DOMENICA DOPO LA TRINITA'
SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO
SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO
Anno B - Solennità
COMMENTI
1. Benedetto XVI: Omelia di Giovedi 7 giugno 2012
Cari fratelli e sorelle!
Questa sera vorrei meditare con voi su due aspetti, tra loro connessi, del Mistero eucaristico: il culto dell’Eucaristia e la sua sacralità. E’ importante riprenderli in considerazione per preservarli da visioni non complete del Mistero stesso, come quelle che si sono riscontrate nel recente passato. Anzitutto, una riflessione sul valore del culto eucaristico, in particolare dell’adorazione del Santissimo Sacramento. E’ l’esperienza che anche questa sera noi vivremo dopo la Messa, prima della processione, durante il suo svolgimento e al suo termine. Una interpretazione unilaterale del Concilio Vaticano II ha penalizzato questa dimensione, restringendo in pratica l’Eucaristia al momento celebrativo. In effetti, è stato molto importante riconoscere la centralità della celebrazione, in cui il Signore convoca il suo popolo, lo raduna intorno alla duplice mensa della Parola e del Pane di vita, lo nutre e lo unisce a Sé nell’offerta del Sacrificio. Questa valorizzazione dell’assemblea liturgica, in cui il Signore opera e realizza il suo mistero di comunione, rimane naturalmente valida, ma essa va ricollocata nel giusto equilibrio. In effetti – come spesso avviene – per sottolineare un aspetto si finisce per sacrificarne un altro. In questo caso, l’accentuazione posta sulla celebrazione dell’Eucaristia è andata a scapito dell’adorazione, come atto di fede e di preghiera rivolto al Signore Gesù, realmente presente nel Sacramento dell’altare. Questo sbilanciamento ha avuto ripercussioni anche sulla vita spirituale dei fedeli. Infatti, concentrando tutto il rapporto con Gesù Eucaristia nel solo momento della Santa Messa, si rischia di svuotare della sua presenza il resto del tempo e dello spazio esistenziali. E così si percepisce meno il senso della presenza costante di Gesù in mezzo a noi e con noi, una presenza concreta, vicina, tra le nostre case, come «Cuore pulsante» della città, del paese, del territorio con le sue varie espressioni e attività. Il Sacramento della Carità di Cristo deve permeare tutta la vita quotidiana. In realtà, è sbagliato contrapporre la celebrazione e l’adorazione, come se fossero in concorrenza l’una con l’altra. E’ proprio il contrario: il culto del Santissimo Sacramento costituisce come l’«ambiente» spirituale entro il quale la comunità può celebrare bene e in verità l’Eucaristia. Solo se è preceduta, accompagnata e seguita da questo atteggiamento interiore di fede e di adorazione, l’azione liturgica può esprimere il suo pieno significato e valore. L’incontro con Gesù nella Santa Messa si attua veramente e pienamente quando la comunità è in grado di riconoscere che Egli, nel Sacramento, abita la sua casa, ci attende, ci invita alla sua mensa, e poi, dopo che l’assemblea si è sciolta, rimane con noi, con la sua presenza discreta e silenziosa, e ci accompagna con la sua intercessione, continuando a raccogliere i nostri sacrifici spirituali e ad offrirli al Padre. A questo proposito, mi piace sottolineare l’esperienza che vivremo anche stasera insieme. Nel momento dell’adorazione, noi siamo tutti sullo stesso piano, in ginocchio davanti alSacramento dell’Amore. Il sacerdozio comune e quello ministeriale si trovano accomunati nel culto eucaristico. E’ un’esperienza molto bella e significativa, che abbiamo vissuto diverse volte nella Basilica di San Pietro, e anche nelle indimenticabili veglie con i giovani – ricordo ad esempio quelle di Colonia, Londra, Zagabria, Madrid. E’ evidente a tutti che questi momenti di veglia eucaristica preparano la celebrazione della Santa Messa, preparano i cuori all’incontro, così che questo risulta anche più fruttuoso. Stare tutti in silenzio prolungato davanti al Signore presente nel suo Sacramento, è una delle esperienze più autentiche del nostro essere Chiesa, che si accompagna in modo complementare con quella di celebrare l’Eucaristia, ascoltando la Parola di Dio, cantando, accostandosi insieme alla mensa del Pane di vita. Comunione e contemplazione non si possono separare, vanno insieme. Per comunicare veramente con un’altra persona devo conoscerla, saper stare in silenzio vicino a lei, ascoltarla, guardarla con amore. Il vero amore e la vera amicizia vivono sempre di questa reciprocità di sguardi, di silenzi intensi, eloquenti, pieni di rispetto e di venerazione, così che l’incontro sia vissuto profondamente, in modo personale e non superficiale. E purtroppo, se manca questa dimensione, anche la stessa comunione sacramentale può diventare, da parte nostra, un gesto superficiale. Invece, nella vera comunione, preparata dal colloquio della preghiera e della vita, noi possiamo dire al Signore parole di confidenza, come quelle risuonate poco fa nel Salmo responsoriale: «Io sono tuo servo, figlio della tua schiava: / tu hai spezzato le mie catene. / A te offrirò un sacrificio di ringraziamento / e invocherò il nome del Signore» (Sal 115,16-17). Ora vorrei passare brevemente al secondo aspetto: la sacralità dell’Eucaristia. Anche qui abbiamo risentito nel passato recente di un certo fraintendimento del messaggio autentico della Sacra Scrittura. La novità cristiana riguardo al culto è stata influenzata da una certa mentalità secolaristica degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. E’ vero, e rimane sempre valido, che il centro del culto ormai non sta più nei riti e nei sacrifici antichi, ma in Cristo stesso, nella sua persona, nella sua vita, nel suo mistero pasquale. E tuttavia da questa novità fondamentale non si deve