giovedì 19 aprile 2012

A Dio, don Giacomo


Don Giacomo Tantardini


di Luigi Negri*
20-04-2012


Carissimi amici,

 il Signore ha chiamato a sé nella giornata del 19 aprile il nostro carissimo amico don Giacomo Tantardini. La sua scomparsa compie, fa finire, un periodo grande della nostra vita, anni di vera conversazione, di vero coinvolgimento nel tentativo di far diventare vita - soprattutto per i giovani - l’incontro con Cristo, e per educare questi giovani a una nuova e potente personalità umana e cristiana. 

Don Giacomo ha vissuto una dedizione incondizionata al suo compito educativo. Di lui ricordo la fede schietta, limpida, quasi fanciullesca che veniva a lui dalle popolazioni del lago e della montagna attorno alla Brianza in cui era nato e in cui affondavano le sue radici spirituali ed umane. Questa fede si è poi prodigiosamente riattualizzata nell’incontro con don Giussani, con cui ha vissuto una amicizia straordinaria per tutta la sua vita. Su questa fede semplice e radicale, semplice come quella di un bambino e granitica come quella di un uomo adulto che segue veramente, don Giacomo ha quindi sviluppato tutta la sua creatività, che ha investito significativamente anche il campo delle imprese culturali, sociali e politiche, dettando dei punti di riferimento sostanziali per la presenza cristiana nella società.

Certo, viveva la sua funzione diversamente da me e da altri – ognuno di noi ha un suo particolare modo di rispondere e di vivere la grande vocazione che riceve dal Signore –, probabilmente don Giacomo aveva delle intemperanze di tipo verbale o anche di tipo operativo, ma chi non ha qualche difetto nella sua vita? 

Nel dolore di questa sera lo sento presente come ho vissuto il rapporto con lui durante la nostra lunga amicizia. Un reale uomo di Dio, un reale uomo che non ha cercato nella sua vita se non la gloria di Dio; l’ha cercata e l’ha comunicata in termini comprensibili, ragionevoli, umanamente implicanti, commossi. A sua memoria ci consegna una grande eredità, alla quale tutti noi dobbiamo chiedere al Signore di rimanere realmente fedeli. Sant’Agostino, che egli ha amato e frequentato e nella cui profondità è penetrato in maniera singolare, gli aveva dato il senso dell’evento di Cristo, della grazia di Cristo.  Evento e grazia da mettere prima di tutto perché soltanto la grazia di Cristo assecondata nella libertà cambia l’uomo, e attraverso l’uomo cambiato cambia il mondo. 

E’ con questi sentimenti che io ho voluto far memoria di don Giacomo davanti a tutti i suoi amici. Certo, questa è un’eredità che ci obbliga a una maggiore profondità di conversione, a una maggiore intensità di carità verso i nostri fratelli uomini. Egli ha saputo amare al di là delle differenze culturali e antropologiche, sociali ed economiche, attaccato ad ogni incontro che faceva perché nell’incontro passasse il mistero di Grazia che aveva cambiato la sua vita e che egli serviva nella comunicazione a tutti quelli che incontrava.

Addio, diciamo noi cristiani. Lo restituiamo a Dio, con una grande gratitudine per questo evento e insieme con un grande dolore che soltanto la certezza della fede sa rendere umano, vivibile, ultimamente utile.
(Fonte: La Bussola Quotidiana)
* vescovo di San Marino-Montefeltro

* * *

Per ricordare don Giacomo Tantardini, riporto il seguente contributo, che traggo da "30Giorni" nn. 2/3 - 2010.


Montini e Agostino


Sant’Agostino negli appunti inediti di Paolo VI. 
Aula magna, Palazzo del Bo, Padova martedì 25 novembre 2008


