lunedì 9 luglio 2012

La guarigione dell'emorroissa

Di seguito il Vangelo di oggi, 9 luglio, lunedi della XIV settimana del T.O., con un commento e qualche testo per la meditazione.


La guarigione dell’emorroissa, catacombe dei Santi Marcellino e Pietro, Roma

Allora la forza della domanda è l’altro che è presente, non tu. 
È questa la differenza tra tutta la grandezza d’animo dell’uomo 
– sia epicureo che stoico, secondo le varie versioni – e il cristiano. 
Per l’uomo normale quello che è importante è ciò che è capace di fare, 
capace di superare lui (stoico o epicureo). 
E per il cristiano… è come un bambino: 
è tutto teso alla presenza della madre, del padre, dell’altro. 
È la forza di Dio. 

Mons. Luigi Giussani, Una presenza che cambia,


Mt 9,18-26

In quel tempo, mentre Gesù parlava, giunse uno dei capi che gli si prostrò innanzi e gli disse: «Mia figlia è morta proprio ora; ma vieni, imponi la tua mano sopra di lei ed essa vivrà». Alzatosi, Gesù lo seguiva con i suoi discepoli. 
Ed ecco una donna, che soffriva d'emorragia da dodici anni, gli si accostò alle spalle e toccò il lembo del suo mantello. Pensava infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita». Gesù, voltatosi, la vide e disse: «Coraggio, figliola, la tua fede ti ha guarita». E in quell'istante la donna guarì. 
Arrivato poi Gesù nella casa del capo e veduti i flautisti e la gente in agitazione, disse: «Ritiratevi, perché la fanciulla non è morta, ma dorme». Quelli si misero a deriderlo. Ma dopo che fu cacciata via la gente egli entrò, le prese la mano e la fanciulla si alzò. 
E se ne sparse la fama in tutta quella regione.

IL COMMENTO


Ci sono momenti in cui è meglio per noi ritirarci. Lasciare che Dio agisca. Lasciare il Signore solo con la nostra soffrerenza. Lasciarlo entrare. Alberga in noi tanta sfiducia, ammettiamolo. A volte anche la derisione di fronte all’impossibile che Dio solo è capace di fare. Lasciare in disparte quella parte di noi che dubita, mormora, sogghigna di Dio. Lasciare che Lui tocchi la nostra carne morta. Che perdoni, con le sue ferite, i nostri peccati, gravidi di morte e tristezza. 

Il Signore è buono, Lui si ferma alla nostra piccolissima fede, basta un gesto, un grido. Quante volte ci gettiamo disperati ai Suoi piedi implorando la salvezza! Spesso ci ricordiamo di Lui solo quando lo necessitiamo per qualche sofferenza insopportabile. Ci avviciniamo, qualcosa dentro di noi ci dice che basta solo toccare il Suo mantello, come quello di Elia, segno - sacramento - del potere della Sua parola profetica che compie ciò che annuncia. Toccarlo è ascoltarlo. Poi, succede che dimentichiamo, ripiombiamo nell’incredulità, nella paura. Eppure a Lui basta una parola. La Sua, la nostra. Un briciolo di fede, un moto del cuore. Il nostro cuore più profondo. Le agitazioni esterne, le nevrosi e i nervosismi Lui li caccia fuori. Il suo amore si appoggia anche su una sola nostra parola. 

Non importa se lo cerchiamo solo quando siamo giunti all'ultima spiaggia, è Lui che ci lascia scendere, in quella relazione, in quel lavoro, nello studio, l'ultimo gradino della nostra forza presunta. E lì, di fronte al mare e con dietro l'esercito del Faraone, imparare ad attendere il suo intervento miracoloso che sgorga dall'umile confidenza di chi non ha più nulla da sperare che un miracolo. Perchè appaia il Cielo nella nostra vita, l'impossibile fatto possibile, un segno credibile della presenza di Dio nella storia: ogni nostra debolezza, ogni situazione limite, ogni muro invalicabile è per noi e per il mondo il luogo dell'annuncio più autentico. Per questo importa solo il desiderio profondo di toccarlo, di sfiorare il lembo del suo mantello, laddove ogni pio israelita portava lo “tzitzit” (“frangia” in ebraico). "C’è un obbligo nella Bibbia (Numeri 15, dal verso 38) che noi ripetiamo ogni giorno nella preghiera – fa parte dei tre brani dello shemà –, che afferma che sui quattro angoli della veste occorre portare delle frange, di cui un filo sia di colore celeste, colorato con un pigmento speciale derivato da un mollusco...  Il segno esisteva per dire a ogni ebreo: «Ricorda, anche nell’abito che indossi, che esiste Dio ai quattro angoli». Sono frange sulle quali si fanno dei nodi, che seguono una tradizione numerica particolare e simbolicamente rappresentano il nome di Dio. Come tali quindi queste frange rappresentano la parte sacra dell’abito. Ciascun ebreo osservante indossava questo abito e continua a farlo oggi. Non era una veste solo sacerdotale. L’emorroissa toccava perciò la parte sacra dell’abito, toccava quei nodi che rappresentavano il nome di Dio...  L’emorroissa toccava perciò la parte sacra dell’abito, toccava quei nodi che rappresentavano il nome di Dio... potremmo dire che l’emorroissa chiedeva una grazia, come atto di bontà nei suoi confronti, hesed". (Riccardo Di Segni, Il Vangelo spiegato dal Rabbino, 30 Giorni n. 10/11 2009). 

