sabato 26 maggio 2012

La "Traditio" della catechesi nella storia della Chiesa





Di seguito:  l'introduzione di Massimo Introvigne al Convegno nazionale Vent’anni dopo. Il Catechismo della Chiesa Cattolica per la nuova evangelizzazione, che si è svolto il 19 maggio scorso a Roma; l'intervento di Marco Invernizzi.
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1. Introduzione: Massimo Introvigne.
Il convegno Vent’anni dopo. Il Catechismo della Chiesa Cattolica per la nuova evangelizzazioneorganizzato da Alleanza Cattolica è anzitutto un atto di gratitudine e di amore. Gratitudine per la Chiesa, che ci ha dato il Catechismo. Chi era in Alleanza Cattolica vent’anni fa ricorda l’entusiasmo con cui ne accogliemmo la pubblicazione. Ora avevamo la mappa, che ci avrebbe guidato alla nostra Isola del Tesoro.
Gratitudine, anche, per un prezioso strumento d’interpretazione dei documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II. Anno più, anno meno Alleanza Cattolica era nata con il Concilio, e aveva vissuto tutte le difficoltà del postconcilio. In un discorso che da anni andiamo studiando, del 22 dicembre 2005, Benedetto XVI ha denunciato «l’ermeneutica della discontinuità e della rottura», che abusivamente e falsamente interpreta i documenti del Concilio come un rifiuto di tutto il Magistero precedente. E il 24 luglio 2007, incontrando un gruppo di sacerdoti ad Auronzo di Cadore, il Papa mostrava come questa ermeneutica sbagliata si declina in due modi. C’è un «anticonciliarismo» che oppone ai documenti del Concilio una nozione di Tradizione intesa in senso essenzialista, e c’è un «progressismo sbagliato» che agli stessi documenti contrappone un falso spirito del Concilio, che – come già rilevava il cardinale Joseph Ratzinger – è piuttosto un suo «anti-spirito».
Nella lettera apostolica Porta fidei, con cui indice l’Anno della Fede, Benedetto XVI a chi è tentato di rifiutare il Concilio in nome di una propria interpretazione della Tradizione ricorda e fa sue le parole del Beato Giovanni Paolo II (1920-2005): «Sento più che mai il dovere di additare il Concilio, come la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre». Nello stesso tempo, a chi è tentato – in nome di un presunto spirito del Concilio – di ridurre la fede a una vaga aspirazione senza contenuti, il Papa ricorda che il cristianesimo, se pure non «è» soltanto una dottrina, «ha» una dottrina. Ricorda che la Chiesa è costruita sulla roccia del Credo e cita, come fa spesso, sant’Agostino (354-430) quando, in un’Omelia per la cerimonia della redditio symboli, la solenne consegna e professione del Credo, dice: «Il simbolo del santo mistero che avete ricevuto tutti insieme e che oggi avete reso uno per uno, sono le parole su cui è costruita con saldezza la fede della madre Chiesa sopra il fondamento stabile che è Cristo Signore … Voi dunque lo avete ricevuto e reso, ma nella mente e nel cuore lo dovete tenere sempre presente, lo dovete ripetere nei vostri letti, ripensarlo nelle piazze e non scordarlo durante i pasti: e anche quando dormite con il corpo, dovete vegliare in esso con il cuore».
A chi rischia di soccombere all’una o all’altra tentazione il Papa indica come bussola sicura per orientarsi il Catechismo della Chiesa Cattolica. Ricorda che il beato Giovanni Paolo II lo definiva «norma sicura per l’insegnamento della fede», e aggiunge parole non meno impegnative: «l’Anno della fede dovrà esprimere un corale impegno per la riscoperta e lo studio dei contenuti fondamentali della fede che trovano nel Catechismo della Chiesa Cattolica la loro sintesi sistematica e organica. Qui, infatti, emerge la ricchezza di insegnamento che la Chiesa ha accolto, custodito ed offerto nei suoi duemila anni di storia. Dalla Sacra Scrittura ai Padri della Chiesa, dai Maestri di teologia ai Santi che hanno attraversato i secoli, il Catechismo offre una memoria permanente dei tanti modi in cui la Chiesa ha meditato sulla fede e prodotto progresso nella dottrina per dare certezza ai credenti nella loro vita di fede».