di don Giacomo Tantardini


Le ultime parole della professoressa Bettetini mi hanno particolarmente colpito perché mi sembra che riassumano il tentativo che abbiamo fatto all’Università di Padova, in questi anni, di leggere brani di sant’Agostino e di presentare il cuore, la sensibilità umana di Agostino, una sensibilità che la grazia purifica e insieme valorizza, tanto è vero che, come suggeriva la professoressa, Agostino per esprimere la dinamica della grazia non trova altre parole che le parole stesse con cui aveva descritto la dinamica del peccato, cioè delectatio econcupiscentia. Agostino usa la stessa parola,concupiscentia, sia per indicare la dinamica umana che, ferita dal peccato originale, porta al male, sia per indicare la dinamica della grazia, quell’attrattiva buona che la grazia offre alla totalità dell’uomo, anima e corpo. Per vincere la concupiscenza del peccato occorre una concupiscenza buona, che avvinca di più e in modo più attraente1. Così la parola delectatio / piacere viene usata da Agostino sia per la delectatio fornicationissia per la delectatio gratiae2. 
Una piccola osservazione circa il piacere sensibile. Per Agostino il piacere sensibile di per sé non è male. Nello Cipriani ha scritto delle cose molto interessanti a questo riguardo3. Il piacere sensibile è un piacere infimo rispetto all’intuizione trepidante del Mistero4, come anche la professoressa accennava, ma di per sé non è male, perché «omnis creatura bona» (1Tm 4, 4). La frase di Paolo circa la bontà della creazione in ogni suo aspetto è discriminante della fede cristiana rispetto a ogni tradizione religiosa. La creatura in quanto tale è buona e ogni aspetto della creatura è vero, bello, buono, anche se, per la dinamica che il peccato originale ha introdotto, la bellezza non viene ricondotta al suo principio, ma viene in qualche modo rovinata, resa brutta dall’impeto a possedere dell’uomo, cioè dalla concupiscenza. 
Ora vorrei leggere alcuni brani di Agostino che Montini cita. Ho scelto questi brani perché sono tra quelli citati dai documenti del Concilio ecumenico Vaticano II. Agostino è il padre della Chiesa più citato dal Concilio ecumenico Vaticano II5 e molte delle citazioni di Agostino, credo una quindicina, riportate in questo libro, sono letteralmente riprese nei documenti del Vaticano II. Montini in alcuni casi annota sui fogli insieme alla citazione di Agostino anche il documento del Concilio in cui la citazione è ripresa. 

1. Iniziamo a leggere la frase di Agostino riportata da Montini sul foglio 60. La frase è riportata anche sul foglio 197 e sul foglio 200. 
«Quantum quisque amat Ecclesiam, tantum habet Spiritum Sanctum / Ciascuno ama la Chiesa tanto quanto ha lo Spirito Santo»6. Il Concilio ecumenico Vaticano II cita questa frase nel decreto Optatam totius sulla formazione dei seminaristi7. È un decreto alla cui stesura il rettore maggiore del mio seminario di Venegono, Giovanni Colombo, diventato, dopo Montini, arcivescovo di Milano, ha contribuito molto. 
Vorrei semplicemente suggerire due osservazioni. La prima riguarda «quantum quisque amat...». Per Agostino amordilectiocaritas sono la stessa cosa. Nel De civitate Dei lo dice esplicitamente8. Quando diciamo amor, quando diciamo dilectio, quando diciamo caritas indichiamo lo stesso contenuto e soprattutto la stessa dinamica. Per intuire cosa intenda Agostino per amore, per dilezione, per carità, vorrei accennare a un brano del De gratia et libero arbitrio che mi sembra riassuntivo di quello che in moltissimi altri brani Agostino dice di amordilectio e caritas, e cioè che l’amore, l’affetto, la carità sonoda Dio, secondo quello che afferma san Giovanni (1Gv 4, 7). 
Leggo questo brano del De gratia et libero arbitrio perché sintetizza tutta la difesa che Agostino fa della verità della fede contro quelli che lui chiama «i nuovi eretici nemici della grazia di Cristo»9, cioè i pelagiani.
«Unde est in hominibus caritas Dei et proximi, nisi ex ipso Deo? / Da dove viene all’uomo la carità di Dio e del prossimo, se non da Dio stesso? / Nam si non ex Deo, sed ex hominibus, vicerunt pelagiani./ Infatti se [l’amore] non viene da Dio, ma dall’uomo, hanno vinto i pelagiani. / Si autem ex Deo, vicimus pelagianos. / Se invece [l’amore] è da Dio, abbiamo vinto l’eresia dei pelagiani»10. Quando si trovano in Agostino il termine amor, il termine caritas, il termine dilectio (il termine secondo me più completo èdelectatio et dilectio11 dove la delectatio / attrattiva della grazia si compie nella dilectio / amore), l’intuizione essenziale per coglierne contenuto e dinamica è che la carità, la dilezione, l’amore vengono da Dio
Vorrei aggiungere una seconda osservazione che prendo da Goulven Madec. È una delle sue osservazioni che più mi hanno stupito. Il libro che la professoressa Bettetini ha scritto recentemente, Introduzione a Agostino12, è dedicato a Goulven Madec, questo padre agostiniano di Parigi, morto alcuni mesi fa, che è lo studioso di Agostino che in maniera direi più intuitiva (non so trovare un altro aggettivo) ha letto e ha fatto leggere Agostino togliendolo dagli schemi in cui di norma viene inserito: platonico, non platonico, eccetera. Madec ha letto e aiutato a leggere Agostino con una immediatezza sorprendente. 
Madec sta commentando la critica di un autore moderno ad Agostino. Quest’autore dice che Agostino non è uno spirito teologicamente creativo. Vi leggo le osservazioni di Madec che sono bellissime: «Salvo errore, non venne mai in mente ad Agostino di fare opere originali. Egli professava il Credo della Chiesa cattolica»13

