Itinerari educativi
Quando Pietro, sulla parola di Gesù, prese il largo e calò le
reti per la pesca, queste si riempirono talmente di pesci che si rompevano, e se
ne colmarono due barche al punto quasi da affondare (Lc 5, 4-7)
Qualcosa di simile è capitato a me, dopo che ho chiesto a
diverse istanze educative di farmi avere i loro itinerari. Il materiale è
cresciuto talmente che c'è pericolo che la barca vada sott'acqua, cioè che le
linee portanti della lettera scompaiano sotto la colluvie dei particolari.
Allora ho pensato di fare come Pietro, cioè di utilizzare una seconda barca: la
prima barca, quella originaria, si chiamerà Messaggio. Sarà la lettera pastorale
propriamente detta. La seconda barca si chiamerà Schede e porterà alcuni esempi
(non tutti!) di itinerari che mi pare opportuno citare perché aiutano alla
costruzione di progetti educativi.
Le Schede saranno numerate progressivamente e a esse si farà
riferimento nella parte Messaggio ai luoghi opportuni. Chi vi è direttamente
interessato le potrà dunque consultare agevolmente.
Spero così di non aver perduto troppo della ricchezza della
pesca di Pietro e di aver salvaguardato le reti e la barca.
Ma ricordiamo che proprio dopo questa operazione Pietro ha
detto: "Signore, allontanati da me che sono un peccatore!" (Lc 5, 8). E' con
tale coscienza che a questo punto affido alla misericordia del Signore e alla
benevolenza dei lettori tutto quanto seguirà.
[1] Il titolo della premessa può suonare provocatorio. Perché
congiungere insieme, in una trattazione pastorale destinata a presentare alcuni
cammini educativi della comunità cristiana, il tema dell'itinerario con quello
del "fallimento"? Perché cominciare con questa sottolineatura disfattista?
Eppure ritengo il tema delle delusioni educative di
importanza determinante. Tanto che, se non mi fossi già impegnato fin dall'anno
scorso sul titolo di "itinerari educativi", avrei posto il tema del "fallimento"
addirittura nel frontespizio.
Si tratta infatti di guardarsi subito da un rischio assai
grave: quello cioè di voler cercare in questa lettera delle ricette che
"finalmente" ci permettano di agire con incisività sui giovani, che trattengano
gli adolescenti dalla "fuga" dopo la cresima, che ci dicano come interessare i
più piccoli alla catechesi, che ci svelino il segreto per frenare la diserzione
degli adulti dalla Messa festiva o dalla catechesi.
E' bene dire subito che queste ricette non le ho, e se le
avessi le avrei comunicate alla diocesi fin dal giorno del mio ingresso senza
aspettare tanti anni. Dirò anzi di più: neppure Gesù possedeva tali ricette.
Altrimenti non sarebbe stato tradito da Giuda, rinnegato da Pietro, abbandonato
dagli altri apostoli, insultato dalla folla che aveva beneficato e della quale
era stato catechista instancabile e competente.
Che significa tutto ciò? Che lo sforzo che stiamo facendo
nella nostra Chiesa locale, fin dallo scorso anno, per "educare" secondo il
cuore di Dio, cosi come Dio educa, e l'attenzione più specifica che vogliamo
dare quest'anno a itinerari educativi tipici della comunità cristiana non ci
metteranno al riparo da delusioni. Esse vanno "messe in conto" in una azione che
si sviluppa da una libera volontà verso un'altra volontà libera.
La meta che ci proponiamo di raggiungere è molto più modesta:
far sì che i fallimenti non siano da imputarsi del tutto alla nostra negligenza,
sconsideratezza e faciloneria nell'educare; e soprattutto aiutarci a inglobare
il concetto stesso di fallimento ("parziale") in una visione complessiva del
cammino educativo. Del cammino cioè che intende portare una creatura umana,
fragile e peccatrice, dalla ignoranza di Dio, dalla incredulità o dalla poca o
piccola fede alla fede adulta e alla maturità cristiana della vita.
Supplico dunque fin dall'inizio i miei lettori a non
considerare le delusioni educative (che fino alla conclusione della vita sono
solo semplicemente "parziali", cioè riparabili e ricuperabili) come un fatto
accidentale o estraneo al processo educativo. Studiamoci di imitare il realismo
di Dio che tracciando cammini educativi per l'umanità e per il suo popolo, sa
non solo prevenire nei limiti del possibile il fallimento, ma anche prevederlo,
valutarlo con oggettività, pronto a rimediarvi subito con un amore ancora più
grande e creativo.
E' così che Gesù prevede e addirittura predice il tradimento
di Giuda (cf Mt 26, 21; Mc 14, 18; Lc 22, 21-22; Gv 13, 21), il rinnegamento di
Pietro (cf Mc 14, 30; Lc 22, 34; Gv 13, 38) e la fuga di tutti gli altri (cf Mt
26, 31; Mc 14, 27). Egli ha coscienza in anticipo di alcuni fallimenti dei suoi
sforzi di educatore.
E che cosa dice la parabola della zizzania e del buon grano (cf
Mt 13, 24-30) se non che Gesù sa molto bene che nel suo campo seminerà anche il
nemico? E la parabola del seminatore (cf Mt 13, 1-9; Mc 4,1-9; Lc 8, 4-8) non è
forse l'annuncio di difficoltà tali, per il seme, da contrastare e persino da
impedire la maturazione di quanto è stato sparso con amore nel terreno?
Eppure Gesù continua a seminare senza stancarsi. La sua è la
pazienza mai vinta del padre del figliuol prodigo (cf Lc 15, 11-32). Possiamo
immaginare di quante cure educative fosse stato oggetto questo ragazzo prima
della sua partenza, e il dolore del padre quando egli volle andarsene. Di solito
la decisione di un adolescente di "andare in un paese lontano" è connessa con
aspre discussioni, con prolungati e cupi silenzi, con penose incomprensioni. Ma
il testo evangelico sorvola su tutto ciò, e ci mostra il padre solo in
atteggiamento di attesa, con una straordinaria prontezza a riaccogliere (cf Lc
15, 20), il che suppone che egli non avesse mai ritenuto definitivo o
irreparabile il gesto compiuto dal figlio.
Come la moneta perduta (cf Lc 15, 8-10) è occasione per
ripulire e riassettare a nuovo tutta la casa, e insieme ritrovare la moneta,
così ogni fallimento educativo ci interpellerà, ci scuoterà, ci spingerà a
interrogarci sui nostri itinerari e programmi, e rinnoverà il nostro impegno di
formatori.
[2] Non continuo con le citazioni evangeliche perché
altrimenti entro già subito nel cuore della lettera. Questa era solo una
premessa per dirti di non aspettare ciò che né una lettera pastorale e neanche
lo Spirito santo in persona ti può dare: la chiave infallibile del risultato in
ogni singolo caso. Non pensare che ti saranno risparmiate le delusioni che
attendono ogni educatore: ma mettiti a collaborare con lo Spirito santo perché
tu possa superare in maniera creativa e vincente le delusioni e perché, passando
attraverso la prova, tu acquisti quella sofferta paternità e maternità
spirituale che rende il tuo cuore simile a quello del Padre che è nei cieli (cf
Mt 5, 48; Lc 6, 36).
[3] " Ci proponga itinerari educativi concreti! ".
Quante
volte mi sono sentito rivolgere questa richiesta! Ma chi me la rivolge, sa che
cosa chiede?
La parola "itinerario" deriva dal latino "iter" che significa
"viaggio". Esso è anzitutto "il percorso che si segue o si intende seguire in un
viaggio o in una spedizione o simili, comprendente per lo più un certo numero di
tappe" (Diz. Encicl. Ital.). "Itinerario" è poi la descrizione di un viaggio
fatta da un viaggiatore, che diventa di conseguenza "strumento di viaggio" e
guida per coloro che dovranno percorrere, a loro volta, quel cammino, che il
primo coraggioso esploratore ha tracciato.
Ogni uomo ha la percezione che anche nel mondo dello spirito
vi sono mete, cammini e tappe. S. Bonaventura ha scritto un "itinerario della
mente a Dio" indicando le tappe che egli aveva toccato nel suo cammino di
conoscenza del mistero infinito. Uno dei gruppi che mi hanno mandato le loro
riflessioni si esprime così: "Ci siamo interrogati su che cosa intendiamo per
itinerario. Dallo scambio sono emersi diversi punti di vista, dai quali si può
cogliere una visione di fondo comune: c'è una meta da raggiungere - nella
libertà della persona - attraverso un cammino, spirituale e umano, esperienziale
- con altre persone - che si aiutano per integrare vita e fede".
Chiedere un "itinerario educativo" vuol dunque dire chiedere
la specificazione dei percorsi e delle tappe dello spirito che permettono di
giungere alla meta del cammino educativo.
[4] Chiedere itinerari per un cammino educativo cristiano
significa desiderare una descrizione sintetica delle vie da percorrere per
giungere al fine della vita cristiana, che abbiamo cercato già di descrivere
nella lettera Dio educa il suo popolo. Questo può essere espresso con diverse
parole e ricorrendo a diverse metafore: la maturità della fede, l'espansione
piena della persona in Cristo, l'inserzione adulta nel corpo del Signore con
l'assunzione delle proprie responsabilità nella Chiesa e nel mondo, ecc. (cf Dio
educa il suo popolo, parte prima, cap. 6, n. 14 e 15).
Sorgono spontanee tre osservazioni.
Anzitutto che un "itinerario" è una descrizione del cammino
che poi va effettivamente percorso. La descrizione non risparmia nessuna delle
fatiche del viaggio, non costringe i pigri a muoversi, né conduce
infallibilmente alla meta gli svagati e i distratti. E' soltanto una indicazione
per razionalizzare il cammino, chiarirne le tappe, evitare alcuni passi falsi,
aiutare a superare i momenti di nebbia e di oscurità. Sono presupposti quindi
tutti quegli altri elementi del processo educativo che ho elencato nella
precedente lettera. Non supplisce né la grazia di Dio, né la preghiera, né
l'ascolto del Maestro interiore, né la forza d'animo, ecc.
Guai a chi si culla nel sogno di un "itinerario" che supplirà
all'indolenza sua o dei suoi ragazzi, e che si farà in qualche modo compiacente
e subdolo alleato dell'ignavia di chi non vuole alzarsi a tempo al mattino,
indugia alla sera di fronte al televisore, rifugge da ogni minimo sacrificio nel
mangiare e nel bere, si concede tutto quello che gli viene in mente, ecc.
Un oratorio, una scuola cattolica, un gruppo, che si
fidassero di un programma ben steso su carta patinata e ricco di diagrammi e di
tavole sinottiche, ma al quale non soggiacciono una forte volontà di sacrificio
e una instancabile dedizione, si illuderebbero amaramente.
Non sono i "principi educativi" che salvano l'uomo, anche se
principi erronei sono capaci di rovinarlo. Non soltanto chi ascolta queste mie
parole - dice Gesù - ha costruito la casa sulla roccia, ma chi le ascolta e le
mette in pratica; altrimenti la sua casa, pur se fondata su massime educative
perfette, cadrà in grande rovina (cf Mt 7, 24-27).
La seconda osservazione è che un itinerario, anche molto ben
fatto, non può mai essere assimilato alle "regole per l'uso" di una macchina
qualsiasi. Le "istruzioni operative" che accompagnano i nostri televisori,
frigoriferi, macchine elettroniche, ecc., sono di per sé una garanzia, nel senso
che se la macchina è in buone condizioni i risultati sono sicuri. Ma l'uomo non
è una macchina e quando si ha a che fare con la sua libertà non ci sono
"istruzioni per l'uso" di cui sia garantito il successo.
Il "bello" dell'educazione è che essa gioca con elementi la
cui risposta, essendo libera, è sempre in qualche modo imprevedibile. Di
conseguenza gli itinerari non possono in nessun modo essere pensati come
"tecniche di successo". Può sembrare che io insista un po' troppo nel mettere in
guardia contro questo meccanicismo educativo. Ma l'esperienza mi ha insegnato
che esso è una delle più sottili e diffuse insidie dei nostri ambienti. La
fiducia nei mezzi soprannaturali, nella parola di Dio, nei sacramenti e nelle
tradizioni educative, nell'oratorio, ecc., viene talora vissuta come sicurezza
umana, con conseguenti delusioni e anche prove di fede. Ma allora, perché Dio
non ha operato come ci aspettavamo? Perché dopo tante prediche e comunioni
questo ragazzo è finito così? I fallimenti educativi sono in certo senso
provvidenziali, perché ci aiutano a entrare nel mondo dello spirito, che è mondo
di libertà, e ci alleano con quel Dio che non strumentalizza né meccanicizza
nessuno, che rispetta fino allo scrupolo la libertà del più piccolo dei suoi
figli, contento di attrarre con la forza straordinaria del suo amore e della sua
grazia.
La terza osservazione è che una traccia di cammino, una sorta
di vademecum, un itinerario educativo è in ogni caso utile.
E' vero che, essendo l'educazione "cosa del cuore", i
suggerimenti e le indicazioni pedagogiche, le "informazioni" sui vari momenti
dello sviluppo del fanciullo e dell'adolescente, potrebbero anche essere
considerati come superflui, in quanto l'educatore che ha vero amore e che usa
intelligenza e attenzione scoprirà da solo la maggior parte delle cose veramente
necessarie; e chi deve compiere il cammino educativo sentirà una spinta innata
verso la via giusta, se userà anch'egli attenzione e onestà. Ma una conoscenza
critica e attenta del processo educativo ha una notevole importanza.
Paragoniamo ogni processo educativo al processo fondamentale
dell'apprendimento di una lingua: è un processo in gran parte istintivo, che si
fonda sulla voglia di comunicare, si nutre di un ambiente comunicativo e cerca
di adattarvisi per imitazione. Ma la conoscenza dell'alfabeto, della scrittura,
della grammatica, del vocabolario, non saranno inutili a chi impara una lingua:
lo sosterranno, gli daranno via via sicurezza e precisione, correggeranno i modi
di dire sbagliati, aiuteranno a raggiungere padronanza e maestria
nell'esprimersi. Per questo la conoscenza, la riflessione e il dialogo fraterno
su alcune regole, principi e nozioni pedagogiche sono di utilità per tutti,
incoraggiano nelle difficoltà, permettono di superare momenti oscuri.
[5] L'utilità di itinerari educativi è confermata nel
cristianesimo dall'esistenza della Bibbia. Essa è infatti il libro che registra
autenticamente l'attività di Dio educatore verso il suo popolo. E la registra
perché è opportuno e importante che sia così, perché la memoria delle antiche
vie per le quali Israele è stato condotto è utile per lo stesso Israele e per
tutte le nazioni. "Pianta dei cippi, metti pali indicatori, sta' bene attento
alla strada, alla via che hai percorso" (Ger 31, 21). Le vie del passato sono
quelle per cui il Signore fa ancora camminare il suo popolo.
La memoria delle strade di Dio aiuta a orientarsi nel cammino
futuro. Ciò viene richiamato in particolare da quei salmi che "fanno memoria"
dei benefici di Dio e ricordano per le generazioni future il suo modo di agire
verso il popolo: "Ciò che abbiamo udito e conosciuto e i nostri padri ci hanno
raccontato, non lo terremo nascosto ai loro figli" (Sal 145, 4).
Le vie nelle quali Dio fa camminare il suo popolo sono
l'itinerario fondamentale, quello a cui attingere senza sosta per formulare i
nostri itinerari parziali, con cui confrontare i nostri insuccessi e le nostre
vittorie, sul quale verificare l'autenticità dei nostri sforzi. Non insisto su
questo tema, perché è stato oggetto di riflessione in Dio educa il suo popolo e
già è stato tante volte richiamato nelle "Scuole della Parola".
Vorrei qui fare soltanto alcune osservazioni.
La prima è che ogni educatore deve nutrirsi con la lettura
della Bibbia e deve saper iniziare alla lettura meditativa e orante della
Scrittura coloro che gli sono affidati. La Scrittura non è uno strumento
pedagogico facile da usare. Parecchie delusioni postconciliari sono dovute a un
uso improprio, meccanico, generico della lettura biblica. Ma per chi ha imparato
a suonare sulla tastiera dei libri di Dio (ed era questo lo scopo del programma
pastorale, sempre valido, In principio, la Parola del 1981), essa si rivela come
uno "strumento" meraviglioso e ricchissimo, come un organo dalle mille canne,
dalle molte tastiere e dai variatissimi registri.
La seconda osservazione è che dalla Scrittura appare come le
vie di Dio siano diverse e molteplici.
Israele viene educato ora mediante la meditazione sul creato
e sulla tragedia della resistenza dell'uomo a Dio (cf Genesi 1-11, Salmi); ora
mediante la predicazione sconvolgente dei profeti come Elia, Isaia, Geremia; ora
viene formato al senso della legge e alla disciplina di una osservanza minuziosa
(Esodo, Levitico, Deuteronomio); ora viene istruito sul senso dell'esistenza
quotidiana e sulla bellezza di rapporti ragionevoli e corretti con tutti
(Proverbi, Sapienza, Siracide, ecc.). In alcuni periodi storici si insiste
maggiormente su uno di tali aspetti, in altri periodi su un altro.
Questa riflessione ci aiuta a ridimensionare un concetto
troppo rigido di "itinerario". Dio è sempre identico a se stesso, ma sa parlare
con linguaggi diversi, a seconda del contesto e degli uditori. Per questo la
Scrittura è, come dicevano i Padri, un pozzo profondo a cui attingere sempre
nuova acqua, un mare inesauribile, una sorgente che non delude e che rinnova
continuamente il nostro pensare e il nostro agire. La stessa annotazione emerge
se esaminiamo alcune singole figure bibliche: quante diversità tra la storia di
Abramo e quella di Giacobbe, di Mosè, di Davide, di Giobbe, di Geremia...!
Quanta differenza tra il cammino di Pietro e quello di Paolo o di Giovanni o di
Maria madre del Signore! Eppure tutti sono condotti dal medesimo Spirito,
illuminati dallo stesso maestro interiore. L'occhio attento scopre nelle
differenti vicende degli amici di Dio una sostanziale continuità pur nella
diversità dei cammini.
[6] La terza osservazione riguarda il carattere
apparentemente non sistematico dell'insegnamento biblico. La Scrittura non
sembra proporci uno schema educativo "ordinato" ma piuttosto una serie di fatti,
dottrine, esortazioni proposte in maniera occasionale. Per questo molti temono
di "perdere tempo" accostando la Scrittura e vorrebbero subito una sintesi
logica e ordinata di tipo catechetico. Grande illusione! Ci vuole anche la
catechesi - con le sue qualità di sintesi e di ordine - in particolare per la
nostra mente occidentale, ma guai a rinunciare alla vivacità e all'appello
diretto che viene dalle pagine bibliche. C'è un ordine nell'esposizione biblica!
Lo si coglie immergendosi in essa. E' un ordine non direttamente logico o
tematico, ma un "ordine della vita", cosi come c'è ordine e correlazione tra le
diverse manifestazioni biologiche del corpo umano, che si richiamano e si
collegano a vicenda sotto la forza del principio vitale unificante. Chi è
entrato nel mondo della Bibbia scopre questo ordine, simile a quello di un corpo
vivente, e intuisce i mille legami tra i fatti e le parole, con una gioia e
gusto interiori che ripagano di quel po' di fatica esigito dal primo approccio.
[7] Parlando della Scrittura come itinerario educativo
fondamentale voglio menzionare almeno di passaggio un tema che ho avuto
occasione di svolgere più volte - in particolare in diversi corsi di Esercizi
spirituali - e a cui ho anche accennato nella mia prima lettera al clero della
diocesi per la Quaresima 1980, dal titolo: Il nostro cammino presbiterale.
Si tratta della possibilità di leggere l'insieme dei quattro
vangeli come un modello di itinerario educativo, che parte dalla situazione del
catecumeno e conduce alla maturità dell'esperienza cristiana.
Essi vanno allora letti in questo ordine: Marco come vangelo
del catecumeno, cioè dell'iniziazione cristiana; Matteo come vangelo del
catechista, cioè come manuale per l'inserimento del neo-battezzato nella vita
della comunità; Luca come vangelo dell'evangelizzatore, cioè come guida (insieme
con gli Atti degli Apostoli) per formare propagatori della fede e persone capaci
di vivere il cristianesimo nelle circostanze difficili della società; infine
Giovanni come il vangelo del presbitero o del cristiano maturo contemplativo,
esprime la visuale che della vita in Cristo raggiunge colui che ha già percorso
gli itinerari precedenti e si appresta ad assumere responsabilità permanenti
nell'ambito della comunità (in particolare presbiterato e matrimonio).
Non intendo qui riprendere in dettaglio questa prospettiva di
lettura. Mi basta dire che essa è basata su dati che si possono ritenere
acquisiti, pur rimanendo nell'insieme una "ipotesi di lavoro"; si appoggia sia
sulle caratteristiche interne dei singoli vangeli sia su alcuni fatti assodati
dalla ricerca storica (origine dei vangeli dalla predicazione orale e
nell'ambito della comunità, in relazione ai diversi bisogni comunitari; priorità
di Marco, carattere "ecclesiale" di Matteo, unità di Luca e Atti, ecc.); ma
resta nel complesso una "ipotesi di lavoro", che stimola a una lettura più
attenta e coerente delle narrazioni evangeliche. La correttezza delle singole
conclusioni dovrà essere naturalmente verificata e dimostrata volta per volta.
Non è neppure la sola ipotesi di lettura dei quattro vangeli: è stato possibile,
ad esempio, nell'antichità e anche oggi parlare a dei catecumeni basandosi sul
vangelo secondo Giovanni. Tuttavia ritengo che l'ordine sopra indicato sia molto
plausibile, e possa servire da modello per cammini catechetici e spirituali.
[8] Bisogna intendersi sul vocabolario. Quando si parla di
"itinerario educativo cristiano" si intende anzitutto quell'itinerario globale
che Dio fa compiere all'umanità, e in essa a ogni singolo uomo e donna, perché
sia raggiunta la piena maturità del corpo di Cristo che è la Chiesa (cf Ef 4,
11-16), perché si giunga a quella pienezza dopo la quale Cristo consegnerà il
regno al Padre, e Dio sarà tutto in tutti (cf 1 Cor 15, 28).
Soggetto attivo e promotore del grande itinerario educativo
dell'umanità è dunque Dio (Dio educa il suo popolo) Padre, Figlio e Spirito
Santo. Sotto di lui e in comunione con lui soggetto educativo è la Chiesa di
Gesù, e in lei ogni altro soggetto autorizzato e sottomesso allo Spirito
d'amore.
Nell'ambito di questo globale itinerario cristiano trovano
posto molteplici itinerari personali e comunitari, nei quali si articola il
cammino dell'immenso popolo di Dio. Alcuni di questi itinerari sono parziali
perché si riferiscono a gruppi o a persone singole, altri lo sono invece nel
senso che considerano solo un segmento del cammino (fanciullezza,
adolescenza...) o un particolare ambito di esso (famiglia, oratorio, parrocchia,
gruppi...).
Ne segue un'altra opportuna distinzione empirica in questa
complessa materia: quella tra le mete, le persone, gli ambienti, i mezzi e gli
strumenti.
Le mete costituiscono il fine globale o i fini parziali dei
cammini educativi. I fini parziali sono quelli relativi a un particolare
segmento del cammino educativo (per esempio l'adolescenza) o a un particolare
ambiente (per esempio i fini che l'oratorio si propone). E' utile anche tenere
presenti quelle che si possono chiamare "mete settoriali", che sono i diversi
scopi che ci si può proporre in uno o più de terminati momenti particolari del
curricolo educativo: educazione alla castità, all'affettività, all'impegno
sociale e politico, allo spirito ecumenico, ecc.
Parlando delle persone, si distinguono gli infanti, i
fanciulli, gli adolescenti, ecc., e poi ancora le Chiese locali, le parrocchie,
i gruppi, ecc.
Gli ambienti sono, ad esempio, la scuola, l'oratorio,
l'ambiente sportivo o di lavoro.
Parlando degli strumenti o mezzi si possono menzionare la
lectio divina, la preghiera, l'uso dei sacramenti, la direzione spirituale...
Tutto questo complesso di cose difficilmente può venire
trattato in una sola lettera. Io mi limiterò a sottolineare quanto ritengo più
importante per il cammino attuale della nostra Chiesa. Ma il fatto che io non
menzioni espressamente l'una o l'altra realtà, non vuol dire che non la stimi o
non la tenga presente. Vorrei solo non ampliare eccessivamente una lettera che
già si annuncia molto più lunga del previsto.
Nei capitoli seguenti tratterò dunque anzitutto (cap. II) dei
cammini che la Chiesa propone a tutti: essi sono l'itinerario sacramentale e
l'anno liturgico. Nello stesso capitolo ritengo opportuno accennare anche ad
alcuni itinerari che si possono considerare "specializzati", ma che appartengono
al tesoro comune della Chiesa e sono strettamente collegati con i precedenti,
come la vita monastica e i Seminari. Dirò pure qualcosa, nello stesso capitolo,
di alcuni strumenti collaudati per il cammino spirituale.
Nel capitolo successivo vorrei affrontare gli itinerari
particolari riguardanti età specifiche della crescita della fede, a partire
dall'infanzia, e alcune mete parziali del cammino educativo.
Il IV capitolo parlerà degli itinerari riguardanti ambienti
educativi fondamentali (come la parrocchia e l'oratorio) e quelli riguardanti
ambienti derivanti da scelte particolari di cristiani (associazioni, gruppi e
movimenti).