Nei giorni del nostro Convegno, Castel Sant’Angelo – a due passi dalla sede dove ci siamo riuniti – ospita una bella mostra su Il mito di Amore e Psiche, che l’arte ha visto e rappresentato in tanti modi diversi. La storia è nota. Psiche è sottoposta da Venere, gelosa della sua bellezza, a una serie di prove prima di potersi riunire al suo amato Eros, l’Amore. Dopo l’ultima di queste prove, in cui ha sfiorato il mondo dei morti, l’Oltretomba, Psiche piomba in un sonno profondo. Eros non riuscirà a risvegliarla soltanto con l’amore. Si rivolgerà al padre degli dei, Zeus, per ottenere insieme all’amore anche la conoscenza. E l’amore e la conoscenza insieme risvegliano Psiche. Chi visita la mostra si rende conto che molti artisti hanno rappresentato la storia di Eros e Psiche solo come una storia d’amore, una delle grandi storie d’amore della nostra cultura occidentale. Ma altri, soprattutto gli artisti cristiani, hanno meditato sul suo significato simbolico. Psiche, come il suo nome indica, è l’anima. L’anima che è assopita, che ha bisogno di svegliarsi, ma che sarà risvegliata solo dall’amore e dalla conoscenza congiunti. Non dall’amore senza la conoscenza, non dalla conoscenza senza l’amore. Perché l’amore senza la conoscenza diventa sentimentalismo, e la conoscenza senza amore diventa gnosticismo: due tentazioni cui non sono sempre sfuggiti nella storia gli interpreti del mito di Amore e Psiche.
Nel discorso preparato per la visita alla Verna del 13 maggio 2012, poi cancellata per ragioni meteorologiche, Benedetto XVI ci ha offerto lo stesso insegnamento attraverso un tema che gli è caro, e che indica in san Bonaventura (1221-1274) l’interprete più sicuro e autentico di san Francesco d’Assisi (1182-1226). Con san Bonaventura l’anelito francescano all’amore incontra la teologia, diventa dottrina, davvero mette insieme l’amore e la conoscenza. Nello stesso giorno ad Arezzo Benedetto XVI ha evocato un Papa santo, il beato Gregorio X (12101276) – nato a Piacenza, ma sepolto ad Arezzo –, un Pontefice molto impegnato a tenere insieme diverse spiritualità, diverse teologie, le ragioni della conoscenza e le ragioni del cuore, interagendo insieme con san Tommaso d’Aquino (1225-1274) e con san Bonaventura.
In un’altra versione del mito di Psiche – rappresentata dal pezzo forse artisticamente più importante della mostra di Castel Sant’Angelo, il grande e perfettamente conservato Sarcofago di Pozzuoli – ci è offerta una narrativa, certo non ancora cristiana, della creazione dell’uomo. In questo – che non è l’unico mito classico della creazione – l’uomo è creato da Prometeo il quale, nella sua smania che oggi chiamiamo appunto «prometeica» d’imitare gli dei, fa anche qualche pasticcio. Lo vediamo perplesso dopo che, più che l’uomo, sembra avere creato il culturista. Ha costruito un corpo bellissimo, un magnifico insieme di muscoli che però, privo dell’anima, giace a terra senza vita. Gli dei cercano di rimediare agli errori di Prometeo. Si vedono Zeus, il Padre, ed Hera, la Madre, che spingono Eros e Cupido a condurre Psiche, l’anima, verso l’unione con la creatura di Prometeo e con il corpo. E questa scena in fondo rappresenta un po’ anche che cosa fa la Chiesa nei secoli: sempre cerca di dare un’anima alla nostra condizione umana, alla storia, alla civiltà. Attraverso l’amore e la conoscenza, la carità e la catechesi.
Il simbolo del sonno, come si vede, è complesso. Nel mito della creazione prometeica è l’uomo ancora privo di anima che dorme, e Psiche è ben sveglia. Ma certo, più spesso, è Psiche, l’Anima, che si è addormentata. Alcuni dei quadri della mostra di Castel Sant’Angelo hanno un’epigrafe che sembra risalga originariamente al poeta Quinto Orazio Flacco (65-8 a.C.): De te fabula narratur. Viandante distratto che ancora oggi passi davanti a questi quadri – oggi magari turista giapponese, che visiti Castel Sant’Angelo con un numero inverosimile di macchine fotografiche –, de te fabula narratur. Questa storia non è su una fanciulla greca mai esistita o di tantissimi anni fa. Questa storia parla di te.