Una breve parentesi. Come accennava la professoressa Bettetini, la vita di Agostino nei confronti della fede cristiana e della vita morale ha avuto uno sviluppo più lineare di come viene presentata. Possiamo dire che Agostino ha sempre voluto bene a Gesù14. È stato segnato dalla madre Monica con il segno della croce da bambino15. Anche quando diventa manicheo (e Madec lo sottolinea16) ripete preghiere di lode a Gesù Cristo di una bellezza tutta cattolica. E se la sua vita morale è stata una ricerca disordinata della bellezza, potremmo anche qui parlare di un disordine, per così dire, ordinato. È stato fedele alla madre di suo figlio, alla donna cui ha voluto bene. Insomma, la vita di Agostino è molto più lineare ed è molto più vicina in questo senso anche alla vita nostra e alla vita di tanti nostri contemporanei. 

Scrive dunque Madec: «Salvo errore, non venne mai in mente ad Agostino di fare opere originali. Egli professava il Credo della Chiesa cattolica»17. Quel Credo che aveva professato nel momento del battesimo a Milano, nella veglia pasquale fra il 24 e il 25 aprile 387, quando «l’inquietudine della vita passata fuggì lontano»18 da lui. Dopo aver accennato con queste parole al battesimo, Agostino ricorda lasuavitas, la dolcezza, del canto dei fedeli nelle chiese di Milano19, che richiama la suavitas, la dolcezza, con cui sant’Ambrogio parlava20. Agostino a Milano era stato spettatore della battaglia delle basiliche, quando Ambrogio, dal momento che i fedeli le avevano occupate per non consegnarle agli ariani, introdusse a cori alterni il canto dei salmi e degli inni21. Penso al Deus creator omnium, l’inno della sera, che è uno dei vertici della poesia cristiana, e che Agostino cita più volte nelle sue opere22
Continua Madec: «Agostino in tutta la sua attività mirava a comprendere il Credo della Chiesa cattolica e a farlo comprendere ai fedeli e a difenderlo contro tutti i tipi di contraffazione. Sicuramente non mirava a costruire un sistema personale»23. La sua opera teologica più compiuta, il De Trinitate, finisce con una preghiera in cui chiede perdono a Dio e ai lettori se ha detto qualcosa di proprio («... si qua de meo / se [ho detto] qualcosa di mio / et tu ignosce et tui / perdonami Tu e anche i tuoi»24); e chiede al Signore che, se ha detto qualcosa che Lui gli ha fatto riconoscere, questo sia riconosciuto anche dai fedeli («quaecumque dixi in his libris de tuo / qualunque cosa ho detto in questi libri di Tuo / agnoscant et tui/ lo riconoscano anche i tuoi»25). Ed è bellissimo anche il modo in cui, sempre al termine del De Trinitate, indica tutta la dottrina della fede: «Crediamo nell’unità di Dio perché leggiamo nella Scrittura: “Ascolta, Israele, il Signore è l’unico”. E crediamo nella Trinità perché Gesù ha detto: “Andate, battezzate tutte le genti nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”»26. Custodire la fede è una cosa semplice. Si tratta di ripetere come preghiera le formule del catechismo. 
Continua Madec: «Agostino non ha voluto innovare. Questo innovare è proprio dell’eresia. Nell’animo di Agostino non c’era altro che il cristianesimo, un’illustrazione e difesa della verità cristiana»27. Basterebbe ricordare il discorso di Paolo VI all’inizio della seconda sessione del Concilio ecumenico Vaticano II, il 29 settembre del 1963, dove, indicando il cammino del Concilio, iniziato l’anno precedente da papa Giovanni XXIII, dice che occorre guardare, tenere fisso lo sguardo a Gesù Cristo. E si paragona alla figura di papa Onorio III nel mosaico dell’abside di San Paolo fuori le Mura: piccolo piccolo ai piedi del grande Cristo pantocratore. 
