sabato 28 aprile 2012

Gesù è il Buon Pastore



                             IV DOMENICA DI PASQUA - Anno B                                                                                                     



Cristo, buon pastore
Dalle «Omelie sui vangeli» di san Gregorio Magno papa
(Om. 14, 3-6; PL 76, 1129-1130)

«Io sono il buon Pastore; conosco le mie pecore», cioè le amo, «e le mie pecore conoscono me» (Gv 10, 14). Come a dire apertamente: corrispondono all'amore di chi le ama. La conoscenza precede sempre l'amore della verità.
Domandatevi, fratelli carissimi, se siete pecore del Signore, se lo conoscete, se conoscete il lume della verità. Parlo non solo della conoscenza della fede, ma anche di quella dell'amore; non del solo credere, ma anche dell'operare. L'evangelista Giovanni, infatti, spiega: «Chi dice: Conosco Dio, e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo» (1 Gv 2, 4).
Perciò in questo stesso passo il Signore subito soggiunge: «Come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e offro la vita per le pecore «(Gv 10, 15). Come se dicesse esplicitamente: da questo risulta che io conosco il Padre e sono conosciuto dal Padre, perché offro la mia vita per le mie pecore; cioè io dimostro in quale misura amo il Padre dall'amore con cui muoio per le pecore.
Di queste pecore di nuovo dice: Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna (cfr. Gv 10, 14-16). Di esse aveva detto poco prima: «Se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo» (Gv 10, 9). Entrerà cioè nella fede, uscirà dalla fede alla visione, dall'atto di credere alla contemplazione, e troverà i pascoli nel banchetto eterno.
Le sue pecore troveranno i pascoli, perché chiunque lo segue con cuore semplice viene nutrito con un alimento eternamente fresco. Quali sono i pascoli di queste pecore, se non gli intimi gaudi del paradiso, ch'è eterna primavera? Infatti pascolo degli eletti è la presenza del volto di Dio,
 e mentre lo si contempla senza paura di perderlo, l'anima si sazia senza fine del cibo della vita. 
Cerchiamo, quindi, fratelli carissimi, questi pascoli, nei quali possiamo gioire in compagnia di tanti concittadini. La stessa gioia di coloro che sono felici ci attiri. Ravviviamo, fratelli, il nostro spirito. S'infervori la fede in ciò che ha creduto. I nostri desideri s'infiammino per i beni superni. In tal modo amare sarà già un camminare.
Nessuna contrarietà ci distolga dalla gioia della festa interiore, perché se qualcuno desidera raggiungere la metà stabilita, nessuna asperità del cammino varrà a trattenerlo. Nessuna prosperità ci seduca con le sue lusinghe, perché sciocco è quel viaggiatore che durante il suo percorso si ferma a guardare i bei prati e dimentica di andare là dove aveva intenzione di arrivare.

MESSALE
Antifona d'Ingresso  Sal 32,5-6
Della bontà del Signore è piena la terra;
la sua parola ha creato i cieli. Alleluia.


Colletta

Dio onnipotente e misericordioso, guidaci al possesso della gioia eterna, perché l'umile gregge dei tuoi fedeli giunga con sicurezza accanto a te, dove lo ha preceduto Cristo, suo pastore. Egli è Dio...
  
Oppure:
O Dio, creatore e Padre, che fai risplendere la gloria del Signore risorto quando nel suo nome è risanata l'infermità della condizione umana, raduna gli uomini dispersi nell'unità di una sola famiglia, perché aderendo a Cristo buon pastore gustino la gioia di essere tuoi figli. Per il nostro Signore...


LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura  
At 4, 8-12
In nessun altro c’è salvezza.

Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, Pietro, colmato di Spirito Santo, disse loro:
«Capi del popolo e anziani, visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato a un uomo infermo, e cioè per mezzo di chi egli sia stato salvato, sia noto a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi risanato.
Questo Gesù è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo.
In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati». 

Salmo Responsoriale  
Dal Salmo 117
La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo.

Rendete grazie al Signore perché è buono,
perché il suo amore è per sempre.
È meglio rifugiarsi nel Signore
che confidare nell’uomo.
È meglio rifugiarsi nel Signore
che confidare nei potenti.

Ti rendo grazie, perché mi hai risposto,
perché sei stato la mia salvezza.
La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.

Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
Vi benediciamo dalla casa del Signore.
Sei tu il mio Dio e ti rendo grazie,
sei il mio Dio e ti esalto.
Rendete grazie al Signore, perché è buono,
perché il suo amore è per sempre.
     

Seconda Lettura
  1 Gv 3,1-2

Vedremo Dio così come egli è. 

Dalla prima lettera di san Giovanni Apostolo
Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui.
Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.
  
Canto al Vangelo  
Gv 10,14
Alleluia, alleluia.

Io sono il buon pastore, dice il Signore;
conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me.
Alleluia.


 
Vangelo  Gv 10, 11-18
Il buon pastore dà la propria vita per le pecore.
  

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio». Parola del Signore.

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COMMENTI



1. Congregazione per il Clero


Celebriamo oggi la quarta Domenica di Pasqua, comunemente nota come la “Domenica del Buon Pastore”. Nella Liturgia, infatti, il Signore Risorto si presenta a noi come il Pastore delle nostre anime, come Colui «che dà la propria vita per le pecore» (Gv 10,11). Guardando a Cristo Buon Pastore, siamo richiamati soprattutto a pregare sia per coloro che Egli già ha posto come pastori nella Sua Chiesa, sia per i giovani chiamati a questa missione.
Nelle Letture, ricorre più volte il verbo “conoscere”. Quando la Sacra Scrittura parla della “conoscenza”, specialmente della conoscenza tra persone, intende qualcosa di ben più profondo del significato che la nostra cultura solitamente vi attribuisce.
La “conoscenza” biblica, infatti, non si riduce appena all’apprendimento di alcune informazioni, per lo più esteriori e marginali, circa la realtà o la persona conosciuta; essa piuttosto accade come intima comunione e reciproco possesso, tale da coinvolgere interamente l’intelligenza, la libertà e la volontà.
Nel brano di Vangelo, che abbiamo ascoltato, il Signore affermava: «Io […] conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me» (Gv 10,14) e, nella seconda Lettura, sempre San Giovanni afferma: «Il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto Lui» (1Gv 3,1).
Si parla di due tipi differenti di conoscenza. Vi è una conoscenza che è data ed una conoscenza che non è possibile -e che quindi è inutile- cercare e perseguire direttamente.
Guardiamo anzitutto alla prima.
La conoscenza che ci è data – data perché, per grazia, siamo cristiani – è la reciproca conoscenza con Cristo. Ci sono dati, cioè, con Lui quell’intima comunione e quel reciproco possesso, per i quali l’Apostolo Giovanni arriva ad esclamare: «Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!» (1Gv 3,1). La conoscenza di Cristo, infatti, non si riduce alla semplice conoscenza di quanto i Vangeli narrano di Lui o delle verità che la Chiesa insegna – cose, queste, non solo necessarie ma urgenti, soprattutto in questa epoca così fortemente segnata dall’analfabetismo religioso – (cf. Benedetto XVI, Omelia, Messa del Crisma 2012).
La conoscenza che di Cristo ci è data è l’intima comunione alla Sua stessa Vita, comunione che ci trasforma ed eleva alla realtà di figli di Dio, per opera dello Spirito Santo ricevuto nel Battesimo. Per questo, siamo chiamati figli di Dio «e lo siamo realmente!». Questa conoscenza, inoltre, pur coinvolgendo tutta la nostra persona, non dipende da noi, ma avviene come “dono”: affonda le proprie radici nella sovrana iniziativa di Dio, che prende carne e sangue in Gesù Cristo, il solo, vero Buon Pastore, che offre la propria vita per le pecore, per noi (cfr. Gv 10,17-18).
Ancora, Cristo offre la propria vita e la riprende. Cosa significa che Egli “riprende” la vita?
Vi è, certamente, un primo significato: Egli, offertosi volontariamente alla Morte di Croce per noi, risorge dai morti e vive per sempre. Ma possiamo scorgere anche un’ulteriore indicazione. Cristo, risorgendo, riprende la vita che ci ha donato sulla Croce, attirandoci così verso il Cielo, nel Suo rapporto d’amore con il Padre. Diveniamo figli e partecipi del Suo stesso Amore, per il Padre e per gli uomini.
Questo avviene in modo del tutto speciale per quanti sono chiamati al Sacerdozio: chi riceve il dono della Vocazione, infatti, viene “ripreso”, attratto nella vita di Cristo e reso partecipe della Sua stessa opera salvifica. Chi è sacerdote viene fatto a tal punto oggetto di amore e di misericordia, da poter rendere presente, attraverso la propria persona, lo stesso Gesù Buon Pastore.

Quanto alla seconda conoscenza, quella del mondo, San Giovanni ci dice che essa non ci è data: «il mondo non ci conosce». Quanti hanno incontrato Cristo e possiedono la conoscenza di Lui, devono sapere che questo tesoro è radicalmente incompatibile con il “riconoscimento” mondano. Il Signore stesso ce l’ha insegnato: non possiamo servire due padroni (cfr. Lc 16,13). L’unico modo per far sì che il mondo ci conosca e ri-conosca è attirarlo nella conoscenza di Cristo e aprirlo così a Dio.
Domandiamo alla Beata Vergine Maria, Porta del Cielo e Regina degli Apostoli, di lasciarci interamente determinare, come Lei, dalla vera conoscenza di Cristo, l’unico in grado di condurci ai pascoli celesti! Amen.

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2. Padre Raniero Cantalamessa ofmcapp.

Questa è la domenica del Buon Pastore, ma per una volta non è su di lui che vogliamo concentrare l'attenzione quanto piuttosto sul suo antagonista. Chi è il personaggio definito "ladro" ed "estraneo"? Gesù pensa, in primo luogo, ai falsi profeti e agli pseudo-messia del suo tempo che si spacciavano per inviati da Dio e liberatori del popolo, mentre in realtà non facevano altro che mandare la gente a morire per loro. Oggi questi "estranei" che non entrano per la porta, ma si introducono nell'ovile di soppiatto, che "rubano" le pecore e le "uccidono" sono visionari fanatici, o approfittatori astuti, che speculano sulla buona fede e la ingenuità della gente. Mi riferisco a fondatori o capi di sette religiose che pullulano nel mondo.

Quando parliamo di sette, dobbiamo però stare attenti a non mettere tutto sullo stesso piano. Gli Evangelici e i Pentecostali protestanti, per esempio, a parte gruppi isolati, non sono sette. La Chiesa cattolica da anni mantiene con essi un dialogo ecumenico a livello ufficiale, ciò che non farebbe mai con le sette.

Le vere sette si riconoscono da alcune caratteristiche. Anzitutto quanto al contenuto del loro credo, essi non condividono punti essenziali della fede cristiana, come la divinità di Cristo e la Trinità; oppure mescolano a dottrine cristiane elementi estranei incompatibili con esse, come la reincarnazione. Quanto ai metodi, sono, alla lettera "ladri di pecore", nel senso che tentano con tutti i mezzi di strappare i fedeli alla loro Chiesa di origine, per farne degli adepti della loro setta. Sono di solito anche aggressivi e polemici. Più che proporre dei contenuti propri, passano il tempo ad accusare, polemizzare, contro la Chiesa, la Madonna e in genere tutto ciò che è cattolico. Siamo, con ciò, agli antipodi del Vangelo di Gesù che è amore, dolcezza, rispetto per la libertà altrui. L'amore evangelico è il grande assente dalle sette.

Gesù ci ha dato un criterio sicuro di riconoscimento: "Guardatevi, ha detto, dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete" (Mt 7,16). E i frutti più comuni del passaggio delle sette sono famiglie spaccate, fanatismo, attese apocalittiche della fine della mondo, regolarmente smentite dai fatti.

