lunedì 2 luglio 2012

3 Luglio: San Tommaso, apostolo - Commenti Patristici



Signore mio e Dio mio
Dalle «Omelie sui vangeli» di san Gregorio Magno, papa
(Om. 26, 7-9; PL 76, 1201-1202)
 
«Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù» (Gv 20, 24). Questo solo discepolo era assente. Quando ritornò udì il racconto dei fatti accaduti, ma rifiutò di credere a quello che aveva sentito. Venne ancora il Signore e al discepolo incredulo offrì il costato da toccare, mostrò le mani e, indicando la cicatrice delle sue ferite, guarì quella della sua incredulità.
Che cosa, fratelli, intravedere in tutto questo? Attribuite forse a un puro caso che quel discepolo scelto dal Signore sia stato assente, e venendo poi abbia udito il fatto, e udendo abbia dubitato, e dubitando abbia toccato, e toccando abbia creduto?
No, questo non avvenne a caso, ma per divina disposizione. La clemenza del Signore ha agito in modo meraviglioso, poiché quel discepolo, con i suoi dubbi, mentre nel suo maestro toccava le ferite del corpo, guariva in noi le ferite dell'incredulità. L'incredulità di Tommaso ha giovato a noi molto più, riguardo alla fede, che non la fede degli altri discepoli. Mentre infatti quello viene ricondotto alla fede col toccare, la nostra mente viene consolidata nella fede con il superamento di ogni dubbio. Così il discepolo, che ha dubitato e toccato, è divenuto testimone della verità della risurrezione.
Toccò ed esclamò: «Mio Signore e mio Dio!».
Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto» (Gv 20, 28-29). Siccome l'apostolo Paolo dice: «La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono», è chiaro che la fede è prova di quelle cose che non si possono vedere. Le cose che si vedono non richiedono più la fede, ma sono oggetto di conoscenza. Ma se Tommaso vide e toccò, come mai gli vien detto: «Perché mi hai veduto, ha creduto?» Altro però fu ciò che vide e altro ciò in cui credette. La divinità infatti non può essere vista da uomo mortale. Vide dunque un uomo e riconobbe Dio, dicendo: «Mio Signore e mio Dio!». Credette pertanto vedendo. Vide un vero uomo e disse che era quel Dio che non poteva vedere.
Ci reca grande gioia quello che segue: «Beati quelli che pur non avendo visto crederanno!» (Gv 20, 28). Con queste parole senza dubbio veniamo indicati specialmente noi, che crediamo in colui che non abbiamo veduto con i nostri sensi. Siamo stati designati noi, se però alla nostra fede facciamo seguire le opere. Crede infatti davvero colui che mette in pratica con la vita la verità in cui crede. Dice invece san Paolo di coloro che hanno la fede soltanto a parole: «Dichiarano di conoscere Dio, ma lo rinnegano con i fatti» (Tt 1, 16). E Giacomo scrive: «La fede senza le opere è morta» (Gc 2, 26).
 
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Dai Discorsi di san Pietro Crisologo




Sermo 84. PL 52,437‑440.

I discepoli videro il Signore e furono pieni di gioia, perché come fa piacere la luce dopo il buio e il bel tempo dopo la fosca caligine dell'uragano, cosi la gioia conforta dopo la tristezza.

Gesù augura ai suoi la pace e ripete quell'annunzio due volte. Con il primo saluto egli trasfonde quiete nei loro sentimenti e con il secondo esprime la volontà di vedere regnare sempre la pace tra i suoi discepoli.

Gesù sa bene che più tardi si farà un gran discutere sul ritardo della sua venuta; gli uni si rattristeranno di aver dubitato, gli altri potranno vantarsi della fermezza della loro fede.

Per tagliar corto alla vana superbia di questi e all'incertezza di quelli, il Maestro previene gli eventuali conflitti formulando il suo desiderio di pace: lui sa che tali problemi nascono dai fatti e non dai discepoli. Gesù non vuole evitare che i suoi si accusino a vicenda di quello che lui, il solo offeso, ha già perdonato.

