giovedì 31 maggio 2012

La Visitazione: Approfondimenti 1



1. Note liturgiche e storia della festa

Una visita per un dono di grazia

Stando alla descrizione della Marialis cultus possiamo dire che la festa della Visitazione della beata vergine Maria rimanda a «una celebrazione che commemora un evento salvifico, in cui la Vergine fu strettamente associata al Figlio» e, più precisamente, «in cui si ricorda la beata vergine Maria, che porta in grembo il Figlio e che si reca da Elisabetta per porgerle l'aiuto della sua carità e per proclamare la misericordia di Dio Salvatore» (n. 7: EV 5/28). Per quanto possa sembrare sorprendente, la visita fatta dalla vergine Maria ad Elisabetta (cf. Lc 1,39-56), un vero «evento di grazia» nel senso più letterale del termine, solo in tempi relativa-mente recenti ha avuto una sua festa liturgica e non in modo uniforme in tutta la chiesa latina.

1. UNA FESTA PIUTTOSTO TARDIVA E SOLO OCCIDENTALE

Infatti, è vero che nell'oriente bizantino si celebra il 2 luglio una festa mariana, ma essa ha per titolo: «Deposizione della venerata veste della santissima Signora nostra e Madre di Dio in Blacherne». Si tratta, dunque, della memoria di una reliquia in un santuario mariano, e non di una festa concernente l'episodio lucano. Ora tale reliquia sarebbe stata portata a Costantinopoli da Gerusalemme nel 472 dai due patrizi, Galbios e Candidos. L'imperatore Leone I e la sua sposa Verina fecero costruire una cappella per racchiudere il reliquiario contenente la veste preziosa: la cerimonia di dedicazio-ne di questo santuario in Blacherne ebbe luogo nel 473. Si ricorda, inoltre, che durante l'incursione degli Avari, il 5 giugno 619, la reliquia fu affrettatamente posta al sicuro nella parte interna della città e il 2 luglio seguente venne solennemente restituita al tempio della Blacherne: di qui il nascere e il perdurare della celebrazione festiva in tale data.
D'altra parte è certamente un dato storico che il racconto della visitazione fece il suo primo ingresso nella liturgia romana quando vi si sviluppò la celebrazione dell'Avvento (cioè fin dal sec. VI) e che la pericope di Luca venne posta al venerdì delle Tempora ossia della terza domenica d'Avvento: tuttavia non si tratta di una festa a sé stante. Oggi, poi, sembra destituita di ogni fondamento la notizia secondo cui, sotto il governo di s. Bonaventura, il Capitolo generale dei frati minori svoltosi a Pisa nel 1263 abbia fatto introdurre in tutto l'ordine francescano, al 2 luglio, anche la festa della Visitazione, oltre alle feste dell'Immacolata, di s. Anna e di s. Marta.


A. L'origine nella città di Praga

Bisogna, dunque, arrivare al potente arcivescovo di Praga Giovanni Jenstein (1348-1400), al tempo del grande scisma in occidente, diviso tra il papa Urbano VI (Roma) e l'antipapa Clemente VII (Avignone), per trovare notizia sicura del sorgere della festa mariana della Visitazione. Egli, dopo aver preparato personalmente i testi liturgici per la nuova festa e dopo aver fatto ricercare dai suoi periti i fondamenti biblici e canonici per la sua plausibile istituzione, nel sinodo diocesano del 16 giugno 1386 promulgò per la sua diocesi l'introduzione della festa della Visita-zione della Madonna, da celebrarsi ogni anno il 28 aprile. Ora questo intrepido vescovo non solo difese dottrinalmente negli anni seguenti il valore teologico della celebrazione, ma anche si adoperò grandemente per la sua diffusione al di fuori della diocesi di Praga. Per questo scrisse a vescovi e a superiori generali, inviando loro anche copia degli uffici divini da lui composti, e inviò varie petizioni allo stesso papa Urbano VI, affinché istituisse tale festività in tutta la chiesa latina al fine dichiarato di porre termine allo scisma in essa dilagante. Il papa accolse favorevolmente l'idea, ma si limitò solo a promettere l'istituzione di una tale festa, dato che allora era con la sua curia quasi in esilio a Genova. Fece il suo ritorno a Roma nei primi giorni di settembre 1388 e allora, finalmente, poté dedicarsi seriamente al lavoro con la commissione di teologi e di cardinali incaricati di studiare la richiesta. Nel concistoro pubblico dell'8 aprile 1389, in presenza dei cardinali e dei numerosi prelati, il maestro del palazzo apostolico rivolse richiesta formale al papa perché promulgasse la festa della Visitazione allo scopo di ottenere, tra l'altro, l'unione della chiesa; e il papa promulgò solennemente tale festa sottolineando - pure
lui - che la causa movente era data dalla speranza della cessazione dello scisma d'occidente. In più, per onorare convenientemente la nuova festività, indisse un giubileo per l'anno seguente 1390 e, per la stessa ragione, aggiunse alle tre basiliche giubilari anche quella di S. Maria Maggiore. La curia romana cominciò a preparare quanto era necessario sia alla legislazione sulla nuova festa sia alla celebrazione dell'anno giubilare: nel mese di maggio o giugno 1389, in un secondo concistoro pubblico, il papa Urbano VI determinò che la festa della Visitazione fosse fissata nel calendario liturgico al 2 luglio e che la nuova festa avesse la vigilia e l'ottava come quella del Corpus Domini, cui veniva equiparata quanto alle indulgenze. Tuttavia, seppure avesse celebrato solennemente la festività in quell'anno a S. Maria Maggiore quasi come esperimento, il papa non riuscì a pubblicare la bolla ufficiale di promulgazione della nuova festa, perché fu colto dalla morte il 15 ottobre 1389. Nel marzo 1390, tra i numerosi pellegrini giunti a Roma per il giubileo, c'era anche il vescovo Giovanni Jenstein, il quale sollecitò il nuovo papa, Bonifacio IX, a perfezionare la pratica. Papa Bonifacio IX nell'anno 1390 emanò, finalmente, la bolla Superni benignitas Conditoris, con la quale estendeva a tutta la chiesa occidentale la nuova festività mariana: il documento porta la data ufficiale del giorno dell'incoronazione dello stesso Bonifacio IX, ossia il 9 novembre 1389.


B. La lenta diffusione

La nuova celebrazione della Visitazione si impose solo lenta-mente e progressivamente. In particolare, come era naturale, essa fu accolta solo da quei fedeli che si sentivano in comunione con il pontefice di Roma, mentre i fautori di Clemente VII o la ignorarono o addirittura la respinsero. Così, dopo lo scisma, il concilio di Basilea, nella sessione del 1° luglio 1441, dovette riconfermare la bolla di Bonifacio IX: solo allora si può dire che, giuridicamente, la celebrazione del 2 luglio divenne una realtà per tutta la chiesa occidentale. Nel concilio ecumenico di Firenze (1438-1445), sotto la presi-denza di Eugenio IV, accolsero la festa i patriarcati siro, maronita e copto, che la celebrano ancora alla data romana. Nicolò V, con la bolla Romanorum gesta Pontificum (26 marzo 1451), ripubblicò per intero la bolla di Bonifacio IX, nell'intenzione di indurre tutte le chiese particolari ad accettare unanimi la festa.