Basta sfiorare la sua hesed, il suo amore misericordioso. "Nel termine hesed è insito anche lo slancio entusiastico, come un ardore, la passione nell’atto di amore o di benevolenza" (R. Di Segni, cit.). Toccare con la nostra debolezza il suo ardore d'amore; accendere il fuoco della sua passione con il solo tendere mendicante della nostra mano. Toccarlo, in un istante di fiducia. La fede. Lì, nella parte più vera di noi. Un grido. Un abbandono. La certezza profonda d’essere ascoltati. Lo sguardo di Gesù nel nostro sguardo. “La fanciulla non è morta. Dorme”. La fede è avere questi occhi su ogni evento, su ogni sofferenza. E implorare, semplicemente, che Lui venga a destare quanto di noi s’è assopito. Il Mistero Pasquale che si compie ogni giorno. Anche oggi. "La domanda della presenza di Cristo in ogni situazione e occasione della vita – è una frase del Papa –, questo è l’ascesi. Che diventi familiare in noi la domanda della presenza di Cristo in ogni situazione e occasione della vita, questo è l’ascesi. (Mons. Luigi Giussani, L’opera del movimento. La fraternità di Comunione e liberazione).







San Cirillo Alessandrino (380-444), vescovo, dottore della Chiesa
Commento al Vangelo di Giovanni, 4 ; PG 73, 560


« Entrò e le prese la mano »


Poiché Cristo, per mezzo della sua carne, è entrato in noi, risusciteremo interamente; è infatti inconcepibile, anzi impossibile, che la vita non faccia vivere coloro nei quali si è introdotta. Come si ricopre un tizzone ardente con un mucchio di paglia per mantenere intatto il germe di fuoco, così il nostro Signore Gesù Cristo nasconde la vita in noi con la sua carne e vi mette come un germe di immortalità che respinge tutta la corruzione che portiamo in noi.
Quindi non soltanto con la sua parola egli opera la risurrezione dei morti. Per mostrare che il suo corpo è donatore di vita come abbiamo detto, tocca i cadaveri e mediante il suo corpo dona la vita a questi corpi già in via di decomposizione. Se il solo contatto della sua sacra carne rende la vita ai morti, quanto profitto trarremo dalla sua eucaristia vivificante quando la riceveremo!... Non sarebbe bastato che la sola nostra anima fosse rigenerata per mezzo dello Spirito per una vita nuova. Occorreva che anche il nostro corpo pesante e terreno fosse santificato dalla sua partecipazione a un corpo così consistente quanto il suo e della stessa sua origine, e così venisse chiamato all'incorruttibilità.




Sant'Agostino (354-430), vescovo d'Ippona (Africa del Nord) e dottore della Chiesa
Commento al Vangelo di San Giovanni 49, 15 (Nuova Biblioteca Agostiniana)


Vieni, imponi la tua mano sopra di lei ed essa vivrà »
        
« Chi crede in me anche se è morto vivrà, e chiunque vive e crede in me non morirà in eterno » (Gv 11, 25-26). Che vuol dire questo ? « Vivrà, perché il Cristo non è Dio dei morti ma dei viventi. » (Mt 22, 32)...
Credi dunque, e anche se sei morto, vivrai ; se non credi, sei morto anche se vivi... Quando è che muore l'anima ? Quando manca la fede. Quando è che muore il corpo ? Quando viene a mancare l'anima. La fede è l'anima della tua anima. « Chi crede in me , dice il Signore,  anche se è morto nel corpo, vivrà nell'anima, finché anche il corpo risorgerà per non più morire. E chiunque vive nel corpo e crede in me, anche se temporaneamente muore per la morte del corpo, non morirà in eterno per la vita dello spirito e per la immortalità della risurrezione. »