De te fabula narratur. Tante anime oggi sono addormentate e attendono il risveglio, con l’amore e con la conoscenza.
De te fabula narratur. Questa è una storia universale, che l’Europa ha riproposto attraverso le sue tante belle dormienti di tante leggende che sono più che leggende.
De te fabula narratur. Non solo l’anima individuale ha bisogno di risveglio ma ne ha bisogno la Cristianità, ne hanno bisogno le nostre nazioni, ne ha bisogno la nostra cultura. E allora Alleanza Cattolica, che – tra tante spiritualità che attraversano la storia della Chiesa – ha sempre avuto un interesse, e forse un debole, per la spiritualità cavalleresca, riconosce la storia di Psiche in quella di un altro illustre dormiente, re Artù, di cui si racconta che, quando fu mortalmente ferito nell’ultima battaglia, i cavalieri chiesero e ottennero da Dio una grazia. Artù non è morto. Si è immerso in un sonno profondo, trasportato sull’Isola di Avalon, e da questo sonno sarà risvegliato dal grido corale dell’Inghilterra – o così narra la leggenda – quando un giorno di fronte all’estrema prova avrà nuovamente bisogno del suo re.
De te fabula narratur. La Cristianità dorme, è ferita, non è morta. La nostra cultura, la cultura che ha fatto grande l’Europa, la cultura delle radici cristiane dell’Europa, la cultura al cui servizio è nata Alleanza Cattolica non è morta, ma è ferita, dorme, dev’essere risvegliata.
De te fabula narratur. Sarà risvegliata, dalla conoscenza e dall’amore. Non dall’amore senza la conoscenza, non dalla conoscenza senza amore.
E allora torniamo dove siamo partiti. Troviamo nel Catechismo, come ci ricorda il Papa nella letteraPorta fidei, non solo la conoscenza ma l’appello alla carità, perché «la fede senza le opere è morta» (Lettera di Giacomo, 2, 26). Troviamo nel Catechismo non solo la carità ma lo strumento della conoscenza.
Per questo noi vogliamo testimoniare oggi la nostra gratitudine a Dio e alla Chiesa per il Catechismo, e – consentitemi – la gratitudine al signor cardinale Mauro Piacenza, che ha moltiplicato i segni di benevolenza per Alleanza Cattolica fin dagli anni lontani in cui lo conoscemmo nel suo ministero a Genova e che oggi per noi rappresenta il Papa, rappresenta la Chiesa, rappresenta la madre che ci ha dato il Catechismo. Quella madre che vogliamo servire come i cavalieri di re Artù – certo con molte meno capacità, con molto meno coraggio, con molto meno vigore –, convinti però che il nostro impegno corale, i nostri sacrifici, le nostre gioie, i nostri dolori, potranno risvegliare l’anima cristiana, il cuore cristiano che ancora batte per l’Europa.


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2. Intervento di Marco Invernizzi
Vi è una notevole confusione, diffusa da cattivi maestri e presente in molti ambienti, fra la libertà dell'atto di fede e la conoscenza dei suoi contenuti. Questa confusione ha prodotto in anni passati, soprattutto nel clima spontaneistico caratterizzante la cultura del Sessantotto, un pregiudizio negativo nei confronti della catechesi e dei catechismi, guardati come strumenti che offendevano la libertà e la spontaneità dell'atto di fede.
Ora, è assolutamente vero che
«La fede è un atto personale: è la libera risposta dell'uomo all'iniziativa di Dio che si rivela» (CCC 166)
e che «tutto lo sforzo di catechesi, di insegnamento della Chiesa è necessario, ma da solo non basta, se non è accompagnato dalla consapevolezza che il dono di Dio deve essere personale adesione di fede. Per questo ogni generazione, anzi ogni persona, senza affermare che riparte da zero, è però chiamata a dare la propria risposta personale. È sempre valida l'affermazione di Tertulliano: "Non si nasce cristiani, ma lo si diventa"» (Enrico Cattaneo sj, Trasmettere la fede. Tradizione, scrittura e magistero nella Chiesa - percorso di teologia fondamentale, San Paolo, Cinisello Balsamo 1999, p. 21).