concludere che il sacro non esista più, ma che esso ha trovato il suo compimento in Gesù Cristo, Amore divino incarnato. La Lettera agli Ebrei, che abbiamo ascoltato questa sera nella seconda Lettura, ci parla proprio della novità del sacerdozio di Cristo, «sommo sacerdote dei beni futuri» (Eb 9,11), ma non dice che il sacerdozio sia finito. Cristo «è mediatore di un’alleanza nuova» (Eb 9,15), stabilita nel suo sangue, che purifica «la nostra coscienza dalle opere di morte» (Eb 9,14). Egli non ha abolito il sacro, ma lo ha portato a compimento, inaugurando un nuovo culto, che è sì pienamente spirituale, ma che tuttavia, finché siamo in cammino nel tempo, si serve ancora di segni e di riti, che verranno meno solo alla fine, nella Gerusalemme celeste, dove non ci sarà più alcun tempio (cfr Ap 21,22). Grazie a Cristo, la sacralità èpiù vera, più intensa, e, come avviene per i comandamenti, anche più esigente! Non basta l’osservanza rituale, ma si richiede la purificazione del cuore e il coinvolgimento della vita. Mi piace anche sottolineare che il sacro ha una funzione educativa, e la sua scomparsa inevitabilmente impoverisce la cultura, in particolare la formazione delle nuove generazioni. Se, per esempio, in nome di una fede secolarizzata e non più bisognosa di segni sacri, venisse abolita questa processione cittadina del Corpus Domini, il profilo spirituale di Roma risulterebbe «appiattito», e la nostra coscienza personale e comunitaria ne resterebbe indebolita. Oppure pensiamo a una mamma e a un papà che, in nome di una fede desacralizzata, privassero i loro figli di ogni ritualità religiosa: in realtà finirebbero per lasciare campo libero ai tanti surrogati presenti nella società dei consumi, ad altri riti e altri segni, che più facilmente potrebbero diventare idoli. Dio, nostro Padre, non ha fatto così con l’umanità: ha mandato il suo Figlio nel mondo non per abolire, ma per dare il compimento anche al sacro. Al culmine di questa missione, nell’Ultima Cena, Gesù istituì il Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue, il Memoriale del suo Sacrificio pasquale. Così facendo Egli pose se stesso al posto dei sacrifici antichi, ma lo fece all’interno di un rito, che comandò agli Apostoli di perpetuare, quale segno supremo del vero Sacro, che è Lui stesso. Con questa fede, cari fratelli e sorelle, noi celebriamo oggi e ogni giorno il Mistero eucaristico e lo adoriamo quale centro della nostra vita e cuore del mondo. Amen.
2. Congregazione per il Clero
«Tutto il popolo rispose a una sola voce dicendo: “Tutti i comandamenti che il Signore ha dato, noi li eseguiremo!”». (Es 24,3).
Il comandamento principale, al quale la Chiesa obbedisce, da duemila anni è: “Fate questo in memoria di me”. Celebrando ed adorando la Santissima Eucaristia, la Chiesa realizza la Missione affidatale da Cristo Signore nella storia; misteriosamente ma realmente, l’obbedienza al “comandamento eucaristico” è condizione e presupposto dell’obbedienza ad ogni altro comandamento.
La fede nella Presenza vera, reale e sostanziale di Nostro Signore, nelle specie eucaristiche consacrate, è la misura della fede nell’Incarnazione del Verbo, nella Sua Passione, morte e Risurrezione, della sua Ascensione al cielo e nell’effusione dello Spirito Santo, che è l’anima della vita della Chiesa e rende possibile ed efficace ogni azione sacramentale.
Similmente, la fedeltà al “comandamento eucaristico”, il vivere l’Eucaristia come il vero e proprio “centro” delle nostre esistenze, plasma progressivamente la morale, personale e sociale, trasformandola in “morale eucaristica”, nella quale ogni virtù ed ogni buon orientamento e comportamento, affondano le proprie radici nel continuo cammino di conformazione a Cristo, che l’eucaristia determina, nell’incontro con la personale libertà.
Eucaristia non solo celebrata, ma anche Adorata. Infatti, come ha indicato il Santo Padre Benedetto XVI: «Concentrando tutto il rapporto con Gesù Eucaristia nel solo momento della Santa Messa, si rischia di svuotare della sua presenza il resto del tempo e dello spazio esistenziali. E così si percepisce meno il senso della presenza costante di Gesù in mezzo a noi e con noi, una presenza concreta, vicina, tra le nostre case, come «Cuore pulsante» della città, del paese, del territorio con le sue varie espressioni e attività. Il Sacramento della Carità di Cristo deve permeare tutta la vita quotidiana» (Omelia, 7 giugno 2012).
Come ricordato dalla Lettera agli Ebrei: «Il sangue di Cristo purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte, perché serviamo al Dio vivente» (9,14).
Il “Dio Vivente” è realmente presente dell’Eucaristia, ci attira a sé e si dona a noi, perché, nutriti di Lui, possiamo, a nostra volta, divenire fattori di vita per il mondo e testimonianza tangibile per chi ancora non crede.
La ragione umana, nei suoi angusti confini, è messa forse a dura prova, di fronte al mistero eucaristico. Per questo è fondamentale “dilatare gli orizzonti della razionalità” e, anche nel terzo millennio, “permettere a Dio di essere Dio”, spalancando il cuore e la mente alla sua azione salvifica e non riducendola al mero “comprensibile” umano.
Solo chi non ha consuetudine con l’Eucaristia, e particolarmente con l’Adorazione eucaristica, può misconoscerne la potenza, l’efficacia, la forza consolante, l’intimità, l’ardore, il sostegno, la speranza che essa genera in chi La Adora e se ne nutre.
Nel tratto di questa esistenza terrena, non è dato all’uomo di vivere comunione più reale e più intima con Dio, di quella possibile attraverso il mistero eucaristico. Il Dio che ha creato il cielo e la terra, il Signore del mondo e della storia, si fa nostro cibo, divenendo più intimo a noi di noi stessi.