C'è un altro tipo di sette religiose, nate fuori del mondo cristiano, in genere importate dall'oriente. A differenza delle prime, esse non sono aggressive, si presentano anzi "in vesti di agnello", predicando l'amore per tutti, per la natura, la ricerca dell'io profondo. Sono formazioni spesso sincretistiche, cioè che mettono insieme elementi di varie provenienze religiose, come è il caso di New Age.

L'immenso danno spirituale di chi si lascia convincere da questi nuovi messia, è che perde Gesù Cristo e con lui quella "vita in abbondanza" che egli è venuto a portare. Alcune di queste sette sono pericolose anche sul piano della sanità mentale e dell'ordine pubblico. Le vicende ricorrenti di plagio e di suicidi collettivi ci avvertono fin dove può portare il fanatismo di qualche capo settario.

Quando si parla delle sette dobbiamo però recitare anche un «mea culpa». Spesso le persone finiscono in qualche setta per il bisogno di sentire il calore e il supporto umano di una comunità, che non hanno trovato nella loro parrocchia.

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3. Luciano Manicardi (Bose)

La quarta domenica di Pasqua, domenica del buon Pastore, ha il suo centro nella pagina evangelica che, con l’immagine di Gesù pastore, presenta una visione sintetica dell’evento pasquale, culmine della storia di salvezza. Nel suo ministero Gesù è stato pastore del “piccolo gregge” (Lc 12,32) esponendo la sua vita fino a donarla per amore dei suoi (cf. Gv 10,11-15: riferimento alla morte di Cristo); la sua morte poi sfocia nella resurrezione che prolunga ed estende il suo ministero di pastore a livello universale che crea comunione e unità (Gv 10,16-18: riferimento alla resurrezione). E in forza dell’evento pasquale egli è il “pastore buono”, cioè il pastore che dà salvezza, l’unico a cui spetti questo titolo che nel Primo Testamento designa Dio nel rapporto con il popolo d’Israele nel suo insieme (Sal 80: “Tu, pastore d’Israele”) e con ciascun figlio d’Israele singolarmente (Sal 23: “Il Signore è il mio pastore”). La prima lettura, tratta come sempre nel tempo pasquale (secondo un’antica tradizione liturgica) dagli Atti degli apostoli, presenta l’annuncio della resurrezione di Cristo nel discorso di Pietro al sinedrio: le energie della resurrezione agiscono nella chiesa e, grazie alla fede, il nome del Signore opera guarigioni di malati. La seconda lettura presenta il cristiano quale rigenerato a figlio di Dio dal dono di amore del Padre.
Il paradosso cristiano emerge dalla rivelazione di Gesù quale “buon pastore”, cioè quale autentico e unico pastore: egli “offre (lett. “depone”) la vita per le pecore”, cioè rischia la vita, la espone ai pericoli dei briganti e degli animali feroci, pur di salvare le sue pecore. E arriva anche a dare la vita, a morire per i suoi. Egli non è un mercenario, un salariato, ma il pastore unito alle pecore da un legame personale e di amore. Niente di funzionale nella qualità di pastore che Cristo vive: egli è in legame di obbedienza e di amore con il Padre (“il Padre conosce me e io conosco il Padre”) e vive un legame di conoscenza, amore e appartenenza con le pecore: “Conosco le mie (pecore) e le mie (pecore) conoscono me”. Tutto si gioca sul piano della relazione, non del ruolo, né della funzione, sul piano dell’amore, non del dovere: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13).

La rivelazione del pastore diviene anche rivelazione della qualità della pecora, ovvero, fuor di metafora, del credente che segue il pastore Gesù Cristo. Il credente è colui che conosce il Signore e ne ascolta la voce (vv. 14.16). Ascolto e conoscenza del Signore sono azioni anzitutto personali che introducono nella vita spirituale e conducono verso l’unità interiore. Ma sono anche azioni ecclesiali che consentono al Signore di governare la sua comunità e di condurla verso l’unità: “Diventeranno un solo gregge e un solo pastore”. Il testo intravede il formarsi di un popolo composto da persone provenienti non solo da Israele, ma anche dalle genti (“ho altre pecore che non sono di questo ovile”), evento che sarà frutto della Pasqua (“quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me”: Gv 12,32) e si compirà nell’eschaton (“l’Agnello sarà il loro pastore”: Ap 7,17). Giovanni presenta Gesù come pastore universale: a lui solo spetta questo titolo. È Gesù Cristo il “Pastore della chiesa universale sparsa su tutta la terra”, come recita il Martirio di Policarpo(XIX,2). Giovanni inoltre parla dell’unicità del pastore, che è Cristo, non dell’ovile, come intese erroneamente la traduzione latina di Gerolamo (et fiet unum ovile) suscitando interpretazioni che vi vedevano un riferimento alla sede petrina: “Giovanni non avrebbe mai detto che Pietro era l’unico pastore!” (Ignace de la Potterie).
Il legame tra Cristo “buon pastore” e la resurrezione emerge anche dall’arte funeraria cristiana antica che rappresenta Cristo con una pecora sulle spalle già nelle antiche catacombe e nelle zone cimiteriali: egli è il pastore che conduce l’uomo attraverso la morte alla vita eterna in Dio.
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4. Enzo Bianchi (Bose)
Può ancora dirci qualcosa la parabola del pastore e delle pecore narrata da Gesù nel vangelo odierno? Per la maggior parte di noi, pastori e greggi non sono uno spettacolo abituale, né l’immagine delle pecore suscita facilmente in noi un processo di identificazione. Si tratta però di comprendere il linguaggio biblico, elaborato da un popolo che conosceva bene la vita dei pastori e il loro legame con le pecore, e addirittura proiettava su Dio l’immagine del pastore, invocandolo quale “pastore di Israele” (Sal 80,1). I figli di Israele, inoltre, attendevano un Re Messia con i tratti del pastore buono, capace di guidare il gregge, di conoscere le sue pecore a una a una fino a chiamarle per nome, fornendo loro il cibo e le cure necessarie (cf. Ez 34; Ger 23,1-8)…
Attese dei credenti giudei e promesse di Dio al suo popolo si mescolano nelle parole che Gesù, a Gerusalemme, rivolge ad alcuni farisei e alla folla, in occasione di una controversia suscitata dalla sua guarigione di un uomo cieco dalla nascita (cf. Gv 9,40-10,21). Gesù dichiara: “Io sono il buon pastore”, letteralmente “il pastore bello”. La bontà e la bellezza di questo pastore che è Gesù derivano dall’atteggiamento che caratterizza la sua relazione con le pecore: egli spende, depone la vita per le pecore, perché quotidianamente vive con esse, si coinvolge personalmente con ciascuna di esse, esponendosi addirittura a perdere la propria vita per proteggerle. Gesù non è un funzionario che svolge il proprio lavoro al semplice scopo di ricevere un salario, senza avere realmente a cuore le pecore; no, egli è un pastore autentico, non vive del ruolo né della funzione rivestita, ma si impegna in una relazione che vuole il bene delle pecore, fino a condividere tutta la vita con il proprio gregge. Insomma, il pastore buono e bello è venuto per servire: la sua autorità consiste nel far crescere quanti gli sono affidati; il suo compito è quello di farli vivere in pienezza; la modalità del suo servizio è quella di spendere “fino alla fine” (Gv 13,1) la vita per quelli che il Padre gli ha donato.
Ognuno di noi è coinvolto da questa parabola, come pecora chiamata a interrogarsi sul suo legame con il pastore; un legame fatto di ascolto e di conoscenza, finalizzato a una relazione viva ed efficace con il pastore Gesù Cristo e, di conseguenza, alla partecipazione alla relazione tra il Padre e il Figlio: “Il Padre conosce me e io conosco il Padre; io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me”. Lo sguardo di Gesù però non si ferma al suo “piccolo gregge” (Lc 12,32), alla comunità itinerante di uomini e donne che lo ha seguito, ma si rivolge anche alle pecore non ancora alla sua sequela: “Ho altre pecore che non sono di quest’ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore”. Dicendo questo, egli pensa a tutti gli uomini che attirerà a sé quando sarà innalzato in croce e poi in cielo presso il Padre (cf. Gv 12,32). La sua missione sarà quella di “radunare nell’unità i figli di Dio dispersi” (cf. Gv 11,52), ma ciò si realizzerà in modo sorprendente: questo pastore universale, l’unico pastore della chiesa sparsa su tutta la terra, si rivelerà come agnello sgozzato (cf. Ap 5,6.12; 7,17; 13,8), che ha deposto la propria vita, e per questo è stato innalzato e glorificato dal Padre. Sì, proprio in quanto agnello Gesù è diventato il pastore delle pecore!
Certamente in questa pagina del quarto vangelo è contenuta la rivelazione di Gesù quale pastore delle nostre vite; da essa scaturisce però anche una domanda cruciale per tutti i pastori delle chiese: essi svolgono il loro servizio come funzionari o come persone che spendono la propria vita con amore per le comunità loro affidate? È infatti sempre possibile che il pastore si trasformi in mercenario oppure finisca per non interessarsi delle pecore che compongono il suo gregge. Non si dimentichi però: se un pastore comincia a svolgere il proprio servizio come un mercenario, vivendo in modo contraddittorio a quel che pensa, poco per volta finirà anche per pensare come vive, in un triste circolo vizioso. E ciò sarebbe causa di grande rovina sia per il pastore sia per le pecore…

COMMENTI PATRISTICI

Dal Commento al Vangelo di san Giovanni di sant'Agostino, vescovo

OMELIA 46


Il buon Pastore e i mercenari.


Nella Chiesa ci sono molti che cercano vantaggi terreni, e tuttavia predicano Cristo. Anche per mezzo di essi si ascolta la voce di Cristo, e le pecore seguono, non il mercenario, ma per mezzo del mercenario la voce del Pastore.

