarietà che fagocita tutto, l’amore si moltiplica a dismisura rompendo gli argini del tempo e dello spazio.

Questo amore è, per Giovanni, la fede. Questo amore che sgorga dallo stesso cuore di Dio rivelato dal dono del Suo unigenito Figlio. L’amore di Dio che cerca ogni uomo per attirarlo a sé attraverso la Croce innalzata di Gesù. Guardare Cristo crocifisso, fissare quell’amore trafitto dai miei peccati, restarne coinvolto perché Lui si è legato a me al punto di farsi peccato, di lasciarsi stritolare dalle conseguenze dei miei delitti, guardare Cristo crocifisso e vedere l’amore di Dio per me: questa è la fede. La fede sulla terra è un Padre che sacrifica suo Figlio, come Abramo con Isacco; la fede è lasciare tutto di noi a Dio, sacrificare, fare sacra la nostra vita sul Moria che ci attende, anche l'affetto più grande, anche la stessa opera di Dio in noi, per incontrare il suo Autore e lasciarsi accogliere nell'intimità della sua misericordia. Credere che l’amore che ho sempre sperato è possibile, è ora qui davanti ai miei occhi. Credere è lasciarmi amare e perdonare. Credere è smettere di discutere, giustificarmi, scappare alla ricerca di rifugi ipocriti e alienanti. Credere è abbandonare ogni pretesa di autosufficenza e autogiustificazione e lasciarmi giudicare dal non giudizio di Dio, dalla sua misericordia, dal suo amore. Credere è consegnarmi oggi alla giustizia divina, al fuoco d’amore acceso sulla Croce. Credere è immergersi nell’amore per vedere la mia vita trasformata in amore.

Nessuna condanna per chi è amato; Dio infatti dice Benedetto XVI, "non spadroneggia, ma ama senza misura. Non manifesta la sua onnipotenza nel castigo, ma nella misericordia e nel perdono. Capire tutto questo significa entrare nel mistero della salvezza: Gesù è venuto per salvare e non per condannare; con il Sacrificio della Croce egli rivela il volto di amore di Dio. E proprio per la fede nell’amore sovrabbondante donatoci in Cristo Gesù, noi sappiamo che anche la più piccola forza di amore è più grande della massima forza distruttrice e può trasformare il mondo, e per questa stessa fede noi possiamo avere una "speranza affidabile", quella nella vita eterna e nella risurrezione della carne". Così, in chi crede tutto viene alla luce perché tutto risplende dall’interno come nelle icone orientali, di una luce nuova e celeste, quella della vita divina che ha preso possesso di lui. Chi crede, chi vive appoggiato nell'amore smisurato di Dio, dimora in Lui, e le sue opere sono, naturalmente, fatte in Dio, e quindi sono opere di luce.

La fede trasfigura l’esistenza, e la fa risplendere di santità. E’ vero che tutti portiamo l’esperienza dell’incredulità, della chiusura alla Grazia. Tante volte abbiamo preferito le tenebre dei nostri sotterfugi, dei nostri desideri, delle nostre concupiscenze, dei nostri progetti da portare a termine a tutti i costi. E’ vero che le nostre opere erano malvage, figlie del principe delle tenebre e della menzogna. E’ vero che abbiamo tanto giudicato perchè il nostro cuore non aveva conosciuto la misericordia, ma solo il duro giogo del moralismo e dell’ipocrisia. E’ vero che siamo dei poveri peccatori. Ma proprio per noi sono le parole del Vangelo di oggi, per noi è l’amore infinito di Dio. Ora. Lasciamoci allora abbracciare da Gesù, così come siamo, fissiamo il Suo sguardo che non ci giudica, che desidera solo di farci una cosa con Lui. Desidera la nostra felicità, essere in Lui e Lui in noi, rimanere da ora e per l’eternità nel Suo amore.