Pio V, nella riforma generale post-tridentina dei libri liturgici romani, abolì i vari uffici e messe in uso per detta festa, ne tolse la vigilia e l'ottava, e adottò gli uffici della Natività di Maria con le poche necessarie modifiche di adattamento. Clemente VIII, nella sua revisione dei libri liturgici del 1602, dopo aver elevato la festa della Visitazione al nuovo rito da lui introdotto di doppio maggio-re, ne fece ricomporre l'ufficio dal minimo p. Ruiz con l'aggiunta di antifone e responsori propri e con l'introduzione di nuove lezioni; la messa rimase quella della Natività di Maria, con la sola diversità - oltre il Vangelo di Luca - dell'epistola (Ct 2,8-14), scelta senza alcun dubbio a causa del versetto iniziale. Ora tali formulari liturgici della Visitazione sono persistiti fino alla riforma del concilio Vaticano II. Per quanto riguarda, invece, il grado di celebrazione bisogna ricordare ancora che Pio IX, dopo il periodo della Repubblica romana, che cessò appunto il 2 luglio 1849, elevò la festa al rito doppio di Il classe (31 maggio 1850). L'attuale riforma del Calendario romano, oltre ad attribuire alla celebrazione del mistero della Visitazione il grado liturgico di festum, ha creduto opportuno abbandonare anche la data tradizio-nale del 2 luglio, trasferendo la festa al 31 maggio: in questo modo la festività della Visitazione di Maria viene a situarsi tra le solennità dell'Annunciazione del Signore (25 marzo) e della Natività di s. Giovanni Battista (24 giugno), e - dicono i redattori del nuovo Calendario - così «si adatta meglio alla narrazione evangelica». Noi - con le parole della Marialis cultus - potremmo aggiungere che questo cambiamento «ha permesso di inserire in modo più organico e con un legame più stretto la memoria della Madre nel ciclo dei misteri del Figlio» (n. 2: EV 5/21), senza offuscare quelli che vengono detti i «tempi forti» dell'anno liturgico anzi facendola cadere nel tempo pasquale, in cui fiorisce con una gioia tutta speciale il canto di quelli per i quali il Signore ha fatto meraviglie (cf. il Magnificat).


2. IL MESSAGGIO DELL'EVENTO CELEBRATO

Evidentemente il tema della celebrazione della festa della Visitazione di Maria è dato dal racconto dell'evangelista Luca (1,39-56): attorno a questo nucleo evangelico si sviluppano tutte le .altre parti della liturgia del giorno. Si potrebbe valutare tale racconto come un idillio familiare o alla stregua di un'istantanea della vita quotidiana di Maria; ma così facendo non se ne avrebbe colto il valore profondo, dato che la Scrittura inserisce questo
episodio in un'ampia cornice storico-salvifica ben riconosciuta dall'esegesi moderna ai primi due capitoli di Luca: nell'incontro tra Maria ed Elisabetta - nel quale è inserito il tratto profondamente simbolico di un incontro tra Gesù e Giovanni - si ha la tensione e il trapasso dall'uno all'altro dei due tempi salvifici, concretizzati nell'incontro vivo di due rappresentanti per ciascuna delle rispetti-ve epoche (cf. «La legge e i profeti vanno fino a Giovanni; da allora in poi viene annunziato il regno di Dio...» di Lc 16,16; cf. Mt 11,12-13). Ora capire questo importante evento salvifico, in cui la Vergine esercita un ruolo eccezionale accanto al Figlio, è davvero entrare pienamente nel cuore della festa. In questo ci sono di guida valida i testi della riformata liturgia, radicalmente riformulati.


A. Sfondo biblico

Un primo aiuto per scandagliare il «mistero» celebrato ci è dato dalla duplice I lettura prevista nel proprio della messa del giorno. Infatti, si sa che il racconto lucano della visita di Maria ad Elisabetta, sfrutta, con estrema finezza, la tipologia dell'arca dell'alleanza. Ora, dando la possibilità di scelta per la I lettura tra Sof 3,14-18a e Rm 12,9-16b, il nuovo Lezionario fa capire come non intenda legare l'ascolto e la riflessione della comunità cristiana sul ruolo di Maria - arca dell'alleanza - contemplata solo in se stessa. Altrimenti avrebbe indicato come I lettura l'eulogia di Giuditta: «Benedetta tu... tra tutte le donne... e benedetto il Signore Dio» (13,18-19), che Luca mette sulle labbra di Elisabetta. Appare chiara, piuttosto, l'intenzione di evidenziare e celebrare i meravigliosi effetti salvifici, che vengono operati non solo in Maria ma anche attorno a lei e che riguardano non poco anche noi. Pertanto, se si sceglie come prima lettura il passo di Sofonia, dell'Evangelo si accentua il tema dell'esultanza e della gioia per la «presenza» del Signore, che ha «visitato» il suo popolo in adempi-mento della sua promessa di salvezza; se invece si sceglie come prima lettura la pericope ai Romani, dell'Evangelo si mette in risalto il tema della sollecitudine piena di carità di Maria verso la

parente Elisabetta bisognosa di aiuto. Dunque, dell'episodio lucano la liturgia della Parola evidenzia (attraverso la duplice I lettura) due elementi fondamentali:
a. da una parte il gioioso fervore, suscitato dallo Spirito in chi obbedisce a Dio con perfetta adesione di fede;
b. dall'altra il generoso slancio di amore al servizio premuroso del prossimo provocato dall'inabitazione della divina presenza.




B. Sfondo eucologico

Ma anche l'eucologia della messa, del tutto nuova, sottolinea -e forse pastoralmente in modo più immediato - alcune dimensioni del gesto singolare compiuto da Maria nei confronti di Elisabetta. Anzi, si può dire che le tre orazioni del nuovo formulario hanno il pregio di tentare una rilettura in forma esistenziale dell'«evento» celebrato:

a. La colletta, innanzitutto, mette in risalto che quanto ha fatto Maria è obbedienza alla mozione dello Spirito divino:

«O Dio, che nel tuo disegno di amore hai ispirato alla beata vergine Maria, che portava in grembo il tuo Figlio, di visitare sant'Elisabetta, concedi a noi di essere docili all'azione del tuo Spirito...».

Il «bene» è frutto di obbedienza alla volontà del Padre, che si è manifestata nei precetti del Figlio e che ci viene richiamata alla mente dallo Spirito, «suggeritore» di ogni opera buona. Ora la pericope lucana sottolinea che Maria è sempre disponibile alla voce dello Spirito: ella non si è accontentata di dire il fiat più decisivo della storia una volta per tutte, ma ora la vediamo prolungarlo in continui «sì» all'azione interiore di quello Spirito che l'ha adombra-ta. In questo ci è di modello: anche noi - ed è la petizione della colletta - dobbiamo essere sempre «docili all'azione dello Spirito», l'artefice della realizzazione del piano salvifico di Dio nella storia degli uomini; dobbiamo - come lei - saper dire i nostri «sì» pronti al richiamo di quello Spirito che è stato diffuso nei nostri cuori.

b. L'orazione sopra le offerte, poi, focalizza l'azione della Vergine come un grande atto di amore verso il prossimo:

«O Dio, che hai accolto e benedetto il gesto di carità di Maria, Madre del tuo unico Figlio...».