1. Rivolgendosi il Signore Gesù alle sue pecore presenti e future che egli aveva davanti a sé (poiché quelle che avrebbero creduto in seguito si trovavano là insieme con quelle che erano già sue pecore); rivolgendosi tanto alle presenti che alle future, cioè a loro e a noi, e a quanti dopo di noi saranno sue pecore, mostra chi è colui che è stato inviato ad esse. Tutte ascoltano la voce del loro pastore che dice: Io sono il buon pastore (Gv 10, 11). Non avrebbe aggiunto buono se non ci fossero cattivi pastori. Ora i cattivi pastori sono i ladri e i briganti, oppure, più frequentemente, i mercenari. Dobbiamo individuare, precisare e discernere bene tutte queste figure. Il Signore ci ha già chiarito due cose che ci si presentavano piuttosto oscure: sappiamo già che la porta è lui, e che lui è anche il pastore. Chi siano i ladri e briganti è stato chiarito nella lettura di ieri; in quella di oggi abbiamo sentito parlare di mercenario e di lupo; ieri infine era venuto fuori anche il portinaio. Dobbiamo mettere nella categoria dei buoni, la porta e il portinaio, il pastore e le pecore; in quella dei cattivi, i ladri e i briganti, i mercenari e il lupo.
[Chi è la porta.]
2. Sappiamo che Cristo Signore è insieme la porta e il pastore; ma chi è il portinaio? Egli ha spiegato le prime due figure, ma ha lasciato a noi il compito di individuare il portinaio. Che dice del portinaio? A lui il portinaio apre (Gv 10, 3). A chi apre? Al pastore. Cosa apre al pastore? La porta. E chi è la porta? Il pastore stesso è la porta. Se Cristo Signore non ce l'avesse spiegato, se non ci avesse detto: Io sono il pastore, Io sono la porta (Gv 10, 9), chi di noi avrebbe osato dire che Cristo è il pastore e insieme la porta? Se infatti avesse detto: Io sono il pastore, e non avesse detto: Io sono la porta, noi saremmo ancora a cercare il significato della porta, e forse, scambiandola per un'altra cosa, saremmo rimasti davanti alla porta. Per sua grazia e misericordia ci ha spiegato chi è il pastore, e ci ha detto che egli stesso è il pastore; ci ha spiegato chi è la porta dicendoci che la porta è ancora lui. Ci rimane da cercare chi è il portinaio. Chi sarà il portinaio? Chiunque sia, dobbiamo stare attenti a non considerarlo superiore alla porta, dato che nella casa degli uomini il portinaio è più importante della porta. E' il portinaio infatti che viene preposto alla porta, non viceversa, perché è il portinaio che custodisce la porta, non viceversa. Non oso dire che c'è qualcuno superiore alla porta, dal momento che so chi è la porta. Lo so, non debbo far congetture, non si tratta di opinioni umane. Lo ha detto Dio, ha parlato la Verità, e non si può mutare ciò che ha detto l'immutabile.
3. Io dirò il mio parere in ordine a questa profonda questione, e ciascuno scelga ciò che gli piace, purché nutra sentimenti degni della maestà di Dio, secondo quanto sta scritto: Abbiate di Dio un buon concetto, e cercatelo con sincerità di cuore (Sap 1, 1). Forse dobbiamo ritenere che il portinaio è il Signore stesso. Nelle cose umane c'è ben più distanza tra il pastore e la porta che tra il portinaio e la porta: eppure il Signore si proclamò e pastore e porta. Perché allora non ammettere che egli è anche il portinaio? Se noi consideriamo la proprietà di tutte queste cose, in senso proprio il Signore non è nemmeno pastore, secondo quanto sappiamo e vediamo dei pastori; e non è nemmeno porta, non essendo stato fatto da alcun artigiano; ma se, tenendo conto di certe somiglianze, egli è la porta e il pastore, oserei dire che egli è anche la pecora. La pecora, è vero, sta sotto il pastore, e tuttavia egli è insieme pastore e pecora. Dove risulta che è pastore? Eccolo qui nel Vangelo: Io sono il buon pastore. Dove risulta che è pecora? Interroga il profeta: Come pecora è stato condotto al macello (Is 53, 7). Interroga anche l'amico dello sposo: Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo (Gv 1, 29). A proposito di queste similitudini, posso dirvi cose ancor più meravigliose. L'agnello, la pecora e il pastore sono legati tra loro da grande amicizia: le pecore, però, di solito sono difese dai pastori contro i leoni; e tuttavia di Cristo, che è pastore e pecora, leggiamo nell'Apocalisse: Ha vinto il leone della tribù di Giuda (Ap 5, 5). Tutte queste cose, fratelli, prendetele come similitudini, non in senso proprio. Siamo soliti vedere i pastori seduti su una pietra, e di là vegliare sulle pecore affidate alla loro custodia. Sicuramente il pastore è superiore alla pietra sopra la quale egli sta seduto; Cristo, tuttavia, è il pastore ed è la pietra. Tutto ciò ha valore di similitudine. Se mi chiedi chi è Cristo in senso proprio, ti rispondo: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio (Gv 1, 1). Se mi chiedi chi è Cristo in senso proprio, ti rispondo che è il Figlio unico, generato dal Padre dall'eternità per l'eternità, uguale a colui che lo ha generato, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, immutabile come il Padre, che non è cambiato per aver assunto la forma di uomo, uomo in virtù dell'incarnazione, figlio dell'uomo e Figlio di Dio. E tutto questo non è similitudine, ma realtà.
[Chi è il portinaio.]
4. Possiamo dunque benissimo ammettere, o fratelli, che, secondo certe similitudini, il Cristo è insieme porta e portinaio. A che serve infatti la porta? Per entrare. Chi è il portinaio? Colui che apre. E chi apre se stesso, se non colui che rivela se stesso? Ecco, il Signore aveva parlato della porta e noi non avevamo capito; quando non capivamo, la porta era chiusa. Chi ce l'ha aperta, quegli è il portinaio. Non c'è alcuna necessità di cercare altro: non c'è bisogno, ma forse c'è il desiderio di farlo. Se tu hai questo desiderio, non andare fuori strada, non allontanarti dalla Trinità. Se cerchi altrove la figura del portinaio, ti venga in soccorso lo Spirito Santo: non disdegnerà lo Spirito Santo di fare il portinaio, dal momento che il Figlio si è degnato di essere la porta. Vediamo se per caso il portinaio non sia lo Spirito Santo; il Signore stesso dice dello Spirito Santo ai suoi discepoli: Egli vi insegnerà tutta la verità (Gv 16, 13). Chi è la porta? Cristo. Chi è Cristo? La verità. Chi è che apre la porta se non colui che insegna tutta la verità?
[Chi è il mercenario.]
5. E che diremo del mercenario? Non è stato certo classificato fra i buoni. Il buon pastore - dice il Signore - dà la vita per le pecore; il mercenario, colui che non è pastore, al quale non appartengono le pecore, vede venire il lupo e abbandona le pecore e fugge; e il lupo le rapisce e le disperde (Gv 10, 11-12). Il mercenario non è certo una figura raccomandabile, e tuttavia a qualche cosa è utile; non verrebbe chiamato mercenario, se non ricevesse la mercede dal padrone. Chi è dunque questo mercenario, colpevole e necessario ad un tempo? Che il Signore ci illumini, o fratelli, in modo da riconoscere i mercenari e da non diventare noi stessi mercenari. Chi è dunque il mercenario? Vi sono alcuni nella Chiesa che sono preposti in autorità, e di essi l'apostolo Paolo dice: Cercano i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo (Fil 2, 21). Che vuol dire cercano i propri interessi? Vuol dire che non amano Cristo di un amore disinteressato, che non cercano Dio per se stesso; cercano privilegi e vantaggi temporali, sono avidi di denaro, ambiscono onori terreni. Tal sorta di prelati che amano queste cose e per esse servono Dio, sono mercenari; non possono considerarsi figli di Dio. Di costoro il Signore dice:In verità vi dico: hanno ricevuto la loro mercede (Mt 6, 5). Ascolta cosa dice del santo Timoteo l'apostolo Paolo: Spero nel Signore Gesù di mandarvi quanto prima Timoteo, affinché anch'io stia di buon animo conoscendo le vostre notizie. Infatti non ho nessuno che mi sia vicino d'animo quanto lui; egli si darà premura delle vostre cose con sincerità, giacché tutti cercano i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo (Fil 2, 19-21). Il pastore era afflitto di trovarsi in mezzo ai mercenari; cercò qualcuno che amasse sinceramente il gregge di Cristo, e attorno a sé, tra quelli che erano con lui allora, non lo trovò. Non che allora nella Chiesa di Cristo non ci fosse nessuno, all'infuori dell'apostolo Paolo e di Timoteo, che sinceramente fosse sollecito del gregge; però nel momento in cui mandò Timoteo, non aveva alcun altro figlio con sé, ma soltanto dei mercenari che, appunto, cercavano i propri interessi, non quelli di Cristo. E tuttavia egli era tanto sollecito del suo gregge che preferì mandare il figlio e rimanere in mezzo ai mercenari. Sappiamo che ci sono dei mercenari, ma chi sono lo sa soltanto il Signore che scruta i cuori. Qualche volta tuttavia li identifichiamo anche noi. Non per nulla infatti il Signore a proposito dei lupi disse: Li riconoscerete dai loro frutti (Mt 7, 16). Le prove della vita costringono molti a manifestare le loro vere intenzioni; quelle di tanti altri, infatti, rimangono nascoste. Sì, l'ovile di Cristo ha come responsabili dei figli e dei mercenari. Solo a patto che siano figli, i prelati sono pastori. Se sono pastori, come può esserci un solo pastore se non nel senso che tutti essi sono membra dell'unico Pastore di cui anche loro sono pecore? Anch'essi, infatti, sono membra di quell'unica pecora; poiché di lui è scritto: come pecora è stato condotto al macello.
[Sono necessari anche i mercenari.]
6. Ascoltate ora in che senso sono necessari anche i mercenari. Ci sono molti che nella Chiesa cercano vantaggi materiali, e tuttavia predicano Cristo, e anche per loro mezzo la voce di Cristo si fa sentire. Le pecore seguono non il mercenario, ma la voce del pastore che si è fatta sentire attraverso il mercenario. Ascoltate come il Signore stesso segnalò i mercenari: Gli scribi e i farisei - egli disse - siedono sulla cattedra di Mosè; fate quello che dicono, non fate ciò che fanno (Mt 23, 2). Che altro ha voluto dire se non che si prestasse ascolto alla voce del Pastore udita attraverso i mercenari? Sedendo infatti sulla cattedra di Mosè, essi insegnano la legge di Dio; quindi per mezzo loro è Dio che insegna. Ma se essi pretendessero insegnarvi le loro cose, non ascoltateli e non imitateli. Certamente costoro cercano i loro interessi, non quelli di Cristo; tuttavia nessun mercenario ha mai osato dire al popolo di Cristo: Cerca i tuoi interessi, non quelli di Cristo. Il male che fa non lo predica sulla cattedra di Cristo; reca danno perché agisce male, non in quanto predica bene. Cogli il grappolo, ma bada alle spine. E' chiaro? Penso di sì; ma per qualcuno più lento, mi spiegherò meglio. In che senso ho detto: Cogli il grappolo, ma bada alle spine, mentre il Signore dice: Forse che si coglie uva dalle spine, o fichi dai triboli? (Mt 7, 16). E' sicuramente vero, questo; ma è anche vero quello che ho detto io: cogli il grappolo, ma bada alle spine. Qualche volta il grappolo d'uva, venuto su dalla radice della vite, pende in mezzo ad una siepe; sviluppandosi, i tralci si sono intrecciati con le spine, e il pruno porta un frutto che non è suo. Non che la vite abbia prodotto delle spine, ma è il tralcio che si è allungato sul pruno. Se vuoi rendertene conto, rintraccia le radici. Cerca le radici delle spine, e le troverai distinte dalla vite; cerca l'origine dell'uva, e vedrai che essa risale alla radice della vite. La cattedra di Mosè era la vite, i costumi dei farisei erano le spine: la dottrina vera insegnata da uomini indegni era come il tralcio in mezzo alla siepe, come il grappolo in mezzo ai rovi. Cogli l'uva con precauzione, in modo da non lacerarti la mano mentre cerchi di prendere il frutto; e così, ascoltando le cose buone che uno dice, procura di non imitare le cose cattive che egli fa. Fate ciò che dicono, cioè cogliete l'uva; non fate ciò che fanno, cioè badate alle spine. Ascoltate la voce del pastore anche dalla bocca del mercenario, ma procurate di non essere anche voi dei mercenari, poiché siete membra del pastore. Il medesimo santo apostolo Paolo, che aveva detto: Non ho nessuno che si dia premura di voi con sincerità, giacché tutti cercano i propri interessi, non quelli di Cristo, ecco come in un altro passo distingue i figli dai mercenari: Alcuni, è vero, predicano Cristo per invidia e spirito di contesa, ma altri per buona volontà: gli uni lo fanno per amore, sapendo che io sono stato posto per la difesa del Vangelo; gli altri, invece, annunziano Cristo per ambizione, non sinceramente, stimando di procurare afflizione alle mie catene (Fil 1, 15-17). Costoro erano mercenari, ed erano invidiosi dell'apostolo Paolo. E perché erano invidiosi di lui? Perché cercavano i beni temporali. Ma notate che cosa aggiunge: Ma che importa? Purché in ogni maniera, o per secondi fini o con lealtà, Cristo venga annunciato, me ne rallegro e rallegrerò (Fil 1, 18). Cristo è la verità; la verità viene annunziata dai mercenari per secondi fini, mentre viene annunziata dai figli con lealtà. I figli aspettano pazientemente l'eredità eterna del Padre: i mercenari esigono subito la mercede temporale del padrone; diminuisca pure la mia gloria umana - quella gloria per cui i mercenari m'invidiano tanto -, purché attraverso la bocca dei mercenari come attraverso quella dei figli, si diffonda la gloria divina di Cristo, e Cristo, o per secondi fini o con lealtà, venga annunciato.
[I pastori sono membra del Pastore.]
7. Così abbiamo visto anche chi è il mercenario. E chi è il lupo, se non il diavolo? E che cosa è stato detto del mercenario? Vedendo venire il lupo fugge; perché non sono sue le pecore, e a lui non importa niente di esse (Gv 10, 12-13). Forse che faceva così l'apostolo Paolo? Certamente no. O forse Pietro? Certamente no. Forse gli altri apostoli, eccezion fatta di Giuda, il figlio della perdizione? No davvero. Allora essi erano pastori? Certamente. Ma non c'è un solo pastore? L'ho già detto: erano pastori perché membra del Pastore. Erano contenti di avere Lui per capo, vivevano in pieno accordo sotto di Lui, vivevano del medesimo Spirito nella compagine del medesimo corpo; e perciò appartenevano tutti all'unico Pastore. Se dunque erano pastori e non mercenari, perché fuggivano quando erano perseguitati? Spiegacelo, o Signore. Ho letto in una sua lettera che Paolo fuggì: lo calarono da un muro dentro una cesta perché sfuggisse alle mani del persecutore (cf. 2 Cor 11, 33). Non gl'importava dunque delle pecore, che egli abbandonava al sopraggiungere del lupo? Certo che gl'importava, ma le affidava, pregando, al pastore assiso in cielo, mentre, fuggendo, si conservava a vantaggio di esse, così come in un altro passo dice: Rimanere nella carne è più necessario per voi (Fil 1, 24). Tutti gli Apostoli, del resto, avevano sentito dire dal pastore stesso: Se vi perseguiteranno in una città, fuggite in un'altra (Mt 10, 23). Si degni il Signore risolvere questa difficoltà. Signore, tu hai detto a coloro di cui volevi fare dei pastori fedeli e che formavi perché fossero tue membra: Se vi perseguiteranno, fuggite. Fai torto a loro, quando rimproveri ai mercenari che vedendo venire il lupo fuggono. Ti preghiamo di rivelarci la profondità del problema; bussiamo, verrà ad aprirci il portinaio di quella porta che è lui stesso.
[I pastori sono anch'essi pecore.]
8. Chi è il mercenario, che vede venire il lupo e fugge? Chi cerca i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo, e non ha il coraggio di riprendere liberamente chi ha peccato (cf. 1 Tim 5, 20). Ad esempio, uno ha peccato, ha peccato gravemente; merita di essere rimproverato, e magari scomunicato; ma scomunicato, diventerà un nemico, procurerà delle noie e, se potrà, farà del male. Ora, chi cerca i propri interessi e non quelli di Gesù Cristo, per non perdere ciò che gli sta a cuore, per non perdere i vantaggi dell'amicizia degli uomini e per non incorrere nella molestia della loro inimicizia, tace, non interviene. Ecco, il lupo ha afferrato la pecora alla gola, il diavolo ha spinto il fedele all'adulterio; tu taci, non alzi la voce. Mercenario che sei: hai visto venire il lupo e sei fuggito. Forse egli dirà: eccomi qui, non sono fuggito. No, sei fuggito, perché hai taciuto; e hai taciuto perché hai avuto paura. La paura è la fuga dell'anima. Col corpo sei rimasto, ma con lo spirito sei fuggito: non era certo così che si comportava colui che diceva: Se col corpo sono assente, con lo spirito sono con voi (Col 2, 5). Come poteva fuggire con lo spirito colui che, sebbene assente col corpo, nelle sue lettere severamente rimproverava i fornicatori? I nostri sentimenti sono movimenti dell'anima. Nella letizia l'anima si dilata, nella tristezza si contrae; il desiderio è uno slancio dell'anima, il timore una fuga. Quando sei contento, la tua anima si dilata; quando sei angustiato si contrae; si protende in avanti quando desideri qualcosa, fugge quando hai paura. Ecco perché si dice che il mercenario alla vista del lupo fugge. Perché? Perché non gl'importa niente delle pecore. E perché non gl'importa niente delle pecore?Perché è mercenario. Che vuol dire: E' mercenario? Che cerca la mercede temporale, per cui non abiterà nella dimora eterna. Ci sarebbero ancora altre cose da cercare e da esaminare insieme, ma non è bene abusare della vostra attenzione. E' infatti nostro compito somministrare il divin nutrimento a chi, come voi, serve il Signore; guidiamo ai pascoli del Signore le pecore assieme alle quali anche noi ci nutriamo. Come non bisogna lasciar mancare il necessario, così non bisogna appesantire un cuore debole con un nutrimento troppo abbondante. Non dispiaccia quindi alla vostra Carità se oggi non dico tutto ciò che, a mio parere, rimane da dire sull'argomento. Però, non appena dovrò parlare, nel nome del Signore, sarà letto di nuovo questo passo, e, col suo aiuto, lo tratteremo a fondo.