Dopo questa panoramica esaminerò in un successivo capitolo
(V) le conseguenze che derivano da tale sguardo globale alla tradizione
educativa della Chiesa cattolica per la costituzione di particolari itinerari
educativi. E' questo il capitolo che ritengo decisivo, quasi sintesi e
conclusione dei precedenti, per invitare ciascuno a rivedere o a formulare per
la prima volta il proprio progetto educativo. Seguirà una nota sugli itinerari
formativi per i formatori e per i leaders.
Ciascuno vede da questo breve sommario come la materia sia
immensa. Non è mio compito esporla distesamente. A me preme far rilevare le
costanti che devono essere presenti in ogni autentico itinerario educativo, e
che ci aiutano a ripensare, riproporre, aggiornare i nostri attuali programmi.
Alcuni punti particolari che pare opportuno ritenere per documentazione e come
stimoli operativi sono rinviati alle schede finali.
[9] Un'ultima parola sulla terminologia che distingue
itinerari da programmi e da progetti.
Un "progetto educativo" è qualcosa di più di un semplice
itinerario. E' lo strumento per definire le strategie e le politiche educative
di un gruppo. Un "progetto educativo" può, ad esempio, comprendere l'analisi
della situazione (territorio, scuola, ecc.); la ricerca dei bisogni e delle
carenze educative del luogo dove il gruppo opera; l'identificazione degli
obiettivi educativi del gruppo; l'analisi delle risorse e delle possibilità, sia
come persone che come mezzi; la definizione dei mezzi, dei tempi e dei criteri
di realizzazione concreta per il raggiungimento degli obiettivi nei tempi
stabiliti, ecc.
Noi faremo uso ordinariamente della parola "itinerario" per
descrivere un cammino, di "programma" per le attualizzazioni operative parziali
nell'ambito del cammino, di "progetto educativo" per un complesso di itinerari
ben strutturato e composto, frutto di discussione ed esperienza, riferito ad
ambienti e soggetti operativi ben determinati, specificato in vari programmi di
azione. Il mio auspicio è che questa lettera stimoli tutti: parrocchie, oratori,
scuole cattoliche, gruppi, ecc. a proporre un loro "progetto educativo" organico
e ben strutturato.
[10] Qual è lo scopo di questa lettera pastorale? Essa
presuppone la precedente Dio educa il suo popolo, pubblicata lo scorso anno.
Chi non ha letto quella lettera, difficilmente comprenderà il
contenuto di questa che la suppone e ne è la naturale continuazione. Tale
lettera infatti conteneva il messaggio: è Dio il primo grande educatore! E' lui
anzitutto che educa noi e coloro che noi intendiamo educare.
Chi ha udito e compreso questo messaggio si domanda: se Dio
educa il suo popolo e lo fa secondo quelle costanti che abbiamo meditato, che
cosa ne segue per noi educatori? quali sono gli itinerari che la pedagogia
divina ci aiuta a formulare per allearci con Dio educatore?
Gli itinerari che siamo chiamati a stendere dovranno dunque
essere anzitutto contemplati nella azione educativa di Dio e per così dire
imitare, lasciarsi omologare, entrare in quelli che Dio ha fatto percorrere al
suo popolo. Ciò può essere fatto in maniera teorica e dottrinale, partendo dalla
contemplazione di cammini biblici e deducendo itinerari educativi adatti per
noi.
La lettera Dio educa il suo popolo ha suscitato nella diocesi
molte riflessioni di questo tipo. La lettera di quest'anno vuole partire invece
dalla prassi della Chiesa. Dio, educandolo, ha insegnato al suo popolo nel corso
dei secoli alcuni itinerari pratici per condurre gli uomini a sé. Perciò i
grandi cammini che egli ha mostrato alla sua Chiesa divengono riferimento per
noi. Alcuni sono più autorevoli; altri sono stati elaborati seguendo
un'esperienza ancora in fieri e mutevole, ma cercheremo ugualmente di capirli,
per tenerne conto e perfezionarli alla luce degli itinerari divini.
[11] Tutti questi itinerari hanno una sola meta: la vita
eterna, la contemplazione di Dio faccia a faccia, la celeste Gerusalemme,
l'essere tutti una cosa sola in Cristo come figli del Padre nella grazia dello
Spirito Santo, comunicando in pienezza alla vita di Dio. Questo è dunque lo
scopo di ogni istruzione pratica contenuta in questi itinerari che non vogliono
essere se non una prima e umile iniziazione allo straordinario cammino dello
spirito umano e dell'umanità intera verso la sua pienezza. Perciò, come dice s.
Benedetto a conclusione della sua Regola: " Nulla assolutamente anteponiamo a
Cristo e così egli, in compenso, ci condurrà tutti alla vita eterna... pertanto,
chiunque tu sia che ti affretti alla patria celeste, poni in pratica con l'aiuto
di Cristo questa minima regola per principianti", che ci apprestiamo a delineare
(cf s. Benedetto, Regola, nn. 72, 11-12; 73, 8).
[12] In questo secondo capitolo vorrei trattare degli
itinerari educativi che la Chiesa ha da lungo tempo "collaudato" e fatto suoi:
essi sono infatti strumenti che ciascuno è chiamato a utilizzare, e modelli a
cui bisogna ispirarsi nel concepire itinerari parziali e programmi più
specifici. Anzi si può dire che la santità comune o "popolare" del cristiano si
gioca anzitutto su questi itinerari fondamentali: la "pastorale" non è in
sostanza che l'applicazione sistematica e attenta di quei principi, strumenti,
valori, norme di cammino, che fin dai tempi più antichi sono presenti nella
Chiesa in quanto santa e santificatrice.
Partirò dalla cosiddetta "economia sacramentale", cioè da
quel complesso di segni che significano e danno la grazia, visti come realtà
complessiva che sgorga dalla Pasqua di Gesù ed esprime lungo i tempi
dell'esistenza umana e a favore dell'uomo la sacramentalità della Chiesa, cioè
l'essere la Chiesa segno efficace della presenza di Cristo, che è segno
efficace, insuperabile e definitivo della presenza amorosa e salvifica del
Padre.
E' infatti nella successione dei sacramenti che si realizza
anzitutto la figura di "itinerario", dal battesimo fino alla pienezza
eucaristica, che è segno del banchetto eterno, meta di ogni cammino educativo
cristiano.
Mostrerò come questa economia sacramentale non è separata dal
dono della Parola, la quale si esprime in maniera privilegiata nella Scrittura,
ed è, come Parola e sacramento, sorgente di cammino morale, sia della moralità
propriamente teologale del cristiano (fede, speranza, carità), sia di quella che
soggiace a ogni progetto serio di uomo, cioè alla vita secondo saggezza,
giustizia, dedizione coraggiosa, dominio di sé e resistenza alle prove in tutte
le situazioni complesse dell'esistenza (prudenza, giustizia, fortezza,
temperanza).
Da questi grandi pilastri (Parola, sacramenti, virtù
teologali e morali) che sorreggono tutta la costruzione dell'edificio cristiano
nasce lo strumento di educazione permanente che è l'itinerario dell'anno
liturgico, sintesi felice, collaudata da una esperienza plurisecolare, che ha
collegato la pedagogia biblica con il cammino sacramentale e gli esempi di virtù
cristiane dei santi.
[13] Nel quadro di questo fondamentale itinerario
ecclesiastico prendono rilievo alcune proposte di itinerari specializzati, che
si sono affermate nella Chiesa fin dall'antichità: esse sono in particolare la
vita monastica (intesa come "schola Dominici servitii") e il Seminario.
Nell'ambito della vita monastica o a partire da essa sono stati anche sviluppati
alcuni strumenti utili per tutti i cristiani come la lectio divina, la direzione
spirituale e gli Esercizi spirituali.
Questi itinerari e strumenti appartengono al tesoro educativo
di tutta la Chiesa. Tutti perciò li devono apprezzare e utilizzare, secondo le
circostanze, con molta attenzione e fiducia. Prima di elaborare itinerari
specializzati occorre avere chiaro che è da questi grandi itinerari e strumenti
di cammino, che derivano praticamente i mezzi fondamentali per l'educazione
cristiana, dall'infanzia all'età matura.
[14] a) - La Pasqua di Gesù è l'evento in cui ha il suo
culmine il grande itinerario educativo di Dio nei confronti dell'uomo.
Attraverso la profonda compassionare della croce, nella quale
il Figlio incarnato si consegna alla morte accettando di essere fatto peccato e
maledizione per noi (cf 2 Cor 5, 21; Gal 3, 13), il Dio lontano si fa vicino ai
senza Dio e ai maledetti da Dio, assumendo la loro lontananza per abbattere il
muro dell'inimicizia e rendere vicini i lontani (cf Ef 2, 1 1-22).
La riconciliazione pasquale, che si compie nell'evento della
risurrezione del Crocifisso e dell'effusione dello Spirito su ogni carne,
ricolma i lontani, a cui il Figlio si è fatto prossimo nel nascondimento della
passione, della luce e della forza della vita nuova veniente dall'alto.
Attraverso la vicenda pasquale Dio Padre "porta fuori" i peccatori dalla loro
condizione di separazione e di morte, li "educa" conducendoli verso i pascoli
della vita mediante l'illuminazione del Risorto ("Svegliati, tu che dormi,
destati dai morti, e Cristo ti illuminerà!": Ef 5, 14) e l'effusione della
carità per mezzo dello Spirito (cf Rom 5, 5).
La Pasqua è la rivelazione e l'esperienza più alta
dell'azione educativa di Dio, che libera il suo popolo e lo riconcilia con sé.
In essa si manifesta il "mistero", cioè il disegno divino di salvezza che viene
realizzandosi nel tempo, la pedagogia divina che porta l'uomo a partecipare
della vita di amore del Padre, del Figlio e dello Spirito santo.
b) - Nel mondo dei Padri latini il termine biblicopaolino di
"mistero" è stato reso con sacramento: il significato è il medesimo, quello, si
potrebbe dire, della gloria di Dio che nel contempo nasconde e si comunica sotto
i segni della storia. In questo senso i Padri parlavano del Cristo come del
grande sacramento di Dio: la sua umanità, la sua storia terrena è il luogo della
presenza riconciliatrice di Dio ("Dio era in Cristo riconciliante il mondo a
sé": cf 2 Cor 5, 19). E poiché il Cristo grazie all'azione attualizzante dello
Spirito, che si esercita sommamente negli eventi sacramentali, si fa presente
sotto i segni della vita ecclesiale, la Chiesa stessa è pensata dai Padri come
il "sacramento" di Cristo.
[15] "Cristo sacramento di Dio: la Chiesa sacramento di
Cristo". Questa totale sacramentalità della Chiesa, questo suo essere nella
storia il segno e lo strumento privilegiato dell'economia e pedagogia salvifica
di Dio rivelata e donata in Gesù Cristo, si esprime e viene a realizzarsi negli
eventi sacramentali, segni visibili della grazia invisibile che attraverso di
essi efficacemente si comunica, atti in cui si compie di fatto la fedeltà
dell'Eterno alla sua promessa.
Proprio perché radicati nella sacramentalità totale di Cristo
partecipata nella Chiesa, i sacramenti non vanno presi isolatamente, ma
all'interno di una globale dispensazione di grazia, di una "economia" totale,
che ne evidenzi le profonde, reciproche connessioni e il comune radicamento nel
mistero pasquale del Signore Gesù. Come Cristo è il sacramento di Dio e
analogamente la Chiesa è sacramento di Cristo, così i singoli atti sacramentali
e l'insieme dell'economia sacramentale sono il sacramento della Chiesa corpo di
Cristo e tempio del suo Spirito.
In ciascuno di essi Cristo stesso e la grazia della sua
riconciliazione pasquale raggiungono situazioni e bisogni concreti e innestano
la persona, che è in quelle situazioni e vive quei bisogni, nel mistero del
Cristo Capo della Chiesa, via, verità e vita.
[16] c) - L'economia sacramentale viene così a costituire per
eccellenza l'attualizzazione dell'itinerario educativo che Dio ha fatto
culminare nella Pasqua del Figlio suo: e i singoli sacramenti, così come sono
stati definiti dal magistero ecclesiale, si offrono come la ripresentazione del
mistero pasquale del Signore nelle varie tappe in cui si scandisce la storia
dell'uomo pellegrino in questo mondo.
Come l'itinerario educativo naturale della persona umana
comprende un inizio fondante (la nascita), una meta (la maturità vissuta nella
comunione con gli altri), e delle tappe (superamento della resistenza e della
caduta, decisioni esistenziali fondamentali, esperienza della finitudine e della
morte), così, con una certa analogia, l'itinerario educativo pasquale, che il
Padre realizza per Cristo nello Spirito a beneficio di ogni uomo che crede, si
compie nell'economia sacramentale attraverso un inizio fondante (il battesimo),
una meta l'eucaristia) e delle tappe.
Dall'inizio fondante dipende tutto il resto. Esso ci fa figli
di Dio Padre, fratelli di Gesù Cristo, tempio dello Spirito santo, eredi della
vita eterna, capaci di un cammino spirituale nel senso di una compiuta
figliolanza. Tutta la vita cristiana porta a maturazione ciò che è seminato nel
battesimo.
[17] L'eucaristia costituisce il culmine della vita cristiana
ed ecclesiale: essa fa vivere la pienezza di comunione nella quale si situa la
maturità personale, alla quale è orientata radicalmente la grazia del battesimo.
Da questa maturità personale scaturisce il bisogno e la spinta verso una
maturità comunionale sempre più grande tra tutti i redenti, anticipo e figura
della Patria eterna.
Le tappe dell'esistenza redenta comprendono il continuo
superamento delle resistenze insite nella finitudine e nella peccaminosità
dell'uomo attraverso un itinerario penitenziale permanente, di cui è segno e
strumento la riconciliazione; e l'insieme delle decisioni esistenziali e
fondamentali che vanno dalla consapevole e matura adesione alla condizione di
discepoli di Cristo nell'evento sacramentale della confermazione, alle decisioni
più propriamente "situate", cioè del seguirlo nella via del ministero ordinato
per ripresentare in se stessi Cristo Capo del Corpo ecclesiale, segno e servo
dell'unità, o in quella del sacramento del matrimonio, figura dell'unione tra
Cristo e la Chiesa, o in quella della consacrazione a Dio con cuore indiviso,
che non richiede un particolare segno sacramentale, perché è semplicemente
un'espressione radicale dell'appartenenza battesimale ed eucaristica al Dio
vivo.
Infine l'esperienza - che si manifesta nella malattia e di
fronte alla morte - della finitudine fisica e psicologica è raggiunta e
vivificata dal mistero pasquale attraverso il sacramento della unzione, che
attualizza la vittoria pasquale di Cristo nel gemito del cuore umano dolente.
Da queste brevi annotazioni emerge come l'economia
sacramentale, vissuta in pienezza e con opportuni programmi di coscientizzazione,
sia la forma più densa e globale che la Chiesa ci offre per entrare
nell'itinerario salvifico educativo, da Dio donato al suo popolo nella Pasqua
del Signore Gesù.
Con quanta maggiore maturità e consapevolezza i sacramenti
saranno vissuti, con tanta maggiore intensità ed efficacia cresceranno la
comunità ecclesiale e ogni persona in essa, secondo il progetto della pedagogia
dell'amore divino.
[18] Quale posto occupa la Parola nell'insieme della economia
sacramentale così descritta?
Nella visione biblico-patristica la Parola e il sacramento
sono indissolubilmente congiunti: essi sono due momenti di un unico processo,
l'unico farsi presente del Signore Gesù nella forma della parola (la Parola si
offre attraverso le parole della rivelazione) e in quella del gesto comunicativo
della vita che viene dall'alto.
E' Cristo operante nel suo Spirito la radice profonda che
unifica la Parola e il sacramento: è lui, secondo una bella immagine dei Padri,
l'unico sole che illumina dei suoi raggi la luna che è la Chiesa: luna nascente,
nella proclamazione della Parola; luna piena, nella celebrazione del mistero in
cui Parola e gesto sacramentale formano un tutt'uno; luna calante, nella Parola
detta attraverso il silenzio eloquente del dare la vita per amore.
Nell'unica dispensazione del dono di Dio si comunica l'unità
del mistero proclamato, celebrato e vissuto: la Parola si offre come il
sacramento udibile e il sacramento come la Parola visibile. L'itinerario
educativo che Dio compie per il suo popolo nel mistero pasquale si ripresenta
così nell'economia sacramentale, che abbraccia in ogni suo momento Parola e
sacramento, nella loro inscindibile unità. La Parola proclama e "dice" il
sacramento; il sacramento "compie" e realizza la Parola.
[19] Dalla comunione con la Trinità, originata dal battesimo,
nasce la vita teologale (fede, speranza e carità) che è la suprema moralità del
cristiano; da essa ricevono ispirazione, motivazione, guida e sostentamento le
virtù cosiddette morali (prudenza, giustizia, fortezza, temperanza).
a) - L'evento battesimale immette la creatura nella comunione
della Trinità santa, innestandola a tal punto nella pienezza divina, che tutto
lo sviluppo della vita cristiana può essere inteso come una esplicitazione di
ciò che nel battesimo è dato e nell'eucaristia è pienamente manifestato: figlio
nel Figlio Unigenito del Padre!
"Diventa ciò che sei!" è allora il compendio in forma di
precetto di tutto ciò che l'itinerario educativo dell'esistenza redenta deve
realizzare. La comunione in cui il battesimo immerge si esprime anzitutto nella
vita teologale, che sviluppa il peculiare rapporto del cristiano a ciascuna
delle divine Persone, nel cui "nome" egli è stato battezzato: è così che la
carità si offre come icona del Padre, principio senza principio dell'amore
eterno, pura sorgività e gratuità d'amore; la fede come forma del Figlio, che è
l'Amato, il puramente accogliente, colui che ci insegna come il ricevere non sia
meno divino del donare, e la gratitudine non meno partecipativa del mistero
santo della gratuità; la speranza, infine, si rivela icona dello Spirito, che
non solo unisce il tempo e l'eterno, ma apre il cuore dei credenti alle sorprese
di Dio. Il cristiano come figlio credente, speranzoso e innamorato è allora la
vivente e densa immagine del suo Dio Trinità d'amore.
Se la vita teologale è l'impronta dell'eternità nel tempo,
l'icona del dinamismo eterno dell'amore nelle opere e nei giorni dell'uomo, la
vita etica nel suo svolgersi quotidiano in mezzo agli altri uomini, compendiata
nelle virtù cardinali della fortezza, giustizia, prudenza e temperanza, è
l'espressione della piena maturità umana che la vita teologale è capace di
produrre, quasi temporalità che si fa anticipo d'eterno. Grazie a queste virtù
il credente-speranzoso-innamorato di Dio inserisce in maniera adulta ed
equilibrata la propria vita nel divenire del tempo: la fortezza lo aiuta a
superare la paura, che chiude al futuro; la giustizia gli fa vincere l'evasione
e la fuga dal concreto, rendendolo capace di dare a ciascuna situazione e
persona ciò che è giusto e buono che le venga dato; la prudenza e la temperanza
liberano dall'impazienza, dalla fretta e dai condizionamenti negativi dei
desideri sregolati. Permettono così un orientamento autentico verso il bene.
Grazie alle virtù cardinali l'esistenza redenta, che
partecipa della vita eterna mediante le virtù teologali, vive pienamente la sua
inserzione nel tempo, senza fughe in avanti, senza ritorni all'indietro, senza
stasi paralizzanti.
Nell'itinerario educativo del battezzato, la fede, la
speranza e la carità rappresentano dunque la comunione divina da esplicitare
fino alla pienezza dell'uomo interiore, mentre la fortezza, la giustizia, la
prudenza e la temperanza vengono a significare la verità umana, l'autenticità
storico-mondana in cui questa esplicitazione deve compiersi.
E' per questo che senza virtù teologali non ci sarebbe vita
cristiana, ma senza virtù cardinali l'esistenza redenta non sarebbe veramente
umanizzante secondo il disegno di Dio e la dispensazione storica della salvezza
che viene da lui.
[20] Da quanto detto fin qui segue che parola di Dio,
sacramenti, virtù teologali e cardinali sono i pilastri a cui si appoggia tutta
la costruzione dell'edificio della Chiesa nel suo insieme e nelle sue singole
pietre vive che sono i fedeli.
Ma come la Chiesa attualizza e rende presente a ciascuno dei
fedeli la ricchezza della Parola, la forza dei sacramenti, l'efficacia
dell'esortazione alla vita teologale e morale?
Lo strumento fondamentale per la traduzione nel vissuto
quotidiano di quanto sopra si è detto è l'anno liturgico. Esso è ritmato dai
grandi eventi salvifici: quindi riproduce in sintesi la pedagogia divina dal
tempo dell'attesa (Avvento) a quello del compimento (Pasqua e Pentecoste); è
intriso di parola di Dio, mediante la lectio continua, feriale e festiva, delle
pagine più importanti dell'Antico e del Nuovo Testamento; richiama continuamente
l'itinerario sacramentale, suggerendo momenti particolarmente adatti per la
celebrazione dei sacramenti dell'iniziazione (la notte di Pasqua), della
penitenza (la Quaresima), della confermazione (il tempo attorno alla
Pentecoste), delle ordinazioni sacre (le "tempora"); sottolinea con gli esempi
di Gesù, di Maria e dei Santi le grandi virtù teologali e morali che danno forma
quotidiana all'esistenza del cristiano.
L'anno liturgico è itinerario di fede che riporta
continuamente al centro della vicenda salvifica, alla persona di Cristo. Questo
celebrare sempre e soltanto l'unico mistero pasquale diviene fonte della
possibilità per l'uomo di passare dalla condizione del peccato a quella della
vita nuova.
L'anno liturgico ha inoltre il potere di togliere
dall'anonimato e dalla distanza convocando tutti attorno all'unico centro: Gesù,
la sua morte, la sua risurrezione, la Pasqua, l'eucaristia. Nell'anno liturgico
si dispiega il dinamismo della Parola nel tempo; essa conduce la Chiesa a
strutturarsi pastoralmente dandosi obiettivi, strumenti, tappe adeguate.
Accogliendo tale Parola nella fede, la comunità può così ritornare nel
quotidiano per dare voce e volto a ciò che incontra, spezzando per ogni uomo il
dono di cui si è nutrita.
[21] L'anno liturgico è scuola del divenire discepoli, ambito
in cui si apprende e si vive in progressione la possibilità della sequela di
Cristo. In questa luce, l'apporto del Lezionario festivo e feriale
nell'articolata strutturazione che ha avuto nella riforma recente, rivela tutto
il suo significato: alla scuola della Parola si apprende l'arte del farsi
seguaci del Maestro.
Per un pastore, la consapevolezza che questa è l'esperienza
in atto nello svolgersi annuale delle celebrazioni ha la forza dell'intuizione
programmatica. Ancor prima di decidere come mediare, di domenica in domenica, la
ricchezza della Parola che viene proclamata, egli sa in che direzione camminare,
a quale esperienza introdurre. Il farsi discepoli è imperativo interno al senso
stesso dell'anno liturgico, capace di reale forza aggregante. A esso vanno
ricondotte e da esso provengono le esperienze spirituali che via via
accompagnano il cammino delle comunità: penso, a esempio, a scelte esemplari di
dedizione e di servizio; alle molteplici maniere in cui prende forma il
volontariato tra i credenti; ad alcune significative scelte vocazionali, ecc. Il
costante rimando al discepolato, fatto a tutti e per tutti celebrato,
aiuterebbe, in particolare, a non ritenere tutto ciò come un compito proprio
degli anni giovanili della vita trascorsi in comunità: passi come questi sono,
in realtà, scelte conseguenti al fatto del sentirsi continuamente coinvolti in
un itinerario che propone il Signore come Maestro della propria esistenza.
Non abbiamo né il tempo né la possibilità di sostare sulle
caratteristiche essenziali dei singoli tempi che scandiscono l'anno liturgico.
Vorrei solo attirare l'attenzione sul fatto che in essi si snoda concretamente
la questione decisiva della fede.
[22] L'Avvento, a esempio, pone in questione la disponibilità
ad aprirsi a un Altro, che il linguaggio delle profezie annuncia come il dono
promesso da Dio all'uomo. E' punto cruciale, questo, oggi: ciò che rende spesso
impossibile la fede è l'autosufficienza, l'incapacità a guardare oltre se
stessi, l'indisponibilità a ridiscutere l'affermazione che siamo noi stessi al
centro della vita e della storia. Chi proclama il venire di un Altro nella
storia degli uomini, interpella a questo livello di profondità l'interlocutore
d'oggi immerso in un clima culturale e di costume che fa riferimento ai problemi
sopra evocati. L'anno liturgico si snoda, a partire dall'Avvento, in continua
dialettica con il problema della fede: conduce a interrogarsi sulla possibilità
e sul senso del vivere in maniera autenticamente religiosa. Porta cioè alle
questioni decisive che originano poi la possibilità di una vita cristiana.
Vedo a questo livello un'integrazione feconda con quanto di
meglio ha espresso e va esprimendo il rinnovamento catechistico in Italia. Da
una parte l'anno liturgico deve essere rispettato nella sua verità più profonda;
non può mai essere ridotto a un contenitore di verità che uno riempie a piacere.
Ma esso ha comunque un'intrinseca connessione con l'itinerario catechetico. Si
fa strada della fede, e come tale va inteso e celebrato.