Si noti l'accostamento tra la dignità di «Madre del Figlio di Dio» e l'umile «gesto di carità», per comprendere come Maria intende chiaramente che la sua vocazione eccezionale comporta -secondo il paradigma evangelico - non dominio o privilegio bensì servizio. E lei non ha paura di andare a servire, letteralmente, e per questo si scomoda «mettendosi in viaggio», «verso la montagna»,
«in fretta»: insomma con una carità squisita. Il suo esempio ci deve spingere a comunicare il dono di Dio e a donare noi stessi prontamente ai fratelli, ben sapendo che non c'è dignità più alta di questa, dopo che il Maestro è venuto «non per essere servito, ma per servire donando la propria vita» (Mt 20,28). Dire «sì» allo Spirito è in definitiva mettersi a servizio dei fratelli: la festa sostanzialmente ci trasmette questo messaggio vitale. Dice bene il poeta David Turoldo:


«Anche noi, dunque, andiamo a servire, correndo, dietro la Madre andiamo: non può rinchiudersi mai nella casa chi porta Cristo nel sangue e nel cuore.

Regine e principi scendan le scale, escano tutti dai loro palazzi; i sacerdoti per primi dal tempio portino grazia per tutte le strade (...)».

La Vergine, frettolosa sulla strada di montagna e generosa nel servizio di casa, ci insegni che praticamente non si può essere portatori di grazia senza il dono dell'amore fattivo.

c. L'orazione dopo la comunione, infine, lode e il ringraziamento della Vergine santa:

mette in risalto la

«Ti magnifichi, o Padre, la tua chiesa, perché hai operato grandi cose per coloro che, sull'esempio di Maria, credono nella tua parola...».

Il riferimento al Magnificat è evidente. Del resto anche la colletta si chiude chiedendo che impariamo a «magnificare con Maria il santo nome» di Dio. La Vergine sa elevare la sua lode e il suo ringraziamento a Dio, facendo un centone di tanti passi dell'Antico Testamento, cioè, ispirandosi alla Scrittura, che doveva ben conoscere. Da lei dobbiamo imparare a superare la preghiera di sola pétizione, per saper sprigionare prima di tutto la nostra esultanza e la nostra riconoscenza al Signore per i benefici della salvezza, di cui la Scrittura è la testimone più fedele. Su questo versante, si potrebbe anche sottolineare l'attualizza-zione dell'evento biblico di ieri nella celebrazione misterica di oggi, gettando un ponte tra la Parola e l'eucaristia, secondo il suggeri-mento dell'orazione dopo la comunione (ma non era meglio questo cenno nell'orazione sulle offerte?):

«Come Giovanni sentì la presenza nascosta di Cristo tuo Figlio, così il popolo esultante riconosca in questo sacramento la presenza viva del suo Signore».

Ma sono sufficienti le linee di riflessione indicate per un avvio ad una celebrazione della festa in sintonia con i testi della liturgia. Lo Spirito santo, che presiede all'incontro di Maria ed Elisabetta, aprendo i loro cuori alla gioia, all'amore e alla lode festosa, dia il tono pasquale-pentecostale a questa festa della chiesa, che ormai fa un tutt'uno con la grande memoria del tempo del Risorto e del Paraclito, suscitando in essa gli stessi frutti vitali.


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2. Joseph Ratzinger - Meditazione sul Magnificat



« Tu sei la piena di grazia »

Elementi per una devozione mariana biblica



«D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata ». Questa parola della Madre di Gesù, che Luca (1,48) ci ha tramandato, è insieme profezia e compito per la Chiesa di tutti i tempi. Così questa frase del Magnificat, ripresa dall'ispirata preghiera di lode di Maria al Dio vivente, è uno dei fondamenti essenziali della devozione cristiana a Maria. La Chiesa non ha inventato nulla di nuovo, quando ha cominciato a magnificare Maria; non è precipitata dalle altezze dell'adorazione dell'unico Dio giù nella lode di un essere umano. Essa fa ciò che deve fare e di cui è stata incaricata fin dall'inizio. Quando Luca scrisse questo testo, si era già nella seconda generazione cristiana, e alla « generazione » dei giudei si era aggiunta quella dei pagani, che erano divenuti Chiesa di Gesù Cristo. La parola « tutte le generazioni » cominciava a riempirsi di realtà storica. L'evangelista non avrebbe certo tramandato la profezia di Maria se essa gli fosse sembrata indifferente o superata. Nel suo Vangelo egli voleva fissare « con cura » ciò che « i testimoni oculari e i servitori della parola fin dal-l'inizio » (1,2-3) avevano tramandato, per dare così sicure indicazioni alla fede della cristianità che stava facendo il suo ingresso nella storia del mondo.
La profezia di Maria apparteneva a questi elementi, che egli aveva « con cura » rintracciato e riteneva sufficientemente importanti da tramandare come parte del Vangelo. Ciò presuppone che questa parola non era rimasta senza una corrispondenza nella vita della comunità: i primi due capitoli del Vangelo di Luca lasciano intendere un ambiente di tradizione, nel quale la memoria di Maria era custodita e la Madre del Signore era amata e lodata. Essi presuppongono che il grido, ancora un poco ingenuo, di quella donna sconosciuta: « Beato il seno che ti ha portato » (Lc 11,27) non si era spento, ma aveva invece trovato una più pura e valida configurazione nella più profonda comprensione che ne aveva dato Gesù. Presuppongono pure che il saluto di Elisabetta: « Tu sei benedetta fra tutte le donne » (1,42), che Luca caratterizza come una parola pronunciata nello Spirito Santo (1,41), non era rimasto un episodio isolato. La perdurante esaltazione di Maria, almeno in un filone della primitiva tradizione, è il presupposto dei racconti dell'infanzia lucani. L'inserzione di questa parola nel Vangelo eleva la venerazione di Maria da semplice fatto a compito per la Chiesa di tutti i luoghi e di tutti i tempi. La Chiesa trascura qualcosa di quella che è la sua missione, se non loda Maria. Essa si allontana dalla parola biblica, se in lei viene meno la venerazione di Maria. Allora essa in realtà non onora più neppure Dio nel modo che gli si addice. Noi conosciamo infatti Dio innanzitutto attraverso la sua creazione: « Dalla creazione del mondo in poi, le per-fezioni invisibili di Dio possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eter-na potenza e divinità... » (Rm 1,20). Conosciamo però Dio anche attraverso un'altra e più trasparente via e cioè attraverso la storia, che egli ha posto in atto con gli uomini. Come la realtà di un uomo si rivela nella storia della sua vita e nelle relazioni che intesse, così Dio si rende visibile in una storia, in uomini, attraverso i quali la sua natura si rende manifesta, a tal punto che egli in riferimento a loro può essere « denominato», in loro può essere riconosciuto: il Dio di Abramo, d'Isacco e di Giacobbe. Attraverso la relazione con persone umane, attraverso i volti di persone umane, egli si è manifestato ed ha mostrato il suo volto. Non possiamo, trascurando questi volti, voler avere solo Dio, per così dire nella sua forma pura: questo sarebbe un Dio pensato da noi al posto di quello reale, sarebbe un altezzoso purismo, che ritiene i propri pensieri più importanti delle azioni di Dio. Il versetto del Magnificat ci mostra che Maria è uno di quegli esseri umani che appartengono in modo del tutto speciale al nome di Dio, a tal punto che noi non possiamo lodarlo come si conviene se lo lasciamo da parte. Allora trascuriamo qualcosa di lui, che non può essere trascurato. Che cosa propriamente? La sua maternità, potremmo dire in una prima approssimazione, che si manifesta nella Madre del Figlio in modo più puro e diretto che non in qualsiasi altro luogo. Ma naturalmente questa è un'indicazione ancora troppo generica. Perché possiamo lodare Maria come si conviene e così onorare Dio nel modo giusto, dobbiamo metterci in ascolto di tutto ciò che Scrittura e Tradizione ci dicono sulla Madre del Signore e meditarlo nel nostro cuore. La ricchezza della dottrina mariana è, nel frattempo, gra-zie alla lode di « tutte le generazioni », divenuta quasi illimitata. In questa breve meditazione vorrei solo offrire un qualche aiuto per una rinnovata riflessione su alcune delle parole più significative che san Luca, nell'inesauribile testo della sua narrazione dell'infanzia, ci ha messo nelle mani.
... Infine vorrei fare riferimento ancora al Magnificat, che mi appare come una sintesi di tutti questi aspetti. Qui per i Padri Maria si manifesta come la profetessa ripiena di Spirito, in particolare nella predizione della lode da parte di tutte le generazioni. Ma questa preghiera profetica è tutta intessuta con fili dell'Antico Testamento. In che misura vi sono elementi precristiani o in che misura l'evangelista ha contribuito alla sua formulazione sono problemi del tutto secondari. Luca e la tradizione che sta dietro di lui odono in questa preghiera la voce di Maria, della Madre del Signore. Essi sanno: così ella ha parlato io Maria ha vissuto così profondamente nella parola dell'antica alleanza, che questa è divenuta in modo del tutto spontaneo la sua propria parola. La Bibbia era così pregata e vissuta da lei, era così «ruminata » nel suo cuore, che ella vedeva nella parola divina la sua vita e la vita del mondo; era così propria, che ella nella sua ora con questa stessa parola poteva rispondere. La parola di Dio era divenuta la sua propria parola, e la sua propria parola si era unita con la parola di Dio: i confini erano caduti, perché la sua esistenza nella familiarità con la parola era ormai vita con lo Spirito Santo. «L'anima mia magnifica il Signore»: non perché noi possiamo aggiungere qualcosa a Dio, commenta al riguardo sant'Ambrogio, ma perché lo lasciamo divenire grande in noi. Magnificare il Signore significa: voler fare grande non se stessi, il proprio nome, il proprio io, allargarsi ed esigere spazio, ma dare spazio a lui, perché egli sia maggiormente presente nel mondo. Significa diventare in modo più vero ciò che noi siamo: non una monade chiusa, che rappresenta solo se stessa, ma immagine di Dio. Significa liberarsi dalla polvere e dalla ruggine, che rende opaca e ricopre l'immagine, e divenire ve-ramente uomini nella pura relazione a lui.