Tuttavia è altrettanto vero che ordinariamente si propone la conoscenza di ciò che successivamente si potrà credere.
Nella fede, dunque, in Dio che si rivela, si può e si deve cogliere l'aspetto soggettivo dell'adesione personale, ma vi è anche un aspetto oggettivo, fatto di contenuti, che può essere trasmesso. In particolare vi è un aspetto dottrinale, che si rivolge all'intelligenza dei fedeli, che costituisce la dottrina della fede. Essa è stata elaborata nel corso della storia della Chiesa e viene a costituire la Tradizione, ossia il contenuto della fede, nella misura in cui l'autorità della Chiesa la riconosce come tale. Così Scrittura, Tradizione e Magistero sono i pilastri fondamentali su cui si regge la comunità dei credenti in Cristo:
« È chiaro dunque che la sacra Tradizione, la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti che non possono indipendentemente sussistere e che tutti insieme, ciascuno secondo il proprio modo, sotto l'azione di un solo Spirito Santo, contribuiscono efficacemente alla salvezza delle anime » (Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Dei Verbum, n. 10 cit. in Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 95).
Cenni di storia della catechesi
«La sconcertante ignoranza per quanto concerne la storia della catechesi è una delle sventure della situazione attuale», scriveva senza perdersi in giri di parole Alfred Läpple nel 1981 nella introduzione a un suo testo sulla storia della catechesi (trad. it., Breve storia della catechesi, Queriniana, Brescia 1985, p. 18).
Quando parliamo di catechesi oggi, siamo soliti insistere e spesso polemizzare su alcuni aspetti di essa che, per quanto importanti e necessari, non riguardano il cuore della catechesi, che come abbiamo visto è trasmissione di una fede ricevuta.
Invece il problema della catechesi, spesso dimenticato, consiste nel fatto che il primo catechista e dunque la prima catechesi è quella di Dio stesso che si rivela.
Nell’Antico Testamento
La catechesi di Dio verso l'uomo comincia con la creazione dell'uomo a Sua immagine e somiglianza. Quest'uomo è capace di Dio, come insegna il CCC, e proprio questo aspetto rende possibile il dialogo fra l'uomo e Dio (cfr. Läpple, p. 20).
Dio dunque parla all'uomo e se l'uomo non è ovviamente in grado di comprendere tutto quanto Dio gli rivela, tuttavia comprende diverse cose.
Dio parla all'uomo attraverso le cose create, ma soprattutto attraverso gli uomini. Fra questi si sceglie un popolo e lo fa attraverso un uomo, Abraham, al quale affida un messaggio per il suo popolo anzitutto, ma anche per tutti i popoli. Abraham - Abramo è così il padre della nostra fede nel senso che è all'inizio di una storia di cui Cristo è l'apice, il fondamento e la meta, ma che è iniziata con la chiamata a lasciare la sua terra, all’età di 75 anni, per un destino che Dio gli stava proponendo.
Abramo, Mosè, Giuseppe, Giacobbe, fino a Giovanni Battista, sono tutti testimoni di qualcosa di grande che sta avvenendo e ciascuno in qualche modo è catechista verso il popolo che si costruisce attorno e grazie a loro. Ognuno di loro comunica qualcosa di particolare al nuovo popolo di Israele e così gli ebrei comprendono progressivamente il dono ricevuto di essere un popolo scelto per avere un rapporto personale con Dio, l'unico e vero Dio.
Gesù catechista
È però su Gesù in quanto catechista che vorrei attirare l'attenzione, riprendendo queste parole del beato Giovanni Paolo II tratte dall'esortazione sulla catechesi del 1979, all'inizio del pontificato:
«Ciò facendo, non dimentico che la maestà del Cristo docente, la coerenza e la forza persuasiva uniche del suo insegnamento si spiegano soltanto perché le sue parole, le sue parabole ed i suoi ragionamenti non sono mai separabili dalla sua vita e dal suo stesso essere. In questo senso, tutta la vita del Cristo fu un insegnamento continuo: i suoi silenzi, i suoi miracoli, i suoi gesti, la sua preghiera, il suo amore per l'uomo, la sua predilezione per i piccoli e per i poveri, l'accettazione del sacrificio totale sulla croce per la redenzione del mondo, la sua risurrezione sono l'attuazione della sua parola ed il compimento della rivelazione. Talché per i cristiani il Crocifisso è una delle immagini più sublimi e più popolari di Gesù docente» (Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica postsinodaleCatechesi tradendae, 1979, n. 9).