Un'ultima annotazione rimanda all'istanza che l'anno
liturgico venga vissuto come quotidiano alimento di vita spirituale. Uno degli
esiti più interessanti cui sta conducendo, nel nostro secolo, il lavoro del
movimento liturgico è precisamente quello di far scorgere, a chi finalmente
"partecipa" all'azione rituale in modo attivo e consapevole, che essa si
configura come naturale sorgente dell'esperienza spirituale. La familiarità con
i testi biblici ed eucologici rende naturale il rifluire nella vita della
ricchezza celebrata durante l'azione liturgica. La prima e vera scuola di
spiritualità uno l'ha dentro di sé quando celebra in comunità, nel ritmo
dell'anno liturgico, il mistero di Cristo.
L'attività pastorale si esprime dunque anzitutto nel far
vivere l'anno liturgico con tutte le sue ricchezze (tempi liturgici,
celebrazioni sacramentali, letture bibliche, feste) mettendo sempre al centro la
liturgia eucaristica domenicale che è la Pasqua settimanale del popolo cristiano
(cf la mia lettera pastorale Attirerò tutti a me e il documento della CEI
Eucaristia, comunione e comunità).
[23] Per far percorrere adeguatamente l'itinerario
sacramentale la Chiesa ha premesso fin dall'antichità una preparazione. Essa
voleva aiutare l'adulto a prepararsi al battesimo con un itinerario che
comprendeva insegnamenti dottrinali, esercizi pratici di preghiera, conoscenza
della comunità e delle sue attività. Sono celebri a questo proposito le
istruzioni catechetiche tenute dallo stesso s. Ambrogio.
La situazione presente della nostra comunità nel contesto
europeo ci impone di riflettere separatamente: a) sugli adulti che chiedono di
essere battezzati; b) sull'iniziazione cristiana di coloro che sono stati
battezzati da piccoli; c) su una ripresa dell'iniziazione cristiana per
battezzati adulti.
a) Oggi l'itinerario catecumenale viene attuato per gli
adulti che chiedono di essere battezzati. Il loro numero sta aumentando. Si
tratta spesso di ragazzi non fatti battezzare dai genitori e che a una certa età
chiedono il battesimo, o di giovani venuti da altri Paesi. Occorre provvedere
con cura alla loro preparazione. I Parroci che devono provvedere a questi casi
(quando il ragazzo ha più di sette anni) si mettano sempre in contatto con
l'ufficio per la disciplina dei sacramenti della nostra Curia, che darà tutte le
indicazioni e i suggerimenti necessari.
Mi auguro che, a questo proposito, possa nascere nei prossimi
anni anche nella nostra diocesi qualcosa di più organico e incisivo. La
situazione religiosa odierna e i complessi problemi pastorali legati al capitolo
dell'"introdurre oggi alla Chiesa" sono tali da richiedere una seria
considerazione circa la dimensione catecumenale che è propria di ogni pastorale
ordinaria, così come essa si svolge in una diocesi, in un decanato, in una
parrocchia.
[24] b) Ma anche a coloro che sono battezzati da piccoli è
necessario proporre un cammino che li introduca nella vita cristiana vissuta e
li prepari ai sacramenti che si ricevono dopo il battesimo. E' questo il cammino
della "iniziazione cristiana". Non bisogna confondere la catechesi con la
semplice preparazione alla prima confessione e comunione o alla cresima. Ma tali
realtà sono collegate.
Nella nostra diocesi, soprattutto in seguito alle direttive
del mio predecessore Card. Colombo (cf La comunità cristiana. Programma
pastorale 197879, p. 20), è comune la prassi di dedicare a questa iniziazione
una catechesi sistematica di almeno un triennio. Alcune parrocchie fanno anche
di più. Costatando che spesso oggi l'ambiente familiare non aiuta, come avveniva
invece in passato, nella preparazione religiosa dei bambini, i pastori d'anime
richiedono giustamente una più accurata e prolungata catechesi nell'età scolare.
L'ideale sarebbe, di fatto, cominciare la catechesi nella seconda elementare
prevedendo poi la Messa di prima comunione in terza, continuarla fino alla prima
media con la cresima in quell'anno e inserirla armonicamente nella formazione
catechetica della preadolescenza. Non sempre e dappertutto si può offrire questo
programma ottimale. Di qui una certa diversità di prassi. L'essenziale richiesto
a tutte le parrocchie è che non si faccia mai meno di un triennio di catechesi.
[25] Richiamo alcuni punti fondamentali a cui attenersi:
1. Il Codice di Diritto Canonico ricorda ai genitori e a
coloro che ne fanno le veci, come anche al parroco, il dovere di provvedere
affinché i fanciulli che hanno raggiunto l'uso di ragione siano debitamente
preparati e quanto prima ricevano la comunione eucaristica (cf can. 914).
2. In conformità a quanto disposto dalla legge universale
della Chiesa (can. 914), prima di accostarsi all'eucaristia i fanciulli devono
ricevere il sacramento della penitenza.
La prima celebrazione di questo sacramento sia preparata con
un cammino di catechesi che aiuti i fanciulli a prendere coscienza del loro
battesimo e a disporsi mediante la purezza di cuore alla piena comunione con
Cristo nel mistero eucaristico.
Non è bene che l'intervallo tra la prima confessione e la
Messa di prima comunione sia di immediata successione o di prolungata
separazione. E' molto conveniente programmare la celebrazione della prima
confessione durante un tempo "forte" dell'anno liturgico (Avvento o Quaresima)
mentre tutta la comunità cristiana è chiamata a impegnarsi maggiormente nella
penitenza e nella riconciliazione.
3. E' compito dei parroci, in accordo con il Decano e il
Vicario Episcopale, determinare ritmi e tempi di preparazione e ammissione alle
tappe sacramentali, con rispetto e attenzione alla diversità dei cammini
eventualmente esigiti dai singoli ragazzi per circostanze particolari.
4. Raccomando ai pastori d'anime di cercare insieme una linea
pastorale omogenea onde evitare contrasti o differenziazioni ingiustificate
nella programmazione dei corsi di catechesi e dei tempi di celebrazione della
prima confessione e della Messa di prima comunione. Ritengo che questa
convergenza sia necessaria, soprattutto nelle parrocchie dello stesso decanato
in città e nei grossi centri urbani, anche per non offrire alle famiglie dei
ragazzi pretesti di disimpegno nei confronti dei programmi pastorali delle
rispettive parrocchie. Tale impegno di pastorale organica deve sottostare al
Decano e al Vicario Episcopale.
[26] 5. E' necessario che i fanciulli e i loro genitori e
parenti siano aiutati a comprendere la dimensione ecclesiale dei sacramenti.
Contro la tendenza a ridurre i sacramenti dell'età scolare a feste di famiglia o
a cerimonie che interessano esclusivamente i fanciulli, occorre che la
preparazione e la celebrazione di questi sacramenti siano intimamente collegate
con la vita liturgica della comunità parrocchiale così che tutti i fedeli ne
siano in qualche modo coinvolti.
Perciò raccomando tutte le iniziative che favoriscono la
partecipazione attiva dell'intera comunità e in prima linea dei genitori e dei
padrini: presentazione dei candidati alla confessione, comunione, cresima;
liturgie della Parola, veglie di preghiera, ecc. Ricordo altresì la necessità di
una particolare attenzione a fare in modo che i genitori e i padrini siano
invitati ma non costretti a ricevere i sacramenti insieme ai fanciulli.
[27] c) Lo sforzo di far ripercorrere ad adulti battezzati ma
poco istruiti nella fede o poco convinti nella pratica cristiana un cammino che
li richiami alle radici battesimali della loro esistenza fa parte del compito di
ogni comunità parrocchiale. Si veda quanto dice a questo proposito la prefazione
della CEI all'Ordo Initiationis Adultorum: "L'Ordo fa emergere l'esigenza di
un'azione pastorale che conduca alla riscoperta o alla consapevolezza
progressiva e personale della propria fede, mediante una catechesi permanente o
un itinerario di tipo catecumenale, che segua gradualmente il cristiano
dall'infanzia alle successive fasi della vita" (prefazione, n. 1).
[28] Tale cammino deve compiersi normalmente nell'ambito
dell'intera comunità cristiana, in relazione al suo itinerario liturgico
(ibidem, n. 2).
Si deve pertanto considerare anomalo il fatto che questo
cammino si compia in una comunità creata a questo scopo, separata dal ritmo
ordinario dell'intera comunità parrocchia]e e ad essa legata per il solo tramite
della persona del parroco.
Necessità gravi di supplenza possono indurre a permettere la
creazione di tali comunità, purché esse appaiano sempre e chiaramente come parte
viva della comunità parrocchiale, e non in alternativa o in antagonismo a essa.
Spetterà quindi al Vescovo regolare esistenza, tempi e norme (cf Ordo, n. 20) di
queste comunità particolari, così che si mantenga il loro legame affettivo ed
effettivo, liturgico e dottrinale, con l'intera comunità parrocchiale e
diocesana.
[29] Fin dai tempi molto antichi la sequela di Gesù si è
espressa nella Chiesa con forme organizzate di vita tendenti ad aiutare alcuni
cristiani volonterosi a vivere in comune la perfezione della loro consacrazione
battesimale. Gli ideali e gli strumenti pratici di tali forme di vita sono stati
presto espressi in codici di "regole". Le più antiche e collaudate di queste
regole (come quelle di s. Basilio, di s. Agostino e di s. Benedetto) hanno in
seguito ispirato nuovi ordini religiosi e le congregazioni maschili e femminili
più recenti, fino alle forme di consacrazione che intendono esprimere la totale
dedizione della vita al Signore anche senza segni esteriori di separazione dalla
vita comune dei fedeli.
Tutte queste regole, costituzioni, precetti di vita e di
disciplina spirituale e comunitaria, costituiscono un tesoro a cui ispirarsi
nella redazione di cammini non solo per chi si sente chiamato alla vita
consacrata specificamente intesa, ma per ogni cristiano che tende alla
perfezione nell'ambito della propria chiamata. Infatti la perfezione evangelica
è una sola, e gli strumenti generali di santificazione dei monaci e dei
religiosi, a prescindere dalle vocazioni particolari e dalle esigenze di
determinati stati di vita o forme di servizio specifico, sono applicazioni alla
vita e al cammino del credente delle massime fondamentali del vangelo. Per
questo la vita monastica era anche chiamata "scuola del servizio del Signore"
poiché presentava itinerari validi per chi "davvero cercava Dio" ("Si revera
Deum quaerit", cf Regola di s. Benedetto, n. 58, 7).
Da queste esperienze sono poi nate le applicazioni dei
diversi stili spirituali promossi dai grandi fondatori a ogni vocazione laicale,
che si chiamano anche "terz'ordini". Tali regole hanno ispirato pure quelle
delle "confraternite".
[30] Ricavo di qui tre indicazioni.
La prima è che un autentico cammino cristiano ha bisogno di
una qualche "regola", di una disciplina dello spirito e del corpo. Ciascuno deve
elaborare per sé un certo orario di vita e di preghiera, quotidiano,
settimanale, mensile, e potrà utilmente scrivere per sé una piccola sintesi di
quei principi del cammino spirituale che più si adattano a lui. In particolare,
i gruppi adolescenti e giovani non dovranno affidarsi al caso nelle loro
iniziative di formazione, ma elaborare un "regolamento comune di vita", un
"progetto educativo di gruppo" che li aiuti nella perseveranza e smascheri le
facili illusioni della pigrizia. Tra il materiale che mi è stato inviato da
parrocchie, associazioni e gruppi, ho notato tentativi e abbozzi validi di tali
"regolamenti". Mi riferisco in particolare al "Cenacolo" (proposta di un periodo
di vita evangelica per giovani prima delle grandi scelte della vita, promosso
dall'AC).
[31] Seconda indicazione: è molto utile che ragazzi e giovani
siano messi in contatto con comunità di vita consacrata, particolarmente con le
comunità monastiche e claustrali. Da visite, conversazioni, soggiorni di
preghiera e corrispondenza nasceranno stimoli preziosi per il cammino di ogni
giorno. I giovani e le ragazze impareranno, non da un pulpito astratto ma dalla
vita, che la consacrazione a Dio comprende una dedicazione totale del corpo e
dello spirito, che questa dedicazione è molto esigente e però è fonte di
purissima gioia. Apprenderanno che "c'è una sola tristezza per l'uomo: quella di
non essere santo" (Léon Bloy).
Qualcosa di analogo mi sento di suggerire per quanto riguarda
il contatto di ragazzi, adolescenti e giovani con il Seminario diocesano
[32] La terza indicazione riguarda un tema trascurato, ma
importante: saper collegare le esperienze di vita comune consacrata (penso ad
esempio alle numerose comunità di religiose presenti nelle nostre parrocchie)
con quelle della vita comune nelle famiglie.
Vi sono, malgrado tante diversità, degli aspetti simili e
delle attenzioni necessarie per salvaguardare quella autentica comunità di vita
che è bene preziosissimo tanto per le famiglie quanto per le comunità religiose.
Sottolineo due condizioni per mantenere nella giusta temperie
quella "vita comune" che così facilmente degenera in convivenza fredda, formale,
attraversata da invisibili ma non innocui conflitti personali. E' necessaria una
duplice lotta quotidiana:
[33] - lotta contro ogni atteggiamento captativo ed
egoistico: la vita comune comporta la vittoria contro se stessi nel passaggio da
un atteggiamento captativo e calcolatore (che cosa me ne viene? cosa ricevo
dalla comunità?) a un atteggiamento oblativo (cosa posso donare?). In
particolare nella comunità familiare occorre lottare contro la pretesa di
conservare tutte le abitudini anteriori alla vita coniugale (a es., esigere di
essere serviti, voler riservare senza appello un tempo tutto per sé da dedicare
allo sport, alla televisione, ecc., l'essere gelosi in misura eccessiva delle
proprie cose, ecc.).
- lotta contro la deresponsabilizzazione: ciascuno nella
comunità deve sapersi considerare con gioia come responsabile (anche se non in
senso giuridico, ma per amore e con tutta umiltà) della comunità e di tutti gli
aspetti della vita comune (fino allo spegnere le luci, chiudere le finestre,
raccogliere la carta da terra...). Nella famiglia tale lotta suggerisce anche il
superamento di tradizionali suddivisioni di compiti che spesso nascondono
posizioni di comodo: a esempio, l'educazione dei figli alla moglie e il lavoro
al marito, ecc.
[34] Infine ricordo che nell'ambito della vita consacrata ha
grande importanza, per il cammino formativo, il noviziato. Esso costituisce un
periodo particolarmente intenso di iniziazione alla vita religiosa. In esso si
apprendono le regole di vita e di cammino, si viene istruiti sul modo di
pregare, si impara a sopportare la fatica, ad accettare le umiliazioni, a vivere
nel servizio disinteressato l'umiltà e la carità evangeliche.
[35] La forma del noviziato, assunta da alcuni gruppi
formativi (come, a esempio, gli Scout) nel loro programma, insegna che è utile
individuare specialmente nei periodi di passaggio (dalla fanciullezza
all'adolescenza, per i diciottenni, avvicinandosi al matrimonio), alcuni momenti
intensi di vita di preghiera e di raccoglimento, meglio se in gruppi omogenei,
per prepararsi alle prove e agli impegni del nuovo periodo di vita. Nel mondo
orientale vi è l'uso che un giovane, anche se si prepara al matrimonio,
trascorra un periodo di qualche mese nella disciplina di un monastero.
[36] Nella nostra diocesi sono da menzionare le riuscite
esperienze di momenti forti (e in particolare di giornate di ritiro e di
Esercizi spirituali) in preparazione alla professione di fede, per i diciottenni
e per i fidanzati. Si tratta di esperienze che devono diventare comuni se
vogliamo arrivare a costituire davvero nella pratica pastorale (e non solo in un
prontuario teorico) cammini educativi efficaci, specialmente in vista della
promozione di autentiche scelte vocazionali.
Non voglio concludere questo paragrafo destinato a mettere in
rilievo l'importanza esemplare delle regole religiose per la costituzione di
itinerari nella Chiesa, senza menzionare l'interessante scambio a cui ha dato
origine la preparazione di questa lettera tra i Religiosi della diocesi. Essi
hanno confrontato i loro carismi in vista dell'educazione della gioventù,
sottolineando gli elementi comuni che apportano come loro contributo educativo e
le differenziazioni di ciascuno. E' stata rilevata in particolare l'attenzione
alla presenza dei laici. Non posso esporre neppure in sintesi quanto essi hanno
elaborato ed espresso in una tavola sinottica. Rinvio al segretariato per i
Religiosi della diocesi quanti volessero ulteriori chiarimenti.
[37] La necessità di provvedere in maniera organica e
programmata alla formazione dei suoi ministri convinse la Chiesa del secolo XVI
a dotarsi di una istituzione stabile e ben programmata per la formazione del
clero: i Seminari. Tra di essi uno dei primi fu quello istituito da s. Carlo a
Milano.
I Seminari applicano all'educazione dei futuri preti quei
principi di rigore disciplinare e di studio che già erano stati sperimentati per
secoli nella formazione monastica. In essi vita di comunità, preghiera e studio
si congiungono in una sintesi che aiuta a formare l'operaio del vangelo "pronto
per ogni opera buona" (2 Tm 3, 16).
Questa preparazione rigorosa, prevista anzitutto per il
periodo di studi che portava immediatamente al sacerdozio, è stata estesa a
tutto il periodo degli studi almeno dopo il corso elementare, per dare la
possibilità a tutti coloro che lo volessero di disporsi al cammino più specifico
di formazione sacerdotale, e per cominciare a vagliare quelli che furono
chiamati i "germi di vocazione" anche nei ragazzi più giovani. E' infatti sempre
più evidente, soprattutto a partire dalle disposizioni di s. Pio X per la
comunione dei bambini, che il mistero di Dio e le sue esigenze di amore e di
donazione per l'uomo possono essere intuiti e coltivati fin dalla più tenera
età, e possono ricevere fin da allora un aiuto e un sostegno educativo che
permetta di far emergere le attitudini per il servizio sacerdotale.
Il Seminario, distinto nelle sue fasi e secondo le età in
Seminario maggiore (per gli studi filosofici e teologici in vista del
sacerdozio) e il Seminario minore (per i ragazzi dalle medie al liceo, in vista
di un primo discernimento vocazionale), è divenuto così quella istituzione
diocesana che, per il grande peso e il valore della sua tradizione educativa
oltre che per i suoi continui sforzi di aggiornamento formativo, richiama a
tutte le nostre comunità l'importanza di chiari progetti e itinerari di
educazione alla fede, e propone modelli formativi adeguati a ragazzi e giovani.
Il Seminario perciò ha una sua sperimentata proposta che non
esito a raccomandare anche a quelle famiglie e a quei sacerdoti che, pur avendo
individuato qualche promettente segno di chiamata al presbiterato nei loro
ragazzi, tendono a rimandare l'avvio del cammino seminaristico.
Al di là di sterili disquisizioni su quale sia l'età migliore
per chiarire le scelte vocazionali, urge compiere tempestive scelte di
affidamento a sani e stimolanti contesti comunitari di provata saggezza
educativa. Il Seminario è certamente uno dei contesti più validi e sicuri. Ho
potuto io stesso sperimentare, stando in mezzo ai seminaristi anche più giovani
e incontrando le loro famiglie, come il progetto educativo che il Seminario
realizza è improntato a spontaneità, sincerità, gioia, capacità di far crescere
le migliori energie del ragazzo. Anche nel ripensamento degli itinerari degli
oratori sarà utile tener conto di quanto l'esperienza educativa del Seminario ha
individuato per i ragazzi e per i giovani.
Il Seminario, col suo impegno di tenere alto
l'imprescindibile significato vocazionale di ogni esistenza, continua a farci
autorevole memoria di come si possano e si debbano coltivare i doni che Dio fa
alla sua Chiesa con le sue chiamate. Ogni itinerario educativo deve avere una
dimensione vocazionale, e la pastorale vocazionale è dovere di tutto il popolo
di Dio.
[38] Nel corso della sua storia, la Chiesa ha messo a punto e
per così dire collaudato (nel duplice senso di "sperimentato come validi" e
"lodato e incoraggiato") alcuni esercizi della vita cristiana che sono di grande
aiuto in diversi momenti dell'itinerario spirituale o lo accompagnano
costantemente dandogli vivacità e mordente. Ne ricordo tre: la lectio divina, la
direzione spirituale e gli Esercizi spirituali.
[39] Tra questi strumenti metto in primo luogo la lectio
divina. Ne ho già parlato tante volte in questi anni, in particolare nella
lettera I n principio, la Parola e ho avuto occasione di darne tanti esempi
pratici, specialmente nelle "Scuole della Parola"!
Mi limito ora a qualche sottolineatura.
La lectio divina, la lettura meditativa e orante della
Scrittura, in particolare dei vangeli, va fatta da ciascun cristiano che abbia
un minimo di cultura di base e intenda percorrere un cammino spirituale serio.
Il Vaticano II (Dei Verbum, VI, 25) la chiede a ogni chierico e religioso e la
auspica per ogni cristiano. Io non mi stancherò di ripetere che essa è uno dei
mezzi principali con cui Dio vuole salvare il nostro mondo occidentale dalla
rovina morale che incombe su di esso per l'indifferenza e per la paura di
credere. La lectio divina è l'antidoto che Dio propone in questi ultimi tempi
per favorire la crescita di quella interiorità senza la quale il cristianesimo
che non può fondarsi soltanto sulle tradizioni e sulle abitudini, rischia di non
superare la sfida del terzo millennio.
La lectio divina, maturata nella tradizione monastica e
rifondata nel nostro tempo sulla base di una sana e moderna esegesi biblica
(accessibile a tutti grazie ai numerosissimi sussidi anche di carattere
popolare) va fatta anzitutto sui testi biblici della liturgia e diviene così un
modo di attualizzare per la propria vita l'itinerario fondamentale dell'anno
liturgico.
Nessun cristiano, che abbia un minimo di cultura e che voglia
fare un serio cammino interiore, dica di non avere tempo. Si può non avere tempo
per leggere il giornale, per vedere la televisione, per sorseggiare un
aperitivo, per seguire le competizioni sportive: ma non si può non trovare il
tempo per alcuni minuti (all'inizio ne bastano dieci) di lectio divina la sera
prima di addormentarsi, la mattina prima di iniziare il lavoro, durante una
breve pausa a metà giornata. Se uno si assicura questi tre tempi e li collega
l'uno all'altro con il filo rosso della memoria orante del vangelo del giorno o
della domenica successiva, potrà anche essere superoccupato, ma non cederà a
nessuno questi momenti di necessario nutrimento dello spirito.
Si possono naturalmente fare delle eccezioni in questa
richiesta: per alcune persone, infatti, la recita del rosario con una breve
meditazione dei misteri, o un'adorazione eucaristica prolungata, o un
ringraziamento protratto dopo la Messa o qualcosa di simile, possono tenere il
posto della lectio divina, in quanto i misteri del rosario o la memoria dei
testi letti nella liturgia ne esprimono la sostanza. Ma ciò dimostra ancora una
volta che, in una forma o nell'altra, un buon cristiano è chiamato a servirsi di
questo mezzo fondamentale di crescita nella fede.
Dalla lectio divina della tradizione monastica (nella sua
semplicissima struttura di lectio-meditatio-contemplatio) sono nati i metodi più
elaborati di preghiera personale mentale, divenuti anch'essi tesori di tutta la
Chiesa. Essi esplicitano il triplice movimento fondamentale della lectio facendo
appello, a esempio, alle facoltà fondamentali dello spirito: la lectio rimanda
alla memoria, la meditatio alla intelligenza (che si interroga sul messaggio del
testo ascoltato, riflettendo sui personaggi, sulle circostanze, sul senso
dell'insieme e sul valore che esso ha oggi per noi) e la contemplatio rimanda
alla volontà (che si lascia riscaldare dalla Parola, prega, adora la Parola
incarnata, si offre, esprime le sue risoluzioni, ecc.). La via della preghiera è
affascinante e conduce per sentieri solitari ed esaltanti. Ciascuno, a partire
dalla lectio nella sua forma più semplice, imparerà a pregare e vi prenderà
gusto a misura della grazia dello Spirito e della sua costanza nel
corrispondervi.
[40] Una delle pratiche che fin dai primi tempi della vita
monastica espressero la forza educativa del cristianesimo fu quella di farsi
accompagnare nel proprio cammino spirituale da una persona sperimentata.
Tale pratica rimane ancora oggi preziosissima. In particolare
oserei dire che ben pochi adolescenti e giovani supereranno le prove della
crescita cristiana se non si faranno in qualche modo accompagnare da un uomo di
Dio, ordinariamente da un presbitero, che è stato formato, attraverso un lungo
tirocinio, per questo compito.
La direzione spirituale si può svolgere bene per molti anche
nel sacramento della penitenza. E' anzi uno dei motivi per cui occorre sostenere
la pratica della confessione frequente, soprattutto presso gli adolescenti e i
giovani. Sono davvero incalcolabili i benefici che provengono da questo
accompagnamento spirituale: una conoscenza oggettiva di sé, la capacità di
guardare in faccia alle proprie difficoltà, l'incoraggiamento nelle sconfitte,
la chiarezza e tranquillità nelle scelte decisive della vita.
Se da questa lettera pastorale seguissero almeno una maggiore
disponibilità dei preti per questo accompagnamento spirituale e un accrescimento
di stima pratica presso i giovani per questo strumento di cammino, sono certo
che parecchi problemi delle nostre comunità sui quali dissertiamo astrattamente
sarebbero risolti.
[41] Gli Esercizi sono un "tempo forte" dello spirito, nel
quale ci si dispone, in raccoglimento, in ascolto e meditazione della parola di
Dio, con una più intensa preghiera personale e/o comunitaria, a comprendere la
volontà del Signore sulla propria vita e ad accrescere la propria disponibilità
per il compimento generoso di ciò che Dio chiede.