Maria nel mistero della croce e della risurrezione

Sono così giunto al secondo aspetto dell'immagine di Maria, che ancora volevo toccare. Magnificare Dio, cioè rendersi liberi per lui; questo è il vero e proprio esodo, l'uscire dell'uomo da se stesso, che Massimo il Confessore nella spiegazione della passione di Cristo ha descritto in modo incomparabile: il « transito dal contrasto alla comunione delle due volontà », che « passa attraverso la croce dell'obbedienza ». In Luca troviamo espressa la dimensione di croce, che la grazia, la profezia e la mi-stica hanno per Maria nell'incontro con il vecchio Simeone. Il vecchio dice a Maria in parola profetica: « Ecco, egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione e a te una spada trasfiggerà l'anima... » (2,34ss). Mi viene in mente la profezia di Natan a Davide dopo il suo peccato: ha ucciso Uria con la spada degli ammoniti: « Ebbene, la spada non si allontanerà mai dalla tua casa » (2Sam 12,9ss). La spada, che pende sopra la casa di Davide, colpisce ora il suo cuore. Nel vero Davide, Cristo, e nella sua madre, la vergine pura, la maledizione viene presa su di sé e quindi superata. La spada trafiggerà il cuore di Maria: è allusione alla passione del Figlio, che diverrà la sua propria passione. Questa passione inizia già con la successiva visita al tempio: ella deve accettare la preminenza del suo vero padre e della sua casa, del tempio; deve imparare a lasciare libero colui che ha generato. Deve portare a compimento quel «sì» alla volontà di Dio, che l'ha fatta diventare madre, mettendosi in disparte e lasciandolo alla sua missione. Nei dinieghi della vita pubblica e nel mettersi in disparte si verifica un passo importante, che si compirà sotto la croce con le parole: « Ecco tuo figlio »; non più Gesù, ma il discepolo è ora suo figlio. L'accoglienza e la disponibilità sono il primo passo che le viene richiesto; il lasciare e l'abbandonare il secondo. Solo così si compie la sua maternità: le parole « beato il ventre che ti ha portato » divengono pienamente vere solo quando si tramutano nell'altra beatitudine: «Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano » (Lc 11,27s). Così Maria è preparata al mistero della croce, che non termina semplicemente sul Golgota. Suo Figlio rimane segno di contraddizione, ed ella rimane così fino alla fine coinvolta nella sofferenza di questa contraddizione, nella sofferenza della maternità messianica. Alla pietà cristiana è diventata particolarmente cara proprio l'immagine della madre sofferente, divenuta totalmente compassione, con in braccio il Figlio morto. Nella madre compassionevole i sofferenti di tutti i tempi hanno tro-vato il riflesso più puro di quella compassione divina, che è l'unica vera consolazione. Infatti ogni dolore, ogni sofferenza è nella sua ultima realtà isolamento, perdita di amore. felicità, distrutta di chi non viene accolto. Soltanto l'essere «con» può sanare il dolore. In Bernardo di Chiaravalle si trova la mirabile espressione: Dio non può patire, ma può compatire. Bernardo pone così in qualche modo termine alla discussione dei Padri sulla novità del concetto cristiano di Dio. Secondo il pensiero antico, della natura di Dio faceva parte l'imperturbabilità propria della ragione pura. Per i Padri era difficile rifiutare questa concezione e pensare a una « passione » in Dio, ma a partire dalla Bibbia essi vedevano molto bene che «la rivelazione biblica » tutto « sconvolge..., quanto il mondo aveva pensato su Dio». Essi compresero che in Dio vi è un'intima passione, che è perfino la sua peculiare essenza, l'amore. E poiché egli è amante, proprio per questo il patire sotto la forma del compatire non gli è estraneo. « Nel suo amore per gli uomini colui che non può patire ha patito la compassione della misericordia » scrive Origene. Si potrebbe dire: la croce di Cristo è il compatire di Dio con il mondo. Nell'Antico Testamento ebraico il compatire di Dio con l'uomo è espresso non attraverso un termine preso dall'ambito psicologico, ma, in armonia con la modalità concreta del pensiero semitico, viene designato con un vocabolo, che nel suo significato fondamentale indica una parte fisica del corpo, e cioè rahamim, che al singolare significa il grembo, il seno materno. In questo modo, come « cuore » esprime il sentimento, lombi e reni il desiderio e il dolore, così il grembo materno esprime lo stare vicino all'altro, indica nel modo più profondo la capacità dell'essere umano di esistere per l'altro, di accoglierlo, di portarlo in sé e, nel portarlo su di sé, di dargli la vita. Con un termine preso dal linguaggio del corpo, l'Antico Testamento ci dice come Dio ci custodisca dentro di sé, ci porti in sé con amore compassionevole. Le lingue, con le quali il Vangelo entrò in contatto nel suo passaggio al mondo pagano, non conoscevano tali forme di espressione. Ma l'immagine della Pietà, la « mater dolorosa » che abbraccia il Figlio morto, divenne la traduzione vivente di questa parola: in lei si rende manifesta la passione materna di Dio. In lei è divenuta visibile, toccabile. Essa è la « compassio » di Dio, resa presente in un essere umano, che si è lasciato totalmente attirare nel mistero di Dio. Ma, poiché la vita umana comporta sempre la sofferenza, per questo l'immagine della « mater dolorosa », l'immagine della misericordia (rahamim) di Dio è divenuta così importante per la cristianità. Solo in lei l'immagine della croce giunge a compimento, perché essa è la croce accolta, la croce che si comunica nell'amore, che ci permette ora, nella sua compassione, di sperimentare la compassione di Dio. Così la sofferenza della madre è sofferenza pasquale, che già manifesta la trasformazione della morte nel redentivo « essere con » dell'amore. Solo apparentemente ci siamo allontanati dal «gioisci », con il quale ha inizio la storia di Maria. Infatti la gioia, che le viene annunciata, non è la gioia banale, che si fonda sulla dimenticanza degli abissi della nostra esistenza ed è pertanto condannata a precipitare nel vuoto. E la vera gioia, che ci dà l'audacia di osare l'esodo dell'amore fin nell'ardente santità di Dio. E quella vera gioia, che nella sofferenza non viene distrutta, ma soltanto portata a maturità. Soltanto la gioia che resiste alla sofferenza, ed è più forte della sofferenza, è la vera gioia. «Tutte le generazioni mi chiameranno beata». Noi proclamiamo Maria beata con parole che sono una sintesi del saluto dell'angelo e del saluto di Elisabetta, con parole, quindi, che non sono state inventate da uomini. Infatti circa il saluto di Elisabetta l'evangelista dice che ella lo ha pronunciato in quanto ripiena di Spirito Santo. « Tu sei benedetta fra tutte le donne, e benedetto è il frutto del tuo seno » ha detto Elisabetta; e noi imitandola ripetiamo: « Tu sei benedetta ». Qui risuona ancora una volta all'inizio della nuova alleanza la promessa fatta ad Abramo, al quale Dio ha detto: « Tu sarai una benedizione... in te tutte le generazioni della terra saranno benedette » (Gn 12,2-3). Maria, che ha accolto la fede di Abramo e l'ha condotta al suo fine, è ora la benedetta. E divenuta la madre dei credenti, attraverso di lei tutte le generazioni della terra sono benedette. Quando la lodiamo, ci collochiamo all'interno di questa benedizione. In essa entriamo, quando, insieme con lei diventiamo credenti e magnifichiamo Dio, perché egli abiti in mezzo a noi come il Dio con noi: Gesù Cristo, il vero e unico redentore del mondo.