Pietro rinnega, Giovanni fugge, Tommaso dubita e gli altri abbandonano Gesù. Dando la sua pace, il Signore taglia corto a future dispute tra i discepoli. Senza il dono della pace, ad esempio, gli altri avrebbero potuto rifiutare a Pietro il diritto al primato, poiché il rinnegamento aveva di che farlo retrocedere all'ultimo posto nel gruppo apostolico.

Gli altri discepoli annunziarono a Tommaso. "Abbiamo visto il Signore!". Ma egli disse loro: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò ".

Perché Tommaso esige quelle prove? Perché tanto amore verso il suppliziato e tanta durezza verso il risorto? Perché riapre per amore le piaghe inferte dall'odio? Per quale ragione la sua mano pia e obbediente cerca di squarciare ancora il costato trafitto dall'empia lancia del soldato?

Come mai la sua curiosità affettuosa rinnova i dolori inflitti dalla furia dei persecutori? Perché la ricerca del discepolo provoca il Signore a gemere, Iddio a patire, il medico celeste a sanguinare?

La potenza del diavolo crolla, il carcere infernale si spalanca e le catene dei morti si spezzano, perché la morte del Signore ribalta i sepolcri e la sua risurrezione muta totalmente la condizione dei mortali.

Il Signore stesso rotolò la pietra dalla tomba e slegò le bende mortuarie. La morte fuggì davanti alla gloria di Cristo risorto; la vita ritorna, la carne si ridesta per non conoscere mai più il trapasso.

Perché solo tu, Tommaso, investigatore troppo guardingo, chiedi di vedere soltanto le cicatrici come prova di fede? Se dal corpo di Cristo le piaghe fossero scomparse, avresti fatto correre un tremendo pericolo alla fede, con quel tuo indebito voler renderti conto. Avevi proprio bisogno di mettere la mano nel fianco trafitto dalla crudeltà dei Giudei? Non c'erano altre prove della risurrezione del Signore e del suo amore?

Considerate piuttosto, fratelli, che le richieste e le esigenze di Tommaso nascono dall'affetto e dalla dedizione, affinché in futuro non possano più sussistere dubbi sulla risurrezione.

Tommaso non placa soltanto l'inquietudine del suo cuore, ma anche quella di tutti gli umani. Prima di partire per predicare alle genti, Tommaso, da servo zelante. cerca una base solida per una fede tanto misteriosa.

Negli interrogativi dell'Apostolo vediamoci uno sguardo prudente gettato sul futuro più che dubbio e scetticismo. Come infatti Tommaso avrebbe potuto sapere che le ferite di Cristo sarebbero rimaste a riprova della risurrezione se un'ispirazione profetica non lo avesse preavvisato?

Il Signore aveva concesso spontaneamente agli altri discepoli quello che Tommaso ora deve implorare: infatti quando era apparso la prima volta, Gesù aveva mostrato le mani e il costato trafitti.

Venne Gesù a porte chiuse. I discepoli potevano a ragione prenderlo per uno spirito, ma i segni e le cicatrici della passione provano a questi increduli che si tratta proprio di lui.

Gesù dice a Tommaso: "Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo, ma credente! Riapri le ferite da cui sono sgorgati l'acqua del perdono e il sangue della redenzione, perché ne zampilli la fede sul mondo intero".

Tommaso allora esclama: Mio Signore e mio Dio! Ascoltino i miscredenti e non siano più increduli, ma credano, come invita il Signore. Infatti la risposta di Tommaso non manifesta soltanto la presenza corporea di Gesù, ma attraverso le sofferenze del suo corpo attesta ch'egli è Dio e Signore.

Veramente è Dio colui che è risuscitato dai morti e dopo tali ferite e tale strazio vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.