La Solennità del Corpus Domini ricorda, con festosa ed ammirata evidenza, la bellezza e la grandezza di tale mistero.
“Fate questo in memoria di me”; «Tutto il popolo rispose a una sola voce dicendo: “Tutti i comandamenti che il Signore ha dato, noi li eseguiremo!”».
Domandiamo allo Spirito Santo di rinnovare continuamente gli occhi della nostra mente, per farci comprendere a quale speranza e grandezza ci ha chiamati.
Affidiamo al Signore, per intercessione della Donna Eucaristica per eccellenza, la Beate Vergine Maria, la Chiesa intera, che dell’Eucaristia vive, l’Eucaristia celebra, ama, custodisce ed offre a tutti i fratelli.
3. Luciano Manicardi
Il tema dell’alleanza unisce in unità le tre letture odierne.
L’alleanza stretta da Dio con il popolo al Sinai e mediata da Mosè, è
accompagnata dall’aspersione del sangue delle vittime sacrificali sui
due contraenti l’alleanza: Dio (simbolizzato dall’altare) e il popolo.
Si tratta di alleanza bilaterale che al dono di Dio fa seguire le
esigenze di obbedienza e attuazione da parte dell’uomo (I lettura). Il
Nuovo Testamento afferma il compimento dell’antica alleanza in Cristo,
nel sangue di Cristo: la morte di Gesù opera infatti efficacemente quel
perdono dei peccati che toglie il grande ostacolo all’obbedienza alle
esigenze dell’alleanza (II lettura). Le parole di Gesù durante l’ultima
cena attestano che il suo sangue è il “sangue dell’alleanza” (Mc 14,24),
cioè che in lui si dà la piena obbedienza a tutte le esigenze
dell’alleanza e quindi il compimento di tutti i doni e di tutte le
promesse di Dio e non soltanto per Israele, ma per tutte le genti
(“versato per molti”: Mc 14,24). Il vangelo sottolinea così il carattere di alleanza proprio dell’eucaristia.
L’atto di mangiare il pane e di bere il vino eucaristici, che significa
la partecipazione alla vita di Gesù, consente di entrare nell’alleanza
nuova stabilita da Gesù stesso. Un’alleanza in cui dobbiamo sempre di
nuovo entrare perché essa comporta il passaggio da un’esistenza sotto il
segno del peccato a un’esistenza rinnovata dallo Spirito santo.
Le parole sul pane spezzato e poi donato ai discepoli (“Prendete, questo è il mio corpo”: Mc 14,22), fanno di esso un pane “parlato” che significa il corpo donato di Gesù. Le parole che seguono non solo la distribuzione del calice, ma anche l’atto di bere da parte dei discepoli (“Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza versato per tutti”: Mc 14,24), significano ugualmente un vino “parlato” che simbolizza e riassume la vita donata di Gesù e ne profetizza e anticipa la morte cruenta. Quelle parole esprimono la priorità del dono che caratterizza il gesto eucaristico e indicano il fatto che la risposta positiva del credente altro non è che l’accoglienza del dono, il sì alla grazia, la gratitudine. Se l’eucaristia è sintesi di tutta la vita del Figlio, sintesi dell’intera storia di salvezza nella vita di Gesù il Messia e il Servo, essa diviene anche offerta della vita cristiano. Ignazio di Antiochia ha potuto scrivere anticipando l’evento del suo martirio: “Io sono il frumento di Dio macinato dai denti delle belve per essere trovato pane puro di Cristo” (Ai Romani IV,1). Il dono della vita di Cristo significato dal pane donato e mangiato e dal vino versato e bevuto dai commensali, conduce a una comunione di vita con il Signore stesso che impegna il credente e la chiesa a fare della propria vita una vita donata per gli altri, una pro-esistenza. O, se vogliamo, a fare della vita di Cristo, tutta sotto il segno del dono, la propria vita: l’eucaristia impegna la chiesa nel suo insieme, come comunità, come corpo, a vivere il “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). Nell’eucaristia vi è la chiamata rivolta alla chiesa a divenire serva sulle orme del Signore Servo. Il vangelo sottolinea anche la dimensione escatologica dell’eucaristia. “Non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel Regno di Dio” (Mc 14,25). Il pasto comunitario eucaristico sarà per la chiesa il memoriale della presenza del Signore nei tempi della sua assenza e rinnovamento della comunione con lui: l’eucaristia è il pasto per il tempo intermedio tra la Pasqua e la parusia. Sempre l’eucaristia ci situa nell’oggi grazie alla memoria di ciò che è avvenuto nel passato una volta per tutte (e che nell’eucaristia viene compreso sempre più a fondo e sempre di nuovo) e grazie all’attesa di colui che verrà nel futuro alla fine dei tempi (“finché egli venga”). Tra memoria di Cristo e attesa di Cristo, l’eucaristia fa dell’oggi del credente il luogo in cui vivere come Cristo ha vissuto. In cui vivere l’agape, la carità: l’eucaristia non è forse il sacramento dell’amore di Dio?
4. Enzo Bianchi
Celebriamo oggi la festa del Corpo e Sangue di Cristo, memoria dei gesti e delle parole di Gesù nell’ultima cena, alla vigilia della sua passione, con i quali egli narrava anticipatamente ciò che avrebbe vissuto nelle ore successive: il suo andare liberamente e per amore verso una morte ingiusta. Sì, l’eucaristia è stata voluta da Gesù come un racconto capace di simboleggiare e riassumere l’intera sua esistenza, vita spesa per i fratelli fino alla morte, “anzi alla morte di croce” (Fil 2,8): pane spezzato, come la sua vita lo sarebbe stata di lì a poco; vino versato nel calice, come il suo sangue sarebbe stato sparso in una morte violenta.