Da J. Ratzinger, Maria Chiesa nascente, Milano, 1998

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3. CELEBRAZIONE MARIANA PER LA CONCLUSIONE DEL MESE DI MAGGIO IN VATICANO
PAROLE DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II
Giovedì, 31 maggio 2001 Visitazione di Maria a Santa Elisabetta

"Maria si mise in viaggio verso la montagna..." (Lc 1,39).

Concludiamo ai piedi di questa Grotta, che richiama alla mente il Santuario di Lourdes, cammino mariano svolto nel corso del mese di maggio. Riviviamo insieme il mistero della Visitazione di Maria Santissima, in questo pellegrinaggio attraverso i Giardini Vaticani, che ogni anno coinvolge insieme con Cardinali e Vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, seminaristi e tanti fedeli. Sono grato al caro Cardinale Virgilio Noè e a tutti coloro che hanno attentamente curata la preparazione di questo appuntamento di preghiera ai piedi della Vergine.
Risuonano nel nostro cuore le parole dell'evangelista Luca: "Appena ebbe udito il saluto di Maria,... Elisabetta fu piena di Spirito Santo" (1,41).
L'incontro tra la Madonna e la cugina Elisabetta è come una sorta di "piccola Pentecoste". Vorrei sottolinearlo questa sera alla vigilia ormai della grande solennità dello Spirito Santo.
Nel racconto evangelico, la Visitazione segue immediatamente l'Annunciazione: la Vergine Santa, che porta in grembo il Figlio concepito per opera dello Spirito Santo, irradia intorno a sé grazia e gaudio spirituale. E' la presenza in Lei dello Spirito che fa sussultare di gioia il figlio di Elisabetta, Giovanni, destinato a preparare la via al Figlio di Dio fatto uomo.
Dove c'è Maria, c'è Cristo; e dove c'è Cristo, c'è il suo Spirito Santo, che procede dal Padre e da Lui nel mistero sacrosanto della vita trinitaria. Gli Atti degli Apostoli sottolineano a ragione la presenza orante di Maria, nel Cenacolo, insieme con gli Apostoli riuniti in attesa di ricevere la "potenza dall'Alto". Il "sì" della Vergine attira sull'umanità il Dono di Dio: come nell'Annunciazione, così nella Pentecoste. Così continua ad avvenire nel cammino della Chiesa.
Riuniti in preghiera con Maria, invochiamo una copiosa effusione dello Spirito Santo sulla Chiesa intera, perché a vele spiegate prenda il largo nel nuovo millennio. In modo particolare, invochiamolo su quanti operano quotidianamente al servizio della Sede Apostolica, affinché il lavoro di ciascuno sia sempre animato da spirito di fede e di zelo apostolico
Si chiude il nostro pellegrinaggio mariano nella quiete della sera e questo ci induce anche a pensare all'orizzonte ultimo della nostra esistenza. La Vergine Maria cammina con la Chiesa pellegrinante e, al tempo stesso, regna nel Paradiso tra gli Angeli e i Santi. Ella ci insegni, con la sua Visitazione, che la gioia si trova spendendo la vita per Cristo. E' così, infatti, che ci si prepara ad entrare con Lui nella gloria del Padre celeste. Possa lo Spirito Santo rafforzare i nostri passi su questa via, che ci conduce al Cielo.
Con questi sentimenti, tutti di cuore vi benedico.
E’ molto significativo che l’ultimo giorno di maggio ci porti la festa della Visitazione. Con questa conclusione è come se volessimo dire che ogni giorno di questo mese è stato una sorta di visitazione. Abbiamo vissuto durante il mese di maggio una continua visitazione, così come l’hanno vissuta Maria ed Elisabetta. Siamo grati a Dio che questo fatto biblico oggi ci sia riproposto dalla Liturgia.
A tutti voi, qui riuniti così numerosi, auguro che la grazia della visitazione mariana, vissuta durante il mese di maggio e specialmente in quest’ultima serata, si prolunghi nei giorni che verranno.