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OMELIA 47


Il buon Pastore dà la vita.


Siete pecore di Cristo, acquistate a prezzo del suo sangue. Riconoscete il vostro prezzo, che non è versato da me, ma da me è annunciato. Se altri hanno dato la vita per il gregge, non l'han potuto fare senza il buon Pastore, il quale solo ha potuto fare questo senza di loro.
1. Voi che avete ascoltato non solo di buon grado ma anche con attenzione la parola del nostro Dio, senza dubbio ricordate la nostra promessa. Come avete notato, oggi è stata letta quella medesima pagina del Vangelo che era stata letta domenica scorsa; perché, costretti a soffermarci su alcuni punti, abbiamo dovuto tralasciarne altri che pure meritavano la vostra attenzione. Oggi, pertanto, non torneremo sulle cose già dette e spiegate, perché tale ripetizione ci impedirebbe di arrivare a ciò che ancora rimane da dire. Ormai sapete, nel nome del Signore, chi è il buon pastore, e come tutti i buoni pastori siano sue membra, e perciò uno solo è il pastore; sapete chi è da tollerarsi come mercenario, chi è il lupo, chi sono i ladri e i briganti da cui ci si deve guardare; sapete chi sono le pecore, chi è la porta per la quale entrano sia le pecore che il pastore, e chi si deve intendere come portinaio. Sapete pure che chi non entra per la porta è un ladro e un brigante, che viene solo per rubare, uccidere e distruggere. Ritengo che tutte queste cose siano state sufficientemente spiegate. Oggi, con l'aiuto del Signore, dobbiamo dire in che modo egli entra attraverso se stesso, poiché il medesimo Gesù Cristo nostro Salvatore ha detto di essere sia il pastore che la porta, e ha aggiunto che il buon pastore entra per la porta. Se infatti nessuno è buon pastore se non quello che entra per la porta, ed egli è il buon pastore per eccellenza ed è insieme la porta, dobbiamo per forza concludere che egli entra attraverso se stesso dalle sue pecore, per dar loro la voce in modo che lo seguano, ed esse, entrando e uscendo, trovano i pascoli, cioè la vita eterna.
[Riconoscete il vostro prezzo.]
2. Vi dirò subito: Io vi predico Cristo con l'intento di entrare in voi, cioè nel vostro cuore. Se altro vi predicassi, tenterei di entrare in voi per altra via. E' Cristo la porta per cui io entro in voi; entro per Cristo non nelle vostre pareti domestiche, ma nei vostri cuori: entro per Cristo, e volentieri voi ascoltate Cristo in me. Perché ascoltate volentieri Cristo in me? Perché siete sue pecore, perché siete stati redenti col suo sangue. Voi riconoscete il prezzo della vostra redenzione, che non ho dato io, ma che per mezzo mio vi viene annunziato. Egli vi ha redenti, egli che ha versato il suo sangue prezioso: prezioso è il sangue di colui che è senza peccato. Egli stesso tuttavia ha reso prezioso anche il sangue dei suoi, per i quali ha pagato il prezzo del suo sangue. Se non avesse reso prezioso il sangue dei suoi, il salmista non direbbe: E' preziosa al cospetto del Signore la morte dei suoi santi (Sal 115, 15). Egli ci dice: Il buon pastore dà la sua vita per le pecore (Gv 10, 11). E' vero, non è stato lui solo a far questo: e tuttavia, se quelli che lo hanno fatto sono sue membra, è sempre lui solo che lo ha fatto. Egli infatti poté far questo senza di loro; ma loro non avrebbero potuto senza di lui, dal momento che egli stesso ha detto: Senza di me non potete far nulla (Gv 15, 5). Abbiamo qui esposto ciò che anche altri hanno affermato, come lo stesso apostolo Giovanni, che annunciò questo Vangelo che state ascoltando; nella sua lettera ci dice: Come Cristo ha offerto la sua vita per noi, così anche noi dobbiamo per i fratelli offrire le nostre vite (1 Io 3, 16). Dobbiamo, dice; ce n'ha creato l'obbligo colui che per primo si è offerto. E così, in altro luogo sta scritto: Se ti capiterà di sedere alla mensa di un potente, bada bene a ciò che ti viene messo davanti; metti un freno alla tua voracità, sapendo che dovrai ricambiare (Prv 23, 1-2 sec. LXX). Voi sapete qual è la mensa del Potente; su quella mensa c'è il corpo e il sangue di Cristo; chi si accosta a tale mensa, si appresti a ricambiare il dono che riceve; e cioè, come Cristo ha offerto la sua vita per noi, noi dobbiamo fare altrettanto: per edificare il popolo e confermare la fede dobbiamo offrire le nostre vite per i fratelli. Così a Pietro, di cui voleva fare un buon pastore, non a vantaggio di lui ma del suo corpo, il Signore disse: Pietro, mi ami? Pasci le mie pecore (Gv 21, 15). E questa domanda gliela fa una, due, tre volte, fino a contristarlo. E dopo averlo interrogato quante volte ritenne opportuno, affinché la sua triplice confessione riscattasse la sua triplice negazione, e dopo avergli per tre volte affidato le sue pecore da pascere, il Signore gli disse: Quando eri giovane ti cingevi e andavi dove volevi, ma quando sarai vecchio stenderai le braccia e un altro ti cingerà e ti condurrà dove tu non vorrai. E l'evangelista spiega ciò che il Signore aveva inteso dire: Disse questo per indicare con qual genere di morte avrebbe glorificato Dio (Gv 21, 18-19). La consegnapasci le mie pecore, non significa dunque altro che questo: offri la tua vita per le mie pecore.
[Cristo predica Cristo.]
3. C'è ancora qualcuno che ignora il significato delle parole: Come il Padre conosce me e io conosco il Padre? Egli conosce il Padre per se stesso, noi lo conosciamo per mezzo suo. Sappiamo che egli lo conosce per se stesso, e sappiamo pure che noi lo conosciamo a nostra volta per mezzo di lui. E' per mezzo di lui che conosciamo tutto ciò. Egli stesso ce lo ha detto: Dio nessuno l'ha mai visto se non l'unigenito Figlio che è nel seno del Padre, il quale ce lo ha rivelato (Gv 1, 18). Quindi anche noi, ai quali lo ha rivelato, abbiamo conosciuto Dio per mezzo di lui. E altrove il Signore dice: Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo (Mt 11, 27). Allo stesso modo che conosce il Padre per se stesso mentre noi lo conosciamo per mezzo di lui, così egli entra nell'ovile per se stesso e noi vi entriamo per mezzo di lui. Dicevamo che Cristo è la porta per cui possiamo entrare in voi; perché? perché predichiamo Cristo. Noi predichiamo Cristo, e perciò entriamo per la porta. Cristo predica Cristo, in quanto predica se stesso; e perciò il pastore entra attraverso se stesso. Quando la luce manifesta le cose da essa illuminate, ha forse bisogno di essere rischiarata da un'altra luce? La luce rischiara le altre cose e se stessa. Tutto ciò che intendiamo, lo intendiamo mediante l'intelligenza; ma l'intelligenza medesima, in che modo la intendiamo se non con l'intelligenza stessa? Forse si può dire altrettanto per l'occhio del corpo: che vede le altre cose e vede se stesso? No: l'uomo vede con i suoi occhi, ma non vede i suoi occhi. L'occhio del corpo può vedere le altre cose, ma non se stesso; l'intelletto, invece, intende le altre cose e anche se stesso. Nello stesso modo in cui l'intelletto vede se stesso, Cristo predica se stesso. Se predica se stesso, e predicando se stesso entra in te, vuol dire che entra in te passando attraverso se stesso. Egli è anche la porta per andare al Padre; perché, fuori di lui, nessuno può giungere al Padre. Uno solo infatti è Dio, e uno solo il mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù (cf. 1 Tim 2, 5). Con la parola si possono dire molte cose; tutto ciò che vi ho detto, ve l'ho detto appunto mediante la parola. Tanto che se voglio dire "parola", devo usare una parola. Così per mezzo della parola si possono esprimere altre cose che non sono la parola, e la parola stessa non si può esprimere se non ricorrendo alla parola. Con l'aiuto del Signore abbiamo abbondato in esempi. Tenete dunque bene a mente che il Signore Gesù Cristo è la porta ed è il pastore: è la porta in quanto si apre, cioè si rivela, ed è il pastore in quanto entra attraverso se stesso. Per la verità, o fratelli, la prerogativa di pastore l'ha comunicata anche alle sue membra; e così sono pastori Pietro, Paolo, tutti gli altri apostoli e tutti i buoni vescovi. Nessuno di noi, però, osa dire di essere la porta: per sé solo Cristo si è riservato di essere la porta per la quale devono entrare le pecore. Certamente l'apostolo Paolo adempiva l'ufficio di buon pastore quando predicava Cristo, perché entrava per la porta. Ma quando pecore indocili cominciarono a dividersi e a crearsi altre porte, non per entrare e raccogliersi, ma per sbandarsi e dividersi, dicendo gli uni io sono di Paolo, altri io sono di Cefa, altri ancora io sono di Apollo, altri infine io sono di Cristo; allora l'Apostolo, scagliandosi contro coloro che dicevano io sono di Paolo, gridò, quasi parlasse a delle pecore: Sciagurate, dove andate? Non sono io la porta. Forse che Paolo è stato crocifisso per voi? O nel nome di Paolo siete stati battezzati? (1 Cor 1, 12-13). Quelli che invece dicevano: io sono di Cristo, essi avevano trovato la porta.
[Un solo ovile e un solo pastore.]
4. Continuamente avete sentito parlare dell'unico ovile e dell'unico pastore; con insistenza vi abbiamo ricordato che esiste un unico ovile, predicandovi l'unità, in modo che tutte le pecore vi si raccolgano passando per Cristo e nessuna di esse segua Donato. Del resto, è chiaro il motivo che indusse il Signore a tenere questo discorso. Egli si rivolgeva ai Giudei, era stato inviato anzitutto ai Giudei, non a quelli che si accanivano nel loro odio e si ostinavano a rimanere nelle tenebre, ma a coloro tra essi che egli chiamò sue pecore e dei quali dice: Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d'lsraele (Mt 15, 24). Li riconosceva in mezzo alla folla inferocita, e li vedeva già nella pace dei credenti. Che significa: non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d'Israele? Significa che soltanto al popolo d'Israele si presentò personalmente in carne ed ossa. Non si recò personalmente presso i popoli pagani, ma inviò altri; al popolo d'Israele, invece, inviò altri e andò egli stesso, in modo che quanti lo disprezzavano fossero più severamente giudicati, poiché si era presentato loro anche personalmente. In quella terra abitò, lì si scelse la madre, lì volle essere concepito, volle nascere e versare il suo sangue; in quella terra anche adesso si venerano le orme che egli vi lasciò impresse prima di ascendere al cielo. Ai gentili, invece, mandò gli Apostoli.