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Basilio di Seleucia. Sii credente, e sii mio apostolo

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Basilio di Seleucia ( ?-circa 468), vescovo Omelie per la Risurrezione, 1-4

Sii credente, e sii mio apostolo


“Metti il dito nel posto dei chiodi”. Mi cercavi quando io non c’ero, ora approfitta della mia presenza. Io conosco il tuo desiderio nonostante il tuo silenzio. Prima che tu me lo dica, io so quel che pensi. Ti ho sentito parlare e, pur invisibile, ero vicino a te, vicino ai tuoi dubbi; senza farmi vedere, ti ho fatto aspettare, per scrutare meglio la tua impazienza. “Metti il dito nel posto dei chiodi; e non essere più incredulo ma credente”.
Allora Tommaso lo tocca, e s’infrange tutta la sua diffidenza; pieno di una fede sincera e di tutto l’amore dovuto al suo Dio, grida: “Mio Signore e mio Dio!” E il Signore gli dice: “Perché mi hai veduto, hai creduto; beati quelli che pur non avendo visto crederanno”. Tommaso, porta la novella della mia risurrezione a coloro che non mi hanno visto. Porta tutta la terra a credere non a quello che vede, bensì alla tua parola. Percorri i popoli e le città lontane. Insegna loro a portare la croce sulle spalle invece delle armi. Non fare null’altro che annunciare me: crederanno e mi adoreranno. Non esigeranno altra prova. Di’ loro che sono chiamati per grazia, e tu, contempla la loro fede: Beati, in verità, coloro che pur non avendo visto hanno creduto!
Tale è l’esercito che arruola il Signore; tali sono i figli del fonte battesimale, le opere della grazia, la messe dello Spirito. Hanno seguito Cristo, pur senza averlo visto, l’hanno cercato e hanno creduto. L’hanno riconosciuto con gli occhi della fede, non con quelli del corpo. Non hanno messo il dito nel posto dei chiodi, ma si sono attaccati alla sua croce e hanno abbracciato le sue sofferenze. Non hanno visto il costato del Signore ma, per la grazia, si sono uniti alle sue membra e hanno fatto propria questa parola del Signore: “Beati coloro che pur non avendo visto hanno creduto!”

Dal Discorso sulla Pasqua di san Basilio di Seleucia. In sancta Pascha, 2-4. PG 28,1083-1086.