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LA VISITAZIONE: TESTI PATRISTICI




Dalle Omelie di san Beda il Venerabile

In Lucam Evangelii Expositio, I, 1. PL 92, 320‑321.

Appena Maria ha dato il suo consenso all'angelo dell'annunciazione, questi si volge verso il cielo e Maria verso la montagna. Ella si mette subito in viaggio per andare a trovare Elisabetta, mossa non da dubbio o da incredulità, ma per compiere il suo dovere con gioia e dedizione.

Il racconto si connota anche per una dimensione simbolica: quando l'anima concepisce in sé stessa il Verbo di Dio, si mette immediatamente in viaggio verso la montagna spirituale mediante l'amore, allo scopo di raggiungere la città della Giudea, vale a dire la rocca dell'adorazione della lode.

Entrata nella casa di Zaccaria salutò Elisabetta. Chi è vergine ha qui da imparare l'umiltà di Maria, per essere casto e puro di cuore. Vedete che la più giovane visita la più anziana e la vergine saluta la donna sposata.

Occorre infatti che la vergine sia tanto più umile quanto più è casta. Dimostrando il proprio rispetto a chi è più anziano di età, essa inghirlanda il suo stato verginale con la lode resa alla sua umiltà.

Maria viene da Elisabetta e il Signore viene da Giovanni, affinché l'una sia colmata di Spirito Santo e l'altro sia consacrato dal battesimo. L'umiltà dei primi procura l'elevazione degli altri.

Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria.. il bambino le sussulto nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo.

Fate attenzione all'ordine e al significato delle parole: Elisabetta è la prima a udire le parole di Maria, ma Giovanni è il primo ad avvertire la grazia di Cristo.

Elisabetta ascolta in modo naturale, ma Giovanni trasalisse a causa del mistero.

Elisabetta percepisce l'arrivo di Maria, ma Giovanni presente quello del Signore.

Le due donne proclamano la grazia, i due bambini la operano.

I bambini sono confrontati con il mistero divino grazie all'azione delle madri, mentre queste profetizzano con un duplice miracolo grazie allo spirito dei due bambini.

Giovanni trasalisse, poi Elisabetta è piena di Spirito Santo. Il figlio riceve lo Spirito per primo in modo che lo possa comunicare alla madre.

Elisabetta esclamò a gran voce: "Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo!".

Notiamo qui che l'antica profezia in ordine a Cristo si attua non soltanto nella realtà dei miracoli, ma anche nella loro espressione letterale. Infatti era stato promesso con giuramento al patriarca i Davide: Il frutto delle tue viscere io metterò sul mio trono (Sal 131, 11).

A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?

Elisabetta non pone la domanda per ignoranza, giacché sa benissimo che è salutata dalla madre del suo Signore in vista della santificazione di suo figlio. Parla cosi, dato che è stupefatta per la novità di quel miracolo, e proclama che esso non dipende dal proprio merito, ma dal dono di Dio.

Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi. il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo.

Elisabetta aveva taciuto sulla sua maternità incipiente, finché ne ignorò il mistero; ma dopo cinque mesi di silenzio sul concepimento del figlio, comincia a parlarne rallegrandosi di aver concepito un profeta.

Prima Elisabetta stava nascosta, ora si mette a proclamare benedizioni. Era rimasta dubbiosa, ma adesso è rassicurata. Alla venuta del Signore ella si esprime a gran voce, si cura com'è che il frutto del suo ventre è voluto da Dio. Non ha più nessun motivo per sottrarsi agli sguardi, dato che la nascita di un profeta attesta un concepimento integro e retto.

E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore.

Maria non ha dubitato, ma ha creduto e ha ottenuto il frutto della sua fede. Ella è veramente beata, molto più di Zaccaria. Questi aveva opposto un dubbio e Maria lo cancella con la sua fede.

Non c'è da stupirsi che il Signore abbia voluto riscattare il mondo, cominciando quest'opera da sua madre. Egli prepara in lei la salvezza di tutti gli uomini e le fa gustare per prima le primizie del frutto salutifero.

Notiamo pure che la grazia di cui è colmata Elisabetta, all'arrivo di Maria, la illumina di uno spirito profetico che abbraccia simultaneamente il passato (colei che ha creduto), il presente (madre del mio Signore), e il futuro (nell'adempimento delle parole del Signore).

Allora Maria disse: "L'anima mia magnifica il Signore". Iddio mi ha innalzata con un dono cosi grande e inaudito che nessun linguaggio mi offre le parole adeguate ad esprimerlo; riesce a coglierlo soltanto il sentimento del cuore profondo.

Consacro, perciò, tutte le mie energie spirituali all'azione di grazie e alla lode e consegno quanto in me vive, sente e capisce alla contemplazione della grandezza di Colui che non ha limiti. Il mio spirito infatti esulta per la divinità eterna di Gesù Salvatore che da me ha preso l'esistenza nel tempo.
Dalle «Omelie» di san Beda il Venerabile, sacerdote

(Lib. 1, 4; CCL 122, 25-26, 30) 

«L'anima mia magnifica il Signore ed il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore» (Lc 1, 46). Con queste parole Maria per prima cosa proclama i doni speciali a lei concessi, poi enumera i benefici universali con i quali Dio non cessò di provvedere al genere umano per l'eternità.
Magnifica il Signore l'anima di colui che volge a lode e gloria del Signore tutto ciò che passa nel suo mondo interiore, di colui che, osservando i precetti di Dio, dimostra di pensare sempre alla potenza della sua maestà.
Esulta in Dio suo salvatore, lo spirito di colui che solo si diletta nel ricordo del suo creatore dal quale spera la salvezza eterna.
Queste parole, che stanno bene sulle labbra di tutte le anime perfette, erano adatte soprattutto alla beata Madre di Dio. Per un privilegio unico essa ardeva d'amore spirituale per colui della cui concezione corporale ella si rallegrava. A buon diritto ella poté esultare più di tutti gli altri santi di gioia straordinaria in Gesù suo salvatore. Sapeva infatti che l'autore eterno della salvezza, sarebbe nato dalla sua carne, con una nascita temporale e in quanto unica e medesima persona, sarebbe stato nello stesso tempo suo figlio e suo Signore.
«Cose grandi ha fatto a me l'onnipotente e santo è il suo nome».
Niente dunque viene dai suoi meriti, dal momento che ella riferisce tutta la sua grandezza al dono di lui, il quale essendo essenzialmente potente e grande, è solito rendere forti e grandi i suoi fedeli da piccoli e deboli quali sono. Bene poi aggiunse: «E Santo è il suo nome», per avvertire gli ascoltatori, anzi per insegnare a tutti coloro ai quali sarebbero arrivate le sue parole ad aver fiducia nel suo nome e a invocarlo. Così essi pure avrebbero potuto godere della santità eterna e della vera salvezza, secondo il detto profetico: «Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato» (Gl 3, 5).
Infatti è questo stesso il nome di cui sopra si dice: «Ed esultò il mio spirito in Dio, mio salvatore».
Perciò nella santa Chiesa è invalsa la consuetudine bellissima ed utilissima di cantare l'inno di Maria ogni giorno nella salmodia vespertina. Così la memoria abituale dell'incarnazione del Signore accende di amore i fedeli, e la meditazione frequente degli esempi di sua Madre, li conferma saldamente nella virtù. Ed è parso bene che ciò avvenisse di sera, perché la nostra mente stanca e distratta in tante cose, con il sopraggiungere del tempo del riposo si concentrasse tutta in se medesima.
Origene (circa 185-253), sacerdote e teologo
Discorsi su san Lucca, 7 ; PG 13, 1817s
« A che debbo che la madre del mio Signore venga a me ? »

“Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo cha
la Madre del mio Signore venga a me?” Queste parole: “A che debbo?” non sono un segno di ignoranza, come se Elisabetta, piena dello Spirito Santo non sapesse che
la Madre del Signore fosse venuta per volontà di Dio. Il senso delle sue parole è questo: “Cosa ho fatto di bene? In cosa le mie opere hanno tanto valore da far sì che
la Madre del Signore venga a trovarmi? Sono forse una santa? Per quale perfezione, per quale fedeltà interiore ho meritato questo favore, una visita della Madre del Signore?” “Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo”. Aveva sentito che il Signore era venuto per santificare il suo servo anche prima la sua nascita.
Che io possa essere considerato pazzo da coloro che non hanno la fede, per aver creduto tali misteri!… Perché, ciò che è ritenuto follia da questa gente è per me occasione di salvezza. Infatti se la nascita del Salvatore non fosse stata celeste e beata, se essa non avesse avuto nulla di divino e di superiore alla natura umana, la sua dottrina non avrebbe mai raggiunto tutta la terra. Se nel seno di Maria, non vi fosse stato altro che un uomo, e non il Figlio di Dio, come sarebbe potuto succedere che, in quell’ epoca e ancora oggi, ogni sorta di malattia, non solo del corpo, ma anche dell’anima avesse potuto essere guarita?… Se raccogliamo quanto è stato riferito di Gesù, possiamo constatare che quanto è stato scritto a suo riguardo viene considerato divino e degno di ammirazione. Infatti la sua nascita, la sua educazione, la sua potenza, la sua Passione, la sua risurrezione, non sono soltanto dei fatti che sono successi in quell’ epoca: operano in noi, ancora oggi.



Ambrogio: La Visitazione - un cammino verginale di fede, di amore, di umiltà
"«In quei giorni Maria si alzò e partì in fretta verso la montagna, per una città di Giuda, ed entrò nella casa di Zaccaria, e salutò Elisabetta» (Lc 1, 39-40).
19. Convenienza insegna che chi esige di essere creduto debba esibire le prove. Quindi, poiché l’angelo annunziava cose segrete, per garantirne con una prova la veridicità, annunziò a Maria che una donna attempata e sterile aveva concepito, affermando così che a Dio è possibile tutto ciò che vuole. Non appena Maria ebbe ciò udito, non dimostrò diffidenza per la profezia, né incertezza per quell’annunzio, né dubbio circa quella prova, bensì, invece, gioiosa di compiere il suo desiderio, delicata nel suo dovere, premurosa nella sua gioia, si affrettò verso la montagna. Dove, se non verso le cime, doveva tendere premurosamente colei che già era piena di Dio? La grazia dello Spirito Santo non conosce ostacoli che ritardano il passo.
«Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo seno! E donde a me questo, che venga da me la madre del mio Signore?» (Lc 1, 42-43).
24. Lo Spirito Santo sa quel che deve dire, né mai se ne dimentica, e ogni profezia non solo si adempie avverandosi nella miracolosa realtà dei fatti, ma anche mediante la proprietà delle parole usate. Chi è questo frutto del seno, se non colui, del quale è stato detto: «Ecco, eredità del Signore sono i figli, una ricompensa del frutto del seno» (Sal 126, 3)? Ciò significa: i figli sono eredità del Signore, perché sono la ricompensa di quel frutto, che procedette dal seno di Maria. Egli è il frutto del seno, il virgulto della radice; di lui bene ha profetato Isaia dicendo: «Un rampollo nascerà dal tronco di Iesse, un virgulto spunterà dalla sua radice» (Is 11, 1); la radice è la progenie giudaica, il rampollo è Maria, il virgulto di Maria è Cristo, che, come il frutto di un albero buono, secondo il progresso delle nostre virtù, ora fiorisce, ora fruttifica in noi, ora si rinnova in noi per virtù del suo corpo risuscitato.
«E donde a me questo, che venga da me la madre del mio Signore?».
25. Non parla così per ignoranza - sapeva infatti che, per grazia e per impulso dello Spirito Santo, la madre del profeta doveva essere salutata dalla madre del Signore per il bene del suo figliuolo -: ma, conoscendo che tale dono non era dovuto a meriti umani, bensì solo alla grazia divina, per questo dice: «Donde a me questo?». Come se dicesse: Che grande favore è quello che mi accade, che la madre del mio Signore venga da me! Non riesco a comprenderlo. «Donde a me questo?». Per quale virtù, per quali buone opere, per quali meriti? Queste non sono gentilezze in uso fra le donne, «che venga da me la madre del mio Signore». Avverto un miracolo, riconosco il mistero: la madre del Signore è gravida del Verbo, è piena di Dio.
«Poiché, ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta alle mie orecchie, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata tu che hai creduto!» (cf. Lc 1, 44-45).
26. Vedi bene che Maria non aveva dubitato, bensì creduto e perciò aveva conseguito il frutto della sua fede. «Beata tu che hai creduto». Ma beati anche voi che avete udito e avete creduto: infatti, ogni anima che crede, concepisce e genera il Verbo di Dio e ne comprende le operazioni. Sia in ciascuno l’anima di Maria a magnificare il Signore, sia in ciascuno lo spirito di Maria ad esultare in Dio: se, secondo la carne, una sola è la madre di Cristo, secondo la fede tutte le anime generano Cristo."
Ambrogio di Milano, Esposizione del Vangelo secondo Luca, II, 19. 24-26.

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La Visitazione: Omelia di san Carlo Borromeo
Homilia 43. Mediolani 1747, t. 1, 322‑327.330‑332.


Oggi la Vergine Maria valica i monti e arriva da Elisabetta per esserle di aiuto durante la gravidanza di lei. Infatti, appena la Vergine santissima fu piena di Dio, si dedicò con impegno totale alle opere di carità in esultante e fervida premura.


Talvolta anche noi siamo riempiti dallo Spirito Santo, quando egli ci ispira santi desideri che ci fanno concepire progetti di bene. Bisogna però correre subito a eseguirli, giacché sono tanti coloro che avvertono le mozioni dello Spirito Santo, ma per negligenza le lasciano illanguidire, sicché esse svaniscono del tutto.


Figli miei, veniamo subito ai fatti concreti finché il nostro cuore è infiammato e lo spirito ci arde di quel fuoco sacro, per tema che le preoccupazioni e i pensieri profani non spengano il fervore che lo Spirito di Dio ha suscitato nel nostro intimo.