5. Ma forse qualcuno pensa che non essendo egli venuto a noi di persona ma avendo mandato altri, noi non abbiamo ascoltato la sua voce ma quella di coloro che ci ha mandato. Per carità, allontanate dai vostri cuori un simile pensiero: era lui che parlava in coloro che ci mandò. Ascolta Paolo che egli inviò come apostolo precipuamente al mondo pagano; e Paolo, sfidando non in nome proprio, ma in nome di Cristo, dice: Volete una prova del Cristo che parla in me? (2 Cor 13, 3). Ascoltate cosa dice il Signore stesso: Ed ho altre pecore, cioè i gentili, che non sono di quest'ovile, che cioè non appartengono al popolo d'Israele; anche quelle io devo radunare. Dunque è lui, non altri, che le raduna, anche se lo fa per mezzo dei suoi. E aggiunge: E ascolteranno la mia voce. Ecco, anche per mezzo dei suoi è lui che parla, e per mezzo di coloro che egli manda è la sua voce che si ascolta. E si farà un solo ovile e un solo pastore (Gv 10, 16). Di questi due greggi, come di due muri, egli è diventato la pietra angolare. Oltre che la porta, dunque, egli è anche la pietra angolare; sempre come similitudine, non in senso proprio.
[Senso proprio e senso figurato.]
6. Ve l'ho detto e ve l'ho raccomandato vivamente: chi comprende è in grado di gustare, o meglio chi gusta comprende; e chi non è ancora arrivato a gustare con l'intelligenza, custodisca mediante la fede ciò che ancora non riesce a comprendere. Per similitudine si riferiscono a Cristo molte cose che lui propriamente non è. Per similitudine Cristo è la pietra, la porta, la pietra angolare, il pastore, l'agnello, ed anche il leone, e molte altre cose che sarebbe lungo enumerare. Se poi esamini la proprietà delle cose che sei solito vedere, egli non è pietra, poiché non è duro né insensibile; non è porta, poiché non è stato fatto da un artigiano; non è pietra angolare, poiché non è stato squadrato dal muratore; non è pastore, poiché non è custode di quadrupedi; non è leone perché non è una belva; non è agnello perché non è un animale. Egli è tutte queste cose per similitudine. Che cosa è egli in senso proprio? In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio (Gv 1, 1). E allora, l'uomo che è apparso in terra? E il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi (Gv 1, 14).
7. Ascolta ancora. Per questo il Padre mi ama - dice - perché io do la mia vita, per riprenderla di nuovo (Gv 10, 17). Che vuol dire per questo il Padre mi ama? che io muoio per risorgere. Dice Io con grande solennità. Perché - dice - io do la mia vita. Che significa io do? Sono io che la do. Non si vantino i Giudei: essi possono infierire, ma sopra di me non hanno alcun potere. Infieriscano quanto vogliono: se io non volessi dare la mia vita, cosa potrebbero fare con tutta la loro crudeltà? E' bastata una risposta per atterrarli. Quando fu chiesto loro: Chi cercate?, essi risposero: Gesù; egli disse: Sono io! ed essi allora indietreggiarono e caddero a terra (Gv 18, 4-6). Coloro che alla sola voce di Cristo che stava per morire caddero a terra, che faranno alla voce di lui quando verrà per giudicare? Io, dice, io do la mia vita, per riprenderla di nuovo. Non si glorino i Giudei, come se avessero riportato vittoria su di lui; è lui che ha offerto la sua vita. Io mi sono coricato - dice un salmo a voi ben noto - io mi sono coricato e ho preso sonno; poi mi sono alzato, perché il Signore mi sorregge (Sal 3, 6). Questo salmo è stato letto adesso, lo abbiamo appena ascoltato: Io mi sono coricato e ho preso sonno, poi mi sono alzato, perché il Signore mi sorregge. Che significa io mi sono coricato? Significa che mi sono coricato perché ho voluto io. Che significa mi sono coricato? Che sono morto. Non si è forse coricato per dormire colui che quando volle si alzò dal sepolcro come da un letto? Però egli ama riferire la gloria al Padre, per educare noi a dare gloria al Creatore. Pensate che avendo aggiunto mi sono alzato perché il Signore mi sorregge, pensate, dico, che qui sia come venuta meno la sua potenza, tanto che poté morire, ma poi non poté risorgere? Così infatti potrebbero suonare queste parole a chi le consideri con poca attenzione. Io mi sono coricato, cioè mi sono coricato perché ho voluto io; e mi sono alzato, perché? perché il Signore mi sorregge. Vorrebbe dire allora che tu, da te stesso, non eri capace di alzarti? Se tu non ne fossi stato capace, non avresti detto: Ho il potere di dare la mia vita e il potere di riprenderla (Gv 10, 18). In altro passo del Vangelo si dice che non è soltanto il Padre a risuscitare il Figlio, ma è anche il Figlio a risuscitare se stesso: Distruggete questo tempio , - disse - e in tre giorni lo farò risorgere. E l'evangelista osserva: Egli parlava del tempio del suo corpo (Gv 2, 19 21). Doveva infatti risuscitare ciò che moriva; ora, il Verbo non è morto, e neppure la sua anima. Poteva morire l'anima del Signore, dal momento che nemmeno la tua muore?
8. Come faccio a sapere - domandi - che la mia anima non muore? Se tu non la uccidi, non muore. In che senso - domandi - io posso uccidere la mia anima? La bocca menzognera uccide l'anima (Sap 1, 11); per non parlare d'altri peccati. Come posso essere sicuro - tu insisti - che non muore? Ascolta il Signore che dà questa sicurezza al suo servo: Non dovete temere coloro che uccidono il corpo, e, oltre a ciò, non possono fare di più. E più precisamente che cosa ha detto? Temete, piuttosto, colui che può far perire anima e corpo nella geenna (Mt 10, 28; Lc 12, 4-5). Ecco la dimostrazione che l'anima muore, e non muore. Ma quand'è che muore l'anima, e quand'è che muore il corpo? Il corpo muore quando perde la sua vita; l'anima muore quando perde la sua vita. Ora, la vita del tuo corpo è la tua anima; la vita della tua anima è il tuo Dio. Nello stesso modo che il corpo muore quando perde l'anima che è la sua vita, così l'anima muore quando perde Dio che è la sua vita. Certamente l'anima è immortale, e talmente immortale che vive anche quando è morta. Si può dire dell'anima che ha abbandonato il suo Dio ciò che l'Apostolo dice della vedova che si abbandona ai piaceri: Anche se viva, è già morta (1 Tim 5, 6).
[Gli apollinaristi.]
9. In che modo, dunque, il Signore dà la sua anima? Fratelli, cerchiamo un po' più attentamente. Non siamo sotto l'urgenza del tempo come alla domenica. Il tempo c'è, e coloro che anche oggi sono convenuti per ascoltare la parola di Dio, ne approfittino. Io do - dice il Signore - la mia vita. Chi dà? e che cosa dà? Che è Cristo? Verbo e uomo. Non è uomo sì da essere solo corpo: in quanto uomo, è composto di corpo e di anima; in Cristo c'è l'uomo completo. Non ha assunto la parte meno nobile tralasciando quella migliore; e la parte migliore dell'uomo, rispetto al corpo, è l'anima. Poiché dunque in Cristo c'è l'uomo tutto intero, cosa è Cristo? Ho detto che è Verbo e uomo. Che significa Verbo e uomo? Significa Verbo, e anima e corpo. Tenetelo fermamente, perché anche a questo riguardo non sono mancati gli eretici, che a suo tempo furono allontanati dalla verità cattolica, i quali, tuttavia, come ladri e briganti che non entrano per la porta, non hanno cessato d'insidiare l'ovile. Gli apollinaristi sono considerati eretici perché hanno osato affermare che Cristo è soltanto Verbo e carne: essi sostengono che egli non ha assunto l'anima umana; però qualcuno di loro ha dovuto ammettere che in Cristo vi è anche l'anima. Vedete che assurdità, e che insipienza davvero insopportabile! Concedono a Cristo un'anima irrazionale, ma gli rifiutano l'anima razionale; gli concedono un'anima belluina, ma gli tolgono quella umana. Tolgono a Cristo la ragione perché essi ne sono privi. Lungi da noi tale demenza, da noi che siamo cresciuti e consolidati nella fede cattolica. Colgo l'occasione per ricordare alla vostra Carità che nelle precedenti letture vi abbiamo sufficientemente preparati contro i sabelliani e gli ariani. I sabelliani dicono che il Padre e il Figlio sono la medesima persona, mentre gli ariani affermano che il Padre e il Figlio non sono della medesima sostanza. Vi abbiamo anche istruiti, come certamente ricordate, contro i fotiniani, i quali dicevano che Cristo è solo uomo e non Dio; contro i manichei che affermano essere Cristo solo Dio e non uomo. Prendendo ora occasione dal tema dell'anima, vogliamo mettervi in guardia contro gli apollinaristi, secondo i quali nostro Signore Gesù Cristo non aveva un'anima umana, cioè un'anima razionale e intelligente, quell'anima, insomma, per cui ci distinguiamo dalle bestie e siamo uomini.