Oggi i discepoli vedono Cristo risorto dai morti e questa nuova apparizione rafforza la loro fede nella risurrezione. Gesù entra a porte chiuse: colui che ha smantellato la muraglia infernale sa entrare nonostante gli usci sprangati, perché la volontà di Dio sospende le leggi della natura. Ancora ieri Gesù camminava sulle acque, senza che l'elemento liquido cedesse sotto i suoi piedi; egli calcava i flutti del mare che per lui diventava duro come il suolo. Gesù entra mentre le porte sono sbarrate. Eppure al momento della risurrezione rotolò la pietra tombale e aprì l'entrata del sepolcro. Così diventava manifesto che l'inferno subiva invisibilmente la medesima sorte della tomba visibile. Dal sepolcro aperto si arguiva che ben più demolite erano state le porte della morte. Bisognava che la tomba fosse spogliata al pari dell'inferno e il visibile apparisse abbandonato come l'invisibile. Quelli che dubitavano della risurrezione restano stupefatti al vedere Gesù che entra a porte chiuse. Questo nuovo prodigio è per essi la garanzia tangibile dell'altro miracolo.
Cristo entra nella casa ove si erano nascosti gli apostoli e appare loro a porte chiuse. Ma Tommaso, che non era presente, non ci crede; desidera vedere Gesù con i propri occhi e rifiuta i racconti dei compagni. Si tura gli orecchi perché vuole aprire gli occhi. Lo divora l'impazienza, quando pronunzia queste parole: Se non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò. Troppo esigente per credere, Tommaso vomita fuori diffidenza, sperando di procurarsi un'apparizione di Gesù. E' come se dicesse: I miei dubbi svaniranno soltanto quando lo vedrò. Metterò il dito nei segni dei chiodi e abbraccerò il Signore che tanto sospiro. Rimproveri pure la mia incredulità, ma mi lasci contemplarlo. Se non credo, si farà vedere da me, e quando lo stringerò crederò e godrò della sua presenza. Voglio vedere quelle mani trafitte che hanno guarito le mani scellerate di Adamo. Io voglio vedere quel petto che ha espulso la morte dal nostro petto. Voglio essere un testimone oculare del Signore, e non basarmi solo su testimonianze altrui. Il vostro racconto esaspera la mia brama, ma anche inasprisce il mio dolore. Il mio male guarirà, quando stringerò il farmaco fra queste mie mani. Gesù riappare allora otto giorni dopo e dissipa la tristezza e l'incredulità del discepolo. Non sopprime soltanto il dubbio di Tommaso, ma colma la sua attesa. Il Signore entra nella casa, quando le porte sono sprangate, e conferma a Tommaso l'incredibile miracolo della risurrezione con una incredibile apparizione. Gli dice: "Metti il dito nel posto dei chiodi. Mi cercavi, quando non ero presente; approfitta ora. Conosco la tua brama, anche se taci. Prima che tu parli, so quel che pensi. Udii le tue parole e, anche se invisibile. ti stavo accanto. Anche se non mi mostravo, ero vicino ai tuoi dubbi; senza farmi vedere, davo tempo alla tua incredulità, in attesa del tuo desiderio. Metti il tuo dito nel posto dei chiodi e stendi la tua mano nel mio costato e non essere incredulo, ma credente". Tommaso lo tocca, la diffidenza gli cade e, infiammato da fede sincera e da un amore degno di Dio, esclama: Mio Signore e mio Dio! E il Signore a lui: Perché mi hai veduto. hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!
"Tommaso! Porta l'annunzio della mia risurrezione a quelli che non l'hanno vista; attira la terra intera, perché creda non per aver visto ma per aver ascoltato la tua parola. Percorri popoli e città barbare, insegna loro a cingersi della croce e non delle armi. Basterà che tu predichi: quelli crederanno e mi adoreranno senza esigere altre prove. Dì loro che sono chiamati per grazia, e contempla la loro fede: Beati quelli che pur non avendo visto crederanno!
Questo è l'esercito che ormai recluta il Signore, questi sono i figli dell'abluzione spirituale, opera della grazia, messe dello Spirito. Essi hanno seguito Cristo senza averlo visto, ma l’hanno cercato e hanno creduto. L’hanno riconosciuto con gli occhi della fede, non con quelli dei corpo. Non misero le dita nel posto dei chiodi, ma si sono attaccati alla croce e hanno abbracciato la passione di Cristo. Non contemplarono il suo costato trafitto, ma per grazia si sono uniti alle sue membra, confermando in se stessi la parola del Signore: Beati quelli che pur non avendo visto crederanno.

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Dal trattato "Sulla Trinità" di sant'Ilario di Poitiers