Noi siamo a noi stessi il nostro peggior nemico, quando ci abbassiamo al punto da preferire di abitare nei bassifondi con bestie e serpenti, piuttosto che dimorare con Dio e gli angeli e salire sui monti con la santissima Vergine Madre di Dio. Perché sostiamo in questo infelice esilio terreno?


Perché indugiamo per via quando non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura (Eb 13,14). A che scopo Cristo è morto e ha istituito i santissimi sacramenti? Essi non sono forse i gradini che ci permettono di salire sulla montagna spirituale?


Contemplate, figlie. figlie carissimi, le profondità della chiamata divina e con ogni cura vigilate sul cuore (Pro 4, 23).


Non posso far a meno di ammirare, fratelli, la somma umiltà di Maria. La grandezza inconcepibile dell'onore che è fatto alla Vergine non la esalta minimamente, ma al contrario la sua nuova dignità la rende ancora più umile.


Ed è normale, perché Maria deve alla sua umiltà di essere quello che è: Dio ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata (Lc 1,48).


Maria era vergine, divenne Madre di Dio, signora del cielo e regina degli angeli, eppure non sdegna di andare da Elisabetta per servirla, benché lei stessa sia incinta. Addirittura saluta la cugina per prima e rimane con lei circa tre mesi.


Pensate, fratelli, a tutti gli atti di umiltà che la Vergine dovette fare durante quel soggiorno! Benché il vangelo non scenda in particolari a questo proposito, senz'altro Maria fece tutto quello che ci si poteva aspettare dalla più umile delle vergini.


Maria si mette rapidamente in viaggio per recarsi da Elisabetta, non soltanto perché vuole essere di aiuto alla cugina, ma perché nel suo grembo Dio la spinge ad affrettarsi.


Il Figlio di Dio scende in terra per debellare il peccato, per estirparlo fin dalla radice nell'intento di riscattare gli uomini. Spinge Maria a recarsi da Elisabetta, perché ancora prima di nascere gli preme di redimere l'anima di Giovanni, vuole purificarla dal peccato originale e investirla di una grazia tale che nessun peccato grave possa sfigurarla finché vivrà.


Il profeta Isaia aveva predetto quel viaggio affrettato. Infatti, dopo aver parlato della nascita del Cristo Signore, dicendo: Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio (Is 7,14), soggiunge: In fretta il bottino! Rapida la preda! Poiché.. prima che il bambino sappia dire babbo e mamma, le ricchezze di Damasco e le spoglie di Samaria saranno portate davanti al re di Assiria (Is 8, 3). Questo fare un buon bottino simboleggia la vittoria di Cristo che strappa la preda dalle fauci del demonio.


La salvezza degli uomini è ardentemente bramata da colui che viene a salvarli. Perché stupirsi allora che la Vergine Maria si metta in cammino alla svelta sotto l'impulso del Figlio che porta in seno? Egli aspira a santificare il figlio di Elisabetta la sterile, a lavarlo dal peccato originale e a riempirlo dì Spirito Santo.


Questo episodio ci spinge a considerare l'immenso amore che Dio ci porta; non dobbiamo, infatti, mai perdere un'occasione per farne memoria, figli carissimi.


Il Signore, ancora racchiuso nel grembo della Vergine, si affretta per poter mostrare la sua misericordia a Giovanni.


In questo modo, che non deve stupirci, ci fa capire come Dio si connota per una misericordia sempre pronta a perdona re. Somma bontà per essenza, egli ha sommo desiderio di comunicarsi e diffondersi in ciascuno di noi.


Ancora nel grembo materno, Giovanni riconosce il Figlio di Dio che viene e lo santifica. Cristo comincia con l'illuminare la mente di lui, poi ne infiamma il volere con l'ardore della carità. Giovanni esulta allora di gioia in seno a Elisabetta.


Va sottolineato che il bambino manifesta il suo sentimento alla presenza della maestà divina non soltanto con la gioia del cuore, ma anche con un movimento del corpo. Infatti, l'amore con cui lo Spirito Santo lo infuoca, si estende pure alle potenze inferiori dell'anima e si comunica nella forma di una gioia fisica, tanto che Giovanni avrebbe potuto ripetere con il profeta: Il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente (Sal 83, 3).


L'esempio di Giovanni ci insegna a onorare Dio con una bontà ardente, che non sia soltanto interiore ma esteriore, giacché l'amore per Dio non può rimanere inoperoso. Il trasalimento del Precursore ci rammenta l'immensità dei beni che abbiamo ricevuto da Dio.


Giovanni è santificato prima di nascere nel seno materno, e il demonio non possederà mai la sua anima, perché il Battista non offenderà mai Dio con una colpa grave. Questo non è certo il nostro caso. Beati, tuttavia, quelli che si consacrano al culto di Dio fin dall'infanzia e cosi gli offrono, come sacrificio quanto mai gradito, il fiore della vita, primizia dei frutti che porteranno.


Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamo a gran voce: "Benedetta tu fra le donne,, e benedetto il frutto del tuo grembo!" (Lc 1, 42).


Tu sei benedetta fra tutte le donne, perché benedetto è colui che tu porti. Solitamente, la nobiltà del frutto proviene dalla nobiltà dell'albero, ma tu, o Maria, sei nobilitata dal frutto delle tue viscere. Eva aveva avvelenato l'universo a.causa di un frutto mortifero; tu invece arrechi la salvezza al mondo intero.


A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? (Lc 1,43). E' mai possibile che la regina degli angeli e la Madre di Dio voglia visitare la sua serva meschina, questa donnetta?


Fate vostre a doppio titolo queste parole di Elisabetta, figli carissimi, e rivolgetele non alla Madre di Dio ma a Dio stesso, perché egli viene doppiamente a noi: viene per noi e viene grazie a noi, che siamo i suoi ministri e i suoi inviati.


Il Figlio glorioso di Dio, Cristo stesso, viene a noi nel santissimo sacramento dell'Eucaristia. Se sapessimo entrare in estasi davanti a tale mistero!


Quando Gesù si avvicinò a Pietro, questi gridò: Signore, allontanati da me che sono un peccatore (Lc 5, 8). Anche il centurione esclamò: Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto (Mt 8, 8). Ciò nonostante, Cristo salì sulla barca dell'Apostolo ed entrò nella casa dell'ufficiale.


Che vi rimane da dire, figli miei, quando il Signore viene nella vostra anima e nel vostro corpo e si fa per voi banchetto spirituale? Senza dubbio esclamerete: A che debbo che venga a me? Quale è il mio merito, dato che seppi soltanto fare il male e nulla di buono? Com'è possibile che tu venga a nutrire me povero peccatore, per unirmi a te? Perché tu vieni verso di me non soltanto per tramite dei tuoi ministri, non soltanto con la tua grazia, ma con il dono di tutto te stesso.


Com'è possibile che tu, Dio, Re del cielo e della terra, possa volerti unire a me, che sono cenere, polvere e indegno peccatore? lo, che ti offendo ogni giorno e ti provoco di continuo?


L'unica spiegazione sta nel tuo amore infinito. Fu l'amore a guidarti dal cielo in terra e ti spinse a soffrire e a morire per me.