giovedì 24 maggio 2012

Maria intercede per noi




















ROMA, giovedì, 24 maggio 2012.- Nessuno più di Maria è “Figlia dello stupore” generato da Dio.
Maria, in quanto Madre di Gesù, ha ricevuto la facoltà di esercitare sul Figlio un ascolto speciale, ha meritato una considerazione che a nessun’altra creatura umana è stata parimenti concessa.
Maria sa di potere strappare al Figlio ogni miracolo: per questo ci chiede di mettere le nostre vite nelle mani di Gesù Signore.
Maria sembra dirci, con insistenza sempre più grande: “Ascoltate Gesù, ritornate a Gesù, lasciate operare Gesù!”.
Il Beato Giovanni Paolo II, a conclusione del secondo millennio di vita cristiana, invitò l’umanità intera a “prendere il largo: «Duc in altum» (Lc 5, 4)” (Novo millennio ineunte, n. 1).
Ebbene, molti hanno trascurato questo invito. Perché Cristo prenda il largo nella nostra vita e “dilaghi” in noi la gioia grande del suo amore, occorre assicurarsi che sulla nostra “barca” ci sia Maria, la Madre del “bell’amore”.
Altrimenti, più che “prendere il largo” la nostra vita rischia di… “andare alla deriva”!
Maria è Madre e la sua fiducia nel potere del Figlio “genera” in noi miracoli anche dinanzi alle proposte d’amore più incredibili che il Signore può rivolgerci.
Maria, all’angelo che la interpellava sul suo futuro, che le chiedeva di cambiare i suoi “progetti di maternità” con Giuseppe, che le prospettava l’immancabile persecuzione morale e sociale a causa di una “gravidanza ingiustificata” (Lc 1, 28-37), si limiterà a rispondere: «Avvenga in me quello che tu hai detto» (Lc 1, 38).
Tradotto in termini più semplici: “Signore, fai quello che dici”. “Signore, mi fido di te, se questa è opera tua”.
Non sono parole di sfida, ma un gesto d’amore figliato da una fede piena nel Figlio. Sono parole che rinunciano al calcolo della ragione e obbediscono all’abbandono del cuore.
Maria è modello di fede, perché credendo comprende. Obbedisce a Dio consapevole di Dio. Non si dà conto di sé ma di Dio, più di ogni altra cosa; e ci dà conto di Dio al di là di se stessa.
Scrive il Beato John Henry Newman, sacerdote anglicano londinese convertito al cattolicesimo e divenuto cardinale: “Ci è modello di fede sia nell’accogliere sia nello studiare la verità divina.
Essa non crede sufficiente accettare: vi indugia; non soddisfatta dal solo possesso di questa, ne fa uso; non contenta di acconsentirvi, la sviluppa; non paga di sottomettervi la ragione, vi ragiona sopra, prima credendo senza ragionare per poi, con amore e riverenza, ragionarci su dopo avere creduto.
E così diventa simbolo per noi non soltanto della fede dei semplici, ma anche dei dottori della Chiesa” (in “Maria nostro modello nel ricevere e nello studiare la fede”).
Per ogni approfondimento: di Salvatore Martinez, “I cinque sguardi di Maria- Per una nuova evangelizzazione” (Edizioni Rinnovamento nello Spirito Santo)

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Di seguito l'omelia di mons. dal Covolo alla Messa per la Solennità di Maria SS.Ausiliatrice dei Cristiani alla Lateranense