Anche per gli Esercizi, come per la direzione spirituale e la
lectio divina, vale il principio che chi non prova non può capire. Chiedo a
tutti i giovani di impegnarsi per almeno tre giorni completi di Esercizi, o per
una settimana di Esercizi serali in parrocchia.
Non c'è mezzo migliore per acquistare in breve tempo una
conoscenza delle vie di Dio, la capacità di pregare e di leggere la Scrittura,
il gusto di riprovare a vivere con intensità e con gioia.
Gli Esercizi richiedono tempi di silenzio e si vivono molto
più fruttuosamente in un luogo ritirato, in una "Casa di Esercizi". Ma è
possibile trasferire nella vita corrente alcune proprietà di un tempo forte
dello Spirito, sia con le settimane di Esercizi serali in parrocchia (come si è
fatto qualche volta nel nostro Duomo) e in particolare nelle Missioni
parrocchiali. Quest'ultima realtà ha ormai una sua storia gloriosa,
particolarmente nella nostra diocesi ad opera dei Padri Oblati di Rho, che ne
studiano e ristudiano la metodologia per adattarla continuamente alle nuove
necessità. Ho avuto occasione di inaugurare o chiudere alcune di queste
missioni, e le ritengo un mezzo molto valido per il rifiorire della vita
cristiana, soprattutto se si sforzano di avvicinare in maniera autentica il più
gran numero di persone, comprese quelle che con difficoltà verrebbero alla
chiesa. Infatti la missione non è solo un episodio o un "momento forte", ma pure
un cammino atto a far recuperare alla parrocchia la coscienza del suo esistere
per la missione e farle assimilare quello stile missionario che caratterizza le
autentiche comunità cristiane (cf Partenza da Emmaus).
[42] Quanto si è detto in precedenza sugli itinerari
educativi fondamentali nella Chiesa va ora applicato a quegli "itinerari
parziali" che descrivono il cammino e le tappe progressive di maturazione di
singoli momenti della vita.
Mi propongo di considerare: A) alcune fasi importanti dello
sviluppo del bambino e del ragazzo; B) l'educazione permanente degli adulti; C)
alcune categorie particolari di persone per quanto riguarda la maturazione nella
fede; D) alcune mete parziali del cammino educativo.
Vale in particolare per questo capitolo e per il seguente
quanto ho detto nella Avvertenza tecnica (cf p. 9) sulla necessità di rinviare
parte del materiale ad alcune schede finali. Quanto dirò non è che uno stimolo a
pensare, a studiare, a consultarsi, a pregare per diventare educatori sul serio.
[43] E' utile distinguere diverse fasi di sviluppo? Non
intendo qui entrare nelle diverse opinioni e ipotesi degli esperti in scienze
dell'uomo. Parto da quella constatazione comune che vede o intravede nello
sviluppo, crescita e formazione della persona umana, una serie di periodi
indicati come fasi evolutive della personalità.
Esse non sono facili da distinguere adeguatamente e vari sono
i modi e i nomi con cui vengono designate. Sono innestate l'una nell'altra, o in
certi momenti anche sovrapposte, così da formare una successione di
stratificazioni interdipendenti e influenzabili a vicenda. Ogni fase precedente
non viene quindi sempre del tutto cancellata o superata dalla susseguente, ma
piuttosto conservata, rielaborata, trasformata, utilizzata nella sua positività
e negatività. E così ogni processo dello spirito umano si riflette lungo tutto
il ciclo vitale, testimoniandone l'unicità e la globalità.
Le fasi dello sviluppo umano sono comunemente catalogate e
distribuite in questo modo:
- la gestazione: dal concepimento alla nascita biologica;
- l'infanzia: l'età della persona che va dalla nascita
all'uso completo della parola;
- la fanciullezza: compresa tra il quinto/sesto anno e
l'undicesimo/dodicesimo anno;
- l'adolescenza: l'età che sta tra i dodici/quattordici anni
e i diciotto, che si suole ulteriormente distinguere in preadolescenza
corrispondente all'incirca all'età della scuola media inferiore, e adolescenza
corrispondente all'età della scuola superiore;
-la giovinezza: va dai diciotto ai ventiquattro/ventotto
anni;
-la maturità: oltre i venticinque anni.
Il passaggio da una fase all'altra appare determinato da
successive e specifiche nascite, o rinascite, non improvvise per lo più, ma
lente e graduali, capaci di creare una serie di modalità di rapporti del
soggetto con se stesso, con i propri genitori, con l'ambiente circostante e con
Dio. Per questo i catechismi CEI per le varie fasce di età cercano di adeguarsi
ai diversi momenti dello sviluppo per permettere quella conoscenza di Dio, e
dell'uomo alla luce di Dio, che corrisponde alle crescenti possibilità di
relazioni del ragazzo, dell'adolescente e del giovane.
Questi nuovi rapporti, se positivi, sono in grado di
aggiungere nuove dimensioni allo spirito umano e possono arricchirlo di quella
esperienza che lo aiuterà a vivere la sua vita in maniera ottimale e
costruttiva.
Provo a riassumere in una tavola sinottica questo lungo e
complesso processo evolutivo ed educativo della persona umana:
LE FASI | LE NASCITE | LE MODALITA' | IN RAPPORTO A DIO |
preconcezionale | esistenziale | desiderato | dono promesso |
gestazione | biologica | simbiosi | f iglio di Di o |
infanzia | psicologica | separazione-individuazione | figlio amato |
fanciullezza | razionale-affettiva | dipendenza-identificazione | figlio obbediente |
adolescenza | autonomia-individualità | indip. famil. dipend. di gruppo | figlio-fratello - chiamato per |
giovinezza | sociale | relazioni | consapevole-solidale |
maturità | responsabilità comunitaria | disponibilità | comunione e servizio |
A
ogni fase corrisponde dunque come una nuova nascita, che completa e arricchisce
la personalità e le sue dimensioni spirituali e fisiche.
Una visione globale del processo evolutivo potrà renderci
consapevoli che il mondo dell'educazione è una realtà estremamente ricca di
potenzialità tanto individuali quanto sociali. E' un grande mistero che esige un
sacro rispetto, merita un aiuto generoso, richiede il massimo dell'attenzione e
valorizzazione.
Non posso trattare di tutte le fasi evolutive della
personalità. Mi limito a indicarne due particolarmente importanti per lo
sviluppo religioso, cioè l'infanzia e l'adolescenza sottolineando in particolare
il ruolo della famiglia e le responsabilità degli educatori.
Parlerò dell'infanzia (cf Scheda n. 1, p. 3*) partendo dalla
descrizione che ne fa la Scrittura nel libro di Osea: "...gli ho insegnato a
camminare... l'ho tenuto tra le mie braccia... come uno che solleva il suo
bambino fino alla guancia..." (cf 11, lss.).
Questa descrizione mette in evidenza le esigenze specifiche
del momento dell'infanzia. Partendo dal testo biblico si rileva anzitutto
l'importanza di questa fase per lo sviluppo futuro del bambino (quante fughe di
adolescenti hanno qui le loro radici!) e si sottolineano le finalità educative
che occorre raggiungere. Ne derivano le modalità dell'agire educativo, in
particolare per quanto riguarda l'affettività: il bambino non sbaglia nella
percezione dell'affettività dei genitori! E si ricavano delle indicazioni per
l'educazione religiosa, senz'altro possibile fin da questa età, quando si metta
bene a fuoco la capacità percettiva del bambino. Le prime esperienze religiose
possono essere decisive per l'intera personalità.
[44] Per quanto riguarda l'adolescenza (cf Scheda n. 2, p.
9*) metto subito a fuoco la caratteristica di questo momento della vita che
chiamo la "voglia di definirsi", anche opponendosi. Di qui nasce il problema
delle "fughe" che spesso sono soltanto simboliche, eppure gravide di conseguenze
familiari e sociali.
Ci si chiede: perché tanti ragazzi sono spinti a fuggire? Un
sincero esame delle cause (con il coraggio di un'autocritica da parte di
genitori ed educatori) illumina sui modi di favorire il processo di
identificazione dell'adolescente senza costringerlo a distacchi traumatici,
reali o simbolici, da sé o dall'ambiente. Esamino a lungo questo tema perché
l'ho sentito esprimere tante volte negli incontri con genitori ed educatori.
Considero poi con particolare attenzione le "fughe" o gli allontanamenti dalla
Chiesa, cercandone le cause e quindi i rimedi. Do anche un esempio di possibile
itinerario di crescita per adolescenti che tenga conto di alcuni cammini
psicologici ed etici (cf Scheda n. 3, p. 15*;).
[45] Il convegno ecclesiale di Loreto fermò la sua [36]
preoccupata-attenzione sulla frattura tra fede e vita, cioè sullo scarto tra
credenza enunciata e vissuto concreto.
Nei documenti preparatori al convegno, tale dissociazione fu
osservata sotto il profilo della "soggettivizzazione della fede" o delle
"appartenenze parziali", ossia della diffusa propensione, anche tra credenti
praticanti, a selezionare soggettivamente e, alla fine, arbitrariamente, i
contenuti oggettivi della fede e della morale cristiana e, corrispondentemente,
a vivere un senso di appartenenza ecclesiale condizionata e con riserva. E' un
dato, questo, ampiamente documentato. Qualcuno ha proposto l'efficace immagine
della "religione dello scenario": la vita è rappresentata come un palcoscenico
sullo sfondo del quale sta un generico rimando alla trascendenza o anche al Dio
della rivelazione cristiana, ma dove gli attori ispirano poi i propri
comportamenti a tutt'altro copione.
Questa tendenziale schizofrenia insidia un po' tutti. Nei
giovani, forse, si manifesta in forme più eclatanti, e negli adulti spesso
assurge a patologia cronica, e quindi più inquietante. Anche perché i giovani,
più o meno consapevolmente, vanno alla ricerca di figure o modelli che la
comunità adulta fatica a produrre, proprio in quanto soffre della medesima
debolezza.
Sotto questo profilo, perciò, giovani e adulti, a dispetto
dei rapidi mutamenti generazionali, si assomigliano sempre di più. Non c'è da
stupirsene: l'alto tasso di soggettivismo e di sperimentalismo nella fede è
espressione di un più vasto processo di privatizzazione della coscienza
nell'Occidente sviluppato. Un processo a molte facce: si pensi alla distanza
obiettiva tra l'esperienza morale del soggetto e le forme della civiltà non più
permeate, come un tempo, da parametri di valore largamente condivisi (a questo
proposito, a Loreto, si parlò di deperimento delle evidenze etiche); si pensi
all'inclinazione a stabilire con le istituzioni civili (e per analogia anche con
quelle religiose) un rapporto meramente strumentale, di fatto disconoscendo che
esse possano incorporare un senso etico meritevole di personale dedizione; si
pensi, ancora, ai problemi della comunicazione pubblica che inonda di
informazioni e di opinioni un soggetto sempre più incapace di organizzarle entro
un coerente orizzonte veritativo suscettibile di essere confrontato e
partecipato ad altri.
Se queste sono le complesse radici dello iato tra fede e
vita, è facile concludere che non è sufficiente l'appello a un di più di buona
volontà da parte del singolo credente. Ci si dovrà interrogare, come comunità
cristiana, su come porre rimedio all'impressione di "astrattezza" che danno,
rispetto alla vita, la predicazione, la catechesi e la liturgia, non già
inseguendo affannosamente i moduli della modernità, ma--questo sì--facendosi
carico del compito di decifrare e misurare le ragioni obiettive di un disagio
epocale e lasciando erompere senza reticenze e senza complessi la forza sorgiva
del messaggio.
[46] Ogni itinerario di fede per gli adulti, perché abbia
fecondità, deve fondarsi su questo convincimento: "Gli adulti sono in senso più
pieno i destinatari del messaggio cristiano... Nel mondo contemporaneo,
pluralista e secolarizzato, la Chiesa può dare ragione della speranza in
proporzione alla maturità di fede degli adulti" (Rinnovamento della Catechesi,
n. 124).
Se in una comunità le migliori energie, il tempo a
disposizione, i sacerdoti, le suore, le strutture in genere... sono
esclusivamente destinati a servizio dei minori, non c'è spazio per una
formazione feconda degli adulti. Se qualcosa si tenta è spesa senza convinzione,
quindi senza fecondità.
Occorre il coraggio di ribaltare la gerarchia degli
investimenti delle energie pastorali. Non si tratta di non puntare sui minori,
ma di evangelizzare i piccoli e i grandi, facendo perno sui piccoli in vista dei
grandi, e sui grandi coinvolgendoli nell'edificazione di una comunità adulta, e
quindi anche capace di essere davvero a servizio dei piccoli. C'è da chiedersi
se le generose energie profuse per i minori non rischino di essere vanificate,
quando non siano orientate idealmente e praticamente verso una concreta comunità
di adulti che vive di fede.
Quando un sacerdote vive in prevalenza un rapporto di
familiarità e di amicizia con i giovani, ma raramente con gli adulti, ciò può
compromettere il lavoro di educazione alla fede adulta della comunità. "Dio nel
suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi" (Dei
Verbum, n. 2): lo stesso deve fare il prete non solo con i giovani, ma anche con
gli adulti.
Quando si pensa a strutture formative, spesso si trascurano
gli adulti della parrocchia. Così essi si volgono altrove, e la parrocchia non
dà più modelli di vita cristiana matura.
Distrarsi dagli adulti può far emergere una condizione
ecclesiale di grave fragilità: è illusorio pensare che il futuro risieda nei
giovani senza riferimento agli adulti.
Nella formazione degli adulti va richiamato quanto detto nel
cap. II sull'economia sacramentale e sull'anno liturgico. Le celebrazioni
sacramentali sono da ritenersi paradigmatiche nella formazione del credente
adulto.
Occorrerà comunque tenere presente una diffusa resistenza
psicologica e culturale: la presunzione degli adulti di non aver bisogno di
cammini formativi. Solitamente si circoscrive la formazione all'età della
crescita. Questo ostacolo è superabile con la consapevolezza che lo Spirito
santo opera con noi e opera nel cuore di ogni uomo, per formarlo alla pienezza
della maturità in Cristo (cf Ef 4, 13-16).
[47] a. Prospettiva esperienziale della fede
La fede non è una semplice filosofia, una semplice morale,
una dottrina soltanto, ma è una comunicazione dei santi Misteri.
La conoscenza è una premessa perché i contenuti della fede
siano vissuti, sperimentati, assimilati dal credente.
Ora l'età adulta è la stagione per eccellenza in cui dare
significati al vissuto, sperimentare lo spessore dell'esistenza e quindi per
attuare il rapporto tra la ricchezza della fede e l'esperienza storica,
culturale, familiare, professionale, civile.
In questa età occorre condurre a superare gli sconcertanti
dualismi tra fede e vita, per cui si ritiene che altro è credere, altro è
vivere. Questa mentalità rischia di collocare la fede come "ospite" ai margini
dell'esperienza cristiana e non come valore qualificante e identificante tutta
la realtà del credente.
La dimensione "esperienziale" della fede si esprime in una
mentalità per cui la valutazione delle molteplici realtà della vita diventa una
valutazione cristiana quasi per "connaturalità". Le valutazioni istintivamente
cristiane sono il frutto di una radicale identificazione interiore con il
contenuto della fede e, quindi, sono espressioni di una fede che investe tutta
l'esistenza e l'esperienza umana e storica del credente.
[48] b. Prospettiva sacramentale e comunionale
dell'esperienza ecclesiale
Non basta conoscere la Chiesa, sia pure nella sua struttura
misterica, trascendente. Occorre viverla nella propria esperienza, soprattutto
come comunione.
La comunicazione dei santi Misteri (Trinità, Incarnazione . .
. ) istituisce nuovi rapporti con Dio, quali esigono una comunione rinnovata tra
noi. E' necessaria un'autentica conversione nella comunione. Si è cristiani
adulti se si è in comunione con altri.
Nella società civile si può tentare di convivere
pacificamente pur professando convinzioni e opinioni diverse e talora opposte:
ciò che unisce è il bene comune, per raggiungere il quale ci si organizza. La
comunione ecclesiale unisce i credenti non solo in nome di un bene comune, ma in
ragione del sommo bene, che coinvolge totalmente la persona con motivi e
finalità che provengono dalla fede: Dio è Padre e noi siamo fratelli. Altri
legami si possono stabilire, ma non sono determinanti come quelli dettati dalla
fede.
Questa consapevolezza di fede non deve rimanere solo
interiore; nell'adulto credente deve essere aiutata a esprimersi. Emerge così la
comunione ecclesiale, fatta di fraternità, ma anche di strutture, di persone
concrete, di parrocchie, di programmi, di scadenze, di incontri. Questa
comunione di fede mette al riparo da ogni pericolo di privatizzazione o di
genericità; si attua come disponibilità di servizio alla Chiesa quale mistero di
Dio, corpo di Cristo, cioè in un amore alla Chiesa tale da impegnare il dono di
tutta la propria esistenza per essa.
[49] c. Prospettiva vocazionale-ministeriale
Nell'adulto la fede deve maturare come vocazione
ministeriale, come vocazione al servizio. Questo aspetto non è sempre evidente
nel vissuto comune. Da giovani si è inclini a intendere la propria vocazione
come realizzazione di se stessi, come raggiungimento di ciò che corrisponde ai
nostri pur nobili desideri, anche nell'ambito della Chiesa.
La vocazione del credente deve essere intesa come
collocazione nella realtà della Chiesa. Si tratta di capovolgere
l'interrogativo: non già "che cosa vorrei/mi sento di fare?", ma "che cosa,
Signore, vuoi da me?".
[50] d. Prospettiva storica
Il laico raggiunge la sua maturità cristiana nella capacità
di animare il mondo. Ma questa capacità si esprime non solo nelle cose che il
cristiano fa, bensì in una presenza consapevole e in un'ispirazione che deriva
dalla configurazione a Cristo: la trasformazione del mondo avviene prima di
tutto per ciò che il cristiano è.
E' l'identità cristiana che garantisce incidenza: essa è
basata sulla potenza di Dio. Occorrerà quindi assumere quegli atteggiamenti che
per loro natura comunicano la potenza divina: i compromessi o le paure sono
indice di fragilità dell'identità cristiana.
L'identità cristiana capace di mettere in atto la potenza di
Dio, si esprime nella capacità di testimoniare fedelmente il "primato della
carità". Questo vuol dire aver raggiunto un atteggiamento interiore di fede per
cui anche la sconfitta subita per amore diviene servizio, che si può e si deve
rendere per l'animazione del mondo. La maturità cristiana esige l'esperienza
della croce; il primato della carità - vertice del credente adulto -è
indivisibile dalla esperienza del Crocifisso.
[51] Sarebbe importante poter parlare analiticamente di
diverse categorie di persone che hanno bisogno di particolare attenzione e di
specifici cammini educativi. Ma non mancano i sussidi e le pubblicazioni
specializzate. Gli uffici di Curia sono a disposizione per indicare esperti e
fornire sussidi.
Mi limiterò dunque ad alcune riflessioni e indicazioni che
riguardano la vita di famiglia. Infatti l'Esortazione Apostolica Familiaris
Consortio, di cui raccomando la lettura e rilettura, sottolinea l'importanza di
un'attenta pastorale familiare.
Non vorrei infine trascurare del tutto un'altra categoria di
persone bisognose di cammini particolari. Si tratta di coloro che, pur avendo
raggiunto una certa età, non hanno fatto o hanno lasciato dietro le spalle i
cammini educativi propri degli adolescenti e dei giovani. Alcuni di essi non
hanno avuto neppure la prima iniziazione cristiana, o l'hanno avuta in maniera
del tutto insufficiente. Occorre pensare anche a loro, perché non di rado si
avvicinano e chiedono di essere aiutati a camminare verso una ripresa
dell'adesione e della vita di fede. Si tratta o di non credenti, o di persone
indifferenti, o di tiepidi e mal credenti, che tuttavia sentono il desiderio di
essere aiutati. Il parlarne almeno brevemente sarà uno svegliarino per tutti i
cristiani praticanti e in particolare per i presbiteri, affinché si preoccupino
di queste persone "della soglia", che spesso sono disposte a camminare e
addirittura a correre per la via di Dio.
Veniamo dunque ai cammini educativi per la formazione alla
vita di famiglia.
[52] A livello diocesano, molto è stato fatto e sperimentato
negli anni scorsi, grazie sia all'iniziativa di varie persone, gruppi,
associazioni, movimenti, decanati, parrocchie, sia al saggio coordinamento e
all'intelligente opera degli addetti e dei collaboratori del nostro Ufficio. In
particolare ricordo che, quasi come sintesi ragionata di tutto questo lavoro e
delle prospettive che esso ha dischiuso, esiste una proposta formativa che fu
presentata durante il convegno catechistico di Busto Arsizio (cf Atti del
Convegno, pp. 210-225) Essa, in modo ampio e articolato, prende in
considerazione sia la fase precedente alla celebrazione del matrimonio, sia
quella a essa successiva, nei loro diversi momenti e nelle loro ulteriori
suddivisioni.
Tale proposta, alla quale rimando, è ricca di suggerimenti
che possono certo aiutare per la preparazione di itinerari. Presupponendo tali
dati, ho ritenuto opportuno chiedere ulteriori suggerimenti e indicazioni a
varie realtà impegnate nella pastorale familiare. Alla luce di questo materiale,
propongo alcune delle riflessioni che mi sembra più utile offrire a tutti e che
mettono in risalto alcune urgenze cui fare attenzione nei prossimi anni.
[53] a Il tempo del fidanzamento
I documenti della Chiesa--in particolare la Familiaris
Consortio (1981) e, tra gli interventi della CEI, Matrimonio e famiglia oggi in
Italia (1969) ed Evangelizzazione e sacramento del matrimonio (1978)--parlano a
più riprese di una preparazione remota, prossima e immediata al matrimonio.
Per quest'ultima ormai tutte le parrocchie e i decanati
propongono le loro iniziative attraverso una serie di incontri. Sarà necessario
riflettere, a partire dall'esperienza, su quanto si è attuato finora a questo
proposito, per vedere come migliorare la preparazione che ora si offre a tutte
le coppie. Affido perciò all'Ufficio per la pastorale familiare di avviare da
quest'anno una tale riflessione. Nella Scheda n. 4 (p. 19;) richiamo alcuni
principi per la pastorale di questa fase della vita.
[54] b. Accompagnamento delle coppie di sposi
Anche qui non mancano esperienze significative per le quali
si rende sempre più utile un serio ripensamento e un intelligente rilancio. Esse
sono per lo più legate a tematiche strettamente connesse con la realtà concreta
e con i bisogni immediati in ordine allo sviluppo della vita matrimoniale
(problemi di coppia; tematiche edueative; momenti eeclesiali particolari come il
cammino di iniziazione cristiana dei figli, ecc.). Altre forme di
accompagnamento sono invece quelle che assumono la figura più specifica di vero
e proprio gruppo di spiritualità familiare Al riguardo, nella nostra diocesi,
esiste una buona tradizione, alimentata sia da singole parrocchie o dall'AC, sia
da gruppi e movimenti appositi e specializzati; le coppie che lo desiderano
possono utilmente prendere contatto con queste diverse proposte. Vi sono anche
delle iniziative che con attenzione più specifica alla psicologia della coppia
sviluppano, con appositi esercizi, la capacità di dialogo dei partners per una
migliore comunicazione tra di loro.
Da parte di tutti coloro che mi hanno scritto si sottolinea
comunque l'importanza di questo accompagnamento delle coppie, ma non sempre
emergono modelli significativi facilmente accessibili a tutti e a tutti
proponibili.
Sono però rintracciabili alcuni suggerimenti di fondo, che
intendo rilanciare alla comune riflessione: aiutare le coppie a vivere il loro
specifico momento di grazia (che appunto varia a seconda delle situazioni e,
perciò, chiede che si abbiano a individuare cammini e itinerari diversificati e
specifici); aiutare a un dialogo più vero nella coppia stessa e a una
comunicazione arricchente tra le coppie; proporre l'approfondimento di alcune
tematiche specifiche in ordine alla vita di coppia, alla missione educativa,
all'apertura missionaria al mondo e alla Chiesa. Suggerimenti ulteriori capaci
di arricchire queste proposte possono venire da una lettura attenta, che chiedo
ai vari operatori pastorali, della Nota della Consulta Regionale Lombarda per la
pastorale della famiglia su La pastorale della Chiesa e le giovani coppie, del
1987.
[55] c. Quali sottolineature per la diocesi?
Da quanto richiamato fin qui emerge l'importanza delle
seguenti linee pratiche di azione per questo anno e per gli anni successivi:
- per quanto riguarda la preparazione al matrimonio è
importante una più puntuale collaborazione e integrazione con i vari operatori
della pastorale dei ragazzi e dei giovani, come pure è opportuno iniziare tale
preparazione con molto anticipo sulla data delle nozze, non appena si formano
coppie con qualche decisione di stabilità. In particolare, è da prevedere e
studiare un collegamento con la catechesi parrocchiale.
- E' urgente che l'intera comunità parrocchiale sia
responsabilizzata e realmente coinvolta, seppure con diverse modalità e forme di
impegno, nella preparazione e nell'accompagnamento delle famiglie, così che, tra
l'altro, sia manifestata sempre più e sempre meglio l'essenziale dimensione
comunitaria della pastorale familiare.
- E' necessario ipotizzare molteplici e diversificati
itinerari sia per i fidanzati sia per le coppie di sposi. E' un compito che
affido all'Ufficio diocesano per la famiglia, in collegamento e collaborazione
con tutte le forze lodevolmente operanti nel settore, per la precisazione
concreta delle proposte e la preparazione di eventuali sussidi.