Gesù, quindi, è il modello del catechista che unisce dottrina e vita, scienza e sapienza.
A Lui guardano i primi cristiani alla ricerca di una catechesi che completi l'annuncio della fede che, grazie all'intervento dello Spirito santo, era stato proclamato con forza dal giorno della Pentecoste in poi suscitando l’adesione di molti nuovi fedeli.
La prima catechista si può supporre sia stata la Madre del Signore, riunita con gli Apostoli nel Cenacolo, perché fu Lei la prima a credere, e a continuare a credere anche dopo la morte di Gesù, in attesa della Resurrezione.
Accanto a Maria i primi catechisti saranno stati gli Apostoli e i primi discepoli, coloro che dovevano dare qualche spiegazione in più sull'insegnamento del Signore, fornendo risposte adeguate a chi chiedeva di essere battezzato perché attratto dalla potenza dello Spirito che parlava attraverso i Dodici, le donne e i discepoli. Si espresse così la forma di catechesi principale del cristianesimo antico, quella che avveniva durante il periodo del catecumenato, quando coloro che avevano richiesto il sacramento del battesimo venivano istruiti nella fede.
La catechesi nei primi tre secoli
Nacquero i primi catechismi, anche se durante i secoli della clandestinità e della persecuzione si può pensare che le catechesi più importanti avvenissero attraverso i racconti dei testimoni oculari della vita di Gesù e poi attraverso la lettura dei quattro Vangeli che, nel frattempo, erano stati scritti, dopo essere stati raccontati.
Poi, progressivamente e definitivamente dopo l’Editto di Milano nel 313 che le permise di agire liberamente, la Chiesa uscì dalle catacombe e così il suo insegnamento divenne pubblico, avvalendosi anche del favore delle istituzioni. Dovette confrontarsi con le critiche degli avversari, ebrei e pagani, e questo favorì un progresso nella riflessione e nella esposizione della dottrina della fede, della quale si fecero carico i Padri greci e latini della Chiesa del primo millennio ancora unita.
Il Battesimo ai neonati e il mutamento della catechesi
Nel frattempo le moltitudini cominciarono a chiedere il battesimo e allora invalse l'abitudine di battezzare i neonati. Si perse così la modalità del catecumenato come forma di catechesi e si dovettero trovare altre occasioni per educare alla fede.
Intanto cresceva la consapevolezza della fede, grazie ai Padri della Chiesa, latini e greci, alle scuole di catechetica di Alessandria d'Egitto, di Cesarea e di Antiochia. Il grande maestro in Occidente, non solo ma anche nel campo catechistico, fu sant'Agostino (354-430). Il vescovo d’Ippona segnò in qualche modo il passaggio dall'età antica al Medioevo e quindi il passaggio dal cristianesimo dell'antichità a quello medioevale o della cristianità.
In questa nuova situazione storica una importanza fondamentale per la trasmissione della fede assunsero le famiglie. I genitori erano i primi catechisti dei figli, spesso gli unici, mentre essi ricevevano istruzione religiosa attraverso la predicazione comunitaria nei giorni festivi. Quest'ultima, peraltro, impiegò secoli a diventare costante nella vita delle chiese e soltanto con il periodo carolingio, che verrà definito "risveglio carolingio", diventerà obbligatoria la catechesi festiva per gli adulti e comincerà a venire promossa una catechesi per i bambini che uscisse dall'ambito familiare.
Si può così parlare di “enigma medioevale” a proposito del fatto che la fede cristiana, durante questa lunga epoca della storia, abbia potuto conoscere uno sviluppo anche straordinario nel campo della riflessione teologica (si pensi ai grandi Alberto Magno, Bonaventura e Tommaso d'Aquino) e una sincera fedeltà a livello popolare, nonostante una profonda ignoranza nel clero e quindi una catechesi assolutamente insufficiente. Insufficienza che non potrà essere colmata da altre e preziose forme di trasmissione della fede, come la costruzione delle splendide cattedrali prima romaniche e poi gotiche, come dalla diffusione dei libri illustrati della fede per analfabeti, le biblia pauperume da molte altre forme espressive.