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De Trinitate, III,20; VII,12. PL 10,87-88. 209.
Porgo ascolto al Signore e credo alle cose che sono state scritte. Perciò so che, subito dopo la risurrezione, Cristo spesso si offrì in corpo alla vista di molti ancora increduli. E precisamente si fece vedere a Tommaso, che non voleva credere se non avesse potuto toccare con mano le sue ferite, così come disse: Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò. Il Signore si adatta alla nostra debole mente e, per chiarire i dubbi di chi non riesce a credere, opera un miracolo caratteristico della sua invisibile potenza.
Tu che indaghi minuziosamente le realtà celesti, chiunque tu possa essere, spiegami il modo con cui avviene questo fatto. I discepoli erano in un ambiente chiuso e tutti quanti insieme tenevano una riunione in un luogo appartato. Ed ecco il Signore, per rendere ferma la fede di Tommaso, accetta la sfida, si presenta e offre la possibilità di palpare il suo corpo, di toccare con mano la sua ferita. Naturalmente, poiché doveva essere riconosciuto per le sue ferite, egli dovette mostrarsi con il corpo che aveva ricevuto le ferite.
All'incredulo io domando attraverso quali parti dell'abitazione che era chiusa, Cristo, dotato di corpo com'era, poté penetrare. Con molta precisione l'Evangelista annota infatti: Venne Gesù a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro. Forse che, penetrando nella struttura delle pareti e nella compattezza delle parti in legno, attraversò la loro natura impenetrabile? Infatti, eccolo lì in mezzo a loro con un corpo reale, non sotto apparenze simulate o false.
Segui, dunque, con gli occhi della tua mente la via battuta da lui nel penetrare, accompagnalo con la vista dell'intelletto mentre entra nell'abitazione chiusa.
Tutte le aperture sono intatte e sbarrate, ma ecco compare in mezzo colui al quale tutto è accessibile in virtù della sua potenza. Tu vai cavillando sui fatti invisibili, io a te domando la spiegazione di fatti visibili. Non viene meno in alcun modo la compattezza e il materiale ligneo e pietroso non lascia passare cosa alcuna attraverso gli elementi che lo compongono, per una specie di infiltrazione impercettibile. Il corpo del Signore non perde la sua natura fisica per poi riprenderla dal nulla: eppure di dove viene colui che si ferma in mezzo? A queste domande si arrendono pensiero e parola, e il fatto nella sua verità supera l'umana capacità di intendere.
Tommaso esclama: Mio Signore e mio Dio! Dunque, colui che egli confessa come Dio è il suo Dio. Senza dubbio Tommaso non ignorava le parole del Signore: Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo.Come la fede di un Apostolo, professando Cristo come Dio, poté dimenticare il massimo precetto che ordina di vivere nella confessione dell'unità divina? Ma la potenza della risurrezione fece intendere all'Apostolo il mistero della fede nella sua pienezza. Già sovente egli aveva udito le parole di Gesù: Io e il Padre siamo una cosa sola. Tutto quello che il Padre possiede è mio. Io sono nel Padre e il Padre è in me. Ormai, senza pericolo per la fede, Tommaso può attribuire a Cristo il nome che designa la natura divina.
La sua fede schietta non esclude di credere nell'unico Dio Padre proclamando la divinità del Figlio di Dio. Infatti, egli crede che il Figlio di Dio non possiede una natura diversa da quella del Padre.
E la fede nell'unica natura non correva il rischio di trasformarsi in empia confessione di un secondo Dio, perché la perfetta nascita di Dio non aveva portato una seconda natura divina. Pertanto, fu con piena conoscenza della verità contenuta nel mistero evangelico che Tommaso confessò il suo Signore e il suo Dio. Qui non si tratta di un titolo d'onore, ma del riconoscimento della sua natura. Egli credette che Cristo era Dio nella piena realtà della sua sostanza e della sua potenza.
Il Signore confermò che l'affermazione di Tommaso non era un semplice riconoscimento di onore, ma atto di fede, dicendo: Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!
Infatti, Tommaso credette perché vide. Ma tu mi puoi domandare: Che cosa ha creduto? Che cosa poté credere se non ciò che ha dichiarato:Mio Signore e mio Dio? Nessuna natura, se non quella divina, avrebbe potuto risorgere per propria virtù dalla morte alla vita; e la sicurezza di una fede ormai certa fa professare a Tommaso questa verità, cioè che è Dio.
Non possiamo pensare che il nome Dio non indichi una natura reale. Infatti quel nome non è forse stato pronunziato in base a una fede nella natura divina fondata su prove? Sicuramente quel Figlio, devoto al Padre suo, che faceva non la sua volontà, ma quella di colui che lo aveva mandato e cercava non la propria gloria, ma quella di colui dal quale era venuto, avrebbe ricusato nei propri confronti l'onore implicito in un nome del genere, per non distruggere l'unità divina che aveva proclamato.
Ma in realtà, egli conferma il mistero espresso dalla fede dell'Apostolo e accetta come suo il nome che indica la natura del Padre; così egli insegnò che erano beati coloro che, pur non avendo visto quando risorgeva dai morti, afferrando il senso della risurrezione avevano creduto che egli era Dio.

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Da "La vita in Cristo" di Nicola Cabàsilas

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De vita in Cristo,VI,2. PG 150,645-648.