10. In che senso dunque qui il Signore disse: Ho il potere di dare la mia vita? Chi la dà in modo da poterla riprendere? E' Cristo che dà la sua anima e la riprende, per il fatto che è il Verbo? Oppure è la sua anima, in quanto è anima umana, che ha il potere di darsi e di riprendersi? Oppure è la sua carne come tale che dà l'anima e la riprende di nuovo? Ho prospettato tre ipotesi, discutiamole tutte e tre, e scegliamo quella che è più conforme alla verità. Se diciamo che il Verbo di Dio ha dato la sua anima e poi l'ha ripresa di nuovo, c'è da temere che subentri un pensiero inesatto, e ci si obietti: Allora per un certo tempo quell'anima è stata separata dal Verbo, e il Verbo, anche dopo assunta l'anima umana è rimasto privo dell'anima. E' chiaro che quando in principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio, il Verbo non aveva un'anima umana; ma dacché il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi (cf. Gv 1, 1 14), da quando il Verbo assunse la natura umana tutta intera, corpo e anima, che altro potevano fare la passione e la morte, se non separare il corpo dall'anima? Non potevano certo separare l'anima dal Verbo. Se infatti il Signore è morto, anzi per il fatto che il Signore è morto, morto per noi sulla croce, senza dubbio è stata la sua carne a esalare l'anima: per breve tempo l'anima si separò dalla carne, che, con il ritorno dell'anima, sarebbe risorta. Ma non dirò mai che l'anima si è separata dal Verbo. All'anima del buon ladrone ha detto: Oggi sarai con me in paradiso (Lc 23, 43). Egli che non abbandonò l'anima fedele del ladrone, poteva forse abbandonare la sua? No di certo. Egli ha custodito, come Signore, l'anima del ladrone, ed è rimasto inseparabilmente unito alla sua. Se diciamo poi che fu l'anima stessa a darsi e poi a riprendersi, diremmo la cosa più assurda; quell'anima, infatti, che non si era separata dal Verbo, tanto meno poteva separarsi da se medesima.
[Verbo, anima e corpo.]
11. Diciamo allora ciò che è vero, e facilmente comprensibile. Ecco un uomo qualsiasi, non risultante di Verbo e di anima e di corpo, ma soltanto di anima e di corpo: domandiamogli come può questo qualsiasi uomo dare la sua anima. Non si troverà forse nessuno che dà la sua anima? Tu mi dirai che nessun uomo ha il potere di dare la sua anima e poi riprenderla. Ma se l'uomo non potesse dare la sua anima, l'apostolo Giovanni non direbbe: Come Cristo ha offerto per noi la sua anima, così anche noi dobbiamo offrire le nostre anime per i fratelli (1 Io 3, 16). E' quindi possibile anche a noi (se veniamo riempiti della sua forza, dato che senza di lui non possiamo far nulla) offrire le nostre anime per i fratelli. Quando un santo martire offre la sua anima per i fratelli, chi la offre e quale anima offre? Se teniamo conto di questo, capiremo in che senso Cristo dice: Ho il potere di dare la mia anima. O uomo, sei pronto a morire per Cristo? Egli risponde che è pronto. Uso un'altra espressione: Sei pronto a dare la tua anima per Cristo? Egli mi darà la stessa risposta che mi ha dato quando gli ho chiesto se era pronto a morire: Sì, sono pronto. Dare la propria anima significa dunque morire. Ma per chi si dà l'anima? Tutti gli uomini infatti, quando muoiono, danno l'anima; però non tutti la danno per Cristo. E nessuno ha il potere di riprenderla; Cristo invece ha dato l'anima per noi e l'ha data quando ha voluto, e quando ha voluto l'ha ripresa. Dare l'anima significa dunque morire. In questo senso l'apostolo Pietro disse al Signore: Io darò la mia anima per te (Gv 13, 37); cioè morirò per te. E' questa una facoltà che possiede la carne: la carne dà la sua anima, e la carne di nuovo la riprende; tuttavia non per decisione sua ma di chi abita la carne. La carne infatti dà la sua anima spirando. Guarda il Signore sulla croce. Egli dice: Ho sete. I presenti allora intinsero una spugna nell'aceto, la legarono ad una canna e l'accostarono alla sua bocca. Dopo che egli ebbe preso l'aceto, disse: E' compiuto. Che significa E' compiuto? Che si sono compiute tutte le profezie che si riferivano a me, prima della morte. E, siccome egli aveva il potere di dare la sua anima quando voleva, dopo aver detto: E' compiuto,l'evangelista dice: E, chinato il capo, rese lo spirito (Gv 19, 28-30). Questo significa dare l'anima. E' un punto che merita tutta l'attenzione della vostra Carità. E, chinato il capo, rese lo spirito. Chi rese? E cosa rese? Rese lo spirito e fu la carne a renderlo. Che significa: la carne rese lo spirito? Che la carne lo emise, lo emise come un respiro. Si dice spirare per dire che si mette fuori lo spirito. Come si dice esiliare per dire che si mette uno fuori del proprio suolo, ed esorbitare per dire che uno esce fuori della sua orbita, così si dice spirare per dire che si mette fuori lo spirito; il quale spirito è poi l'anima. Quando dunque l'anima esce dalla carne, e la carne rimane senza anima, allora si dice che l'uomo ha dato l'anima. Quando Cristo diede l'anima? Quando il Verbo volle. La potestà infatti l'aveva il Verbo: in lui risiedeva il potere per decidere quando la carne dovesse dare l'anima, e quando dovesse riprenderla.
12. Ora, se la carne diede l'anima, in che senso la diede Cristo? Non è forse Cristo la carne? Certamente: la carne è Cristo, l'anima è Cristo, il Verbo è Cristo; e tuttavia queste tre cose non sono tre Cristi, ma un solo Cristo. Considera l'uomo, e, partendo da te, sali gradatamente a ciò che sta sopra di te, se non ancora per comprenderlo, almeno per crederlo. Allo stesso modo, infatti, che l'anima e il corpo sono un solo uomo, così il Verbo e l'uomo sono un solo Cristo. Badate a ciò che vi dico, e cercate di comprendere. L'anima e il corpo sono due realtà, ma un solo uomo; il Verbo e l'uomo sono due realtà, ma un solo Cristo. Prendiamo ad esempio un uomo. Dov'è ora l'apostolo Paolo? Se uno mi risponde che riposa in Cristo, dice la verità. Ma altrettanto dice la verità se uno risponde che è a Roma nel suo sepolcro. Il primo si riferisce all'anima, il secondo al corpo. Con ciò non si vuol dire che vi sono due apostoli Paolo: uno che riposa in Cristo, l'altro che giace nel sepolcro; e quantunque diciamo che l'apostolo Paolo vive in Cristo, diciamo che il medesimo apostolo giace nel sepolcro. Quando uno muore, diciamo: Era buono, era fedele; ora è in pace col Signore; e subito dopo diciamo: Andiamo al suo funerale, e seppelliamolo. Vai a seppellire colui che prima avevi detto essere con Dio nella pace. Poiché una cosa è l'anima che vive immortale, altra cosa è il corpo che giace nella corruzione; dal momento in cui l'unione del corpo e dell'anima ha preso nome di uomo, l'uno e l'altra, anche dopo la separazione, mantengono il nome di uomo.
[Chi dà la vita è la carne, chi decide è il Verbo.]
13. Nessuno dunque sia titubante, quando sente dire da parte del Signore: Io do la mia anima, per riprenderla di nuovo (Gv 10, 17). E' la carne che la dà, ma il potere appartiene al Verbo; ed è la carne che la riprende, ma sempre in virtù del Verbo. E' stata chiamata col nome di Cristo Signore anche solamente la carne. Che prova ne hai? mi si domanda. Sì, oso affermare che col nome di Cristo è stata designata anche solamente la carne di Cristo. Certamente noi crediamo non soltanto in Dio Padre, ma anche in Gesù Cristo, suo unico Figlio e nostro Signore. Ora ho detto tutto: Gesù Cristo, suo unico Figlio e nostro Signore. Qui c'è tutto: il Verbo, l'anima, la carne. Ma certamente tu confessi anche ciò che dice la medesima fede: Credo in quel Cristo che fu crocifisso e sepolto. Quindi non neghi che Cristo sia stato anche sepolto; e tuttavia soltanto la sua carne è stata sepolta. Se infatti fosse stata presente l'anima, non si potrebbe dire che morì; se però la sua morte è stata vera, così da essere altrettanto vera la sua risurrezione, egli restò nel sepolcro senza anima; e tuttavia fu sepolto Cristo. Poiché dunque non fu sepolta se non la sua carne, anche la carne senza l'anima era Cristo. Ne hai la conferma nelle parole dell'Apostolo, quando dice: Abbiate gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù: lui di natura divina, non tenne per sé gelosamente l'essere pari con Dio. Di chi parla l'Apostolo se non di Cristo Gesù in quanto Verbo, Dio presso Dio? Guarda però quello che segue: anzi annientò se stesso col prendere forma di servo, diventando simile agli uomini, ed è stato trovato come un uomo qualsiasi nell'aspetto esterno. Di chi parla ora se non del medesimo Cristo Gesù? Ma qui ormai c'è tutto: c'è il Verbo, nella forma di Dio che prese la forma di servo; c'è l'anima e il corpo, nella forma di servo che fu assunta dalla forma di Dio. Si umiliò facendosi obbediente fino alla morte(Fil 2, 6-8). E nella morte soltanto il corpo fu ucciso dai Giudei. Se infatti egli disse ai discepoli: Non dovete temere coloro che uccidono il corpo ma non possono uccidere l'anima(Mt 10, 28), forse che in lui i Giudei poterono uccidere qualcosa di più del corpo? E tuttavia, essendo stato ucciso il corpo, fu ucciso Cristo. Così, quando il corpo rese l'anima, Cristo diede l'anima; e quando il corpo per risorgere riprese l'anima, Cristo stesso riprese l'anima. E tuttavia ciò non avvenne per il potere del corpo, ma per il potere di colui che prese l'anima e il corpo, in cui si potessero compiere tutte queste cose.
14. Questo - dice - è il comandamento che ho ricevuto dal Padre mio. Il Verbo non ha ricevuto il comandamento per mezzo di una parola, poiché nel Verbo unico del Padre è ogni comandamento. Quando infatti si dice che il Figlio riceve dal Padre ciò che sostanzialmente possiede - con le parole: Come il Padre ha in se stesso la vita, così ha dato al Figlio d'aver la vita in se stesso (Gv 5, 26), essendo il Figlio stesso la vita -, non viene diminuito il suo potere, ma viene resa manifesta la sua generazione. Infatti il Padre non aggiunse nulla al Figlio, come se fosse nato imperfetto, ma generandolo perfetto, tutto gli diede nell'atto stesso della generazione: siccome non lo generò disuguale, gli comunicò l'uguaglianza con sé. Ma quando il Signore disse queste cose, siccome egli era la luce che splendeva nelle tenebre, le tenebre non lo compresero (cf. Gv 1, 5). Ci fu di nuovo discordia fra i Giudei per queste parole. Molti poi di essi dicevano: E' un indemoniato, delira! perché lo ascoltate? Queste erano le tenebre più dense. Altri dicevano: Queste parole non sono da indemoniato. Un demonio può forse aprire gli occhi ai ciechi? (Gv 10, 19-21). Questi cominciavano ad aprire gli occhi.