Madec conclude così: «Nell’animo di Agostino non c’è altro che il cristianesimo. Bisognava passare attraverso questa banalizzazione [com’è bello!] per essere in grado di apprezzare l’originalità di Agostino»28
Agostino dice che per comprendere la Sacra Scrittura bisogna fare due cose: «Maxime et praecipue orent ut intelligant / La prima e più importante è pregare per comprendere»29 (Paolo VI, in uno dei suoi discorsi più belli, in un simposio di biblisti e teologi sulla risurrezione di Gesù, ha citato questa frase di sant’Agostino30). E la seconda cosa per comprendere la Sacra Scrittura è avere come criterio di interpretazione la fede della Chiesa così come è espressa nelle formule di fede, in particolare nel Credobattesimale, il Credo degli apostoli. Così Agostino ha letto la Scrittura. Da vescovo in particolare – anche prima da cristiano –, ma è da quando è ordinato prete e vescovo che la Scrittura diventa per lui la fonte di tutto quello che vuole comunicare ai suoi fedeli. 
Certe volte, in maniera del tutto banale, dico che per comprendere Agostino bisogna conoscere ilCatechismo di san Pio X. Se uno conosce le formule del Catechismo di san Pio X comprende anche Agostino. Perché così ha fatto lui: per comprendere la Scrittura ha pregato ed è stato al Credo del battesimo, il Credo che si insegna anche oggi ai bambini piccoli quando fanno la prima comunione. 

2. Sul foglio 38 Montini scrive: «“... dormitio intelligitur passio. Eva de latere dormientis, Ecclesia de latere patientis”». Traduco: «Col sonno si intende la passione. Eva nasce dal fianco di Adamo che dorme. La Chiesa dal fianco di Cristo che patisce». Questa frase di Agostino è tratta da Enarrationes in psalmos 138, 2. La costituzione sulla Liturgia Sacrosanctum Concilium, a commento della bella espressione «Nam de latere Christi in cruce dormientis / Infatti dal costato di Cristo dormiente sulla croce / ortum est totius Ecclesiae mirabile sacramentum / è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa», cita in nota il passo di Agostino31
Nelle Enarrationes in psalmos 138, 2, Agostino, prima della frase riportata da Montini, scrive: «Ex latere Domini dormientis id est in passione morientis / Dal cuore del Signore che dorme, cioè che muore nella sua passione / et in cruce percusso de lancea / e trafitto sulla croce dalla lancia /manaverunt sacramenta quibus formaretur Ecclesia / sono scaturiti i sacramenti coi quali è formata la Chiesa». E così Agostino mi sembra sottolineare che la Chiesa nasce dal cuore di Gesù in quanto è creata dai sacramenti che sono i gesti di Gesù. Infatti è l’Eucaristia che fa la Chiesa, come papa Benedetto XVI ha ricordato nell’esortazione postsinodale Sacramentum caritatis32. Si può anche dire che è la Chiesa che fa l’Eucaristia, ma a un livello diverso. Infatti la Chiesa fa l’Eucaristia semplicemente nel senso che ubbidisce al Signore compiendo il rito che il Signore ha stabilito. Ma è il Signore, realmente presente nell’Eucaristia, che si rende visibile nel Suo corpo che è la Chiesa. 