Benedetto XVI. Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito

Continuando il dialogo con Nicodemo, Gesù approfondisce ulteriormente il senso salvifico della Croce, rivelando con sempre maggiore chiarezza che esso consiste nell’immenso amore di Dio e nel dono del Figlio unigenito: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito». E’ questa una delle parole centrali del Vangelo. Il soggetto è Dio Padre, origine di tutto il mistero creatore e redentore. I verbi "amare" e "dare" indicano un atto decisivo e definitivo che esprime la radicalità con cui Dio si è avvicinato all’uomo nell’amore, fino al dono totale, a varcare la soglia della nostra ultima solitudine, calandosi nell’abisso del nostro estremo abbandono, oltrepassando la porta della morte. L’oggetto e il beneficiario dell’amore divino è il mondo, cioè l’umanità. E’ una parola che cancella completamente l’idea di un Dio lontano ed estraneo al cammino dell’uomo, e svela, piuttosto, il suo vero volto: Egli ci ha donato il suo Figlio per amore, per essere il Dio vicino, per farci sentire la sua presenza, per venirci incontro e portarci nel suo amore, in modo che tutta la vita sia animata da questo amore divino. Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e donare la vita. Dio non spadroneggia, ma ama senza misura. Non manifesta la sua onnipotenza nel castigo, ma nella misericordia e nel perdono. Capire tutto questo significa entrare nel mistero della salvezza: Gesù è venuto per salvare e non per condannare; con il Sacrificio della Croce egli rivela il volto di amore di Dio. E proprio per la fede nell’amore sovrabbondante donatoci in Cristo Gesù, noi sappiamo che anche la più piccola forza di amore è più grande della massima forza distruttrice e può trasformare il mondo, e per questa stessa fede noi possiamo avere una "speranza affidabile", quella nella vita eterna e nella risurrezione della carne.


Clemente d'Alessandria (150-circa 215), teologo
Il Pedagogo 1, 6 ; SC 70, 207-211
« Chi opera la verità viene alla luce »

Battezzati, veniamo illuminati ; illuminati, siamo adottati come figli ; adottati, siamo condotti alla perfezione ; perfetti, siamo resi immortali. « Io ho detto, dice, voi sete dèi, siete tutti figli dell'Altissimo ! » (Sal 81, 6 ; cfr Gv 10, 34)

Il battesimo è chiamato con diversi nomi : grazia, illuminazione, perfezione, lavacro. Lavacro perché per suo mezzo togliamo i peccati. Grazia, con cui vengono rimesse le pene dovute ai peccati. Illuminazione, che ci fa guardare alla santa e salvifica luce che è Dio. Diciamo poi che è perfetto quello a cui non manca niente. Sarebbe davvero assurdo dire che la grazia di Dio non sia perfetta e completa in tutti i sensi : Colui che è perfetto può dare solo cose perfette...

Chi è rigenerato e illuminato, come indica la stessa parola, è immediatamente liberato dalle tenebre e nello stesso momento riceve la luce... Tolti i nostri peccati che coprivano lo Spirito divino come una nuvola, l'occhio del nostro spirito liberato, viene allo scoperto, luminoso, quell'occhio che solo può farci contemplare le cose divine.



Liturgia latina
Inno di Sant’Ambrogio per le laudi, Splendor paternae gloriae
« La luce è venuta nel mondo »

O Splendore del Padre
o Luce nata da Luce,
Luce che origini luce,
Giorno che illumini i giorni,

il mondo oscuro inonda,
Sole che non tramonti!
Apri i cuori al riverbero
fulgente dello Spirito.

E al Dio di eterna gloria
ora salga la supplica:
potente la sua grazia
distolga i nostri passi da ogni insidia;

ridoni il coraggio del bene,
reprima l’invidia di Satana,
volga le asperità a nostro favore,
conceda di vivere giusti;

regni sovrana sull’animo
casto e fedele preservi il corpo,
pura e fervente la fede,
ignara d’ogni errore.

Cristo sia nostro cibo,
la fede ci disseti;
beviamo con gioia la sobria
ebbrezza dello Spirito.

Lieto trascorra il giorno:
il pudore sia un’alba serena,
la fede un meriggio assolato,
ombra notturna sul cuore non scenda.

O Cristo, Aurora, svèlati,
ora che avanza l’aurora:
tutto nel Padre vivi,
tutto in te vive il Padre.