I vangeli sinottici si soffermano sulla preparazione della cena pasquale e poi ne tramandano il nucleo essenziale, ciò che in ogni comunità cristiana dovrà essere ripetuto e rivissuto in obbedienza al comando di Gesù, fino alla venuta del Regno di Dio. Durante quella cena in cui si mangiava la Pasqua – memoriale della liberazione dalla schiavitù d’Egitto operata da Dio in favore del suo popolo (cf. Es 12,1-13,16) e, insieme, profezia del definitivo esodo messianico (cf. Is 43,16-21) –, Gesù compie dei gesti e pronuncia delle parole che, memorizzati dai discepoli e divenuti Tradizione nella vita ecclesiale, sono giunti fino a noi.
Egli prende innanzitutto il pane, cibo necessario alla vita dell’uomo, e pronuncia su di esso la benedizione a Dio, attestando in tal modo che il pane è frutto della terra e della benedizione di Dio sul lavoro umano; lo spezza, con un’azione altamente espressiva che si imprimerà nella mente dei discepoli (cf. Lc 24,35), e lo dà ai suoi commensali affermando: “Prendete, questo è il mio corpo”, la mia vita, ossia: “Ecco, io mi dono a voi, fino a diventare la vostra stessa vita”… Poi Gesù prende il calice del vino, la coppa colma del frutto della vite che “rallegra il cuore dell’uomo” (cf. Sal 104,15), e, dopo aver reso grazie a Dio, lo porge ai suoi discepoli, accompagnando questo gesto con parole che rivelano il senso da lui stesso attribuito alla propria morte – “Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza versato per le moltitudini” –: quella sua morte violenta sarà celebrazione della nuova e definitiva alleanza tra Dio e tutta l’umanità.
Le parole di Gesù sul calice evocano la sua consapevolezza di compiere pienamente la missione del Servo del Signore, l’anonimo profeta annunciato da Isaia, “formato e stabilito come alleanza del popolo e luce delle genti” (Is 42,6), vittima che porta i peccati delle moltitudini ed è per loro giustificazione (cf. Is 53,11-12). Ma c’è di più. Mosè aveva celebrato l’alleanza tra Dio e il popolo di Israele sul monte Sinai, servendosi del sangue di vittime sacrificali: sangue versato sull’altare, segno della presenza di Dio, e sparso sul popolo. Egli aveva commentato questo gesto dicendo: “Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi” (Es 24,8); lo stesso sangue, simbolo della vita, narrava una medesima vita, una comunione profonda stabilita tra Dio e il suo popolo. Gesù si ispira alle parole di Mosè, ma con una differenza determinante: la nuova alleanza non avviene più attraverso il sangue di vittime animali, bensì mediante l’effusione del suo sangue; da allora in poi il calice del sangue diverrà segno di un’eterna comunione di vita tra Gesù e i discepoli!
L’eucaristia è la sintesi di tutta l’esistenza di Gesù, una vita offerta e donata per i fratelli; Gesù aveva infatti una ragione per cui valeva la pena spendere e perdere la vita e, di conseguenza, una ragione per vivere come egli ha vissuto: l’amore dei fratelli. Davvero l’eucaristia è mistero grande, è tutta la vita di Gesù Cristo e, nel contempo, narrazione della nostra salvezza; in una parola, è ciò che insegna a noi cristiani a vivere come Gesù ha vissuto, a morire offrendo puntualmente la nostra vita come egli ha fatto.
* * *
APPROFONDIMENTI
Testi di San Josemaria Escrivà De Balaguer sul Corpus Domini Era di notte quando il Signore, nell'Ultima Cena, istituì la Sacra Eucaristia: la circostanza — commenta san Giovanni Crisostomo — indicava che i tempi si erano compiuti (SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, In Matthaeum homiliae, 82, 1 [PG 58, 700]). Scendeva la notte sul mondo perché i vecchi riti, gli antichi segni della misericordia infinita di Dio verso l'umanità stavano per realizzarsi pienamente, aprendo il cammino a una vera aurora, la nuova Pasqua. L'Eucaristia fu istituita nella notte, in preparazione all'alba della Risurrezione. Ed è proprio questo albore che dobbiamo preparare anche nella nostra vita. Dobbiamo rifiutare e allontanare da noi tutto quanto è caduco, dannoso o inutile: lo scoraggiamento, la sfiducia, la tristezza, la viltà. La Sacra Eucaristia comunica ai figli di Dio la novità divina; e a noi tocca corrispondere in novitate sensu (Rm 12, 2), rinnovando tutto il nostro sentire e il nostro operare. Ci è stato dato un principio nuovo di energia, una radice potente innestata al Signore. E noi, che possediamo ormai il Pane di oggi e di sempre, non possiamo tornare al lievito di una volta. Nella festa del Corpus Domini, in tante città della terra, i fedeli in processione accompagnano il Signore: Egli, nascosto nell'Ostia, percorre vie e piazze — come già nella sua vita terrena — mostrandosi a quelli che vogliono vederlo e facendosi incontro a quelli che non lo cercano. Così, ancora una volta, Gesù viene in mezzo ai suoi. Come rispondiamo alla chiamata del Maestro? Le manifestazioni esterne dell'amore devono nascere dal cuore, e continuare in una testimonianza di vita cristiana. Il rinnovamento che si opera in noi, al ricevere il Corpo del Signore, deve essere manifestato nelle opere. Rendiamo dunque sinceri i nostri pensieri: che siano pensieri di pace, di donazione, di servizio. Rendiamo le nostre parole vere, chiare, opportune: che sappiano consolare e aiutare, che sappiano soprattutto portare agli altri la luce di Dio. Rendiamo le nostre azioni coerenti, efficaci, appropriate: abbiano il bonus odor Christi (2Cor 2, 15), il profumo di Cristo, che ce ne richiama il comportamento e la vita. La processione del Corpus Domini manifesta la presenza di Dio per città e villaggi. Ma questa presenza, ripeto, non