Una insufficienza e ignoranza che contribuirono in modo decisivo alla crisi che scoppia nel XV e soprattutto nel XVI secolo.
La catechesi di fronte alla Riforma
Dopo l'«autunno del Medioevo» si contrapposero in Europa l'esaltazione umanistica del Rinascimento e la «questione di Dio» posta invece con forza da Martin Lutero (1483-1546) e in generale dal protestantesimo, come ha ricordato papa Benedetto XVI nel viaggio apostolico in Germania il 23 settembre 2011.
Il XVI secolo, se per un verso relegò la religione nel privato e la espulse dalla cultura delle classi dirigenti, dall'altro fu un periodo che vide il cristianesimo cercare di rimediare alla crisi di ignoranza e di moralità in cui era precipitato.
Uno dei rimedi principali consistette nell’educare alla fede insegnando la dottrina. Per questo si può dire che sia stato il secolo dei catechismi, cioè dello sforzo di trovare un sistema che permetta e faciliti l'educazione religiosa.
Questa rinascita, però, prese due strade diverse e contrapposte, quella della Riforma protestante e quella della Riforma cattolica o Controriforma.
Sono tantissimi i catechismi del secolo: si cominciò nel 1501 con quello di Erasmo da Rotterdam e si finì nel 1566 col Catechismo romano, voluto dal Concilio di Trento, il primo catechismo universale della Chiesa cattolica, ad uso dei parroci, ma che formerà per secoli le successive generazioni dei fedeli di Roma (cfr. Catechismo tridentino, Cantagalli, Siena 2003). Fra questi vi erano anche i due catechismi scritti da Lutero, peraltro prima della sua rottura con la Chiesa, anche se forse vi si può già riscontrare la profonda inquietudine che lo porterà ad abbandonare la Fede cattolica (Il Piccolo Catechismo - Il Grande Catechismo (1529), a cura di Fulvio Ferrario, Claudiana, Torino 1998).
Dopo il Concilio di Trento
Il Tridentino è il modello di catechismo per i secoli futuri, con la sua divisione in quattro parti, relativamente alla fede, ai sacramenti, ai Comandamenti e alla vita morale, alla preghiera. Esso accompagnò il risveglio cattolico della Controriforma, contribuì al superamento progressivo, forse lento, ma reale, dell'ignoranza religiosa in cui si trovava la popolazione cristiana e fu anche la base su cui si costruì l'espansione missionaria della Chiesa nelle Americhe, la formazione del clero nei seminari voluti dal Concilio e in generale la nuova vitalità cattolica dell'epoca.
Mentre l'Europa si divide nel Nord protestante e nel Sud cattolico e si ferisce con le tragiche “guerre di religione”, la Chiesa conosce un'epoca di splendore anche artistico, la nascita di nuovi ordini religiosi, lo straordinario slancio della mistica soprattutto con santa Teresa d’Ávila (1515-1582) e san Giovanni della Croce (1542-1591), e una preghiera rinnovata, metodica, preghiera espressa dal libro religioso forse più ristampato insieme alle Massime eternedi sant’Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787): gli Esercizi spiritualidi sant’Ignazio, un libro adatto all’uomo contemporaneo che si sta allontanando dalla Chiesa.
La crisi illuminista
Poi sopraggiunse una nuova crisi, nel XVIII secolo, la crisi provocata dalla diffusione di una ideologia aggressivamente anticristiana, l'Illuminismo. La Chiesa si contrappose con forza e determinazione a questa nuova sfida rivoluzionaria, subì l'attacco e la persecuzione durante il periodo napoleonico dopo la Rivoluzione francese e nel corso dell'Ottocento dovette fronteggiare i governi nazionalisti e liberali che avevano conquistato il potere in tutti i paesi d'Europa. È una Chiesa costretta prevalentemente a difendersi, ma che conosce una nuova stagione missionaria e che organizza sempre più meticolosamente il proprio sforzo catechistico. Il secolo XIX conobbe grandi catechisti (due per tutti, San Giovanni Bosco [1815-1888] e il beato John Henri Newman [1801-1890]) e molti catechismi per le fasce diverse d'età: fra questi appare ed emerge nella sua meritata fortuna, agli inizi del secolo successivo, il catechismo di Papa San Pio X.
