giovedì 23 agosto 2012

Il senso dell'amore

 http://giotto.ibs.it/cop/cop.aspx?s=B&f=200&x=0&ww=2&e=9788806200046

Alix Kates Shulman è una delle femministe storiche americane. Lo dice il risvolto di copertina, e io non ho motivo di dubitare degli editor della Einaudi, ci mancherebbe; e anche se volessi verificare la notizia non avrei modo di farlo perché ora, mentre scrivo, mi trovo in Croazia, sprovvista di internet, biblioteche e anche librerie (a meno che non vogliamo considerare tale la bancarella con la guida alle conchiglie in croato). 
Il libro della Shulman si chiama Il senso dell’amore, storia di un matrimonio (come al solito traduzione non all’altezza di To Love What Is. A Marriage Transformed).
Devo dire che ero partita un po’ prevenuta, perché generalmente non ho grande stima delle femministe, ma mi sono dovuta inchinare all’onestà intellettuale dell’autrice, che ha compiuto una lunga parabola esistenziale, dal femminismo duro e puro alla dedizione sponsale, ma con naturalezza e senza atteggiamenti melodrammatici da eroina.
La sua è una storia vera: seduce il più bel ragazzo del liceo, Scott, se lo porta a letto una volta, tanto per togliersi la voglia, poi si perdono di vista. Trentaquattro anni dopo si ritrovano: entrambi hanno un divorzio alle spalle, e due figli adolescenti decisamente frastornati dalla separazione (un figlio di Scott, malato, è morto). Il loro innamoramento travolgente si trasforma in amore maturo e profondo, e i due finiscono per sposarsi. Il pilastro della loro unione però a questo punto è l’indipendenza reciproca. Due artisti, lei scrive, lui è scultore, che custodiscono due spazi distinti e molto arieggiati per le loro attività. È soprattutto lei, Alix, a insistere sulla necessità di tenere lunga la corda, e lui, innamoratissimo, la asseconda.
Un giorno Scott cade da un soppalco – si trovano nella casa al mare, lontanissima da medici e ospedali – e una lesione cerebrale dà inizio a una lunga epopea per la ripresa, faticosa e accidentata nonostante l’assicurazione paghi i migliori medici di New York.
Comincia anche quella che oserei chiamare la conversione di Alix. Per amore del marito si dedica ad assisterlo – come dice lei – “trentasei ore su ventiquattro”, con una devozione tenace, un’abnegazione totale. Controlla il lavoro dei medici, li licenzia (in America si può, in caso di insoddisfazione!), ne sceglie altri, cerca consulenti, legge libri, siti specializzati, riporta a casa il marito, nonostante le gravi lesioni che gli rendono impossibili certe funzioni mentali: deve occuparsi di tutto, mangiare, andare in bagno, evitare che combini pasticci (perde chiavi, ricevute, documenti, scambia l’ospedale per una base militare, la moglie per la madre, la mattina per la sera…), che si perda, che dia in escandescenze, che diventi violento. Non ha più neanche un’ora per leggere, scrivere, fare la spesa, come se avesse un neonato in casa per anni (mi ricorda qualcosa).
Eppure, dice, io non posso fare che questo, non posso lasciarlo in una casa di riposo, non posso disfarmene. Non è una situazione che avrei scelto, ma è quella che è capitata a me, e posso solo affrontarla mettendoci il meglio di me. Anni fa mi sarebbe sembrato impossibile, racconta, l’indipendenza è sempre stato il mio manifesto, ma adesso capisco che quello che sto tirando fuori per amore dimenticando me stessa è il meglio di me.
A me tornano nelle orecchie le parole di Ratzinger: la donna conserva l’intuizione che il meglio della sua attività è destinata a custodire la vita quando è minacciata, in difficoltà. Se lei, americana, liberal,  femminista, atea, lo sapesse probabilmente non ne sarebbe contenta. Meno ancora le farebbe piacere sapere cosa ho detto chiudendo il libro dopo l’ultima pagina, in una spiaggia croata, sotto il sole d’agosto: “te l’avevo detto, io”. (C. Miriano)