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Dai "Discorsi" di sant'Agostino, vescovo

DISCORSO 366


SUL SALMO 22, 1: " ISIGNORE MI GUIDA E NULLA MI MANCA ".

Esposizione al Salmo 22 fatta ai battezzandi che lo studieranno a memoria.
1. In nome del Signore, o carissimi, vi consegniamo il Salmo che dovete imparare a memoria per il Battesimo che bramate ricevere, e dobbiamo anche interpretarvene il significato profondo, chiedendo alla grazia divina di illuminarcelo. Tema specifico del Salmo è il riscatto del genere umano dalla sua caduta, e la dottrina della Chiesa unitamente ai suoi misteri. Ponete ora il vostro cuore in ascolto nel silenzio in modo da offrire con la vostra attenzione piena il solco adatto ad accogliere il seme della parola: il terreno assetato, quando avrà ricevuto il seme e quando a suo tempo il sangue di Cristo l'avrà irrorato inebriandolo, germinerà facendo crescere alta la spiga, e sarà abbondante la messe.
Ps 22, 1: Solo perché riscattato dal Cristo, l'uomo può intonare la lode del salmo.
2. Il Signore mi guida e nulla mi manca: è un alto inizio di lode, o miei carissimi. Dire: Il Signore mi guida rinsalda la nostra fiducia nella protezione che riceviamo; dire: e nulla mi manca consolida i beni infiniti di grazia che sono nostra ricca sostanza di vita. Ma chiediamoci chi pronuncia questa lode e cerchiamo di capirne la misura e la qualità. La pronuncia proprio quell'uomo che, mentre scendeva da Gerusalemme a Gerico, si imbatté nei briganti. La pronuncia colui che, spogliato della dignità della sua prima origine, giaceva senza forze, nudo a terra sul telo della sepoltura. E ancora, lo dice chi, come rivelò l'annuncio della Legge e dei Profeti, dopo aver tentato di rialzarsi con le proprie forze, crollò per il dolore della sua ferita e ricadde con più grave caduta nella stessa condizione in cui era prostrato: infatti dice l'Apostolo: la Legge non ha portato nulla alla perfezione. All'uomo che giaceva in tale condizione portò aiuto il nostro Samaritano, cioè Gesù, che i Giudei chiamarono Samaritano, che significa custode; egli che, mosso da misericordia, passava per quella via - cioè si era incarnato per morire, lui giusto, per i nostri peccati -, sollevò da terra l'uomo giacente, lo caricò sul suo asino. Quando l'uomo se ne andava come pecora errante, egli lo prese sulle sue spalle e lo riportò nel paradiso da cui era caduto, ricomponendo così il numero perfetto di cento, il gregge completo. Dice infatti il profeta: Egli ha preso su di sé i nostri peccati, si è addossato i nostri dolori. Dunque tu, uomo che sei portato sul giumento della misericordia, sei portato sulle spalle del Signore che ti ama, e sei conosciuto, amato dal tuo creatore e Signore, e lo conosci, lo ami a tua volta, proclama ormai: Il Signore è mia guida. Non potresti certamente dichiararlo se fossi ancora steso a terra, se non fossi stato risollevato dal Signore. Il suo guidarti è un portarti. E quando tu dici: Il Signore mi guida, riconosci di non avere in te nulla di tuo proprio che ti faccia porre in te stesso la fiducia. Sta' dunque attento a non vantarti di meriti tuoi, perché non ne avevi affatto quando venne il Signore a risollevarti. Egli ti trovò nudo, non vestito, piagato, non sano, giacente, non eretto, vagante nell'errore, non sul cammino del ritorno. Bada quindi di non vantarti, guardatene bene: lui che ebbe pietà di te e ti risollevò da terra mezzo morto, ora continua a portarti sulle sue spalle, se ti mantieni umile, mentre se ti vanti, ti fa cadere. Così, camminando nel timore e nella rettitudine, dopo aver detto: Il Signore è mia guida, aggiungerai con fiducia: e nulla mi mancherà. Infatti è scritto:Nulla manca a coloro che lo temono, e ancora: Il Signore non priva dei suoi beni chi cammina con rettitudine.
Ps 22, 2: Il pascolo dei cristiani dove Cristo è pastore.
3. Per riconoscere bene che nulla ti mancherà, aggiungi il versetto seguente: Su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Tu uomo, devi riconoscere che cosa eri, dove eri, a chi eri sottoposto: eri pecora smarrita, eri in luogo deserto e arido, ti nutrivi di spine e sterpi, eri affidato a un mercenario che al sopraggiungere del lupo non ti proteggeva. Ora invece sei stato cercato dal vero pastore che, per il suo amore, ti ha caricato sulle sue spalle, ti ha riportato all'ovile che è la casa del Signore, la Chiesa: qui Cristo è tuo pastore e qui sono riunite a dimorare insieme le pecore. Questo pastore non è come il mercenario sotto il quale stavi quando ti travagliava la tua miseria e tu dovevi temere il lupo. La misura della cura che ha di te il buon pastore, te la dà il fatto che per te ha dato la sua vita. Lui stesso nel Vangelo dichiara: Il buon pastore è pronto a dare la vita per le sue pecore. E lui lo ha fatto: offrì se stesso al lupo che ti minacciava, lasciandosi uccidere per te. Ora dunque il gregge dimora sicuro nell'ovile, senza bisogno di altri che chiudano e aprano la porta del recinto: Cristo è il pastore ed è la porta, è insieme anche il pascolo e colui che lo fornisce: Io sono la porta delle pecore - dichiara -. Chi entra attraverso me sarà salvo. Potrà entrare e uscire e trovare cibo. I pascoli che il buon pastore ha preparato per te e dove ti ha collocato a pascerti, non sono quelli verdeggianti di erbe miste dolci e amare, i quali ora ci sono, ora no, a seconda della vicenda delle stagioni. E` tuo pascolo la parola di Dio, e i suoi comandi sono i dolci campi dove pascerti. Quei pascoli aveva assaporato colui che cantava a Dio: Quanto sono dolci al mio palato le tue parole, più del miele per la mia bocca. E sempre riferendosi a questi pascoli, ma rivolgendosi alle pecore del Signore dice: Gustate e vedete quanto è buono il Signore. Leggi dunque il decalogo dell'Antico Testamento: Non uccidere, Non rubare, Non pronunciare falsa testimonianza, e quel che segue; leggi la lode che il Nuovo Testamento fa dei precetti: Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli. Beati i miti perché erediteranno la terra e quel che segue, e ancora molti passi simili, trasmessi dai Profeti e dagli Apostoli. Si riferisce a questi pascoli il Pastore quando esclama rivolto alle pecore: Procurate il cibo che non perisce: esso non perisce perché la parola di Dio resta in eterno; la parola del Signore è tuo cibo, anzi non solo cibo ma anche bevanda. Così egli dice rivolgendosi attraverso il profeta al popolo antico: Quanti si nutrono di me avranno ancora fame e quanti bevono di me avranno ancora sete. E riferendosi direttamente a se stesso: La mia carne è vero cibo, il mio sangue è vera bevanda. Questi pascoli si trovano vicini all'acqua che ricrea, e pascoli e acqua hanno un unico spazio entro la Chiesa cattolica nella quale trovi il tuo pascolo nei comandamenti di vita e la fonte da cui zampilla l'acqua per la vita eterna, a cui attingerai per esserne rinnovato quando sarai battezzato in Cristo. Quest'acqua deve irrigare i tuoi pascoli perché tu possa crescere: solo il battesimo di Cristo fa produrre i loro frutti ai comandamenti e ci fa nutrire di essi fino a saziarcene.
Ps 22, 3: Quali le vie della giustizia, da cui non dobbiamo deviare.
4. Dopo che l'acqua della rinascita battesimale ti avrà reso idoneo a gustare il sapore dei dolci pascoli, allora capirai e esclamerai con gioia: Mi ha convertito a sé, mi ha guidato per il giusto cammino per amore del suo nome. Il diavolo aveva sconvolto la tua anima con il peccato e l'aveva allontanata da Dio; Dio Padre per mezzo di Cristo ti ha ricondotto a sé, non per meriti che tu avessi acquistato verso di lui, ma per amore del suo nome. E una volta illuminato e convertito, divenuto credente, rinato dall'acqua, nutrito nei pascoli divini, dirai: Mi ha convertito a sé: è una proclamazione di lode che puoi fare con vanto, se conservi immutata la consapevolezza che la puoi fare non per un tuo merito, ma per il suo nome. E ascolta da colui che ti guida, quale sia il giusto cammino sul quale ti ha posto: Quanto è larga la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione..., stretta è invece la porta e angusta la via che conduce alla vita. Breve e vantaggioso è ogni cammino retto. La via per la quale Dio ti ha comandato di andare per giungere al regno dei cieli, non passa per le delizie, le ricchezze d'oro e d'argento, gli ornamenti di gioielli e le vesti preziose, gli onori della nobiltà mondana, la superbia di tutta la sapienza dei filosofi. Tutte queste cose e altri simili beni terreni, che vengono usati male da coloro che li ricevono per un uso buono, costituiscono per essi quella via larga, spaziosa, percorsa con la sola speranza delle cose visibili, la quale, quando siano privati di questa vita, li conduce non già al compimento di quella speranza che non nutrirono in vita, ma alla perdizione. Dormirono il loro sonno gli uomini della ricchezza e si sono trovati senza nulla in mano. Dio vuole che tu percorra il cammino di giustizia che è quello della misericordia e della verità, poiché tutti i sentieri del Signore sono verità e grazia. Egli vuole che tu lasci da parte la via larga, spaziosa e che percorra il cammino stretto e rapido che passa attraverso fame sete nudità digiuno umiliazione povertà pazienza, e attraverso il disprezzo delle cose terrene, sostenuto però dalla speranza promessa. Se vuoi conoscere chiaramente il vantaggio del cammino che intendi percorrere, ascolta: Ama il Signore, tuo Dio, con tutto il tuo cuore e con tutto il tuo animo, e: Ama il tuo prossimo come te stesso. Tutta la legge di Mosè e l'insegnamento dei Profeti dipendono da questi due comandamenti. Se ti sta a cuore di raggiungere il regno dei cieli, per arrivarvi rapidamente cammina su queste due vie: ad esse fanno capo tutte le altre ed esse formano insieme un'unica via; una volta giunto alla meta godrai la gioia di aver portato a termine il cammino intero alacremente e senza fatica.
Ps 22, 4: Cristo ci accompagna nel cammino, purché non ci scostiamo dalla retta via.
5. Queste dunque le vie che devi percorrere, mantenendo fermi i tuoi passi tra le insidie del diavolo che infuria, per poter cantare con animo sicuro a Dio: Anche se andassi nel fitto dell'ombra di morte, non temerei alcun male perché tu sei con me. Ombra di morte è detta la via del peccato, quella su cui il diavolo, disgregatore e aggressore, tende le reti dei suoi inganni a coloro che procedono rettamente. E` detta ombra perché le tenebre non hanno nulla in comune con la luce: l'Apostolo ci insegna a ripudiare le opere che sono proprie dell'ombra del peccato, dicendo: Gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente come in pieno giorno, non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra impurità e licenze, non in contese e gelosie. Finché dunque resti in questa vita, tu cammini in mezzo a vizi e afflizioni terrene che sono ombra di morte, ma nel tuo cuore deve brillare Cristo che accende la nostra lampada con la luce dell'amore di Dio e dell'amore del prossimo: allora, davvero non avrai paura di nulla, avendo lui stesso con te. Egli dice attraverso la voce del profeta: Non ti lascerò né ti abbandonerò; e ancora, nel Vangelo dice: Ecco io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo. Egli è buon custode di te. E` al tuo fianco il Signore tuo Dio: bada a non staccarti da colui che ti guida, per una tua presunzione, la quale ti farebbe restare abbandonato nell'ombra di morte.
Ps 22, 4-5: Come accostarci con fiducia alla mensa del Signore.
6. Quando avvertirai che il nemico, in questa nostra ombra di morte, ti attacca con le sue insidie e cerca di arrestarti con la paura, prendi la verga della disciplina di vita e appòggiati con fiducia al bastone della misericordia: brillerà in tuo aiuto il sole di giustizia che è Cristo, e tu potrai dire con tutta verità: La tua verga e il tuo bastone mi danno sicurezza. La verga infatti serve a governare i superbi, come è scritto nel secondo Salmo con riferimento al Cristo: Li reggerai con verga di ferro, e li frantumerai come vasi di argilla. E il bastone sostiene chi è debole e stanco. Non dimenticare dunque la verga che punisce e infrena, e non vantarti con superbia quando sei ricolmo dei beni che sono dono di Dio, e non mormorare contro di lui perché irato non ti spezzi nella tua superbia come vaso di argilla. Non dimenticare neanche il sostegno del bastone fidandoti troppo della tua forza; non dire: Io sono santo, non posso inciampare. Nella nostra debolezza noi siamo esposti a molte cadute, e non bastano a reggerci sicuri le opere sante che compiamo qui su questa terra, che ancora produce spine e rovi. Il nostro debole corpo non possiede la purezza della vita gloriosa, e finché non ritorni alla terra da cui fu tratto, non può stare saldo in piedi se non sorretto dal bastone della grazia divina. Sia quando procedi tranquillo nel Signore, sia quando sei agitato dalla tempesta delle passioni, tu devi appoggiarti totalmente al bastone della misericordia di Dio. Quando appoggiato a esso, ti pascerai dei doni dello Spirito, gusterai con gioia la dolcezza del Signore e potrai dire davvero con il salmista: Hai imbandito davanti a me una mensa sotto gli occhi di quelli che mi perseguitano. Hai cosparso di olio il mio capo: quanto è bello il calice inebriante che tu riempi. Questo canto innalza su tutta la terra la Chiesa intera che si appoggia al bastone della grazia: lo proclama di contro agli eretici, Giudei e Gentili, che le danno tribolazione con il loro disprezzo, e lo proclama cercando la sua gloria in Dio, non in se stessa. La tavola imbandita che dà gaudio, alla quale allude l'altro versetto, è la passione del Cristo che sulla tavola della croce si offrì per noi in sacrificio a Dio Padre, facendo così dono alla Chiesa del banchetto della vita nel quale egli ci sazia con il suo corpo, ci inebria con il suo sangue. Da questa mensa la Chiesa attinge cibo e vita sotto gli occhi di quelli che la perseguitano, ed esulta avendo posto la speranza della vita eterna in Cristo suo Signore, il quale la unse in abbondanza con l'olio di letizia per mezzo dello Spirito Santo. Per questa mensa l'Apostolo rimproverava i Corinzi che prendevano parte ai banchetti offerti agli idoli: Non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demoni.
Ps 22, 6: La misericordia di Dio ci previene e ci segue.
7. Quando dunque la grazia divina, che vivamente desiderate ricevere, vi avrà accompagnato alla mensa del banchetto spirituale, in questo avrete la conoscenza della verità, e ciascuno di voi allora, esultando e rendendo grazie, potrà dire consapevolmente, con fiducia: E la tua misericordia mi accompagnerà tutti i giorni della mia vita. Il gran conforto della divina presenza ti accompagna; ti segue la misericordia di Dio a causa, evidentemente, della tua miseria, della tua debolezza. Ma prima, volendo indicarti il cammino della vita eterna ti previene, cioè ti precede e, come è detto in un altro Salmo: Il mio Dio, la sua misericordia mi verrà incontro. La sua misericordia ti precede guidandoti nel cammino che ignori, ti richiama a Dio quando ti sei fatto lontano da Dio, ti attira a sé mentre sei schiavo del peccato, per farti persona libera, perché non vada errando ma cammini sulla via retta tutti i giorni della tua vita. E anche ti segue, difendendoti alle spalle perché non ti insidi al calcagno il serpente, il diavolo che ti è nemico, e non ti faccia cadere: infatti è proprio del brigante quando vuol uccidere, assalire di fronte o aggredire alle spalle. Per questo la misericordia di Dio cammina davanti e dietro a te perché tu proceda nel mezzo, sicuro e tranquillo, tutti i giorni della tua vita. Poni dunque la tua speranza e la tua gloria non in te stesso, ma nella misericordia di Dio che ti previene e ti segue: sei stato prevenuto quando eri peccatore, per essere salvato, e non sei stato trovato giusto, così che ti possa vantare di essere piaciuto a Dio.
Ps 22, 6: Cristo accompagna alla casa del Padre quelli che credono e perseverano.
8. Considera poi dove tu vieni condotto, se non abbandoni colui che ti guida. Non vieni accompagnato nel campo della miseria mondana dove tra spine e rovi tu debba procurarti il pane con fatica e sudore; né tra i pericoli del mare dove svolgere il commercio, inseguendo incerti guadagni su fragile barca, con il rischio di naufragare, come capitò a molti, presi dalla tensione del guadagno. Tu vieni condotto alla dimora di Dio, e non come ospite temporaneo che se ne deve poi allontanare, ma come abitante, per restarvi a dimorare. Infatti il Salmo prosegue: per abitare nella casa del Signore per lunghissimi anni. Questa casa del Signore è il Paradiso, i lunghi giorni sono la vita eterna: colà non patirai né fame né sete, non ti farà soffrire la calura di giorno e di notte nell'estate, o il freddo e le bufere nell'inverno. Non hanno luogo là tristezza o dolore; ti renderà invece beato sempre la compagnia dei santi, e con loro godrai e vivrai esultando nella lode del Signore per tutti i secoli dei secoli. In un altro Salmo si dice: Beato chi abita la tua casa: ti loderà per sempre. Questa la speranza della nostra fede, o cari. Voi vi siete presentati a fare la professione di fede nel Signore: affrettatevi, adoperatevi a far vostro quello che dichiarate di credere, mettendolo in pratica nella vita. Voi diventate cristiani non per la vita presente, ma per la futura che lo stesso Cristo Signore vi dona, se credete e perseverate nella fedeltà a lui che vive e regna con Dio Padre nell'unità dello Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen.