può essere cosa di un giorno, un vociare confuso, udito e subito dimenticato. Il passaggio di Gesù ci ricorda che dobbiamo scoprirlo anche nelle nostre attività quotidiane. Accanto alla processione solenne di questo giovedì, ci deve essere la processione silenziosa e umile della vita ordinaria di ogni cristiano, uomo tra gli uomini, ma con il privilegio di avere ricevuto la fede e la missione divina di comportarsi in modo tale da rinnovare sulla terra il messaggio del Signore. Non siamo immuni da errori, da miserie, da peccati. Ma Dio è con gli uomini, e dobbiamo far sì che si serva di noi perché il suo passaggio tra le creature sia ininterrotto. Chiediamo allora al Signore che ci conceda di essere anime di Eucaristia e che il nostro rapporto intimo con Lui si esprima in gioia, serenità, in desiderio di giustizia. È così che agevoleremo agli altri il compito di riconoscere Cristo e che daremo il nostro contributo per collocarlo al vertice di tutte le attività umane. Avrà compimento la promessa di Gesù: Io, quando sarò innalzato da terra, attirerò a me tutte le cose (cfr Gv 12, 32). Per ogni approfondimento: http://it.escrivaworks.org/book/gesu_che_passa-capitolo-15.htm * * * Oggi, solennità del Corpus Domini, mentre meditiamo insieme la profondità dell'amore che ha spinto il Signore a restare con noi sotto le specie sacramentali, ci sembra di udire quasi fisicamente quel suo insegnamento alla folla: Ecco, il seminatore usci a seminare. E mentre seminava, una parte del seme cadde sulla strada e vennero gli uccelli e la divorarono. Un'altra parte cadde in luogo sassoso, dove non c'era molta terra; subito germogliò, perché il terreno non era profondo. Ma, spuntato il sole, restò bruciata e non avendo radici si seccò. Un'altra parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono. Un'altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta (Mt 13,3-8). La scena è di attualità. Anche oggi, come allora, il seminatore divino sparge la sua semente. L'opera della salvezza continua a compiersi, e il Signore vuole servirsi di noi: desidera che i cristiani aprano al Suo amore tutti i sentieri della terra; ci invita a propagare il messaggio divino — con la dottrina e con l'esempio — fino agli ultimi confini del mondo. Ci chiede che, come cittadini della società ecclesiale e di quella civile, svolgendo con fedeltà i nostri doveri, ciascuno di noi sappia essere un altro Cristo, santificando il lavoro professionale e i doveri del proprio stato. Guardando attorno a noi questo mondo che amiamo, perché opera divina, costatiamo che la parabola si fa realtà: la parola di Gesù è feconda e suscita in molte anime desideri di dedizione e di fedeltà. La vita e le opere di coloro che si sono posti al servizio di Dio hanno cambiato il volto della storia, al punto che molti di coloro che non conoscono il Signore sono spinti — forse senza saperlo — da ideali suscitati dal cristianesimo. Vediamo anche che parte della semente cade in terra sterile o tra le spine e i cardi: vi sono uomini che si chiudono alla luce della fede. Gli ideali di pace, di concordia, di fraternità sono accolti e proclamati, ma spesso sono smentiti dai fatti. Taluni, poi, si affannano inutilmente a imprigionare la voce di Dio, impedendone la diffusione con la forza bruta o con un'arma meno rumorosa, ma forse più crudele, perché rende insensibile lo spirito: l'indifferenza. Vorrei che, vedendo tutto ciò, prendessimo coscienza della nostra missione di cristiani e volgessimo lo sguardo alla Sacra Eucaristia, a Gesù che, presente in mezzo a noi, ci ha costituiti Sue membra: Vos estis corpus Christi et membra de membro (1Cor 12,27), voi siete il corpo di Cristo e membra unite ad altre membra. Il nostro Dio ha deciso di rimanere nel tabernacolo per essere nostro alimento, per darci forza, per divinizzarci, per dare efficacia al nostro lavoro e al nostro sforzo. Gesù è allo stesso tempo seminatore, seme e frutto della semina: è il Pane di vita eterna. Il miracolo costantemente rinnovato della Sacra Eucaristia ha in sé tutte le caratteristiche proprie dell'agire di Gesù. Perfetto Dio e perfetto Uomo, Signore del Cielo e della terra, Egli si dona a noi per essere nostro sostentamento nel modo più naturale e comune. Attende il nostro amore da quasi duemila anni. È tanto, ma è poco, perché quando c'è amore il tempo vola. Mi torna alla memoria uno dei cantici di Alfonso il Saggio in cui si narra la leggenda di un monaco che, nella sua semplicità, aveva supplicato la Madonna di poter contemplare il Cielo, anche solo per un istante. La Vergine ne esaudì il desiderio e il buon monaco venne portato in Paradiso. Al ritorno, non riconosceva nessuno di quelli che dimoravano nel monastero. La sua contemplazione, che aveva creduto brevissima, era durata tre secoli. Tre secoli sono un nonnulla per un cuore innamorato. Io mi spiego allo stesso modo i duemila anni di attesa di Gesù nell'Eucaristia. È l'attesa di Dio, che ci ama, ci cerca, ci accetta come siamo: con i nostri limiti, i nostri egoismi, la nostra incostanza; e tuttavia capaci di scoprire il suo amore infinito e di darci a Lui interamente. Gesù è venuto sulla terra ed è rimasto in mezzo a noi nell'Eucaristia per amore, e per insegnarci ad amare. Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine (Gv 13,1): sono le parole con cui l'evangelista Giovanni comincia a narrare gli avvenimenti di quella vigilia di Pasqua nella quale Gesù — come ci riferisce san Paolo — prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me» (1Cor 11,23-25) Per ogni approfondimento: http://it.escrivaworks.org/book/gesu_che_passa-capitolo-15.htm