- Sono da programmare - in un adeguato piano complessivo che
si coordini con analoghe iniziative di altri settori pastorali - corsi di
formazione per operatori della pastorale familiare.
- Richiamo la necessità di sperimentare "scuole per i
genitori", in particolare da parte dell'Azione Cattolica (cf il mio discorso
tenuto in Duomo alle famiglie il 23 gennaio 1988).
- C'è bisogno di realizzare una più precisa attenzione alle
famiglie disunite o ;n difficoltà, sia con la individuazione di adeguate
iniziative pastorali, sia con una rinnovata e intelligente valorizzazione, anche
da questo punto di vista, dei Consultori di ispirazione cristiana, il cui
dislocamento territoriale merita di essere attentamente considerato.
[56] Quel padrone "che uscì all'alba per prendere a giornata
lavoratori per la sua vigna" (Mt 20, 1) si accordò sul dovuto e diede certamente
anche istruzioni per un lavoro ben programmato. Ma non si accontentò di questo:
per ben tre volte nello stesso giorno ritornò in piazza, convinse altri a
mettersi al lavoro e si sforzò di inserirli nel programma già avviato. Noi
facciamo talvolta fatica a imitarlo: è pesante ricominciare sempre da capo!
Eppure ciò è frequente nel cammino educativo cristiano. Infatti non sono,
purtroppo, la maggioranza coloro che, avendo iniziato il loro itinerario
battesimale, lo percorrono con precisione e correttezza fino al traguardo.
Quanto spesso il cammino cristiano sembra spezzarsi o
perdersi nella sabbia, o subire ritardi estenuanti, rallentamenti, ritorni
indietro! Con tante persone adulte bisogna riprendere, e più di una volta, il
filo di un discorso interrotto da anni o quasi del tutto dimenticato. Per questo
una riflessione sugli itinerari educativi sarebbe incompleta se non menzionasse
queste situazioni, che sono tra le più frequenti. Esse non hanno però una regola
diversa da quelle indicate fin qui: riprendere il cammino interrotto, riannodare
i fili spezzati è un'operazione di amore e di rigenerazione spirituale, che fa
parte dell'amore educativo di Colui che incessantemente educa il suo popolo e
riprende senza posa i discorsi o le proposte del passato: "Il Signore avrà
ancora pietà di Giacobbe e si sceglierà ancora Israele e li ristabilirà nel loro
paese" (Is 14, 1).
V'è anche il caso di chi comincia quasi da zero, perché, per
esempio, non ha ancora ricevuto il battesimo, o non ha avuto dopo di esso alcun
contatto serio con la comunità cristiana. Di essi ho già parlato nel cap. II, A,
5 a proposito dell'iniziazione cristiana.
Ciascuno di noi pregherà insistentemente, anzitutto per se
stesso, perché siamo peccatori e spesso non lo vediamo, e poi per tutti coloro
che nascondono il loro bisogno di senso nella vita dietro dichiarazioni di
possesso non sincere.
[57] L'educazione cristiana tende a formare una personalità
matura nella fede. Tale maturità (che comprende l'inserimento nell'ambiente
comunitario e l'assunzione delle proprie responsabilità sociali e politiche),
viene raggiunta gradualmente lungo itinerari di crescita che sono stati in parte
descritti nelle sezioni precedenti. Si è detto che a ogni fase dello sviluppo
corrisponde come una nuova "nascita" o "rinascita", che comporta una serie di
modalità di rapporti in parte nuovi del soggetto con se stesso, con gli altri,
con l'ambiente circostante e con Dio.
Ma, oltre alle mete proprie delle singole fasi, si possono
stabilire o postulare delle mete settoriali (cf cap. I, 4): non sono il tutto
del cammino, ma ne fanno parte integrante, e la loro accentuazione può essere
più necessaria nell'uno o nell'altro momento di esso. Queste mete settoriali
sono molte, e si potrebbero quasi moltiplicare a piacere, in quanto spesso si
includono e si richiamano a vicenda. Sono espresse genericamente con la formula
"educare a" (al senso di responsabilità, alla veracità, allo spirito di
sacrificio e di rinuncia, alla lealtà nel gioco, ecc.).
Per tutte queste persone si richiedono cammini ritagliati un
po' su misura, e dobbiamo riconoscere che poche comunità sono attrezzate oggi a
offrirli. Spesso vi supplisce la buona volontà del presbitero che, con l'aiuto
di sussidi catechetici per adulti, fa percorrere un cammino accelerato per
metterli in grado di entrare nel ritmo ordinario della parrocchia. Vorrei però
ricordare che esistono in diocesi, particolarmente a Milano, nell'ambito di
gruppi formali o anche informali, esperienze molto interessanti per aiutare
persone che solo più tardi nella vita si decidono a un serio cammino di fede.
Sarebbe anzi auspicabile che, a seguito di questa lettera pastorale, sorgesse
come un piccolo "centro di smistamento" per fornire informazioni e sussidi a chi
chiede itinerari di fede non previsti nell'ordinario cammino parrocchiale.
Qualche pastore mi dirà infine che anche la buona volontà del
padrone della parabola non è riuscita a condurre nella vigna a lavorare quelli
che ha trovato del tutto assenti, pigri e svogliati. Come scuotere la massa
degli indifferenti, quelli che dicono: "Io sono a posto, mi basta la partita
alla domenica", oppure: "Non ho tempo per problemi spirituali, ne ho già
abbastanza con le grane di casa e di lavoro", ecc.? Confesso che di fronte al
problema dei sani che non hanno bisogno del medico (cf Mc 2, 17), anche Gesù si
è sentito stringere il cuore. Perché sapeva che l'uomo mente quando dice di
avere tutto su questa terra. "Tu dici: sono ricco, mi sono arricchito; non ho
bisogno di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero,
cieco e nudo" (Ap 3, 17).
Ognuno comprende come queste mete non sono in fondo che
variazioni del grande tema delle virtù teologali e morali, che abbiamo definito
sopra (cf cap. II, A, 3) come il quadro comportamentale che accompagna tutta la
vita cristiana. Dunque in ogni singola tappa educativa è possibile mettere in
rilievo molti di questi "educare a", a seconda dell'urgenza del momento o
dell'ambiente e delle manchevolezze culturali dell'epoca (a esempio, il tema
dello "educare al rispetto e alla contemplazione della natura" emergerà più
facilmente in una civiltà urbana che in quella contadina, ecc.).
Il lettore comprenderà dunque che non posso qui trattare
neppure delle più significative mete settoriali. Qualcuno mi aveva suggerito di
inserire alcuni dei più rilevanti "educare a" al termine della descrizione di
ogni itinerario di età: così ad esempio "educare alla castità, sessualità,
amore" al termine dell'itinerario per adolescenti; "educare all'apertura
vocazionale" a proposito dei diciottenni; "educare all'impegno socio-politico" a
proposito dei giovani, ecc.
Ci ho riflettuto, ma mi è parso che ne sarebbe nata una certa
rigidità. Ho preferito dunque elencare qui, alla buona, alcuni "educare a",
quasi a modo di esempio, partendo da sollecitazioni ricevute e dalla coscienza
di certe urgenze del nostro tempo. Ogni agenzia educativa vedrà quali
sottolineature è opportuno inserire nel proprio progetto. Chi osserva bene
infatti vedrà che la descrizione dei cammini per le singole età (in questo
stesso capitolo) e per i diversi ambienti (cf cap. IV) già contengono molti
riferimenti a questi "educare a".
Esaminerò di seguito l'"educare a": farsi prossimo;
castità-sessualità-amore; impegno socio-politico.
[58] Parlo evidentemente non dell'educazione alla "carità
teologale" intesa nella sua completezza, che è il fine di ogni educazione, ma
dell'educazione alla sensibilità ai bisogni altrui, cioè del "farsi prossimo"
nella gratuità. Potrebbe essere superfluo parlare a parte di questa finalità,
perché attraversa tutti gli itinerari educativi. Ma sembra opportuno
sottolineare come nell'incontro programmato tra itinerari educativi ed
esperienze di carità si attui una particolare incisività dell'agire educativo,
che si manifesta in modo speciale nella sua capacità ad aprire a scelte
vocazionali autentiche.
Diciamo dunque anzitutto che esistono tre luoghi fondamentali
per delle esperienze di carità: 1. I luoghi dove una persona cerca la risposta a
suoi bisogni gravi (ospedale, istituto, comunità terapeutica, ecc.); 2. I luoghi
dove una persona vive ordinariamente, portando con sé bisogni, solitudini,
difficoltà (territorio, caseggiato, ecc.); 3. Gli ambienti dove opera
quotidianamente chi ha scelto di rispondere ai bisogni altrui (famiglia, scelte
professionali, ecc.).
Riferendoci ora a tre momenti particolari del processo
evolutivo (adolescenza, giovinezza, età adulta) potremmo descrivere alcuni
esercizi preferenziali di carità e di volontariato da proporsi in relazione ai
luoghi precedentemente indicati, in quanto particolarmente atti a favorire la
crescita nel "farsi prossimo" .
[59] a) L'adolescenza, età in cui il ragazzo cerca di
definirsi, anche differenziandosi e opponendosi, suggerisce esercizi di
prossimità che facciano "uscire dalla propria terra" mediante visite ad alcuni
luoghi della marginalità del primo tipo: ospedali, case albergo, case di riposo,
strutture protette, comunità alloggio, centri di riabilitazione, comunità di
accoglienza, ecc.
[60] b) La giovinezza, tempo dell'educazione a scelte
responsabili, sembra richiedere esercizi di prossimità che invitino a "tornare
alla propria terra/territorio" costruendo relazioni/gruppi/interventi di
partecipazione dentro le povertà dei propri ambienti. Si suggeriscono pertanto
varie forme di assistenza domiciliare nell'ambito della parrocchia o del
decanato a persone sole, a famiglie con problemi, a portatori di handicap, ad
ammalati mentali, all'anziano poco o quasi nulla autosufficiente, al malato
cronico, al malato terminale. Le modalità possono essere differenti: gesti di
solidarietà a breve termine, adesione a gruppi di volontariato, di privato
sociale, di partecipazione per i diritti dei cittadini, per la prevenzione del
disagio, ecc.
[61] c) L'età matura è più propriamente il tempo del
"prendersi cura stabile", con risposte di carità dentro la propria vita
professionale, familiare, nel tempo libero, nell'impegno socio-politico. Gli
spazi concreti di alcune risposte più coraggiose possono essere l'affido
familiare, l'affido assistenziale, l'affido terapeutico, quello preadottivo,
l'adozione propriamente detta; e più in generale la realizzazione del modello di
"famiglia aperta", di "famiglia di sostegno", la responsabilità di gruppi per
diversi bisogni gravi (alcoolisti, tossicodipendenti, ecc.), la responsabilità
di gruppi di prevenzione e animazione territoriale o di gruppi di promozione
sociale (terzo mondo, handicappati, malati, ecc.) o di gruppi di tutela
(sociale, giuridica, ecc.).
Da questi esercizi del "farsi prossimo" possono anche nascere
vocazioni più specifiche, con scelte professionali di tipo vocazionale nei
servizi ai bisogni della gente, con scelte politiche, scelte lavorative in cui
si rinuncia a un maggior profitto per un più autentico servizio alle persone e
ai gruppi.
Appare anche qui come il "farsi prossimo" permette di
ricomprendere, ristrutturare, ridefinire antropologicamente l'esistenza, e
semina nella comunità la capacità di "ripartire dagli ultimi" per costruire una
vita dignitosa per tutti.
In ogni caso è importante sentire che questi esercizi del
"farsi prossimo" cambiano anche la mia vita, e che gli ultimi definiscono e
condeterminano il mio quotidiano modo di vivere e di convivere.
Questi itinerari sfociano uno nell'altro e non hanno sempre
confini ben precisi. Ma ci possono essere momenti forti di passaggio che si
possono considerare come "momenti sabbatici" dell'itinerario del "farsi
prossimo" e che possono essere decisivi per l'orientamento futuro di una
persona, perché le possono far compiere un salto di qualità. Sono l'anno di
volontariato sociale per le ragazze, l'obiezione di coscienza con servizio
civile per i giovani, le diverse forme di volontariato internazionale, l'anno
sabbatico AIDS in studio presso la Caritas, un progetto questo che vorrebbe
garantire l'accoglienza in appartamento ad alcuni malati di AIDS non bisognosi
di cure ospedaliere e privi di ogni altra possibilità,
assicurando loro così un'esistenza il più possibile serena e coinvolta in
servizi utili ad altri.
[62] L'educazione a un ragionevole dominio delle proprie
pulsioni sessuali, cioè alla castità e in definitiva a saper amare correttamente
non è un momento separato del processo educativo, né è l'appannaggio esclusivo
di alcuni tempi della crescita, per esempio dell'adolescenza. In qualche modo
l'attenzione alla sessualità comincia ancor prima della nascita (vedi i genitori
che tendono a differenziare tutto ciò che riguarderà il nascituro a seconda che
sarà maschio o femmina). Fin dalla nascita poi è importante assumere verso il
bambino atteggiamenti che gli permettano di percepire in modo corretto il
proprio sesso e la propria corporeità.
L'educazione alla sessualità è dunque momento integrante di
tutto il processo educativo, e gli itinerari proposti per le singole età (in
questo capitolo) e per i diversi ambienti (nel capitolo successivo) comprendono
già molti suggerimenti utili a questo scopo.
Perché dunque ritengo opportuno dedicare a questo tema una
trattazione particolare?
Anzitutto perché la castità cristiana non è oggi un dato
evidente. La morale corrente ritiene che ci vuole comunque un certo controllo
sui propri sensi e sulle pulsioni istintive, ma che non c'è bisogno di puntare
molto alto.
Per contro si è poi assai esigenti sulle gratificazioni
affettive che si attendono dagli altri, ed è diffusa la lamentela che l'"altro"
è fragile, incostante, egoista, incapace a uscire da sé, ecc. Molte delusioni di
adolescenti e giovani, ragazzi e ragazze, riguardo alla vita, sono di fatto
delusioni di tipo affettivo, e hanno spesso la loro radice in una carente
disciplina della sessualità.
Infine il passaggio dall'adolescenza all'età adulta non ha
luogo quando uno diviene maturo intellettualmente, ma quando ha imparato a
sviluppare un amore altruistico e disinteressato. Quando un giovane e una
ragazza sono capaci di dimenticarsi di sé per il bene degli altri, allora sono
un uomo e una donna. Prima di ciò sono psicologicamente ancora adolescenti o
addirittura bambini. Ora tale passaggio non avviene automaticamente, né a caso.
Esso deve essere assunto esplicitamente come frutto di un'educazione ad amare,
di cui la capacità di dominare i propri desideri e le proprie pulsioni sessuali
è un momento fondamentale.
Dirò dunque brevemente qualcosa sulla sessualità, sulla
castità, in particolare sulla castità giovanile, con alcune indicazioni per gli
adolescenti e gli educatori.
Infatti la castità assume significato e sfumature diverse a
seconda della situazione di vita. C'è un modo di vivere la castità che è proprio
del matrimonio, un altro di chi è in stato di vedovanza, un altro di chi si è
trovato per diverse circostanze indipendenti dalla sua volontà in situazione
celibataria, un altro ancora di chi ha risposto a una vocazione di verginità
consacrata in termini definitivi e per il regno dei cieli.
C'è in particolare il modo di vivere la castità nel tempo
dell'adolescenza e della giovinezza. Si può affermare che, globalmente, qui si
pongono le basi ideali per il futuro e si crea una consistenza che si ritroverà
in tutte le fasi e le esperienze successive.
1. Nell'evoluzione della persona la comparsa della sessualità
(intesa in senso ampio come pulsioni istintive, fantasie, emozioni, sentimenti,
attrazioni, ecc. riguardanti la sfera sessuale propria, del mondo e delle
persone circostanti) è un elemento fortemente integratore delle varie parti
della personalità, che conferisce all'individuo nel suo diventare adulto un
nuovo senso di sé, un nuovo statuto e una più precisa identità.
Perciò la sessualità umana contribuisce allo sviluppo
personale verso la maturità, stimolando in definitiva l'interesse e l'apertura
verso l'altro sesso. In questo senso essa è una manifestazione concreta della
chiamata divina alla pienezza della comunicazione. Nell'ambito della
realizzazione di sé, la sessualità umana appare come una funzione di relazione e
una forza di alterità e di reciprocità. Fa dunque parte del dinamismo che
permette alla persona di realizzare la sua vocazione: essere per gli altri.
La capacità di vivere la propria sessualità in maniera
corretta, cioè secondo una misura ragionevole che la incanali nell'ambito del
dono di sé e non la lasci debordare, come forza cieca e selvaggia, nell'ambito
dell'arbitrarietà e della libidine, non nasce a caso, né tanto meno come
conseguenza di piccole o grandi deviazioni ed errori commessi a partire
dall'adolescenza, quando cioè le pulsioni sessuali cominciano a farsi sentire.
Essa deve essere educata coscientemente e coraggiosamente. Gli sbagli in questo
campo non tendono ad autocorreggersi, come avviene in altri settori
dell'attività umana, ma piuttosto si sommano rapidamente e tendono a "fissarsi",
con l'aiuto di pseudolegittimazioni, fino a diventare talora forme di schiavitù.
E' importante dunque impostare bene fin dalla infanzia, e poi
soprattutto dall'adolescenza, una formazione della personalità che tenda
all'armonica integrazione della sessualità nel progetto globale di vita.
Imparare ad amare non significa iniziarsi alle tecniche dell'atto sessuale, né
alla ricerca del piacere separato dalla comunione interpersonale e dalla sua
apertura al dono della vita. Imparare ad amare vuol dire diventare una persona
adulta capace di amore altruistico. Momento necessario di questo processo è
l'educazione alla castità, cioè al dominio secondo ragione delle pulsioni
sessuali, in vista dell'amore altruistico.
[63] 2. Il tema della castità giovanile può essere letto
secondo tre prospettive: a. il dominio di sé e la rinuncia allo spirito di
possesso; b. la disponibilità alla voce di Dio; c. la vigilanza e l'attesa del
Signore che viene.
a. La radice della parola castità ricorda l'austerità e il
dominio di sé (castigare = tenere a freno, educare). Essa insegna
l'autodisciplina del cuore, come quella degli occhi, del parlare, di tutti i
sensi. Questo autocontrollo non è solo qualcosa di negativo. Si tratta di
un'autentica signoria su di sé, che è insieme riconoscimento della signoria di
Gesù sul nostro corpo e su tutta la nostra vita: "Il corpo non è per la
fornicazione, ma per il Signore, e il Signore è per il corpo:... non sapete che
i vostri corpi sono membra di Cristo? " (1 Cor 6,13.15).
Di conseguenza la castità è educazione e allenamento a
superare ogni mentalità di tipo proprietario e padronale nei confronti della
propria e dell'altrui persona. Si oppone frontalmente a quella mentalità
utilitaristica e narcisistica che tende a usare e ad abusare di ogni cosa quasi
fossimo arbitri supremi di noi stessi, del nostro corpo e delle nostre pulsioni,
come pure delle persone e del mondo circostante. La si può considerare come una
forma esigente e quotidiana di "povertà" evangelica. Di fatto questa disciplina
si estende anche al cibo e alle cose voluttuarie che caratterizzano la nostra
civiltà consumistica, e comporta anche un uso moderato e intelligente della
televisione.
[64] b. L'impegno a vivere la castità crea condizioni
ottimali per una trasparenza interiore che ci fa capaci di cogliere, al di là di
ogni ottusità e pesantezza, l'autentica voce di Dio e le indicazioni dello
Spirito. Per questo è quasi impossibile che nasca una vocazione evangelica là
dove non c'è un sincero sforzo di castità. Il giovane casto diviene obbediente a
ogni più pura ispirazione, e capace di dire sì al Signore superando la propria
fragilità e inerzia. Lo sanno bene quei genitori che, vedendo profilarsi
all'orizzonte la prospettiva di una chiamata del Signore, divengono, magari
inconsciamente, concessivi e permissivi verso i propri figli, intuendo che la
mollezza della vita offusca ogni pensiero vocazionale. Quale responsabilità per
coloro che si fanno complici sottili del nemico di Dio! Al contrario "i puri di
cuore vedranno Dio" (Mt 5, 8). La purezza di cuore di cui parla il vangelo è più
ampia della castità, ma la comprende e ei permette di trovare la causa remota di
non pochi offuscamenti anche nel campo della fede.
[65] c. La castità nutre la vigilanza del cuore, cioè
l'attesa del Signore che viene non solo nell'ultimo giorno, ma già adesso, per
riempire ogni momento della mia vita e per aprirmi al dono di me per gli altri.
Chi non depone l'impegno e lo sforzo costante per la castità, gusterà le gioie
profonde della preghiera e delle visite del Signore. Quando invece la volontà si
lascia infiacchire e i rapporti amicali non sono casti, ei si sente cristiani
generici, banali, la preghiera pesa, la vita è noiosa e bisognosa di continue
eccitazioni, e le folgorazioni del Signore (come per Samuele nella notte o per
Paolo sulla via di Damasco) non sono per noi.
[66] 3. Formazione alla castità. Intendiamo dunque la castità
come una virtù del discepolo di Cristo, che si fida della sua parola ed è certo
che questa parola, anche se propone delle rinunce, educa alla più autentica
maturità.
Ora un adolescente è un discepolo in formazione: crescendo
nella fede avverte l'esigenza di maturare in un amore casto. Questo modo nuovo e
controcorrente di vivere la sessualità, un modo "cristiano", non Si presenta
prima di tutto come un sacrificio, inteso come muti]azione e rinuncia alle
possibilità umane, ma è offerta e dedizione di sé nell'amore, cioè un modo di
appartenere sempre di più a Cristo e dunque ai fratelli (cf Rm 12, 1).
La grazia, assecondata nelle sue esigenze umanizzanti e
lasciata apparire in tutta la persona, genera questo modo originale di vivere la
comunicazione affettiva e sessuale secondo il vangelo, e secondo la "sapienza"
(= arte di vivere), che accetta di misurarsi sulla promessa di Dio.
La castità è dunque uno dei volti di quell'unico dono della
fede che, se autentico, in ogni stagione della vita sa suscitare personalità,
stili, modi di amare e di dedicarsi autentici, alternativi alle opinioni egemoni
e disumanizzanti.
La castità, così intesa, non mortifica né penalizza la
sessualità, ma offre un servizio necessario a sostegno della piena maturazione
dell'uomo e del cristiano. Superata la visione riduttiva di essa-- intesa cioè
come inibizione, paura, sensi di colpa, repressione di un linguaggio,
frustrazione di potenzialità--questa virtù cristiana irraggia nel discepolo
svelando la ricchezza dei suoi frutti.
Essi sono l'esperienza unificante della vita, la libertà dai
falsi assoluti, l'apertura nei confronti della verità, la disponibilità al
servizio e alla dedizione, la profondità nel vivere le grandi esperienze
dell'esistenza non banalizzandole, la forza di annuncio e di testimonianza dei
grandi valori.
E' stato questo il modo di comunicare e di amare di Gesù,
prolungato nei suoi discepoli (cf Rm 5, 5). La necessità dunque di mettere a
tema un itinerario di educazione all'amore casto non è sollecitata prima di
tutto dalla rinnovata domanda e attenzione dei giovani a questo valore, ma
dall'istanza sempre urgente di vivere la relazione con gli altri e con sé come
l'ha vissuta il Signore. Allora le scelte che fondano la comunione con lui
(liturgia, preghiera personale, fraternità cristiana, dedizione apostolica,
ecc.) sono le stesse scelte che nel discepolo ispirano e creano un amore casto.
4. L'educatore stimola ed avvince più con il suo persuasivo
modo di vivere nel gruppo e con se stesso la propria sessualità che non con la
molteplicità e l'inventiva delle sue proposte pur necessarie. Non è solo un
trasmettitore neutrale di valori, ma convince mostrando in sé questo modo
originale di vivere la comunicazione affettiva e sessuale. Solo così
l'adolescente si fida di lui. L'educatore che non tenesse conto delle proprie
controindicazioni e acerbità in un continuo e intelligente lavoro di
conversione, diseducherebbe e non invoglierebbe a queste scelte coraggiose e
impegnative: può educare se continuamente si educa e si rieduca.
Strumento imprescindibile per la comunicazione di questi
valori rimane anzitutto il dialogo paziente degli educatori (genitori, prete,
catechista...) con i giovani. Esso, specie su questa realtà, nasce solo in un
contesto che metta a proprio agio l'interlocutore e in un clima favorevole per
]a continua presenza accanto al giovane, la sua positiva accettazione,
l'interesse reale, accogliente per lui/lei. Il dialogo sarà molto spesso, specie
agli inizi, di incoraggiamento per imparare a non spaventarsi della propria
fragilità, a non irritarsi contro di sé per le proprie debolezze, a distinguere
le debolezze da incipienti malizie e impostazioni perverse del problema, a
ritrovare sempre la fiducia nel dono di Dio che spinge ad autotrascendersi con
coraggio e fiducia.
Inoltre è necessaria la cura della vita di gruppo,
naturalmente un gruppo ispirato ai grandi valori umani e cristiani. In esso
ciascuno, mentre con semplicità è iniziato a un'esperienza di Chiesa, trova pure
le condizioni per instaurare rapporti veri di fraternità e di amicizia ed è
aiutato a riconoscere e ad accettare l'altro/l'altra. Così acquisisce sempre di
più la propria identità, si addestra nel conoscersi, autopossedersi, donarsi,
canalizzando energie, sentimenti, istintività, nella piena espressione delle
proprie potenzialità e capacità, a servizio degli altri.