Benedetto XVI. Guarigione dell'emoroissa
Angelus dell'1 luglio 2012


Nell’odierna domenica, l’evangelista Marco ci presenta il racconto di due guarigioni miracolose che Gesù compie in favore di due donne: la figlia di uno dei capi della Sinagoga, di nome Giàiro, ed una donna che soffriva di emorragìa (cfr Mc 5,21-43). 
Sono due episodi in cui sono presenti due livelli di lettura; quello puramente fisico: Gesù si china sulla sofferenza umana e guarisce il corpo; e quello spirituale: Gesù è venuto a guarire il cuore dell’uomo, a donare la salvezza e chiede la fede in Lui.
Nel primo episodio, infatti, alla notiziGesù a che la figlioletta di Giàiro è morta, Gesù dice al capo della Sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!» (v. 36), lo prende con sé dove stava la bambina ed esclama: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!» (v. 41). Ed essa si alzò e si mise a camminare. San Girolamo commenta queste parole, sottolineando la potenza salvifica di Gesù: «Fanciulla, alzati per me: non per merito tuo, ma per la mia grazia. Alzati dunque per me: il fatto di essere guarita non è dipeso dalle tue virtù» (Omelie sul Vangelo di Marco, 3). Il secondo episodio, quello della donna affetta da emorragie, mette nuovamente in evidenza come sia venuto a liberare l’essere umano nella sua totalità. Infatti, il miracolo si svolge in due fasi: prima avviene la guarigione fisica, ma questa è strettamente legata alla guarigione più profonda, quella che dona la grazia di Dio a chi si apre a Lui con fede. Gesù dice alla donna: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male!» (Mc 5,34).
Questi due racconti di guarigione sono per noi un invito a superare una visione puramente orizzontale e materialista della vita.
A Dio noi chiediamo tante guarigioni da problemi, da necessità concrete, ed è giusto, ma quello che dobbiamo chiedere con insistenza è una fede sempre più salda, perché il Signore rinnovi la nostra vita, e una ferma fiducia nel suo amore, nella sua provvidenza che non ci abbandona.
Gesù che si fa attento alla sofferenza umana ci fa pensare anche a tutti coloro che aiutano gli ammalati a portare la loro croce, in particolare i medici, gli operatori sanitari e quanti assicurano l’assistenza religiosa nelle case di cura. Essi sono «riserve di amore», che recano serenità e speranza ai sofferenti. Nell’Enciclica Deus caritas est osservavo che, in questo prezioso servizio, occorre innanzitutto la competenza professionale - essa è una prima fondamentale necessità - ma questa da sola non basta. Si tratta, infatti, di esseri umani, che hanno bisogno di umanità e dell'attenzione del cuore. «Perciò, oltre alla preparazione professionale, a tali operatori è necessaria anche, e soprattutto, la “formazione del cuore”: occorre condurli a quell'incontro con Dio in Cristo che susciti in loro l'amore e apra il loro animo all'altro» (n. 31).
Chiediamo alla Vergine Maria di accompagnare il nostro cammino di fede e il nostro impegno di amore concreto specialmente verso chi è nel bisogno, mentre invochiamo la sua materna intercessione per i nostri fratelli che vivono una sofferenza nel corpo o nello spirito.



Beato Charles de Foucauld (1858-1916), eremita e missionario nel Sahara 
Ritiro a Nazareth, 1897


« La tua fede ti ha guarita »


La fede, è ciò che fa che noi crediamo in fondo all'anima ... tutte le verità che la religione ci insegna, di conseguenza il contenuto della Sacra Scrittura e tutti gli insegnamenti del Vangelo, infine quanto ci è proposto dalla Chiesa. Il giusto vivrà veramente di questa fede (Rom 1,17), poiché essa prende il posto in lui della maggior parte dei sensi naturali. Trasforma talmente ogni cosa che gli altri sensi possono servire poco all'anima, che percepisce attraverso essi solo apparenze che ingannano, mentre la fede le mostra le realtà. L'occhio gli fa vedere un povero; la fede gli fa vedere Gesù (cf Mt 25,40). L'orecchio gli fa sentire ingiurie e persecuzioni; la fede gli canta: “Rallegratevi ed esultate” (Mt 5,12). I sensi ci fanno sentire i colpi di pietra ricevuti; la fede ci dice: “Abbiate una grande gioia per essere stati giudicati degni di soffrire qualcosa per il nome di Cristo” (cf At 5,41). Il gusto ci fa sentire l'incenso; la fede ci dice che il vero incenso “sono le preghiere dei santi” (Ap 8,4).
I sensi ci seducono con le bellezze del creato; la fede pensa alla bellezza increata ed ha compassione di tutte le creature che sono nulla e polvere di fronte a quella bellezza. I sensi hanno orrore del dolore; la fede lo benedice come la corona dello sposalizio che l'unisce all'Amato, il cammino col suo Sposo, la mano nella sua mano divina. I sensi si ribellano all'ingiuria; la fede la benedice: “Benedite coloro che vi maltrattano” (Lc 6,28)...; la trova dolce poiché è condividere la sorte di Gesù... I sensi sono curiosi; la fede non vuole conoscere nulla: ha sete di scomparire e vorrebbe passare tutta la vita immobile ai piedi del tabernacolo.