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Dalle «Opere» di san Tommaso d'Aquino, dottore della Chiesa
(Opusc. 57, nella festa del Corpo del Signore, lect. 1-4) L'Unigenito Figlio di Dio, volendoci partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura e si fece uomo per far di noi, da uomini, déi. Tutto quello che assunse, lo valorizzò per la nostra salvezza. Offrì infatti a Dio Padre il suo corpo come vittima sull'altare della croce per la nostra riconciliazione. Sparse il suo sangue facendolo valere come prezzo e come lavacro, perché, redenti dalla umiliante schiavitù, fossimo purificati da tutti i peccati. Perché rimanesse in noi, infine, un costante ricordo di così grande beneficio, lasciò ai suoi fedeli il suo corpo in cibo e il suo sangue come bevanda, sotto le specie del pane e del vino. O inapprezzabile e meraviglioso convito, che dà ai commensali salvezza e gioia senza fine! Che cosa mai vi può essere di più prezioso? Non ci vengono imbandite le carni dei vitelli e dei capri, come nella legge antica, ma ci viene dato in cibo Cristo, vero Dio. Che cosa di più sublime di questo sacramento? Nessun sacramento in realtà é più salutare di questo: per sua virtù vengono cancellati i peccati, crescono le buone disposizioni, e la mente viene arricchita di tutti i carismi spirituali. Nella Chiesa l'Eucaristia viene offerta per i vivi e per i morti, perché giovi a tutti, essendo stata istituita per la salvezza di tutti. Nessuno infine può esprimere la soavità di questo sacramento. Per mezzo di esso si gusta la dolcezza spirituale nella sua stessa fonte e si fa memoria di quella altissima carità, che Cristo ha dimostrato nella sua passione. Egli istituì l'Eucaristia nell'ultima cena, quando, celebrata la Pasqua con i suoi discepoli, stava per passare dal mondo al Padre. L'Eucaristia é il memoriale della passione, il compimento delle figure dell'Antica Alleanza, la più grande di tutte le meraviglie operate dal Cristo, il mirabile documento del suo amore immenso per gli uomini. * * *
Certosa di Serra San Bruno
Letture della preghiera notturna dei certosini CORPUS DOMINI Solennità 1 Dal "Trattato sulla Trinità" di sant'Ilario di Poitiers. Mio Dio, non voglio che in nulla sia scalfita in me la fede nella tua onnipotenza, che mi oltrepassa in sommo grado. Perciò non posso pretendere di concepire l'origine del tuo unico Figlio; sarebbe voler accamparmi a giudice del mio Creatore e del mio Dio. La sua nascita precede i tempi eterni. Quello che può esistere prima dell'eternità deve per forza superare la nozione stessa di eternità. E' appunto il tuo caso e il caso del tuo Unigenito; egli non è una parte, un prolungamento tuo; neppure, come succede nelle realtà create, il Figlio tuo è una nozione priva di sostanza, ma è il Figlio, il Figlio nato da te, Dio Padre; è davvero Dio. Generato da te, condivide l'unità della tua propria natura. Proclamare che è dopo di te vuol dire che è con te, dato che tu sei l'autore eterno della sua eterna origine. Siccome è davvero tuo, non puoi essere separato da lui. 2 Grande in me è la venerazione verso tutto ciò che ti riguarda. Sapendo che tu solo sei l'Ingenito e che l'Unigenito è generato da te, non dirò tuttavia che lo Spirito Santo è generato, e neanche lo dirò mai creato. Io temo l'ingiuria che può giungere a te per causa di questa espressione. Il tuo Santo Spirito scruta e conosce, secondo l'Apostolo, le tue profondità, e fattosi mio avvocato, dice a te quello che io non riuscirei mai a dire; cf Rm 8,26 e io, invece, oserei chiamare creato la potenza della sua natura che da te procede attraverso il tuo Unigenito, non solo, ma addirittura ingiuriarla? Niente che non ti appartenga può entrare in te, né può essere misurato l'abisso della tua immensa maestà, da una forza diversa ed estranea a te. Qualunque cosa penetra in te è tua: né ti è estranea la potenza di colui che può scrutarti. 3 Mi è impossibile parlare di colui che ti dice per me parole inesprimibili. Quindi, come nella generazione del tuo Unigenito prima di tutti i secoli cessa ogni ambiguità di discorso e ogni difficoltà di comprensione, e resta soltanto che è stato generato da te: così, pur non afferrando con i sensi il procedere del Santo Spirito da te attraverso il Figlio, tuttavia lo percepisco con la coscienza. Infatti sono del tutto incapace di capire le cose spirituali, come dice il tuo Unigenito: "Non ti meravigliare se t'ho detto: dovete rinascere dall'alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va; così è di chiunque è nato dallo Spirito." Gv 3,7-8. Pur avendo ricevuto la fede nella mia rigenerazione io non la comprendo, e pur ignorandola tuttavia la posseggo. Infatti sono rinato senza l'intervento dei miei sensi, ma con la potenza di una vita nuova. Lo Spirito poi non ha regole particolari, ma dice ciò che vuole, quando vuole e dove vuole. Se dunque non so il motivo per cui è vicino o lontano, pur rimanendo consapevole della sua presenza, come potrò collocare la sua natura fra le cose create e come potrò limitarla con la pretesa di definire la sua origine? Tutte le cose sono state create per mezzo del Figlio, il Verbo che fin dal principio era Dio presso di te, o Dio, come dice il tuo Giovanni. E Paolo passa in rassegna tutte le cose che in lui sono state create nei cieli e sulla terra: quelle visibili e quelle invisibili. E mentre ricorda che tutto è stato creato in Cristo e per Cristo, dello Spirito Santo giudica sufficiente per sé affermare che è il tuo Spirito. 