Chi ama possiede due mezzi per riportare vittoria: fare del bene all'amato secondo ogni modo possibile, o soffrire per lui atroci tormenti. Quest'ultima prova di amore è di gran lunga superiore alla prima. Ora, Dio era nell'impossibilità di soffrire, dato che è impassibile. Amico degli uomini com'è, Dio poteva colmare l'uomo dei suoi benefici, ma era incapace di patire piaghe e dolori per lui. All'amore infinito mancava il segno che lo manifestasse.
Eppure Dio non poteva più lasciarlo ignorato e nascosto. Per mostrarne l'immensità e per convincerci del suo amore estremo, escogitò il suo annientamento e si rese capace di soffrire mali e tormenti. Così, con tutto quello che avrebbe sopportato, Dio sarebbe stato in grado di testimoniare la straordinarietà del suo amore e avrebbe ricondotto a sé il genere umano. Infatti gli uomini lo fuggivano, credendosi l'oggetto della sua ostilità.
C’è ancora qualcosa di più sorprendente. Il Signore non subì soltanto i più atroci supplizi finendo col soccombere alle torture. Quando risuscitò, dopo aver strappato il corpo alla corruzione, conservò le piaghe e si presentò agli angeli coperto di cicatrici, come cinto di un ornamento e compiaciuto di mostrare ciò che aveva patito. Ormai il suo corpo glorioso si è spogliato di ogni pesantezza, senza più dimensioni, mutamenti o altre proprietà corporee; però ha voluto mantenere piaghe e cicatrici, stimando doverle proprio conservare per amore dell'uomo. Non l'ha forse ritrovato grazie alle proprie piaghe? Non ha forse preso di nuovo l'amato grazie alle sue trafitture? Altrimenti come spiegare la presenza sul suo corpo glorioso di quelle lesioni che la natura o la chirurgia pòssono far sparire sopra corpi mortali e corruttibli?
A quanto pare, il Signore avrebbe voluto soffrire molte volte per noi. Ma non era possibile, perché il suo corpo non era più soggetto alla corruzione. E poi voleva risparmiare agli uomini il delitto di tormentarlo ancora. Perciò stabili di conservare sopra di sé i segni della sua immolazione, di conservare in eterno il marchio delle ferite impresse una volta per sempre durante la crocifissione. Nel suo ineffabile splendore eterno, egli rimane il crocifisso che ha il costato trafitto per salvare gli schiavi, e le piaghe sono il suo regale ornamento.
A cosa paragonare un simile amore? L'uomo sarà mai capace di amare tanto? Quale madre è così tenera verso la sua creatura? Quale padre è così affettuoso con i propri figli? Un uomo giusto potrà mai dar prova di un amore cosi sragionevole al punto da sopportare i colpi di colui che ama, serbando intatta l'amicizia verso l'ingrato, e da stimare infinitamente preziose le ferite ricevute?
Non pago di amarci, il Signore ci tiene in grandissima stima. Il colmo dell'onore che ci fa è di non arrossire delle nostre debolezze fisiche e di sedere sul trono regale coperto di quelle piaghe che ne sono il retaggio. Dio non ha elevato in dignità la nostra natura a danno di chiunque sia, ma ci invita tutti alla corona celeste. Tutti ci ha liberati dalla schiavitù e gratificati della filiazione divina. A tutti apre il cielo e mostrando la via e il modo di volare, da anche le ali. Anzi, non ancora soddisfatto, lui stesso guida, sostiene e incita gli infingardi che siamo. Non è ancora tutto. La dedizione del Signore verso i suoi servi va oltre: egli non si accontenta di renderci partecipi dei suoi beni e di venirci in aiuto, ma consegna se stesso a noi. Cosi diveniamo tempio del Dio vivente e membra del corpo di Cristo, di cui i cherubini adorano il Capo. E le mani e i piedi di quel Corpo, ossia noi, vengono retti e dipendono dal Cuore divino. 

Da vita in Cristo,VI,2. PG 150,645-648.