5. Passaggi e momenti. Per crescere nell'amore casto occorre
mettersi in cammino, nell'itineranza della fede, in un esodo mai concluso. In
esso esistono momenti e passaggi inevitabili che, senza rigidità o successioni
obbligate e talvolta con movimenti pendolari, scandiscono la crescita personale.
Indico alcuni di questi passaggi.
* E' importante anzitutto richiamare che nessun segno (e la
testimonianza dell'amore casto lo è! esiste senza un disegno. Il lavoro
educativo sulla castità va raccordato costantemente all'orizzonte più ampio che
è l'adesione al disegno di Dio. Il cristiano ama così perché riconosce il
riferimento prioritario e definitivo che è Gesù, Verità di ogni esperienza
umana, e riconosce la sua presenza/contemporaneità che lo attira nella sua
comunione e lo lega a sé nella missione. Perciò l'educatore non elabora
interventi soltanto a partire da carenze e bisogni, ma punta a favorire il più
possibile lo sviluppo e l'espansione del disegno di Dio che nel giovane credente
già porta frutto. Non parte da "ciò che fanno tutti", o da ciò che fa opinione
nei sondaggi, ma da che tipo di uomo/donna il giovane deve diventare secondo il
piano di Dio.
[67] * Occorre favorire un lavoro di interpretazione della
corporeità perché il discepolo arrivi a una positiva accettazione di sé. Un
uomo/una donna "si dice" nel corpo: è una parola che si può comunicare solo
mediante il corpo, non prescindendo dalla propria sessualità. Così pure si può
accogliere la parola, che è l'altro/l'altra, passando per l'accettazione della
propria e altrui sessualità. L'educatore introduce a conoscere il corpo come
linguaggio e immagine, ricordando in particolare che nel corpo "giovane" l'età
porta con sé mutamenti e sensazioni confuse, sviluppi a sorpresa e accelerazioni
gravide di interrogativi. L'iniziazione al significato della corporeità non
attinge solamente a una generica attenzione all'umano e neppure ai risultati
delle scienze umane, ma al primato della Parola, per la quale "il corpo... è per
il Signore e il Signore è per il corpo" (1 Cor 6, 13).
In negativo significa pure che sarebbe grave irresponsabilità
trascurare questa dimensione pedagogica, sia minimizzandola, sia ritenendola di
fatto irrilevante, sia confondendola con altro. L'educare alla fede risulterebbe
astratto, non in grado di sostenere le forti domande di significato presenti
anche implicitamente nei giovani.
* Un serio accompagnamento educa alla lettura e
all'interpretazione del desiderio.
La castità non reprime i desideri, né li ridicolizza o li
nega. Piuttosto li orienta dall'interno, non solo invitando a viverli secondo
l'alleanza (cf Mt 5, 28), ma sostenendo il tentativo del giovane che si apre a
un modo diverso, più profondo, di guardare e di decifrare la realtà. Così egli
capisce che la sessualità non va né strumentalizzata, né tanto meno sciupata o
violentata, ma assunta a partire dal significato che vi si dischiude e che
l'attraversa.
La "disciplina" del desiderio inizia dalla comprensione del
desiderio stesso: da questa nuova lettura possono nascere nuove motivazioni,
nuove sensibilità, nuovi apprezzamenti nei confronti della stupenda ricchezza
della sessualità: così essa ritrova senza banalizzazioni e riduzioni il suo fine
ultimo e il suo senso, consentendo al discepolo di non legare la vita a un altro
dio (cf Num 15, 39).
* Va ricordata infine all'educatore la necessità di aiutare
gli adolescenti nell'affinamento della capacità critica e nell'acquisizione di
nuovi strumenti culturali. Potranno così valutare alla radice quei fenomeni che
spesso in loro generano confusione, suggestioni e condizionamenti
(permissivismo, uso ludico e precoce della sessualità, narcisismo, pornografia,
cadute di evidenze etiche consolidate, irrisione nei confronti della morale
cristiana, ecc.).
Conclusione. Il discorso della castità cristiana è in qualche
modo paradossale, rispetto a una concezione corrente e banale del vivere. Crea
delle spinte e delle aperture che sono in ordine al modello evangelico di amore
e di libertà. Per questo non sarà facilmente capito da tutti.
Ma ai giovani non dispiace una coraggiosa proposta cristiana
di castità: spesso la esigono dagli educatori, pur nella consapevolezza delle
loro contraddizioni e dei facili compromessi.
I giovani e gli adolescenti intuiscono, forse più degli
adulti, che c'è in gioco l'amore vero e l'uso corretto dell'inestimabile
patrimonio della sessualità. Temono anche di esaurire le risorse che la natura
offre per aiutarli a fare scelte di amore.
Chi non ha il coraggio di indicare ai giovani itinerari di
castità per educarli all'amore, dimostra a sua volta di non saperli amare
veramente.
[68] Un'altra meta educativa assai importante riguarda la
formazione dei cristiani all'impegno sociale e politico. La diocesi ha
affrontato l'argomento nel convegno di Assago del 1986, in conseguenza del
programma pastorale Farsi prossimo. Le riflessioni proposte dai delegati e
riassunte nelle relazioni conclusive delle 40 commissioni del convegno hanno
consentito di collocare l'impegno educativo tra le diverse risposte che la
comunità cristiana è chiamata a dare all'esigenza di contribuire alla promozione
del bene comune vivendo la carità anche nei suoi aspetti sociali e politici.
I contenuti di questo impegno educativo della comunità
ecclesiale vengono dedotti dall'insegnamento sociale della Chiesa, in
particolare dalla costituzione Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II, e dalle
encicliche sociali dei Papi di questi ultimi decenni fino alla Sollicitudo rei
socialis di Giovanni Paolo II che, pur trattando di un tema di carattere più
generale, contiene utilissimi riferimenti ai valori del bene comune e della
solidarietà che fondano la partecipazione dei cristiani a ogni impegno di
carattere sociale e politico.
La comunità cristiana deve quindi essere convinta che la
formazione educativa all'impegno sociale e politico fa parte dei suoi doveri
primari, come proprio contributo, non unico, alla promozione del bene comune
della "comunità degli uomini" in cui si trova a vivere, in attuazione del
comando evangelico della carità.
Inoltre le difficili condizioni della convivenza civile, con
i suoi risvolti politici, rendono urgente un nostro intervento capace di
orientare la coscienza dei credenti (ma anche di tutti gli uomini di buona
volontà), verso una concezione teorica e pratica della politica che, a partire
dal messaggio evangelico, consenta di vivere adeguatamente i valori etici
richiamati dal Papa (cf Sollicitudo rei socialis, nn. 27 ss.).
Su questo, rimando anche a quanto ho avuto occasione di dire
nei due ultimi discorsi di s. Ambrogio (1986 e 1987).
Il nostro impegno educativo dovrà essere ripensato in modo
sistematico, sia per quanto riguarda l'insegnamento di questa tematica morale
all'interno della catechesi ordinaria per le varie fasce di età, sia per quanto
riguarda la preparazione ecclesiale di quei credenti che poi, con propria
responsabilità, sceglieranno di servire nelle strutture della società civile
(partito, sindacato, organismi di partecipazione sociale, ecc.) per il bene di
tutti.
[69] * Le scuole biennali per la formazione all'impegno
sociale e politico. Già dallo scorso anno le scuole sono state proposte e
realizzate in 29 centri della diocesi, su scala decanale o interdecanale, grazie
all'impegno fattivo dei Vicari Episcopali, dei Decani, dell'Azione Cattolica,
del Centro Sociale Ambrosiano e degli uffici di pastorale sociale della Curia.
Più di 3.500 alunni, in grande prevalenza giovani, hanno frequentato le scuole
che nel primo anno prevedevano 13 lezioni. La segreteria diocesana per le scuole
ha già predisposto il programma del secondo anno, che comprende una parte uguale
per tutti sul tema specifico della politica e una seconda parte con scelte
personali tra sei seminari residenziali (scuola, famiglia, lavoro, servizi
socio-assistenziali, sanità, esteri).
Io stesso incontrerò i docenti delle scuole il 27 settembre
prossimo e poi, come ho già fatto lo scorso anno, tutti gli alunni in qualche
occasione di riflessione e di preghiera.
I Decani e i Parroci si impegneranno affinché le scuole
possano riprendere con la presenza attiva e fedele degli iscritti, secondo le
indicazioni delle diverse segreterie locali che non mancheranno di aiutare i
giovani, nel rispetto delle loro personali responsabilità, a orientarsi
concretamente nell'impegno sociale o politico diretto, senza escludere la
possibilità di un ulteriore lavoro culturale da studiare in loco, dopo aver
conosciuto le indicazioni diocesane e le esperienze nate nell'AC, di intesa con
il CSA.
[70] * La catechesi sistematica dei fedeli. Ogni comunità
parrocchiale preveda nel programma pluriennale organico di catechesi per le
diverse fasce di età la proposta dei contenuti fondamentali della dottrina
sociale della Chiesa, dedotta con rigore dall'insegnamento del magistero.
L'ufficio catechistico diocesano provvederà a fornire le necessarie indicazioni
di sussidi e di metodi perché ogni parrocchia venga facilitata nel prevedere e
nell'attuare questa prescrizione.
Anche l'AC, le associazioni e i movimenti ecclesiali
prevedano nei loro itinerari l'attuazione di queste indicazioni.
[71] * La formazione permanente dei cristiani già impegnati
nelle realtà sociali e politiche. Sono in atto da diversi anni, per iniziativa
prevalente dell'AC diocesana, iniziative assai lodevoli per contribuire alla
formazione permanente dei credenti adulti che già sono impegnati a vari livelli
nel servizio sociale e politico. Si tratta di incontri di spiritualità, di
giornate di studio, di corsi di aggiornamento, di Esercizi spirituali.
Vorrei ora insistere perché su tutto il territorio della
diocesi venga offerta ai laici che lo desiderano la possibilità di verificare il
senso cristiano e le fonti evangeliche dell'impegno.
Già in questo prossimo autunno i Vicari Episcopali di zona e
l'AC allargheranno il quadro zonale degli incontri di spiritualità, proponendoli
anche a singoli decanati. Le stesse segreterie locali delle scuole biennali
potrebbero farsi carico delle iniziative, sempre di intesa con i Vicari
Episcopali e l'AC (che dovrebbe essere rappresentata in ogni segreteria).
[72] Quando un ambiente educativo assume l'onere di
costituire uno o più itinerari per i suoi membri, e lo fa con una certa
razionalità e perseveranza, giunge non alla semplice proposta di alcuni
itinerari, ma a un vero e proprio progetto educativo. Esso va continuamente
adattato alle situazioni concrete.
Non intendo dunque proporre progetti già elaborati che basti
assumere ciecamente. Ma voglio rapidamente percorrere alcuni dei nostri ambienti
educativi per indicare, sulla base del materiale che mi è stato offerto, qualche
esempio significativo.
Prima però vorrei ancora precisare la nozione di "ambiente
educativo": è un sistema in sé compiuto, ` dove è possibile porre una serie di
azioni educative che abbiano una continuità e un significato globale.
[73] L'ambiente educativo fondamentale per ogni persona umana
è la famiglia. Di essa ho già parlato sopra ampiamente (cap. III e Schede nn. 1
e 2). Infatti tutto quanto è stato detto a proposito dello sviluppo della
persona riguarda anzitutto il suo crescere nell'ambito della famiglia.
Per questo, non penso di trattare di nuovo in questo capitolo
un tema tanto vasto e complesso quale quello della famiglia, intesa come
ambiente educativo. Rimando, per quanto non fu già detto nel capitolo III,
all'abbondante letteratura in materia, ai sussidi che sono offerti, tra l'altro,
dall'AC e dal nostro ufficio per la pastorale familiare e dai miei discorsi in
Duomo, in particolare a Lasciarsi educare in famiglia (23.1.1988). Lo stesso
ufficio potrà utilmente raccogliere tutte le indicazioni riguardanti la famiglia
che si trovano nelle lettere pastorali degli scorsi anni.
Dirò invece qualcosa sul fondamentale ambiente di educazione
cristiana che è la parrocchia per parlare poi in seguito dell'oratorio, della
scuola e dell'ambiente di lavoro.
La parrocchia è, con la famiglia e a partire dalla famiglia,
il primo luogo dell'educazione cristiana. Tutto quanto si dirà in seguito ha da
misurarsi anzitutto con quanto fa o può fare la parrocchia. Né v'è opposizione o
concorrenza tra famiglia e parrocchia, perché la parrocchia non è se non un
insieme di famiglie che si nutrono della stessa Parola e partecipano alla stessa
mensa eucaristica nell'ambito di una Chiesa particolare.
Tutti gli altri ambiti educativi ecclesiali devono sempre "confrontarsi-convergere-partire"
dalla parrocchia (vista in organico rapporto con il decanato, la zona, la
diocesi). Tutto quanto precede e segue in questa lettera pastorale non è "altra
cosa" rispetto all'educazione alla fede in parrocchia, ma ha in essa il suo
punto ideale di riferimento e di convergenza.
[74] E' la parrocchia che "introduce l'uomo in quell'evento
pasquale che cambia l'esistenza e la trasforma con la forza dello Spirito e la
fa nuova" (cf documento: Comunione e comunità missionaria, n. 27).
A questo proposito cercherò di rispondere a due domande: a
quali condizioni è possibile un itinerario di fede per la parrocchia? Come
descrivere per sommi capi un possibile progetto educativo globale di una
parrocchia?
[75] La risposta a questa domanda è certamente legata, oltre
che a una decisione del pastore, alla capacità di comunicare con la maggior
chiarezza possibile il senso, le tappe, le mete dell'itinerario stesso, al
coinvolgimento di tutti i carismi e le forze operanti nell'ambito della
parrocchia e infine alla situazione concreta in cui una determinata comunità
vive. E' indubbiamente diversa la possibile risposta di una parrocchia piccola
da quella che è in grado di fornire una parrocchia medio-grande. Diverso è lo
stile dell'itinerario e l'impatto educativo che esso può fornire quando si
tratti di una parrocchia di paese o di una parrocchia cittadina, ecc.
Di fatto si entra nell'itinerario educativo di una parrocchia
per molte e diverse vie. Taluno è introdotto attraverso gesti di carità o di
impegno generico; altri iniziano la vita di parrocchia per tradizione familiare;
altri ancora sono attratti da aspetti diversi: liturgia, catechesi dei figli,
particolari bisogni esistenziali, o altro ancora.
Ugualmente occorre notare che alcune persone partecipano alla
vita della parrocchia, e quindi sono toccate dal suo progetto educativo, in
maniera molto estrinseca, e per questo la loro formazione sarà piuttosto
marginale e occasionale.
Tutti i parrocchiani comunque dovrebbero essere posti di
fronte alla possibilità di aderire alla proposta formativa della parrocchia. La
coscienza della possibilità che la parrocchia ha di attuare itinerari formativi
è in genere assai scarsa nel parrocchiano medio. Lo dimostra il fatto che chi
desidera itinerari di preghiera si rivolge spontaneamente ad altri luoghi, a
esempio a un monastero, quando non cerca sussidi presso gruppi che propongono
spiritualità non cristiane, a esempio di origine orientale.
Tale pregiudizio sulla scarsa capacità della parrocchia di
proporre itinerari formativi (presente anche in certi gruppi e movimenti) è da
correggere, mediante l'impegno da parte di tutti a fare delle parrocchie
autentici ambienti educativi. La parrocchia da parte sua potenzi sempre più la
propria capacità al riguardo, mettendo in atto tutti quegli strumenti che
permettono il manifestarsi di questa "nativa" attitudine a proporre un progetto
educativo valido.
[76] A questa domanda non è possibile rispondere se non
indicando svariati esempi e modelli di itinerari oggettivamente proposti in
questi anni. Nelle Schede finali propongo alcune esemplificazioni che possono
aiutare a riflettere. Esse si riferiscono anzitutto a parrocchie medio-grandi e
di tipo urbano o di grande periferia. Occorrerà un'adeguata riflessione per
cogliere le indicazioni che possono essere applicate ad altri contesti (cf
Scheda n. 5, p. 23*).
[77] L'oratorio è lo strumento educativo della parrocchia, il
luogo della missione della parrocchia per i ragazzi, gli adolescenti e i
giovani. Esso "ispira la sua attività al progetto educativo che la parrocchia
formula attraverso il Consiglio pastorale parrocchiale. Là dove manca il
Consiglio pastorale o non c'è i' coraggio e la pazienza di progettare interventi
che vadano oltre alcune iniziative spicciole e le feste, all'oratorio viene a
mancare quell'input responsabile che gli permette di tracciare itinerari
educativi precisi e condivisi" (cf Convegno Federazione Oratori Milanesi,
Progetto oratorio, 1.3).
L'oratorio realizza il progetto educativo attraverso la
comunità degli educatori che accompagnano i più giovani verso la loro maturità
cristiana. Essa nasce nella comunità della parrocchia, dalla quale è convocata,
formata, educata e inviata nella missione di evangelizzare ragazzi e giovani, e
con la quale tiene rapporti di costante riferimento e confronto.
E' necessario perciò scoprire, formare e curare gli
educatori. Per questo scopo, accanto alla formazione garantita dal sacerdote,
esistono le iniziative appositamente programmate in diocesi, soprattutto dalla
FOM e dall'AC. Alla loro competenza e alla loro capacità di collaborazione
chiedo di formulare itinerari formativi per educatori non solo dei fanciulli e
dei ragazzi, ma anche degli adolescenti e dei giovani. Questi itinerari devono
avviare gli educatori verso la maturità della fede e l'amore per la missione
della Chiesa: attitudini che, unite alla passione per la vita dei ragazzi e dei
giovani, e alla competenza in pedagogia pastorale, danno all'educatore
oratoriano credibilità e affidabilità.
In particolare è necessario che la formazione degli educatori
si ispiri alle scelte pastorali della diocesi e offra agli educatori stessi un
ambiente spirituale e un collegamento formativo secondo lo spirito della "diocesanità".
[78] Il progetto educativo dell'oratorio intende attuare, in
misura sintetica e in modo articolato, il ministero educativo della parrocchia
per l'evangelizzazione dei ragazzi e dei giovani. In pratica, vuole descrivere
le competenze e le capacità dell'oratorio come comunità di educatori, che
interpella la corresponsabilità e la capacità di tutti gli adulti nella fede.
Ogni parrocchia deve formulare il suo progetto educativo, che tenga conto dei
ragazzi e dei giovani del territorio, del programma pastorale diocesano, e della
tradizione pastorale della parrocchia stessa.
Il progetto educativo dell'oratorio si articola negli
itinerari per le diverse fasce d'età dei ragazzi e dei giovani. Come per ogni
progetto educativo cristiano, anche il progetto dell'oratorio offre ai ragazzi e
ai giovani esperienze destinate a suscitare in loro la capacità di discernere la
propria vocazione.
Tra i ministeri laicali a cui educa i ragazzi e i giovani,
l'oratorio assume con particolare attenzione quegli itinerari educativi che l'AC
dei ragazzi e dei giovani ha composto per preparare uomini e donne pronti a
condividere e a collaborare a quella particolare missione di apostolato, di
servizio e di corresponsabilità che il Vescovo affida all'AC diocesana.
Nel cuore del progetto educativo sta una convinzione:
l'oratorio è una comunità che educa all'integrazione fede-vita, grazie al
servizio di una comunità di educatori, in comunione di responsabilità e di
collaborazione con tutti gli adulti. Il metodo dell'oratorio (o il suo stile) è
quello dell'animazione, che consiste nel chiamare i ragazzi a partecipare a
proposte educative che partono dai loro interessi e dai loro bisogni.
Tutta la prima parte del programma diocesano Dio educa il suo
popolo contiene già indicazioni non solo per formulare gli itinerari educativi
per l'oratorio, ma anche per comprendere perché la proposta educativa
dell'oratorio privilegia la categoria dell'itinerario .
La predisposizione di obiettivi precisi (nell'itinerario) non
indica ancora tutto quello che deve essere un'attività educativa concreta;
tuttavia è un momento molto importante perché serve a finalizzare contenuti,
metodi, strategie, verifiche per interventi particolari e per brevi periodi.
A questo punto mi piacerebbe poter portare degli esempi.
Durante quest'anno parecchi oratori mi hanno inviato i loro progetti educativi.
Alcuni sono veramente riusciti e originali! Ma proprio per questo è difficile
proporre modelli generali. Un progetto nasce infatti dall'attenta considerazione
della storia dell'oratorio, dei problemi, dell'ambiente, ecc. Avevo anche
chiesto alla Federazione Oratori Milanesi di stendermi un abbozzo di itinerari
oratoriani per le diverse età. Questo lavoro è stato diligentemente compiuto, e
ne è risultato un plico di trenta pagine dattiloscritte, che in un primo tempo
pensavo di riportare in calce tra le Schede. Ma poi, riflettendoci, ho concluso
che tale schema di itinerari risulterebbe un po' troppo lungo per questa
lettera, e insieme ancora troppo breve e schematico per poter veramente essere
utile. Invito quindi la FOM a continuare a perfezionare il suo lavoro, in
stretto contatto con l'AC e con altri esperti educatori, tenendo anche conto dei
progetti oratoriani migliori già esistenti, così da produrre un sussidio ampio e
adeguato che potrà essere uno dei frutti di questo anno pastorale.
Mi limito ad alcune osservazioni generali sulla costruzione
di un progetto, riportando poi l'indice del materiale preparato dalla FOM perché
ciascuno possa almeno rendersi conto delle sue articolazioni ed essere stimolato
a fare qualcosa di simile.
Un progetto educativo per l'oratorio dovrà contenere una
descrizione della situazione del territorio, alcuni principi generali ispirativi
e una serie di indicazioni articolate per le diverse età. I principi possono
essere costituiti da qualche frase evangelica e da alcuni intenti educativi che
nella storia della parrocchia e dell'oratorio esprimono un messaggio importante
per educatori, ragazzi e giovani, e capace di essere recepito. Tali principi
evangelici ed educativi possono anche essere riassunti in una formula breve
mnemonica, che richiami a tutti alcune particolari insistenze del cammino
formativo. Così a esempio un oratorio milanese mi ha presentato recentemente il
suo programma con lo slogan: "Parola, pane, poveri"; si voleva sottolineare lo
sforzo di questi anni per un recupero del senso della parola di Dio nel cammino
educativo dei ragazzi, della centralità della Messa festiva e dell'attenzione al
contesto sociale difficile del quartiere.
Nelle indicazioni articolate per le diverse età si sogliono
distinguere almeno cinque grandi gruppi:
* elementari, con prevalenza della catechesi e della
preparazione ai sacramenti dell'iniziazione (punti focali dell'itinerario
saranno il sacramento della riconciliazione con l'abitudine a riceverlo almeno
mensilmente; la Messa di prima comunione con l'impegno della Messa domenicale e
della comunione settimanale; il sacramento della confermazione; l'inizio di una
prospettiva di servizio stabile nella liturgia);
* medie, dove si punta particolarmente sulla esperienza di
gruppo (punti focali saranno la celebrazione della professione di fede davanti a
tutta la comunità parrocchiale, a conclusione di un cammino di fede, con una
catechesi adeguata e una frequente pratica sacramentale; l'introduzione ad
alcuni momenti della liturgia delle ore; alcune prospettive di servizio in
oratorio);
* biennio superiore: gruppo adolescenti, con l'attenzione ai
problemi specifici dell'età e alle prime aperture caritative e vocazionali
(punti focali potranno essere i campeggi formativi e/o i campi scuola durante
l'estate, distinti per ragazzi e ragazze; l'inizio di una direzione spirituale;
l'inizio di qualche impegno caritativo e sociale: cf cap. III, D/1);
* gruppo giovani 1, ancora legato per alcuni agli obblighi
scolastici e per altri alle prime esperienze di lavoro, e gruppo giovani 2, dove
prevalgono i diversi impegni: educatori di oratorio, servizi caritativi,
culturali, ecc. (punti focali potranno essere il corso di Esercizi spirituali
per diciottenni in prospettiva di discernimento vocazionale e le attività di
impegno caritativo e sociopolitico: cf cap. III, D).
Un programma più articolato, come quello proposto dalla FOM
per un progetto oratoriano completo può comprendere ulteriori suddivisioni,
adatte soprattutto per i grandi oratori.
All'interno di queste articolazioni si potrà poi procedere a
una determinazione più accurata di mete globali, obiettivi, esperienze,
strumenti, tempi di attuazione e verifica. A modo di esempio, trascrivo lo
schema degli itinerari oratoriani preparato a cura della FOM, di cui ho detto
sopra.
PER UN PROGETTO EDUCATIVO ORATORIANO: SCHEMA
[79] Itinerario per fanciulli al loro primo contatto con l
'oratorio
I destinatari - La meta educativa - Gli obiettivi
(riguardano: 1. la conoscenza; 2. gli atteggiamenti e gli affetti; 3. il
comportamento) - Le esperienze.
Itinerario oratoriano per fanciulli nella prima tappa
dell'iniziazione
I destinatari - L'educatore - La meta globale Gli obiettivi -
Suggerimenti per due itinerari: ringraziare, partecipare, condividere; uscire da
sé, sapere apprezzare la fatica altrui, perdonare.
Itinerario per fanciulli nella seconda tappa dell'iniziazione
I destinatari - La meta globale - Gli obiettivi (riguardo
alla conoscenza, agli affetti, al comportamento) - Le esperienze (nella
catechesi; nella preghiera e nella liturgia; nell'aggregazione e nel gioco) .