4 Perciò su queste cose avrò gli stessi sentimenti di quegli uomini che ti sei scelti in modo particolare, così che non dirò nulla circa il tuo Unigenito che secondo il loro giudizio superi la mia comprensione, eccetto il fatto che è nato: come pure non dirò nulla sul tuo Santo Spirito che secondo loro vada oltre le possibilità dell'intelligenza umana, eccetto che è il tuo Spirito. Né voglio perdermi in una inutile schermaglia di parole, ma piuttosto restare nella perenne professione di una fede incrollabile. Conserva puri, te ne prego, questi principi della mia fede e fino al mio ultimo respiro dà voce alla mia coscienza, perché mi mantenga sempre fedele a ciò che ho professato nel Simbolo della mia rigenerazione, quando sono stato battezzato nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; possa sempre adorare te, nostro vero Padre, insieme con il Figlio tuo e meritare così il tuo Santo Spirito, che promana da te attraverso il tuo Unigenito. Poiché basta alla mia fede il mio Signore Gesù Cristo, che dice: "Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie". Gv 17,10. Egli che sempre rimane Dio in te, da te e presso di te, è benedetto nei secoli eterni. Amen. 5 Dal "Trattato sulla Trinità" di Riccardo di San Vittore. In Dio, bene sommo e assolutamente perfetto, c'è anche la bontà nella forma completa ed eccellente. Ma là dove è la pienezza dì tutto quello che esiste di buono, non può mancare l'amore autentico, supremo. Però, finché uno non vuole bene all'altro così come a sé stesso, questa carità particolare, limitata a sé, dimostra di non aver ancora raggiunto il vertice della dilezione. Ma come potrebbe una Persona divina amare degnamente un'altra quanto sé stessa se non ci fosse un'altra Persona uguale a lei per nobiltà? Per eguagliare in elevatezza una Persona divina bisogna per forza essere Dio. Perché nella vera divinità ci potesse essere la pienezza dell'amore, era necessario che a una Persona divina ne fosse associata un'altra di eguale dignità, cioè che anch'essa fosse divina. 6 Ognuno rifletta bene dentro dì sé: in modo indiscutibile riconoscerà che non vi è nulla di meglio dell'amore, niente che dia più gioia. Ce lo insegna proprio la natura e ne facciamo continuamente l'esperienza. E' chiaro: nella pienezza della bontà autentica non può essere assente il bene ottimale, così come nella felicità perfetta non può mancare quel che soddisfa al massimo grado. In conclusione, la somma felicità esige l'amore. Tuttavia, perché nel sommo bene arda la carità, bisogna che per forza sia presente chi dia e chi riceva il dono dell'amore. La caratteristica propria della carità, la condizione stessa perché esista, è la risposta totale d'amore da parte di colui che è amato senza frontiere. Non ci può essere festa d'amore se non vi è reciprocità. 7 L'apice dell'amore autentico sta nel volere che l'altro sia amato come siamo amati noi. Nell'amore scambievole pieno di fuoco nulla è tanto stupendo e anche tanto raro: bramare che colui il quale sopra tutto e tutti tu ami, e dal quale sei amato con la stessa somma misura, ami un altro d'uguale dilezione. La prova della carità completa è il desiderio che sia comunicato ad altri l'amore da cui siamo avvolti. Certamente, per chi ama di tutto cuore e con la stessa intensità desidera essere amato, la gioia perfetta è questa: realizzare quel suo ardente voto di ottenere l'affetto al quale egli aspira. Perciò trapela una carità ancora imperfetta nel rifiuto di rallegrarsi perché ad altri sia partecipata la nostra gioia più cara. Non poter ammettere comunanza d'amore è segno di evidente meschinità. Ma saperla accettare rivela grande amore. Tuttavia, se questo è già molto, varrà ben di più accogliere gioiosamente di condividere il proprio affetto. Arrivare poi a desiderare questo è il massimo, secondo una graduatoria sempre più eccellente. Diamo allora il massimo a ciò che è massimo, l'ottimo a ciò che è ottimo. 8 Fin qui abbiamo considerato due esseri legati da reciproco amore. Ma perché la perfezione di ambedue gli amanti sia completa, si esige per la stessa ragione che anche un altro possa condividere l'affetto con cui ognuno dei due è amato. Se non vuoi ciò che richiede la bontà perfetta, come potrai avere la pienezza della bontà? E volere la bontà perfetta senza poterla raggiungere, dove fa approdare la pienezza della potenza? Perciò la conclusione è lampante: la carità al sommo grado, quindi la bontà in pienezza, sono escluse dal rifiuto di chi non vuole o non può associare anche un altro nella sua dilezione o comunicargli la propria gioia più preziosa. Perciò quelli che sono amati sommamente e meritano di esserlo, devono entrambi reclamare con medesimo desiderio un amico comune ad entrambi, in perfetta concordia. Vedete bene perciò che la compiutezza della carità richiede una trinità di persone, senza di cui la carità non può esistere nella sua pienezza integrale. Così la perfezione totale e assoluta è intimamente connessa con la perfetta carità non meno che con la vera Trinità. Non c'è soltanto pluralità, ma Trinità autentica nella vera Unità e vera Unità nell'autentica Trinità. 9 Dal vangelo secondo Matteo: 28,16-20 Gesù, avvicinatosi agli undici discepoli, disse loro: "Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra . Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo". Dal "Commento al salmo 14"di san Girolamo. Mi è stato comunicato che alcuni fratelli discutono talvolta e si domandano come mai il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo siano tre insieme e anche uno. Se considerate il problema, vi accorgerete quanto la disquisizione sia pericolosa. Un vaso di creta sì mette a discutere sul suo Creatore, mentre non giunge neppure a scandagliare la propria natura. Da curioso cerca di cogliere il mistero della Trinità santissima, che neppure gli angeli in cielo possono scrutare. Che dicono infatti gli angeli? Chi è questo re della gloria? Il Signore degli eserciti è il re dello gloria. Sal 23,10. Anche Isaia scrive: "Chi è costui che viene da Edom, da Bozra con le vesti tinte di rosso?" Is 63,1. Vediamo dunque che gli angeli lodano la bellezza di Dio, ma nulla dicono sulla sua essenza. Perciò restiamo anche noi semplici e modesti. Quando vuoi scrutare la natura divina, quando desideri sapere ciò che Dio sia, allora nota che tu nulla ne sai. Ma di ciò non devi turbarti, perché gli angeli stessi non ne sanno nulla, e nessuna altra creatura ne sa qualcosa. 10 Il pagano vede una pietra e la stima Dio; il filosofo considera il firmamento e crede di percepire in esso il suo Dio. Altri scorgono il sole, che sembra loro la divinità. Considera, perciò, quanto tu superi in saggezza questa gente, quando dici: Una pietra non può essere Dio; il sole, che segue il suo corso per comando di un altro, non può essere Dio. Nella confessione della tua ignoranza si nasconde una gran sapienza. E i pagani sono insipienti proprio perché stimano di sapere e invece la loro conoscenza è un errore. Oltre a ciò, tu non tieni presente il tuo nome: tu vieni detto un credente, non un raziocinante. Se sono credente, vuol dire che credo ciò che non capisco. E proprio per questo sono sapiente, perché sono consapevole della mia ignoranza. Al giorno del giudizio non sarò condannato se dovrò dire: Non ho penetrato l'essenza del mio Creatore. Ma se sostengo un'affermazione temeraria, la presunzione avrà il suo castigo, mentre l'ignoranza otterrà misericordia. 11 Desidero anche citare la Scrittura, per appoggiarmi non tanto sul mio pensiero, ma piuttosto sull'autorità del nostro Signore e Salvatore. Che disse egli poco prima della sua ascensione, agli apostoli a cui parlava come maestro e signore? Nessuno potrà mai parlare della propria natura come lui che è Dio stesso. Per noi è sufficiente sapere della Trinità quanto il Signore si è degnato comunicarci. Che disse dunque agli apostoli? Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Odo tre nomi, eppure si parla di uno solo. Il Signore non dice: nei nomi, ma: nel nome. Eppure Gesù pronunzia tre nomi, Come può riassumerli in uno con le parole: Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo? Il nome del Padre, del Figlio e dello Spirito è uno; ma è il nome che veramente spetta alla Trinità. Quando si dice: Nel nome di Dio Padre, nel nome di Dio Figlio e nel nome di Dio Spirito Santo, Padre, Figlio e Spirito Santo sono l'unico nome della divinità. E se mi domandi come mai tre possano venir chiamati con un nome solo, io non lo so e ammetto con schiettezza la mia ignoranza, perché Cristo non ci ha rivelato nulla su di ciò. 12 Fratelli, si parla tanto sulla Trinità. Però ai fedeli basti aver ascoltato poche parole su questo mistero. In convento impegniamoci piuttosto a trionfare sull'avversario; ricerchiamo come digiunare; come piangere sui nostri peccati. Preferiamo indagare come il pensiero ci imprigioni nelle spire del peccato, riflettiamo come reggere con pazienza di fronte ad ogni ingiuria e a non opporci al fratello che ci offende. Cerchiamo di vincerlo nell'umiltà che ci ha insegnato Cristo lui che soffrendo non minacciava vendetta. 1Pt 2,23. Invece quando si affaccerà alla mente il quesito: Che cosa è Dio? E qual è la ragione della Trinità? ci basti credere che ciò è. Non indaghiamo temerariamente le ragioni, ma con timore e tremore preghiamo Dio senza sosta. Mostriamogli la nostra scienza, che consiste nell'elevargli giorno e notte lodi gioiose. * * * In questo blog vedi anche sulla Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo i post con le omelie del p. Raniero Cantalamessa ofmcapp. sull'inno "Adoro Te Devote":
28 Gen 2011
C'è
un inno eucaristico, "Adoro Te devote", che sicuramente si colloca nel
solco del pensiero e della spiritualità tomista. A questo inno sono
state dedicate le meditazioni in Casa Pontificia dell'Avvento 2004 e
della Quaresima ...
28 Gen 2011
Pregare
con le parole dell'Adoro te devote significa per noi oggi inserirci
nell'onda calda della pietà eucaristica delle generazioni che ci hanno
precedute, dei tanti santi che l'hanno cantato. Significa forse rivivere
emozioni e ...
http://kairosterzomillennio.blogspot.com/
28 Gen 2011
Una
laude di Jacopone da Todi, composta intorno all'anno 1300, contiene una
chiara allusione alla seconda strofa dell'Adoro te devote che abbiamo
commentato la volta scorsa: “Visus, tactus gustus…”. In essa Jacopone ...
28 Gen 2011
Adoro
Te devote 4. http://home.vicnet.net.au/~richard/raczpie. La
predicazione quaresimale prosegue la riflessione sull'Eucaristia alla
luce dell'Adoro te devote. Nella terza strofa dell'inno l'autore ci ha
portati sul Calvario per ...
28 Gen 2011
La
quinta strofa dell'Adoro te devote è, teologicamente, la più densa di
tutto l'inno. Dice: O memoriále mortis Dómini, Panis vivus vitam
praestans hómini, praesta meae menti de te vívere, et te illi semper
dulce sápere.
V. a. il post seguente:
22 Giu 2011
Sì,
in un certo senso noi siamo proprio quello che mangiamo... Buona
lettura. 1. La Chiesa comunione. Nella lettera apostolica Novo millennio
ineunte, che possiamo considerare il suo testamento pastorale, Giovanni
Paolo II ...
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