ROMA, giovedì, 24 maggio 2012  - Celebriamo oggi un “segno grandioso”: “Una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi, e sul capo una corona di dodici stelle” (Apocalisse 12,1).
Questo “segno grandioso”, che noi oggi celebriamo, ha un nome e una storia. Si chiama Maria Ausiliatrice, o meglio Maria Auxilium Christianorum, la Madonna di Don Bosco.
Vorrei delineare brevemente la storia di questa devozione all’Ausiliatrice: una devozione così “salesiana”, così di “casa nostra”, che continua a commuovermi.
Don Bosco stesso ci aiuta, in alcuni cenni storici molto sintetici, quando scrive: “Un’esperienza di diciotto secoli” (oggi egli direbbe: un’esperienza di duemila anni) “ci fa vedere in modo luminosissimo che Maria ha continuato dal cielo, e col più grande successo, la missione di Madre della Chiesa e di Ausiliatrice dei cristiani, quella stessa missione che aveva cominciato sulla terra”.
Lo abbiamo ascoltato anche nel Vangelo: alle nozze di Cana, in Galilea, l’occhio vigile e materno di Maria anticipa addirittura l’ora di Gesù, l’ora della nostra salvezza. Già i martiri delle catacombe pregavano così: Sub tuum praesidium confugimus, Sancta Dei Genitrix.
Sì, sotto il tuo aiuto, sotto il tuo manto materno, noi ci rifugiamo, santa Madre di Dio…
Ma l’ambiente in cui si sviluppò la devozione a Maria Ausiliatrice è il clima drammatico della battaglia di Lepanto del 1571.
Qui a Roma c’è un affresco originale, nel Convento dei Domenicani di santa Sabina, sull’Aventino, là dove è conservata l’antica cella di san Pio V. Raccolto in preghiera, con il Rosario in mano, Pio V ha una visione: la flotta delle navi cristiane arresta e sconfigge l’inesorabile avanzata dei musulmani in Europa.
Egli era devoto, da bravo figlio di san Domenico, del Rosario. Ma attorno a questa devozione egli fece fiorire anche la giaculatoria: Maria Auxilium Christianorum, alla quale venne assegnata una peculiare indulgenza.
Fu poi uno dei successori di san Pio V, Pio VII, a istituire la festa di Maria Ausiliatrice, il 24 maggio di due secoli e mezzo più tardi. In quel giorno infatti – era il 24 maggio 1814 – Pio VII poté rientrare a Roma, ponendo termine finalmente ai cinque anni dolorosi di esilio e di prigionia, a cui lo aveva costretto Napoleone Bonaparte.
Ancora cinquant’anni dopo, nel 1868, Don Bosco inaugurava a Valdocco (Torino) la splendida Basilica dedicata a Maria Ausiliatrice.
Sopra l’altare maggiore della Basilica campeggia il famoso quadro del Lorenzone. Il significato del quadro è chiarissimo. Come Maria era presente, insieme agli apostoli, a Gerusalemme durante la Pentecoste, quindi all’inizio dell’attività della Chiesa, così ancora Lei sta a protezione e a guida della Chiesa, lungo i secoli.
Alcuni decenni più tardi, l’immagine di Maria Ausiliatrice – venerata a Cracovia, nella parrocchia salesiana del quartiere Debniki – era la mèta delle lunghe soste di preghiera di un brillante giovanotto, di nome Karol. Gli amici lo chiamavano Lólek.
E’ proprio lui, il nuovo beato Giovanni Paolo II. Egli stesso racconta: “Pensando alle origini della mia vocazione, non posso dimenticare il filo mariano. La venerazione della Madre di Dio nella sua forma tradizionale mi viene dalla mia famiglia. Quando poi mi trovai a Cracovia entrai nel gruppo del ‘Rosario vivo’, nella parrocchia salesiana. Vi si venerava in modo particolare Maria Ausiliatrice” (Dono e mistero, p. 37).
  Davanti a questa immagine dell’Ausiliatrice il giovane Lólek prese la ferma decisione di entrare nel Seminario clandestino, per diventare sacerdote.
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Ho tratteggiato fin qui alcuni segmenti di storia della devozione a Maria Ausiliatrice.
Concludo ora con qualcosa di più personale.
Uno dei romanzi più belli che ho letto nella mia vita è quello di Hermann Hesse, Narciso e Boccadoro. Mi è rimasto impresso soprattutto il “gran finale” del romanzo, dove Boccadoro, ormai sul letto di morte, affida all’abate Narciso le sue ultime parole, quasi un testamento spirituale: “Senza una mamma non si può nascere… Senza una mamma, non si può neppure morire”.
Ecco: il senso della vita – dall’inizio alla fine – è comunicato dal cuore di una mamma.
Noi ce l’abbiamo questa Mamma.
A questa Mamma noi ci rivolgiamo oggi, con le parole stesse di Don Bosco:
O Maria, Vergine potente,
tu grande presidio della Chiesa;
o Maria, aiuto dei cristiani,
tu nelle angosce e nelle lotte della vita,
tu nei pericoli difendici dal nemico.
Tu nell’ora della morte accogli l’anima in Paradiso”.
Amen!