Itinerario educativo per preadolescenti (12-14 anni)
I destinatari - La meta globale - Gli obiettivi (riguardo
alla conoscenza, agli affetti, al comportamento) - Le esperienze (nella
catechesi; nella preghiera e nella liturgia; nell'aggregazione e nella cultura;
nel gioco).
Itinerario educativo per adolescenti (14-18 anni)
I destinatari - La meta globale - Gli obiettivi (la
conoscenza; i comportamenti e gli atteggiamenti) -Le esperienze (nella
catechesi, con particolare attenzione a missionarietà e carità; nella preghiera
e nella liturgia; nell'aggregazione e nei rapporti socio-culturali; nel gioco e
nello sport).
Itinerario educativo per i giovani
I destinatari (articolazioni del cammino) - La meta globale -
Esperienze articolate nell'area della catechesi - Esperienze nell'area della
liturgia e della vita spirituale - Esperienze nell'area dei rapporti
socio-culturali - Esperienze nell'area del gioco e dello sport.
[80] Nella determinazione degli itinerari occorrerà fare
molta attenzione al mondo femminile. L'oratorio, infatti, per molte ragazze è
un'occasione importante e privilegiata per maturare un'identità femminile
cristiana attraverso un cammino educativo.
Perciò l'educazione delle ragazze non può essere identica a
quella dei ragazzi: occorrono attenzioni specifiche. Il mondo femminile va
affrontato nella sua complessità e tipicità, sia nei momenti
catechistico-formativi, sia in quelli ricreativi. Per questo la formula degli
"oratori distinti e collaboranti" rimane ancora valida e da attuarsi ovunque sia
logisticamente possibile.
Spesso la ragazza nel mondo di oggi non ha chiara coscienza
del proprio singolare valore e può essere vittima essa stessa di pregiudizi e di
luoghi comuni: viene spinta ad apparire più che a essere, e viene talora
"giocata" nella sua innata generosità e disponibilità. Se manca un ambito per
capire chi è "lei" e chi è "lui", si rischiano equivoci che complicano
ulteriormente la fatica di crescere.
Sono necessarie negli oratori femminili figure autorevoli di
educatrici, che sappiano presentare anche modelli di spiritualità femminile.
L'oratorio diviene allora un ambito nel quale è rafforzata la
volontà, coltivata la sensibilità, controllata l'emotività e l'alternanza degli
umori, potenziata la disponibilità profonda e vera e la capacità di accoglienza:
il tutto in un clima di grande rispetto anche per le piccole cose e i piccoli
gesti.
Ritengo infine opportuno riportare al termine della lettera
(Scheda n. 6, p. 35*) alcune indicazioni sugli oratori proposte dal Vicario
generale S. Ecc. Mons. Corti ai preti novelli del 1986, che sono il frutto di
un'ampia discussione tenuta in Consiglio Episcopale.
[81] Il rapporto oratorio - Azione Cattolica è carico di
valenze storiche e anche oggi grembo di fruttuosa collaborazione. L'oratorio
vede naturale il fiorire in esso dell'Azione Cattolica come proposta di un
tirocinio severo di formazione per i ragazzi e per i giovani che vi sono
chiamati. L'AC trova del tutto naturale e necessario collocarsi in un oratorio
come primo luogo in cui vivere la sua vocazione laicale e maturare il suo
slancio missionario.
L'oratorio presenti ai ragazzi la chiara e leale proposta
dell'AC; l'AC offra una sincera e generosa collaborazione a sostegno e
promozione dell'oratorio.
L'AC è stata esplicitamente scelta dai Vescovi come
associazione direttamente coinvolta nell'attuazione del piano diocesano. Essa,
oltre alle finalità che scaturiscono dal suo statuto, ha raccolto e raccoglie
anche questa competenza, che le deriva da un esplicito mandato. Perciò il
discorso della collaborazione tra FOM e AC, tra oratorio e AC non mira a
stemperare in un amalgama pastorale confuso l'identità degli uni e degli altri.
Esso mira piuttosto a stimolare una precisa attenzione agli obiettivi educativi
dell'oratorio e a quelli dell'AC. In altre parole: una illuminata, rispettosa e
fraterna collaborazione porta a comprendere e a realizzare meglio il fine
educativo dell'oratorio e a impegnarsi di più per suscitare il sorgere dei
gruppi di AC, tenendo presente il fine associativo, ecclesiale in genere e
diocesano in particolare dell'AC. Un oratorio vivace e missionariamente aperto
lo sarà anche grazie alla presenza organizzata dell'AC e l'AC, nella sua
vocazione missionaria verso tutti gli ambienti, non potrà non avere come primo
ambito di impegno educativo proprio l'oratorio .
Il desiderio della collaborazione non è dunque la ricerca "di
un compromesso, ma è la ricerca di un itinerario educativo per tutti gli
adolescenti del territorio sul quale è collocata la Chiesa locale (finalità
educativa dell'oratorio) e per quegli adolescenti, tra tutti, che sono chiamati
a una specifica formazione vocazionale apostolica (finalità
formativa-missionaria dell'AC)" (cf Progetto educativo adolescenti, FOMAC,
1987-1988).
Dal punto di vista pratico, ogni oratorio, naturalmente se
provvisto di una minimale consistenza, dovrebbe orientarsi in questa duplice
direzione:
- gli educatori d'oratorio facciano parte dell'AC o almeno ne
condividano e ne vivano la spiritualità;
- l'oratorio preveda accanto alla catechesi sistematica e
alle iniziative per tutti i ragazzi della parrocchia, anche per ogni fascia di
età, la proposta chiara di un gruppo di AC, ben coordinato e collocato
nell'oratorio, da rivolgere ai ragazzi, agli adolescenti e ai giovani che si
sentano di intraprendere questo cammino vocazionale.
[82] Le attività educative dell'oratorio sono la catechesi,
la preghiera, la liturgia, i sacramenti, la formazione del comportamento
cristiano, l'apostolato e il servizio, il gioco, lo sport e il tempo libero.
Queste attività non vanno considerate separatamente, ma devono essere coordinate
attentamente tra loro.
Ciò vale in particolare per lo sport. Esso nell'oratorio non
può essere considerato come un'attività fine a se stessa, ma va inteso come
momento e mezzo per lo sviluppo delle potenzialità psicofisiche, per la
formazione umana e cristiana dei ragazzi e dei giovani alla lealtà, alla
gratuità, alla valorizzazione del corpo, al rispetto delle capacità altrui, al
dominio di sé, all'autodisciplina: si tratta di valori autenticamente umani e
cristiani.
Come diceva Paolo VI (23.2.1978): "Un ben condotto tirocinio
sportivo rinchiude in se stesso singolari possibilità: il giovane può e deve
ricercare in esso non solo il potenziamento della forza del corpo della sua
prestanza e agilità, ma anche l'armonioso sviluppo delle energie dello
spirito... Può e deve trovare in esso una scuola efficacissima di lealtà, di
autocontrollo, di coraggio, di dedizione costante, di fraterna collaborazione,
di quei valori insomma che, per essere squisitamente umani, costituiscono il
fondamento indispensabile dei valori spirituali che il cristianesimo esalta e
avvalora... Noi siamo fermamente convinti che l'esercizio serio dell'attività
sportiva può contribuire validamente ad arginare quel processo di
disumanizzazione del vivere sociale i cui segni allargante; vengono ormai
denunciati da tutti gli spiriti avveduti".
Le iniziative sportive nell'oratorio si ispireranno a questi
criteri fondamentali. Esse dovranno in particolare:
* favorire lo sviluppo psicofisico delle persone e la
coscienza della loro dignità;
* far riconoscere il diritto allo sport di tutti, anche dei
più deboli e dei meno dotati;
* rifiutare un agonismo a oltranza soprattutto quando
pregiudica il sano sviluppo e il rispetto della dignità umana.
I responsabili sportivi di un oratorio o nell'oratorio
(dirigenti, allenatori, arbitri) devono essere impegnati nella propria
formazione cristiana di base e permanente, e partecipare all'azione pastorale
parrocchiale, portando alla comunità le istanze della problematica sportiva e
ricevendo, nel contempo, stimolo a crescere come educatori e testimoni
cristiani.
L'oratorio accoglie dunque con gioia l'attività sportiva per
le possibilità promozionali della persona che essa possiede, ma coordina lo
sport con le altre proposte educative, cura gli animatori sportivi perché
condividano finalità e metodo oratoriani, esige che l'attività sportiva si
inserisca nel progetto dell'oratorio, con un coordinamento cronologico ed
educativo. L'oratorio sa anche di avere, nello sport, un luogo e uno strumento
che gli permette di incontrare anche giovani e ragazzi che non potrebbero essere
avvicinati in altro modo. Sarà dunque importante far comprendere che l'attività
sportiva nasce da una tensione spirituale ed educativa a cui l'oratorio non
intende mai rinunciare.
[83] Ci si domanda se sia giusto, a questo punto, trattare
anche della scuola. Essa infatti, intesa nel suo insieme come istituzione
scolastica nell'ambito della nostra società pluralistica, non ha come finalità
immediata l'educazione cristiana, e non sembra quindi direttamente coinvolta
qualora si vogliano formulare itinerari educativi verso la maturità cristiana.
La scuola tuttavia non può mancare di un suo progetto educativo. Appare infatti
superata, da parte delle differenti pedagogie, la falsa utopia della scuola
"neutra". E' opinione acquisita dalla comune coscienza del Paese che pure alla
scuola spetti il compito di formazione della persona, del cittadino e del
lavoratore e non solo quello della sua istruzione.
La scuola, dunque, quale luogo educativo indispensabile per
il futuro dell'umanità, è chiamata a contribuire, e di fatto contribuisce in
modo sostanziale, alla crescita anche delle nuove generazioni cristiane. La
comunità cristiana--se intende continuare a svolgere il compito educativo che le
è proprio--deve perciò prendere coscienza che, a differenza di un tempo,
attualmente il luogo (inteso come spazio e tempo) preminente in cui si svolge
l'educazione dei giovani è la scuola.
Siamo alla vigilia dell'attuazione di un sistema
scolastico-formativo in cui tutti o quasi i ragazzi rimarranno (e in parte già
rimangono) a scuola per almeno quattordici anni e per un numero di ore
giornaliere sempre più ampio. E questo muta notevolmente il ruolo della scuola
rispetto ai tempi passati.
Di fronte a un segnale così forte è necessario che tutti i
soggetti e gli ambiti propriamente educativi--a cominciare dalla famiglia e
dalla comunità cristiana--sappiano correttamente rapportarsi, interloquire,
collaborare con la scuola per continuare a svolgere il ruolo che spetta loro,
primario per la famiglia, nell'educazione dei giovani.
L'elevazione dell'età per la frequenza scolastica
obbligatoria è un notevole progresso socioculturale, ma rischia di assumere
risvolti negativi, soprattutto in ordine a una maturità cristiana, se non si
recupera la capacità di integrare il "tempo-scuola" in un progetto educativo al
quale la più ampia comunità sociale (cf legge n. 477/73) deve collaborare.
I soggetti della comunità che devono saper collaborare con la
scuola sono principalmente le famiglie e gli insegnanti. Ambiti privilegiati di
tale collaborazione sono gli Organi collegiali di partecipazione scolastica,
l'insegnamento della religione cattolica e la scuola cattolica.
Appare dunque chiaro che la scuola può dare, a determinate
condizioni, un importante contributo in ordine agli itinerari educativi verso la
maturità cristiana.
[84] Per itinerario o itinerari educativi nella scuola si
possono intendere l'individuazione e l'attuazione di "quelle determinazioni
rivolte alla pratica, assunte come indicazioni criteriali di fondo ai fini della
programmazione-progettazione di piani educativo-didattici". A modo di esempio:
* allargare o restringere: in sede di progettazione è
consigliabile definire uno spettro il più ampio possibile entro il quale
ritagliare le attività effettivamente praticabili.
* Bilanciare: non separare mai l'esperienza diretta
"dall'illuminazione" dell'intelligenza, l'esempio dallo studio.
* Concretizzare: andare oltre il livello proclamatorio per
giungere a quello effettivo, in modo da garantire la preminenza del reale, del
concreto sul generico, sull'astratto (quali i bisogni concreti in questo paese,
con questi giovani...).
* Innovare: introdurre innovazioni sia a livello di
contenuto, sia sul piano didattico (apertura ai nuovi linguaggi della scienza,
dell'uomo, avvalersi della ricerca di gruppo e delle nuove metodologie di
apprendimento...).
* Chiarire le possibili distorsioni: stare in guardia circa
le più ricorrenti distorsioni che possono verificarsi a proposito di educazione.
Educare non vuol dire formare personalità moralistiche, velleitarie, incapaci di
progettazione, monopolistiche nelle opinioni, o persuasori occulti, ma
personalità coerenti e animate da spirito di servizio.
Il compito della pastorale scolastica
Dall'importanza primaria della scuola nel processo educativo
dei giovani di oggi deriva l'esigenza di promuovere un'attenta pastorale
scolastica. Essa ha il compito di: * aiutare le famiglie a svolgere il loro
primario ruolo educativo anche attraverso la capacità di collaborazione con la
scuola; * riservare particolare attenzione agli insegnanti, protagonisti primi
del mondo della scuola, in particolare a quelli di religione; * valorizzare la
scuola cattolica quale luogo privilegiato per un itinerario educativo di sintesi
tra fede, cultura e vita; * raccordare la catechesi, gli oratori e la pastorale
giovanile con la vita "scolastica" dei giovani, perché questi importantissimi
spazi non risultino emarginati o estranei al dilatato tempo scolastico; *
valorizzare l'associazionismo scolastico, adulto e studentesco, come momento di
educazione permanente e di raccordo tra scuola e vita ecclesiale;
* tendere a realizzare consulte scolastiche in tutti i
decanati, quali punti di riferimento autorevoli in ordine alla presenza dei
cristiani nella scuola;
* collaborare alla crescita di una coscienza della
partecipazione, sollecitando all'impegno negli Organi collegiali della scuola.
[85] La domanda sulla natura, sul senso e sul modo di
costituzione di itinerari educativi e di un progetto educativo ben elaborato si
pone con particolare rilievo nella scuola cattolica. Essa si propone di
contribuire alla piena maturità, umana e cristiana, del ragazzo e del giovane, e
risponde a questo ideale sia attraverso il suo modo di impartire la formazione
culturale, sia mediante un'esperienza di vita strutturata comunitariamente
secondo i valori cristiani.
La scuola cattolica introduce, come scuola, a conoscenze
solide e profonde che suscitano il desiderio e l'amore della verità, il gusto e
la gioia dello studio, dell'indagine e del sapere, la capacità di valutare e
criticare.
Come comunità offre un'esperienza di vita strutturata secondo
rapporti costruttivi, basati sul dialogo interpersonale, la collaborazione e il
servizio. Sia mediante la formazione strutturale, sia mediante l'esperienza di
vita, essa intende comunicare la visione spirituale del mondo, di fronte al
materialismo pratico imperante; la sollecitudine per gli altri di fronte
all'egoismo; la semplicità contro il consumismo; la partecipazione concreta a
esperienze di vita ecclesiale.
Come perviene la scuola cattolica a formulare itinerari e
progetti educativi?
La comunità di una scuola è strutturata in modo complesso. Un
ruolo di primaria importanza compete ai docenti, perché a essi è affidata in
larga misura 1 educazione degli alunni. E' altresì richiesto loro di offrire un
prezioso contributo alla formazione permanente dei genitori, oltre che di
preoccuparsi seriamente della propria autoeducazione. In particolare, occorre
che i docenti svolgano un serio lavoro di riflessione e di analisi, in ordine
alle valenze educativo-cristiane delle singole discipline, studiandone le
metodologie di approccio, i contenuti, l'auspicabile interdisciplinarietà
incentrata sull'insegnamento della religione cattolica e da essa assemblata, i
possibili giudizi e confronti sui contenuti di ogni materia, rapportata alla
visione cristiana della vita. L'esperienza insegna la costante validità, per
l'itinerario educativo, del costituirsi di gruppi di riflessione su tematiche
religiose, di vocazione e di professionalità, alla luce della parola di Dio e di
taluni importanti documenti pedagogici emanati dal magistero. E' pertanto
auspicabile che si costituiscano gruppi di docenti, animati dal costante
desiderio di autoeducarsi, di correggersi reciprocamente e fraternamente, di
offrirsi mutuo dono delle esperienze proprie di ognuno, con l'aiuto di un
animatore, che assurga alla dignità di leader spirituale. Assumono determinante
importanza i ritiri spirituali (proposti come momenti di arricchimento del
processo formativo e non come esperienze da esso separate), le proposte
associazionistiche, le proposte di esperienza caritativa e di impegno sociale.
Saranno così facilitati:
- la conoscenza personale e quella delle situazioni e
difficoltà concrete dei singoli;
- il superamento di personalismi nel modo di svolgere il
proprio lavoro, a qualsiasi livello si ponga;
- la visione della realtà con un determinato taglio, comune e
coerente con i principi educativi;
- la possibilità di vivere la gratuità senza derogare alla
professionalità, ma anzi proprio attraverso e nella professionalità stessa, cioè
come un modo per fare meglio quello che si deve fare, piuttosto che come un
aumento quantitativo di tempo e di cose da offrire.
L'aiuto reciproco tra docenti a conseguire una maggiore
maturità umana e cristiana, comprendendo e approfondendo la comune vocazione, si
riverbererà indubbiamente in maniera positiva anche sull'attività educativa.
Quanto detto va attuato, ovviamente con le debite rettifiche,
anche per la componente genitori e per la componente studenti.
In particolare i genitori dovranno aiutarsi e saranno aiutati
a ricercare con costanza e disponibilità l'accoglienza delle suggestioni che i
docenti loro offrono, quasi a realizzare un progetto di educazione permanente,
attualizzato maieuticamente e al di fuori di ogni tentazione di cattedraticità.
Gli allievi dovranno ritenere come capisaldi imprescindibili
del lavoro formativo a essi rivolto l'educazione all'amore per la verità,
l'acquisizione degli strumenti idonei a raggiungere la conoscenza di ciò che è
vero, bello e buono, il senso critico, l'accoglienza dei valori autentici,
l'abitudine all'autocritica.
Nel preparare questa lettera ho ricevuto parecchi esempi di
itinerari e di progetti educativi, con suggerimenti pratici. Non li posso
riportare per non aggravare ulteriormente il testo. Del resto essi sono
strettamente legati alle condizioni delle singole unità scolastiche e vanno
rivisti e aggiornati regolarmente. Per informazioni e suggerimenti ci si rivolga
dunque all'ufficio per la pastorale scolastica della diocesi, all'AGESC
(Associazione Genitori Scuole Cattoliche) e alla FIDAE (Federazione Istituti
Dipendenti dalle Autorità Ecclesiastiche) che potranno dare informazioni,
esempi, consigli.
A me preme piuttosto sottolineare, in conclusione, la
validità ancora attuale della scuola cattolica così intesa, nonché la necessità
che siano attuati tutti gli opportuni riconoscimenti legislativi perché essa
possa effettivamente sussistere, anche dal punto di vista economico, in quanto
scuola libera e scuola della comunità, resa tanto più responsabile e attiva
quanto maggiormente vede impegnati in gestioni cooperativistiche (o almeno di
attiva collaborazione) i genitori, i docenti e gli ex-alunni.
Infine, è importante richiamare che la scuola cattolica, in
quanto scuola della comunità cristiana, è soggetto di ecclesialità. Pertanto
essa non si pone (né può porsi) in contrasto con l'attività parrocchiale né
prescinderne, avendo entrambe lo stesso obiettivo ultimo, cioè la maturazione
dei ragazzi e dei giovani, pur nell'uso di mezzi differenti.
[86] Nell'ambito del progetto educativo scolastico
l'insegnamento della religione cattolica costituisce un itinerario privilegiato,
che va tenuto in attenta considerazione.
Esso, da una parte, è molto importante per la formazione del
ragazzo e del giovane; dall'altra, riceve in molte scuole (purtroppo anche in
scuole cattoliche) un numero troppo ristretto di ore di insegnamento per
rispondere al suo fine.
Di qui la necessità, nel presente stato di cose, di elaborare
con la più grande attenzione possibile gli itinerari e le tappe di un tale
insegnamento, collocandolo nel quadro delle finalità generali della scuola e
leggendolo nel più vasto quadro della crescita del ragazzo e del giovane.
Non posso affrontare questo tema specializzato, che ha
ricevuto in questi anni particolare attenzione dall'ufficio catechistico
diocesano, al quale rimando per tutto il materiale specifico, soprattutto per i
sussidi riguardanti la comprensione e l'attuazione dei nuovi programmi
governativi.
Indico soltanto alcuni criteri che sembra opportuno tenere
presenti nei colloqui tra docenti, genitori e altri responsabili educativi per
stabilire obiettivi e contenuti comuni.
Criteri per stabilire obiettivi e contenuti
Per stabilire le tappe intermedie e i contenuti occorre:
- tenere presente il preciso contesto in cui si opera (città
o paese; stabilità o immigrazione; integrazioni ed emarginazioni sociali; forme
di religiosità e tradizioni);
- accompagnare lo sviluppo fisico e psicosomatico del
preadolescente con gradualità e progressività, come fa Dio educatore;
- tenere presente che si può contare, realisticamente, su
25-30 ore di lezione in un anno. Si parla di "una" religione (il
cristianesimo-cattolicesimo), ma sempre in costante dialogo e confronto con le
altre religioni e gli umanesimi;
- procedere di pari passo per queste linee: antropologica
("Chi sei tu? che coscienza hai di te stesso?"), storico-sociale ("Da dove
vieni? che eredità religiosa hai? che realtà familiare, scolastica, territoriale
conosci?"), biblica ("Che cosa ti dice la Scrittura sui grandi interrogativi
della vita?");
- collocarsi, da parte dell'insegnante, dentro il progetto
educativo della "sua" scuola, per stabilire il programma. In particolare deve
conoscere bene i programmi di storia, italiano, educazione artistica.
Non per sostituirmi alle istanze competenti, ma unicamente
per segnalare un lavoro fatto in comune da insegnanti ed educatori, riporto, tra
i contributi che mi sono stati proposti, una ipotesi di iter formativo per i tre
anni della scuola media inferiore (cf Scheda n. 7, p. 41*).
[87] Si può discutere se l'ambiente di lavoro si possa
chiamare senz'altro un "ambiente educativo". Di fatto è un ambiente di vita
della massima importanza, e tutti coloro che vi accedono o stanno ancora facendo
un cammino in senso stretto (giovani al primo lavoro), sono stimolati a forme di
educazione e formazione permanente che pongono anche nel mondo del lavoro il
problema educativo in forme non marginali.
Nella Scheda n. 8 (p. 45* ) prendo in considerazione alcuni
tra i più gravi problemi che riguardano l'educazione dell'uomo in una realtà
tanto complessa e nel contempo stimolante. Protagonista è sempre l'operaio, in
particolare il giovane lavoratore. In causa sono la possibilità e l'impegno di
vivere coerentemente il vangelo, e quindi di testimoniare una fede adulta, al
banco di lavoro. Ma protagonista è anche la comunità cristiana che, a volte,
regola ancora la propria azione pastorale secondo parametri poco adeguati alla
nostra società industriale o postindustriale e che quindi ha bisogno, ai fini di
una maggiore incisività, di captare certi segnali proprio tramite "antenne
privilegiate", quali sono i lavoratori adulti nella fede.
[88] L'Azione Cattolica si può considerare come un ambiente
educativo privilegiato. Essa infatti ha una sua organicità, una sua tradizione,
un suo ethos, ed è capace di educare cristianamente coloro che ne seguono gli
itinerari. La sua caratteristica è di predisporre tali itinerari nell'ambito
della Chiesa particolare tenendone presenti le mete operative e le
accentuazioni. Per questo essa educa nell'ambito e nello stile della "diocesanità".
La scelta dell'AC è l'attenzione e la cura per una capillare
e vivace presenza nelle comunità cristiane di laici impegnati per vocazione
nell'apostolato. Perciò è impegno del Vescovo, degli assistenti e dei
responsabili laici dell'associazione indicare a ragazzi, giovani e adulti questa
strada come possibile percorso vocazionale. Si tratta di mettere in atto alcune
tappe di progressiva educazione all'identità dell'Azione Cattolica, che portino
a riconoscere in essa il luogo e il cammino per discernere, sostenere, far
nascere e far crescere tra gli appartenenti alla comunità cristiana la dedizione
e la passione per la Chiesa locale e la sua costruzione in una prospettiva
d'insieme.
Non è possibile fare riferimento, neppure in maniera
sommaria, all'amplissimo tesoro di itinerari formativi che l'AC ha elaborato e
continua a elaborare in questi anni per le diverse fasce di età, categorie di
persone e ambienti di vita. Mi limiterò a rinviare tutti coloro che ricercano
modelli pratici di vita cristiana a riferirsi a quanto l'Azione Cattolica
propone e attua da tempo nei diversi campi. Infatti la richiesta di itinerari
educativi che ho colto in tante parti della diocesi nasce anche dall'ignoranza
pratica o dalla superficiale considerazione delle proposte educative dell'AC.
Ritengo dunque che un frutto di questo programma pastorale sarà quello di
invogliare tanti ad avvicinarsi concretamente alle proposte e ai metodi
educativi dell'AC e a proporli al proprio gruppo, a cominciare dai ragazzi (ACR).
Per una prima sommaria informazione si consultino opuscoli
come L'albero di Zaccheo.