* * *


Dalle "Omelie"sul Cantico dei Cantici di san Gregorio di
Nissa.

Dove vai a pascolare, o buon Pastore, tu che porti sulle
spalle tutto il gregge? Quell'unica pecorella rappresenta
tutta la natura umana che hai preso sulle tue spalle.
Mostrami il luogo del tuo riposo, conducimi all'erba buona e
nutriente, chiamami per nome, perché io, che sono tua
pecorella, possa ascoltare la tua voce e con essa possa
avere vita eterna. "Dimmi, o amore dell'anima mia". Ct 1,7.
Così infatti ti chiamo; perché il tuo nome è sopra ogni
nome e ogni comprensione, e neppure tutto l'universo degli
esseri ragionevoli è in grado di pronunziarlo e di
comprenderlo. Il tuo nome, dunque, nel quale si mostra la
tua bontà, rappresenta l'amore della mia anima verso di te.
Come potrei infatti non amare te, quando tu hai tanto amato
me? Mi hai amato tanto da dare la tua vita per il gregge del
tuo pascolo.

Non si può immaginare un amore più grande di questo. Tu
hai pagato la mia salvezza con la tua vita.



"Come sei bello, mio diletto, quanto grazioso!" Ct 1,16. Da
quando nulla d'altro mi sembra bello, da quando mi sono
distaccata da tutto ciò che annoveravo fra il bello, mai il
mio giudizio sulla bellezza si è sviato al punto da farmi
trovare bello qualcosa d'altro se non te, fossero la lode
degli uomini, la gloria, la fama, la potenza di questo
mondo. Tutte queste cose hanno un'apparenza di bellezza per
chi guarda soltanto con i sensi, ma non sono ciò che si
può credere. E quel che è onorato in questo mondo esiste
solo nel pensiero di chi crede che ciò esista.

Invece tu, tu sei veramente bello. Anzi, non sei soltanto
bello, sei l'essenza stessa del bello; tu permani
eternamente uguale a te stesso, sei da sempre quello che
sei; non fiorisci in un tempo per avvizzire in un altro, ma
il tuo principio si estende a tutta l'eternità della vita.
Tu hai per nome: amore degli uomini.



Fammi sapere dove dimori, perché io possa trovare questo
luogo salutare e riempirmi di celeste nutrimento, poiché
chi non mangia dì esso, non può entrare nella vita eterna.
Fa' che accorra alla fonte fresca e vi attinga la divina
bevanda, quella bevanda che tu offri a chi ha sete. Fa' che
l'attinga come dalla sorgente del tuo costato aperto dalla
lancia. Per chi la beve, quest'acqua diventa una sorgente
che zampilla per la vita eterna. Gv 4,14.

Se tu mi ammetti a questi pascoli, mi farai riposare
sicuramente al meriggio, quando dormendo in pace, riposerò
nella luce che è senz'ombra. Davvero il meriggio non ha
ombra, quando il sole splende verticale. Nel meriggio tu fai
riposare coloro che hai nutrito, quando accoglierai con te
nelle tue stanze i tuoi figli.



Nessuno è stimato degno di questo riposo meridiano se non
è figlio della luce e figlio del giorno. Colui che si è
tenuto ugualmente lontano dalle tenebre della sera e del
mattino, cioè dal male con il suo inizio e la sua fine,
questi viene posto dal sole di giustizia nel "meriggio",
perché in esso possa riposare.

Spiegami dunque come bisogna riposare e pascere, e quale sia
la via del riposo "meridiano", perché non avvenga che mi
allontani dalla guida della tua mano per l’ignoranza della
verità, e mi unisca invece a greggi. estranei.

Questo dice la sposa dei cantici, tutta sollecita della
bellezza che le è venuta da Dio e avida di imparare a
custodire questa grazia per l'eternità. Però essa non è
ancora giudicata degna di udire la voce dello Sposo, perché
Dio ha disegni più grandi su di lei. Egli vuole che il
preludio del suo gaudio accenda l'amore di lei d'un
desiderio più veemente, perché anche la sua gioia cresca
con il desiderio che la divora.