3. Leggiamo un brano, riportato sul foglio 47, che riguarda la Madonna madre della Chiesa. 
Paolo VI, per il rispetto che aveva, in ciò che non riguardava direttamente la dottrina della fede, della maggioranza dell’assemblea conciliare, ha accettato (penso con sofferenza) che nella costituzione dogmatica Lumen gentium non fosse inserito il titolo di Maria Mater Ecclesiae. E così al termine della terza sessione del Concilio, dopo aver promulgato insieme ai Padri conciliari la Lumen gentium, personalmente ha proclamato Maria Madre della Chiesa33
Permettetemi di raccontare un episodio di quando ero seminarista. Prima di cominciare la terza liceo, nel settembre 1964, andai a Roma insieme a due miei compagni di seminario. Erano già iniziate le congregazioni generali della terza sessione del Concilio. Ogni mattino veniva celebrata la santa messa, cui si poteva partecipare col biglietto d’invito. E anche noi partecipammo alla messa con tutti i Padri conciliari. Non c’era ancora la concelebrazione. La santa messa era celebrata davanti a tutti i Padri che stavano ognuno al proprio posto nell’aula conciliare della Basilica di San Pietro. Finita la santa messa, con l’extra omnes quelli che non avevano diritto di partecipare alla congregazione dovevano uscire. Con questi miei due compagni andammo da monsignor Felici, il segretario generale del Concilio, e gli chiedemmo di poter rimanere. Mi ricordo che monsignor Felici rispose: «Sì, potete rimanere»; e poi, guardando me, disse: «Anche perché tu verrai a Roma a studiare Diritto canonico». Mai e poi mai all’epoca avrei immaginato di poter andare a Roma a studiare Diritto canonico, anche perché in quel tempo studiare Diritto canonico era considerato quasi una punizione. Invece, dopo essere stato ordinato prete a Milano, dopo un anno di sacerdozio, andai davvero a Roma a studiare Diritto canonico all’Università Gregoriana. Non intendo parlare delle doti profetiche di monsignor Pericle Felici... Durante quella congregazione si stava discutendo se lo schema sulla Madonna dovesse diventare l’ultimo capitolo della Lumen gentium oppure essere, come era stato proposto dalla Commissione preparatoria, un documento a parte. Di fatto sarà l’ottavo e ultimo capitolo della Lumen gentium. Mi ricordo che alcuni interventi erano contrari al fatto di inserire il titolo di Maria Madre della Chiesa nel documento conciliare. La cosa più bella di quella congregazione fu l’intervento del cardinale Wyszynski. Sotto l’aula conciliare, costruita nella navata centrale della Basilica di San Pietro, c’erano dei bar e moltissimi Padri invece di ascoltare gli interventi passeggiavano nelle navate laterali oppure discorrevano tra loro nei bar. Ma quando il moderatore annunciò che avrebbe parlato il cardinale Wyszynski, tutti i Padri ritornarono ai loro posti e nel silenzio più assoluto lo ascoltarono. Così ho visto in atto che è sì importante l’autorità della Chiesa, anzi è essenziale, ma l’autorevolezza è più importante. Non era infatti innanzitutto per l’autorità di vescovo e cardinale che tutti i Padri ascoltavano Wyszynski, ma per la testimonianza di fede e di carità. Wyszynski era accusato, da certi ambienti, di compromesso con il comunismo perché, pur essendo stato imprigionato, non era ritenuto combattivo nei confronti del regime. Infatti l’amore per la Chiesa di Gesù Cristo in Polonia gli suggeriva, come Paolo VI insegnava, tentativi possibili di compromesso affinché la Chiesa potesse svolgere liberamente la sua missione propria
Leggiamo la frase di Agostino su Maria Madre della Chiesa. Questa frase è scritta da Montini cinque volte. Fogli 47, 83, 108, 142, 202. Maria «cooperata est caritate / Maria ha cooperato mediante la carità / ut fideles in Ecclesia nascerentur, / affinché nascessero nella Chiesa i fedeli / quae illius capitis[Christimembra sunt / che sono le membra di questo capo [Cristo]»34. La frase completa di Agostino è: «… sed plane mater membrorum eius / ma Maria è veramente madre delle membra di Lui [Cristo] /quod nos sumus / che noi siamo / quia cooperata est caritate ut fideles in Ecclesia nascerentur… / perché ha cooperato con la carità [cioè con la pienezza di grazia che il Signore le donava e con la sua libertà abbracciata da questa pienezza] affinché i fedeli nascessero nella Chiesa...»35

