martedì 10 luglio 2012

Il primo mandato di Gesù

Di seguito il Vangelo di oggi, 11 luglio, mercoledi della XIV settimana del T.O., con un commento e un testo di Benedetto XVI.


La Gerusalemme Celeste, 1000 d.C., da una Apocalisse
conservata alla Staatsbibliothek di Bamberga, Germania

È mediante la sua condotta, 
mediante la sua vita, 
che la Chiesa evangelizzerà innanzitutto il mondo, 
vale a dire mediante la sua testimonianza 
vissuta di fedeltà al Signore Gesù, 
di povertà e di distacco, 
di libertà di fronte ai poteri di questo mondo, 
in una parola, di santità.

Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 41




Dal Vangelo secondo Matteo 10,1-7.


Chiamati a sé i dodici discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e d'infermità. 
I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea, suo fratello; Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello, 
Filippo e Bartolomeo, Tommaso e Matteo il pubblicano, Giacomo di Alfeo e Taddeo, 
Simone il Cananeo e Giuda l'Iscariota, che poi lo tradì. 
Questi dodici Gesù li inviò dopo averli così istruiti: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; 
rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d'Israele. 
E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino.
IL COMMENTO
Gesù chiama a sè i primi operai per la messe del Padre. Come un fondamento innestato sulla storia di Israele essi sono la primizia e la profezia dell'opera che Egli stesso compirà: la Nuova Gerusalemme celeste, la messe riconquistata a Dio, strappata al potere del demonio. Fondamento di questa Gerusalemme saranno proprio i Dodici apostoli: inviati alle pecore perdute di Israele ad annunciare l'avvento del Regno dei Cieli essi inaugurano il cammino di ritorno al Padre. "Gesù si rivela come il nuovo Giacobbe. Il sogno del Patriarca, in cui egli vide poggiata accanto al suo capo la scala che raggiungeva il Cielo e sulla quale salivano e scendevano gli angeli di Dio - questo sogno in Gesù è divenuto realtà. Egli stesso è la "porta del Cielo", Egli è il vero Giacobbe, il "Figlio dell'uomo", il capostipite dell'Israele definitivo" (J. Ratzinger - Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Vol. I).

Giacobbe è immagine di Dio fatto carne, quella di ogni uomo, sino a diventare peccato. Gesù, gemello eletto di un'umanità che ha gettato alle ortiche la propria primogenitura, si è lasciato umiliare nella notte della morte, definitivo Jabbok nel quale ciascuno di noi ha lottato con Dio. Gesù è riemerso dall'oscurità della tomba appoggiato in Dio suo Padre, Israele purificato e circonciso nel cuore, segnato dalle stigmate che hanno trafitto il peccato. Con il femore slogato, claudicante ma libero - le piaghe gloriose della vittoria sul peccato - Gesù è il vero Giacobbe, capostipite dell'Israele rinnovato nel suo mistero di Pasqua. Da Lui e dal suo sogno profetico scaturiscono i nuovi dodici figli, i basamenti della Nuova Gerusalemme. Dalla notte di preghiera, di sogni e di lotta, sorgono i loro dodici nomi, colonne e fondamento del destino ultimo ed eterno di ogni uomo. Gli apostoli, gli angeli che salgono e scendono la scala che giunge al Cielo, la Croce del loro capostipite, il desiderio di Babele purificato e compiuto come un dono che discende dall'alto per ogni uomo. Gli apostoli, messaggeri del Regno dei Cieli, la Gerusalemme che non ha bisogno di luce alcuna perchè illuminata dall'Agnello senza macchia, sacrificato nell'amore più puro, la misericordia che polverizza il male e la sua radice demoniaca. Gli apostoli, angeli che svelano il cuore di Dio ad ogni uomo, la Gerusalemme contemplata dagli occhi di Giovanni«Vidi anche la Città Santa, la Nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente che usciva dal trono: "Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo, ed Egli sarà il Dio-con-loro. E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate." E Colui che sedeva sul trono disse: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose."» (Ap. 21,2-5).