La catechesi nel tempo di San Pio X
Il catechismo, anzi i catechismi di Papa Sarto, vennero adottati nelle diocesi italiane. Ma durante il pontificato, Pio X (1903-1914) insistette ripetutamente con diversi documenti perché la catechesi diventasse abituale sia per i ragazzi sia per gli adulti, nei giorni festivi, per il tempo di un'ora. L'enciclica Acerbo nimis(15 aprile 1905) sarà il documento più importante fra i diversi del pontificato, un vero trattato sulla catechesi, tema che il Papa riteneva fondamentale per superare l'ignoranza religiosa diffusa nel popolo di Dio.
Indubbiamente, con il pontificato di san Pio X la catechesi entrò stabilmente e in modo definitivo nella pastorale delle parrocchie, come verrà sancito dallo stesso Codice di diritto canonico del 1917.
Cominciò a crescere l'attenzione del Magistero nei confronti della catechesi fino ad arrivare al decreto Provido sanedel 12 gennaio 1935 di papa Pio XI (1922-1939), forse il primo tentativo di fornire indicazioni generali di metodologia catechistica.
Contemporaneamente, cresceva il bisogno di un rinnovamento della catechesi che tenesse conto dei mutamenti culturali in corso nella società, in particolare favorendo una partecipazione attiva dei catechizzati, giovani e adulti, e una attenzione non esclusiva all'aspetto dottrinale e oggettivo delle verità di fede. Ne nacque un lungo periodo di continue innovazioni, segno di una profonda inquietudine, iniziato durante il pontificato del ven. Pio XII (1939-1958) ed esploso dopo il Concilio Vaticano II.
Fu un periodo molto confuso e incerto, durante il quale si scartò il catechismo di San Pio X, la cui riforma era cominciata con Pio XII nel 1954, ma non si arrivò se non molti anni dopo a qualcosa di definitivo in sua sostituzione. Nel 1971 la Sacra Congregazione del clero emanò il Direttorio catechistico generale, ma sarà nel 1977 con il Sinodo dei vescovi sulla catechesi e poi nel 1979 con l'esortazione apostolica Catechesi tradendaedi Giovanni Paolo II che il rinnovamento assumerà una fisionomia definita.
L’esortazione apostolica Catechesi tradendae
L’esortazione apostolica è un testo ampio, cristocentrico, che mette la catechesi al centro della pastorale della Chiesa e delle diocesi, che ne ripercorre le tappe principali nella storia della Chiesa e che affronta le principali difficoltà del tempo attuale, evitando o superando le false contrapposizioni fra memorizzazione e interiorizzazione, ricordando a questo proposito che «i fiori della fede e della pietà (...) non spuntano nelle zone desertiche di una catechesi senza memoria» (Catechesi tradendae, n. 55).
La catechesi viene riproposta come parte essenziale dell'educazione alla fede, che comincia con il "primo annuncio" allo scopo di suscitare la fede, ma poi necessita anche di un «insegnamento della dottrina cristiana, generalmente dato in modo organico e sistematico» (ibid., n. 18).
L'esortazione apostolica è una tappa fondamentale dello sforzo del Magistero di ribadire la centralità dell'insegnamento della fede: il beato Giovanni Paolo II lo ricorda all'inizio del documento sottolineando la sollecitudine del ven. Paolo VI per la catechesi, con i suoi ripetuti interventi magisteriali, che culminano nell'istituzione del Consiglio internazionale della catechesi nel 1975.
Sei anni dopo la Catechesi tradendae, nel 1985, viene celebrato un Sinodo per il ventesimo anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II. Sarà all'interno di questa assemblea che nascerà la richiesta di un catechismo universale che tenga conto degli insegnamenti del Vaticano II e così presenti la dottrina della fede a tutta la Chiesa universale. Ci vorranno sette anni e vedrà finalmente la luce il secondo catechismo universale della storia della Chiesa, dopo il tridentino.
Così, dal 1992, la questione della catechesi in qualche modo passava dalle mani della Chiesa docente in quelle dei vescovi, dei sacerdoti, dei catechisti e infine di tutti i fedeli, perché la catechesi è un compito per chiunque abbia a cuore le sorti della nuova evangelizzazione.