Sant’Agostino in un affresco del VI secolo, Laterano, Roma
Sant’Agostino in un affresco del VI secolo, Laterano, Roma
4. Termino leggendo il brano del foglio 97. Qui Montini, dopo aver scritto «Chiesa, Corpo mistico di Cristo», cita Lumen gentium I, 8 che contiene la frase di sant’Agostino tratta dal De civitate Dei XVIII, 51, 2: «Inter persecutiones mundi et consolationes Dei peregrinando procurrit Ecclesia / La Chiesa cammina tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio». 
Leggo il brano completo di Agostino: «Sic in hoc saeculo, in his diebus malis / Così in questo tempo, in questi giorni cattivi [è una citazione di Paolo (Ef 5, 16)] / non solum a tempore corporalis praesentiae Christi et apostolorum eius, / non solo dal tempo della presenza corporale di Cristo e dei suoi apostoli, /sed ab ipso Abel, quem primum iustum impius frater occidit,/ ma dallo stesso Abele [e qui è evidente il fatto che la Chiesa comprende tutti i giusti, perché tutti i giusti, anche quelli prima di Cristo, sono graziati, dalla grazia di Cristo], che fu il primo giusto ucciso dal fratello non pio [è bello anche questo cenno alla non pietas di Caino], / et deinceps usque in huius saeculi finem / e fino alla fine di questo tempo, / inter persecutiones mundi et consolationes Dei peregrinando procurrit Ecclesia / la Chiesa cammina tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio». 
Le persecuzioni del mondo cui accenna Agostino sono innanzitutto le persecuzioni all’interno della Chiesa, sono le persecuzioni dei fedeli che, agendo in maniera cattiva, addolorano il cuore della Chiesa. Il brano del De civitate Dei inizia dicendo che quando non c’è la persecuzione fisica è un fatto molto importante soprattutto per i fedeli più deboli. Ma tutto il brano riguarda le persecuzioni «per malos intus positos / per i cattivi che sono all’interno della Chiesa». Agostino in questo brano ripete per tre volte questa parola,intus / all’interno, cioè coloro che dentro la Chiesa (ciascuno di noi con i nostri peccati) procurano dolore al cuore dei buoni, al cuore di chi domanda che la grazia di Dio si manifesti in tutta la sua bellezza. 
Concludo riprendendo le parole finali della professoressa Bettetini circa la sensibilità. Da una parte sulla sensibilità c’è come un sospetto in Agostino, perché essa è occasione di peccato; dall’altra parte l’esperienza della grazia è espressa da Agostino nei termini dell’esperienza sensibile. Così, anche nei confronti del mondo, da una parte in Agostino ci sono pagine di un realismo molto netto nei confronti del peccato del mondo e dei peccati degli uomini; ma dall’altra il mondo non è mai contrapposto alla Chiesa, perché il mondo è anzitutto il mondo che intus / all’interno addolora. Il mondo che addolora e perseguita è ciascuno di noi quando commettiamo i peccati. Anche questa immagine toglie ad Agostino quella interpretazione errata che un certo agostinismo ha dato di lui. 
Grazie. 