Essi sono dunque il segno della novità definitiva, la dimora che come una sposa accoglie ogni peccatore, la consolazione di ogni dolore, il profumo celeste sparso da Cristo nel mondo perchè ogni uomo  riconosca in esso l'essenza della propria vita, la fragranza del proprio destino. L'opera fondamentale di Gesù è infatti la sua vittoria sul demonio e sul male, l'unica credibile, l'unica capace di dare gloria a Dio testimoniandone la presenza amorosa nella storia dell'umanità. Il male infatti, soprattutto quello innocente, è, per la ragione umana, la negazione più autorevole di Dio. Il mondo che ha cancellato dal suo orizzonte il peccato originale, non sa più da dove prendere il male: esso sguscia via dai cuori, dalle menti, dalle mani, e domina e uccide. E occulta Dio, ed il suo Regno. Occorre un miracolo, un segno, una vittoria. Urge la testimonianza che non tutto finisce ingoiato dall'assurdo della morte e del male che avvinghia la vita. Urge il Regno dei Cieli, qui ed ora, visibile, come un avvenimento autentico e gratuito, perchè l'uomo smetta di costruirselo sfuggendo la verità. E' necessario che Israele, la Chiesa di oggi, come quella di ogni generazione, sia ricondotta alla sua origine, alla sua missione fondamentale: annunciare il Regno dei Cieli, incarnando come un sacramento di salvezza, l'irrompere di Dio nella storia compromessa dell'umanità. 
Per questo il Signore, oggi come quel giorno di duemila anni fa, chiama a sè i suoi apostoli conferendo loro il potere sul demonio, la sua Parola che esorcizza gli spiriti immondi e ricostruisce Gerusalemme, la nuova, la libera, la sposa che discende dal Cielo. Si comprende allora come sia di perenne attualità l'invio degli apostoli alle pecore perdute di Israele. "Come il Battista, suo immediato precursore, Gesù si rivolge anzitutto a Israele, per farne la "raccolta" nel tempo escatologico giunto con lui. E come quella di Giovanni, così la predicazione di Gesù è al tempo stesso chiamata di grazia e segno di contraddizione e di giudizio per l'intero popolo di Dio" (Benedetto XVI, La volontà di Gesù sulla Chiesa e la scelta dei Dodici, 15 marzo 2006 ) E' la Chiesa che necessita di essere costantemente rievangelizzata, purificata, ricondotta alla freschezza del suo primo amore, perchè non sia tiepida, ma accolga la Grazia che la costituisce, e si presenti senza macchia nè ruga, sposa dell'unico Sposo, immagine credibile del Cielo. Vi sono pecore perdute anche nella Chiesa, e lo siamo tutti, spesso prede di inganni e menzogne. Vescovi, preti, laici, abbiamo tutti bisogno di ascoltare la predicazione e convertirci ogni giorno, uscire da noi stessi, dal mondo e dai suoi criteri nei quali spesso cadiamo senza forse rendercene conto, e rientrare, umilmente, nel Regno di Dio, nell'initimità con Cristo, e rioffrire le nostre membra alla sua Giustizia. In famiglia, al lavoro, a scuola, ovunque il Regno di Dio si fa prossimo alle nostre esistenze, anche oggi, anche ora. E' questo il compito degli Apostoli, che non può essere disatteso: "Anche in chi resta legato alle radici cristiane, ma vive il difficile rapporto con la modernità, è importante far comprendere che l’essere cristiano non è una specie di abito da vestire in privato o in particolari occasioni, ma è qualcosa di vivo e totalizzante" (Benedetto XVI, discorso ai partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, 30 maggio 2011) . I Vescovi, con loro i presbiteri, i Pastori successori degli apostoli non possono dimenticare il primo mandato del Signore, annunciare al Popolo eletto e santo il Vangelo, curarne le infermità, scacciandone i demoni. E non spegnere lo Spirito, la libertà che supera il Tempio di pietra e i suoi piani pastorali spesso atrofizzati ed ammuffiti nelle troppe parole infilzate sugli slogan, per edificare quello costituito dalle pietre vive irrorate dallo Spirito Santo, i testimoni della risurrezione nella vita quotidiana, la Chiesa che scende dal Cielo e raggiunge ogni uomo laddove esso si trovi. Solo così la Chiesa, nelle trame intricate della storia macchiata dal potere di questo mondo, potrà brillare come la nuova Gerusalemme celeste, segno profetico capace di accompagnare, quale testimonianza credibile, l'annuncio del vangelo alle genti. 

Joseph Ratzinger. Evangelizzazione e catecumenato

COMUNICAZIONE E CULTURA: NUOVI PERCORSI PER L’EVANGELIZZAZIONE NEL TERZO MILLENNIO. 9 novembre 2002

L'evangelizzazione non è mai soltanto una comunicazione intellettuale, essa è un processo vitale, una purificazione ed una trasformazione della nostra esistenza, e per questo è necessario un cammino comune. Perciò la catechesi deve necessariamente assumere la forma del catecumenato, nel quale si possano compiere i necessari risanamenti, nel quale soprattutto viene stabilito il rapporto fra pensiero e vita. Eloquente è al riguardo il racconto, che Cipriano di Cartagine (+ 258) ha dato della sua conversione alla fede cristiana. Egli ci racconta che prima della sua conversione e battesimo non poteva affatto immaginarsi, come si potesse mai vivere da cristiano e superare le abitudini del suo tempo. Egli fornisce in proposito una cruda descrizione di quelle abitudini, che ricorda proprio le Satire di Giovenale, ma anche fa pensare al contesto vitale, nel quale oggi devono vivere i giovani: si può qui essere cristiani? non è questa una forma di vita superata? Quanti si chiedono questo, a ragione in realtà parlando da un punto di vista puramente umano. Ma l'impossibile, così narra Cipriano, fu reso possibile per la grazia di Dio ed il sacramento della rinascita, che naturalmente è considerato nel luogo concreto, nel quale esso può divenire efficace: nel cammino comune dei credenti, che aprono una via alternativa da vivere e la mostrano come possibile. Qui siamo ora di nuovo al tema della cultura, al tema del "taglio". Infatti Cipriano parla proprio della violenza delle "abitudini", cioè di una cultura, che fa apparire la fede come impossibile. Più di cento anni dopo Gregorio di Nazianzo (+ 390) esalta la conversione di Cipriano con le seguenti parole: "Per le sue conoscenze... rendono testimonianza anche le opere, di cui egli compose molte e notevoli per il nostro argomento, dopo che, grazie alla bontà di Dio, 'che tutto crea' e 'volge al meglio' (Amos5,8 LXX) egli aveva messo in salvo la sua formazione precedente portandola da questa parte e aveva sottomesso l'irragionevolezza alla ragione". Proprio perché egli sul cammino della conversione, mediante il taglio del Logos, ha trasformato la cultura del suo mondo, egli ha "messo in salvo" ciò che di essenziale e di vero essa conteneva. Mediante l'incisione nel sicomoro della cultura antica i Padri l'hanno nel complesso "messa in salvo" per noi e trasformata da strumento marcio in un frutto grandioso. Questo è il compito, che oggi è a noi proposto nei confronti della cultura secolarizzata del nostro tempo - questo è evangelizzazione della cultura.