Note 
1 Cfr. Agostino, De Spiritu et littera 4, 6: «Sed ubi sanctus non adiuvat Spiritus inspirans pro concupiscentia mala concupiscentiam bonam, profecto illa lex, quamvis bona, auget prohibendo desiderium malum». 
2 Cfr. Agostino, Expositio Epistolae ad Galatas 49. 
3 Cfr. N. Cipriani, Lo schema dei tria vitia (voluptas, superbia, curiositas>) nel De vera religione:antropologia soggiacente e fonti, in «Augustinianum», 38, I, 1998, pp. 157-195, in particolare p. 168. 
4 Cfr. Agostino, Confessiones VII, 17, 23.
5 Cfr. J. Moran, La presenza di sant’Agostino nel Concilio Vaticano II, in «Augustinus», 6, 1966, pp. 460-488: «Possiamo dire che delle 325 citazioni circa dei padri e dottori della Chiesa, che si fanno nei documenti conciliari, sant’Agostino ha la migliore e maggior parte. Parliamo delle citazioni riportate nel testo e nelle note. Tenuto conto di quest’insieme, la statistica ci offre il seguente risultato: per sant’Agostino 55 citazioni; seguono, in ordine: san Tommaso con 25, sant’Ignazio d’Antiochia con 18, san Cipriano con 16, sant’Ireneo con 15, san Giovanni Crisostomo con 15, sant’Ambrogio con 13, Tertulliano con 9, san Gregorio Magno con 9, san Girolamo con 7, san Bonaventura con 5 e si dividono gli altri il resto in due o tre citazioni ciascuno, o in una soltanto parecchi altri». 
6 Agostino, In Evangelium Ioannis 32, 8. 
7 Cfr. Concilio ecumenico Vaticano II, decreto Optatam totius, n. 9. 
8 Cfr. Agostino, De civitate Dei XIV, 7, 2: «Non aliud dicere amorem, aliud dilectionem vel caritatem». 
9 Agostino, Contra duas epistolas pelagianorum I, 1, 2. 
10 Cfr. Agostino, De gratia et libero arbitrio 18, 37. 
11 Cfr. Agostino, De Spiritu et littera 4, 6. 
12 M. Bettetini, Introduzione a Agostino, Laterza, Bari – Roma 2008. 
13 G. Madec, La patria e la via. Cristo nella vita e nel pensiero di sant’Agostino, Borla, Roma 1993, p. 253. 
14 Ibid., p. 24: «La conversione agostiniana si svolge interamente all’interno del cristianesimo». 
15 Cfr. Agostino, Confessiones I, 11, 17: «... et signabar iam signo crucis eius et condiebar eius sale iam inde ab utero matris meae, quae multum speravit in te». 
16 Cfr. G. Madec, La patria e la via. Cristo nella vita e nel pensiero di sant’Agostino, cit., p. 28. 
17 Ibid., p. 253. 
18 Agostino, Confessiones IX, 6, 14: «... et baptizati sumus et fugit a nobis sollicitudo vitae praeteritae». 
19 Ibid.: «Quantum flevi in hymnis et canticis tuis suave sonantis ecclesiae tuae vocibus commotus acriter!». 
20 Cfr. Agostino, Confessiones V, 13, 23: «... et delectabar suavitate sermonis». 
21 Cfr. Agostino, Confessiones IX, 7, 15: «Tunc hymni et psalmi ut canerentur secundum morem orientalium partium, ne populus maeroris taedio contabesceret, institutum est». 
22 Cfr. Agostino, Confessiones II, 6, 12; IV, 10, 15; IX, 12, 32; X, 34, 52; De musica VI, 2, 2; 9, 23; 17, 57; De beata vita 4, 35. 
23 G. Madec, La patria e la via. Cristo nella vita e nel pensiero di sant’Agostino, cit., p. 253. 
24 Agostino, De Trinitate XV, 28, 51. 
25 Ibid. 
26 Ibid. 
27 G. Madec, La patria e la via. Cristo nella vita e nel pensiero di sant’Agostino, cit., p. 253. 
28 Ibid. 
29 Agostino, De doctrina christiana III, 37, 56. 
30 Paolo VI, Discorso ai partecipanti al Simposio sul mistero della risurrezione di Gesù, sabato 4 aprile 1970, in 30Giorni, n. 1, gennaio 2008. 
31 Concilio ecumenico Vaticano II, costituzione Sacrosanctum Concilium, cap. I, par. 4, nota 6. 
32 Benedetto XVI, esortazione postsinodale Sacramentum caritatis, n. 14. 
33 Allocuzione del santo padre Paolo VI nella conclusione della III sessione del Concilio Vaticano II, sabato 21 novembre 1964: «Perciò a gloria della Beata Vergine e a nostra consolazione dichiariamo Maria Santissima Madre della Chiesa, cioè di tutto il popolo cristiano, sia dei fedeli che dei Pastori, che la chiamano Madre amatissima; e stabiliamo che con questo titolo tutto il popolo cristiano d’ora in poi tributi ancor più onore alla Madre di Dio e le rivolga suppliche». 
34 Agostino, De sancta virginitate 6, 6. 
35 Ibid. 

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In questo blog di don Giacomo Tantardini, vedi anche:


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