Voglio comunque accennare ad alcune condizioni da avere
particolarmente a cuore e da far maturare in chi riconosce e assume questa
vocazione.
a. La prima conseguenza di questa scelta riguarda la vita
interiore di ciascuno. Chi assume delle responsabilità pastorali è, insieme,
chiamato a un rapporto particolarmente intimo e assiduo con il Signore. Questo
richiede la maturazione di una particolare familiarità con la Parola; una
generosa assiduità e fedeltà ai sacramenti e un'ampia disponibilità alla
contemplazione. In questo ambito non sarà mai troppo sottolineata l'importanza
di momenti prolungati di preghiera (ritiri ed Esercizi spirituali) e la pratica
della direzione spirituale.
b. La scelta della prospettiva diocesana di servizio alla
Chiesa, informa e orienta tutta la vita del giovane o dell'adulto. Egli deve
riversare nella vita della Chiesa tutta la sua laicità "vissuta", cioè la
professione, la famiglia, lo studio, i rapporti con le persone, l'impegno civile
e politico, lo sport, affinché la Chiesa stessa viva la propria missione in un
reale contatto con la vita della gente. Il modo di costruire la Chiesa proprio
del laico di AC investe tutte le dimensioni territoriali in cui essa è chiamata
a rispondere alla propria vocazione.
c. La dedizione alla tessitura paziente della vita della
comunità cristiana dovrà fare del laico diocesano uno "specialista in
fraternità". Tre possono essere gli ambiti in cui vivere la fraternità: il
rapporto tra le cose da fare e l'attenzione alle persone, dove il secondo
elemento non va mai sacrificato al primo; il rapporto con i preti "mandati" dal
Vescovo, da accogliere, comprendere e sostenere, condividendo le fatiche e le
gioie del lavoro apostolico; l'ambito della comunità apostolica, in primo luogo
il gruppo parrocchiale di AC, che deve essere animato da autentico spirito
fraterno, essere luogo di condivisione, di discernimento e di comunicazione
nella fede.
Altre condizioni da tenere presenti nell'educare la vocazione
apostolica dei laici di AC sono: la maturazione di un buon livello di competenza
teologica e pastorale, per cui è necessario un serio e rigoroso itinerario
formativo; l'attenzione all'insieme della vita della comunità in tutti i suoi
aspetti, che abilita il laico diocesano a farsi carico della comunione di tutti
i carismi, gruppi e movimenti presenti e operanti nella Chiesa particolare.
L'itinerario complessivo proposto dall'AC prevede
un'articolazione e un'attenzione particolare al le diverse fasce d'età. L'unica
e costante attenzione alla formazione di laici dedicati all'edificazione della
Chiesa, secondo le scelte del Vescovo, si declina cosi nel cammino dell'Azione
Cattolica dei ragazzi, dei giovani e degli adulti.
L'ACR offre un itinerario educativo nel quale i ragazzi sono
promossi come persone per maturare la loro appartenenza a Gesù e alla Chiesa e
la loro dimensione missionaria. Anche nei più piccoli è necessario coltivare il
valore della generosa dedizione agli altri e il senso della gratuità.
Il cammino dell'AC giovani fa sì che il ragazzo e la ragazza,
partecipando attivamente alla vita dell'associazione e attraverso una graduale
assunzione di responsabilità, scoprano e maturino il modo originale di dedicare
stabilmente la propria vita al vangelo e alla missione della Chiesa.
Per i giovani e i ragazzi di AC il primo e più importante
campo di presenza e di apostolato è dato dall'oratorio, secondo le indicazioni
contenute nel paragrafo B) di questo capitolo.
L'Azione Cattolica adulti accompagna il laico affinché giunga
a consolidare il proprio impegno a servire con responsabilità sempre crescente
l'edificazione della Chiesa locale nel suo insieme.
Il variegato e composito mondo degli adulti richiederà
all'impegno educativo dell'AC un'attenzione differenziata secondo le diverse
fasce d'età, dai giovani che si affacciano per la prima volta alle
responsabilità della vita adulta, fino agli anziani, e ai diversi ambiti di vita
e di esperienza, come la famiglia, la professione, l'impegno civile e politico,
ecc.
Questa molteplicità di attenzioni e di interessi non dovrà
però andare a scapito della necessaria unità di formazione e di vita dei gruppi
di adulti dell'AC e non dovrà offuscare l'identità religiosa e pastorale
dell'associazione, facendole assumere compiti propri di altre aggregazioni
d'ispirazione cristiana.
[89] Nel lavoro preparatorio per questa lettera ho consultato
con attenzione e frutto gli itinerari educativi che mi sono stati consegnati da
singole associazioni o gruppi educativi, come l'AGESCI, Comunione e Liberazione,
i Focolarini, il Rinnovamento nello Spirito, Rinascita Cristiana, le Comunità di
vita cristiana, la Legio Mariae, l'Apostolato della Preghiera, Terz'Ordini e
gruppi che si ispirano a carismi di ordini e congregazioni religiose, ecc.
Questa consultazione è stata per me molto fruttuosa e
interessante, perché mi ha messo a contatto diretto (anche se molte cose mi
erano già note) con la "autocoscienza propria" di ogni singolo gruppo e con i
suoi metodi educativi. Ne è venuta una raccolta di indicazioni che, in quanto
utili per tutti, ho avuto modo di inserire nelle pagine di questo libretto. In
quanto specifiche e quindi particolari di ciascuna realtà, sarebbe giusto che
fossero più conosciute, e non potendo farlo nell'ambito di queste pagine,
auspico che possa avvenire in altra forma.
Una presentazione breve di alcuni di questi gruppi era già
stata tentata, a esempio, nel libro a cura di G. Cravotta dal titolo
Spiritualità del quotidiano (Ed. Dehoniane, Napoli 1984), dove viene esposta
dettagliatamente la proposta di spiritualità giovanile dei GEN, di CL, del
Movimento Giovanile Salesiano, dello Scautismo e del volontariato giovanile
cristiano: si potranno leggere con frutto quelle pagine.
[90] Mi limito a due osservazioni di carattere
generale.
La prima è che i valori autenticamente sottolineati dalle
diverse realtà associative, che fanno parte di quello che si suole chiamare il
"carisma" proprio, non sono dati solo per esse, ma per il bene comune di tutta
la comunità cristiana. Ordinariamente essi vengono vissuti da un movimento o da
un gruppo proprio per utilità dell'insieme del popolo di Dio, nel quale tali
valori potevano correre il rischio di rimanere un po' coperti dalla polvere.
Così, in tempi recenti, sono stati evidenziati da varie
realtà associative valori e atteggiamenti cristiani importanti: il primato del
battesimo e il bisogno di riprenderne coscienza come origine e fonte di tutta
l'esistenza cristiana mediante appositi cammini; la comunione fraterna, in
esperienze autentiche e accessibili di comunicazione nella fede e di vita
comunitaria; l'importanza dei doni dello Spirito santo, ordinari e straordinari;
il senso della preghiera di lode e l'espansione spontanea del cuore nella
orazione; la necessità di una presenza incisiva e visibile dell'azione
apostolica della Chiesa in tutti gli ambiti della vita sociale e politica e
della cultura; la necessità di un'identità cristiana vigorosa per opporsi
all'ateismo e all'indifferentismo contemporaneo; la carità come comandamento
supremo e la forza dell'amore fraterno per superare le barriere e fare
incontrare le realtà più diverse; il bisogno di una formazione interiore
sistematica e di una seria disciplina della preghiera e del discernimento
spirituale, ecc.
E' importante che la comunità cristiana riconosca tali valori
e li faccia rifluire nel suo interno, si lasci riscaldare dal loro calore e
nutrire dalla loro sostanza di verità. Ciò significa che la provvidenzialità di
ogni realtà parziale nella Chiesa non è l'affermazione di se stessa, ma il bene
di tutta la comunità.
Da qui deriva la seconda osservazione. Caratteristica
dell'autenticità di un singolo movimento o realtà associativa particolare sarà
la sua coscienza di essere per la Chiesa, di rendere un servizio perché
l'evangelo nella sua genuinità penetri le menti e i cuori di tutti, anche dei
più semplici e sprovveduti. Per questo deve risultare chiaro, in una Chiesa
particolare, che ciascuna di tali realtà contribuisce di fatto (e non solo nelle
intenzioni) al "bene essere" evangelico dell'intero corpo ecclesiastico,
favorendo la crescita dei valori evangelici e in particolare della carità,
secondo il criterio decisivo di san Paolo nella prima lettera ai Corinti: "La
carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta,
non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira,
non tiene conto del male ricevuto, non gode della ingiustizia, ma si compiace
della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta" (1 Cor 13,
4-7).
[91] Deve pure risultare chiaro che tutte le forze che
operano nell'ambito di una Chiesa particolare contribuiscono alla costruzione e
attuazione di quel piano pastorale con cui essa esprime le sue priorità e
promuove strumenti, cammini e tappe adeguate. Perciò si rende necessario un
servizio di responsabilità e di discernimento teorico e pratico a livello
territoriale che ha il suo riferimento ultimo nella persona del Vescovo. Ciò
significa che tra i movimenti e le realtà associative, che hanno un'incidenza
spirituale, pastorale e culturale sul territorio, e le figure di responsabilità
ecclesiastica che fanno capo al Vescovo devono intrecciarsi rapporti costanti e
di fiducia, che promuovano un discernimento e un servizio ecclesiale autentico.
[92] A questo punto confesso di essere un po' stanco. Ho
fatto tanta fatica per leggere e ordinare tutto il materiale che mi è stato
consegnato. Mi sono sforzato di travasare, dalla quantità di vino ricevuto, quel
tanto o poco che mi sembrava utile per inebriare un poco i miei lettori ed
entusiasmarli per la costruzione di itinerari e progetti educativi. Ma ci sarò
riuscito? Personalmente ho la testa attraversata da dubbi e da incertezze. Tante
cose mi sono sembrate prolisse (e ho cercato di abbreviarle, ma non ci sono
sempre riuscito); tante mi sono sembrate poco stimolanti, altre mi sono parse
interessanti nel momento in cui le leggevo per la prima volta, ma hanno perso un
po' di smalto alla terza o alla quarta rilettura. Cosa vuol dire tutto questo?
Forse vuol dire che il sale del vangelo non si compra al mercato, e che il vino
buono di Cana non viene neppure dalle vigne ben coltivate di Israele. Eppure c'è
il sale della terra, altrimenti essa si sarebbe già corrotta! C'è il vino buono,
altrimenti saremmo già morti di tristezza! Come riuscire dunque a rinnovare
anche nelle nostre comunità il miracolo di Cana, così che gli itinerari e i
progetti educativi, che elaboriamo per rispondere a un giusto desiderio di
razionalità, siano espressione di gioia, di entusiasmo e di speranza?
Penso che è più importante sentire in noi il morso di questa
domanda che non elaborare subito risposte soddisfacenti. Essa rappresenta
infatti un'esigenza che ci inquieta, ci rende umili, ci fa ricorrere alla
preghiera, ci invita a ricominciare sempre da capo: è qui che l'arte educativa,
frutto dell'amore, si esprime e si affina ogni giorno.
Io voglio a ogni modo cercare in questo capitolo di dire
qualcosa che corrisponde alle mie più profonde preoccupazioni in questo momento.
Se mi si domandasse cioè: "A questo punto, dopo aver steso queste pagine, che
cosa le sta maggiormente a cuore di quanto si è detto fin qui? che cosa vorrebbe
anzitutto che passasse nell'animo del lettore a proposito degli itinerari
educativi?", risponderei dapprima con alcune osservazioni di carattere generale.
Poi vorrei tentare di esprimere alcune tesi a proposito de]la costruzione di
itinerari. Infine mi domanderei come gli itinerari possano diventare
rispettivamente dannosi, inutili o fruttuosi.
Spero che queste riflessioni di un viandante che ha percorso
nella vita diversi cammini, e che in questi mesi ha percorso idealmente, con
tante comunità e gruppi, itinerari educativi di ogni tipo, cercando di rendersi
conto di ciascuno di essi e di valutarlo nel suo contesto, possano aiutare
coloro che, seguendo il mio invito, si apprestano a rivedere o a formulare per
la prima volta il loro progetto educativo.
[93] Le osservazioni che vorrei fare a proposito di tutto
quanto ho detto fin qui, particolarmente nei capitoli III e IV, sono tre.
La prima è che in fondo costruire un itinerario educativo
(cioè scriverlo a tavolino) non è poi troppo difficile. E' questione di imparare
un certo genere letterario. Alcune cose ci appaiono difficili quando non le
abbiamo mai fatte, come stendere un bilancio, scrivere la relazione ufficiale di
un avvenimento, raccogliere in sintesi il risultato di una discussione. Ma
quando prendiamo un po' di pratica ci accorgiamo che si tratta di cose
abbastanza semplici: basta imparare un certo linguaggio, prendere confidenza con
certi modi espressivi. E questo si fa imparando da altri, nel nostro caso
leggendo e studiando un po' da vicino gli itinerari educativi che persone più
esperte di noi hanno composto per determinate situazioni. Penso che i capitoli
precedenti abbiano dato stimoli sufficienti per questo lavoro.
Pertanto vorrei esortare coloro che si spaventano di una
simile impresa, convinti che sia da lasciarsi a tecnici dell'educazione o a
pedagoghi laureati, a mettersi al lavoro con molta semplicità. Forse la prima
volta il progetto educativo che ne risulterà non sarà perfetto, ma con
l'esperienza e la pratica ogni educatore che ami il suo compito, ogni realtà
educativa che abbia una certa coscienza di sé, potranno riuscirci anche in
maniera egregia.
La seconda osservazione è che, proprio perché non è poi cosi
difficile buttar giù su carta un abbozzo di itinerario, c'è il rischio di barare
con la vita. Di proiettare cioè sulla carta, e poi di imporre a un gruppo, idee
ricevute da altri o concepite in un momento di entusiasmo, che però non
rispondono alle vere necessità o capacità delle persone a cui ci si rivolge.
Ogni itinerario deve nascere da una sofferta esperienza. Si comincia a
riflettere insieme, poi si butta giù un'ipotesi di itinerario, si stabiliscono
delle mete, lo si verifica per un certo tempo, e via via lo si corregge, fino a
che si giungerà a una proposta, anche se non definitiva, un po' più adatta alla
situazione che non gli itinerari concepiti in precedenza. Un tale lavoro dovrà
essere accompagnato da una riflessione (o anche da uno studio un po'
sistematico, con opportune inchieste sociologiche) dell'ambiente in cui si
opera.
La terza osservazione è che itinerari e progetti educativi
rischiano di diventare piatti e banali, se non vengono continuamente "tirati su"
con il lievito del vangelo. Rischiano di rimanere scipiti se il sale della
parola creatrice e rivoluzionaria del vangelo non li mette continuamente in
questione. Nel leggere alcuni itinerari ho avuto l'impressione che a essi non
fosse sottesa quella dinamica esigente e coraggiosa del fatto cristiano, che è
l'anima di ogni progetto educativo. Solo se ci si lascia continuamente provocare
dal messaggio evangelico e si contempla a lungo il Signore della storia a
partire dalle pagine della Scrittura, è possibile dare sale e lievito ai nostri
itinerari così da differenziarli da semplici istruzioni tecniche.
[94] Cerco di esporre sinteticamente alcuni dati di dottrina
e di esperienza che ci devono guidare nella costituzione di itinerari, e della
cui importanza mi sono sempre più convinto a mano a mano che elaboravo i
capitoli precedenti.
[95] 1. L'idea di itinerario è insita nel progetto divino di
salvezza. Dio ha percorso un itinerario per venirci incontro. La Bibbia racconta
la via di Dio verso l'uomo e propone all'uomo di andare verso di lui percorrendo
un cammino graduale e ascendente, con diversi momenti e tappe.
2. Fonte di ogni itinerario è l'autocomunicazione di Dio in
Gesù Cristo all'uomo lontano e peccatore. Ciò comporta una potente attrazione
esercitata sull'uomo perché si metta sulla via della fede, nella riconciliazione
e della comunione con Gesù Cristo e con tutti i fratelli. Questa via è
l'itinerario fondamentale cristiano. Tutti gli altri itinerari non sono che
applicazioni o segmenti parziali di questo itinerario fondamentale.
[96] 3. Le tappe di un itinerario sono il distendersi nella
storia dell'unico e semplicissimo progetto divino, che chiama l'uomo alla
comunione con lui. Poiché l'uomo è un essere storico, questo itinerario va
disteso nel tempo. Poiché l'uomo è un essere fragile e debole, complicato e
ripiegato su se stesso, questo itinerario deve procedere per gradi successivi di
purificazione e di chiarimento.
[97] 4. Più specificamente il cammino dell'uomo può essere
indicato con la metafora della duplice via: la via verso Dio è la via della
vita, quella proposta ad Adamo fin dal principio; la via che allontana da Dio è
la via della morte: quella di Adamo ed Eva nel loro peccato, quella di Caino,
quella dei costruttori della torre di Babele. Dopo il peccato la via della vita
viene riproposta all'uomo come "via della fede". E' la via proposta ad Abramo e
a tutti coloro che lo riconoscono come padre nella fede. In questa via Gesù
stesso si fa nostro compagno di strada, nostro modello, nostra meta: via, verità
e vita.
[98] 5. La via della vita è una forza operante. Non è un
semplice disegno fatto a tavolino, né un'idea astratta, né un progetto teorico
di Dio. E' un dinamismo travolgente, è la forza dello Spirito santo immessa nel
creato da Gesù crocifisso e risorto. Coglierne il dinamismo è lasciarsi
trasportare dal divenire storico autentico. L'itinerario dunque non è qualcosa
che noi creiamo, ma qualcosa che scopriamo nei fatti della storia di salvezza e
in cui ci la sciamo immettere per la forza della grazia battesi male.
[99] 6. Questa forza è irresistibile. I fallimenti non
possono vincerla. Dio ha compassione dei nostri itinerari falliti e ci offre la
sua mano per ricostituirli. Ci viene incontro nelle nostre cadute e incapacità.
In fondo l'immagine dell'itinerario non è che una parabola
del nostro incessante e fiducioso andare verso il Signore, del nostro lasciarci
attrarre da lui, dalla forza della sua comunione offerta all'uomo in Cristo, del
nostro continuo andare oltre, del camminare sempre più verso l'alto, tirarci su
dalla situazione stagnante in cui rischiamo continuamente di adagiarci.
L'itinerario è perciò icona dell'autotrascendenza dell'uomo, che a sua volta
riflette l'incessante chiamata misericordiosa di Dio: "Non temere, piccolo
gregge!... Vieni e seguimi!" (cf Lc 12,32; Mc 10,21); "Oggi sarai con me in
paradiso!" (Lc 23,43).
[100] 7. L'itinerario è anche parabola della tensione
speranzosa della intera umanità verso la Gerusalemme celeste. E' importante
guardare sempre al termine della via della vita e della via della fede, cioè
alla Gerusalemme celeste, punto terminale, unificante e chiarificatore di tutta
la storia. Momento focale del cammino dell'umanità verso la Gerusalemme celeste
è la croce del Risorto, la risurrezione del Crocifisso.
Per mantenere vivo il senso dell'insieme senza lasciarsi
perdere nella complicazione delle particolarità tecniche degli itinerari e dei
progetti, occorre contemplare in maniera prolungata la croce di Cristo. Occorre
leggere in essa il precetto dell'amore, senso di tutto l'itinerario, e porsi
continuamente queste domande: in che maniera questo progetto ci porta ad amare
di più, ad amarci di più? ci conduce a comprendere meglio il mistero della
croce? ci apre con fiducia alla grazia dello Spirito santo?
Il centro di ogni cammino è sempre la misericordia di Dio, è
sempre la croce, è sempre l'amore fraterno come ideale supremo della storia
umana. La contemplazione della croce e dell'amore che da essa scaturisce aiuterà
a essere sciolti, creativi e lungimiranti nella costituzione di nuovi itinerari
e nella progettazione di sempre nuovi cammini.
8. Da ciò si deduce che non è l'applicazione minuziosa del
progetto, che ci fa camminare, ma il cominciare a percorrerne anche solo una
piccola parte con cuore semplice e fiducioso. Un piccolo segmento di cammino
compiuto apre il cuore a fare il passo seguente. E' possibile che la visione
dell'insieme di un itinerario o di un progetto ci spaventi. Ci aiuterà in questo
caso il considerare quella parte di itinerario che ci è possibile percorrere in
quel dato momento, e rimetterci in cammino con fiducia. Allora tutto diventerà
più chiaro.
[101] 9. Come è importante rendersi conto che la via della
vita e della fede è una straordinaria forza operante nel concreto dell'esistenza
di questo mondo, così è importante prendere coscienza che pure la via della
morte ha le sue dinamiche, le sue leggi, le sue tappe. S. Paolo la personifica
col nome di peccato (cf Rm 5, 12; 6, 12.14). Tale legge operante nella storia
merita anche altri nomi: irrazionalità, miopia intellettuale, fuga dalle
responsabilità, ideologie aberranti, messianismi illusori, razionalizzazioni di
comportamenti scorretti, fanatismi e razzismi, ecc. L'insieme di tali cose
spinge il singolo, le società e le civiltà alla decadenza spirituale e morale, e
porta a legittimare tale decadenza con teorie speciose e pretesti futili: in
definitiva tende a legittimare ogni violenza e sopruso.
Occorre un attento discernimento per guardarsi, anche nelle
più piccole cose, dall'influsso pernicioso di ciò che la Scrittura chiama "voler
soddisfare il proprio egoismo, accendersi di passione per tutto quello che si
vede, essere superbi di quello che si possiede" (1 Gv 2, 16) o "spirito della
menzogna" (1 Gv 4, 6).
Tutto il cammino cristiano consiste in una lotta incessante,
in una conflittualità permanente tra i due dinamismi, quello della fede, della
verità e della carità, e quello della diffidenza, della violenza e della
menzogna.
[102] 10. Le tappe fondamentali del cammino cristiano sono
state da lungo tempo esplicitate nella Chiesa. Diceva san Bonaventura, parlando
dell'eterna tensione dell'uomo e dell'umanità alla pace somma, del desiderio
universale di aprirsi alla visione della somma verità e di godere della infinita
bontà di Dio: "Bisogna che a ognuna delle cose predette si pervenga salendo su
tre gradini o per una triplice via: quella purgativa, che espelle il peccato,
quella illuminativa, che consiste nell'imitazione di Cristo, quella unitiva,
dove si accoglie lo Sposo" (s. Bonaventura, De triplici via, III, 2). Con queste
parole san Bonaventura ha espresso una persuasione costante della tradizione
spirituale: che cioè il cammino di ascesa verso la santità e la pienezza della
comunione con Dio passa attraverso tre vie distinte tra loro, che sono appunto
la via "purgativa", quella "illuminativa", e quella "unitiva". Sono state
indicate anche suddivisioni ulteriori in ciascuna via, poiché, come dice ancora
l'autore ora citato, "ognuna di queste vie ha i propri gradini, percorrendo i
quali, incominciando dal livello più basso, si perviene a quello più alto".
Ciascuna di queste vie ha una caratteristica specifica, che
non si confonde con le altre. E' proprio, a esempio, della prima via l'insistere
sulla conoscenza intima di sé e della propria fragilità, sulla coscienza dei
propri peccati e del proprio disordine interiore, sugli atti e sullo spirito di
penitenza. Nella seconda via tutto ciò non è dimenticato, ma appare un po' sullo
sfondo, mentre il tema fondamentale è la "imitazione di Cristo". La
purificazione del cuore che prima veniva cercata mediante gli esercizi
penitenziali e i frequenti esami di coscienza, viene qui perseguita nell'unione
alle virtù di Cristo, entrando nel suo Cuore e lasciandosi condurre nella grazia
dello Spirito santo. Nel terzo gradino tutto Si semplifica nel sentimento
profondo della presenza e dell'azione dello Spirito santo nel nostro cuore. La
preghiera tende a diventare continua, la meditazione tende a trasformarsi in
semplice contemplazione o orazione di fede. Non tutti gli esercizi della vita
cristiana sono dunque adatti a tutti allo stesso modo e in ogni tempo. Ciascuno
deve conoscere il momento del suo cammino e insistere su ciò che più gli
conviene.
Non è possibile, anche se Dio può farlo nella sua libertà,
trascurare impunemente qualcuno di questi passaggi. La gradualità impone che non
si facciano salti pericolosi, trovandosi magari immersi nell'estasi
contemplativa (o creduta tale) mentre rimangono ancora gravi difetti e peccati
da estirpare nei meandri della coscienza.
11. Nella faticosa salita verso la montagna, che è spesso
usata come simbolo dell'itinerario cristiano, occorre tener conto esplicitamente
delle difficoltà. Esse sono anzitutto la paura di ciò che ci attende, da cui
deriva la voglia di evadere, il chiudere gli occhi per non vedere l'esigenza di
camminare oltre, il sedersi. All'estremo opposto stanno l'ingordigia,
l'impazienza e la fretta. Queste tre difficoltà fondamentali,--paura, evasione,
impazienza--sono un po' la radice di molte altre difficoltà. Esse bloccano
l'itinerario negando rispettivamente il futuro (la paura ci chiude alla
speranza), il presente (l'evasione non ci permette di considerare attentamente
il passo che stiamo facendo), e il passato (l'impazienza nega l'esperienza che
ci dice che abbiamo bisogno di tempi lunghi per arrivare là dove vorremmo). I
fallimenti educativi sono causati spesso da qualcuna di queste tre difficoltà,
che hanno poi ulteriori articolazioni ed espressioni proteiformi.
[103] 12. Di fronte alle difficoltà, sta la continua
misericordia di Dio. Perciò, condizione essenziale per percorrere un itinerario
è l'apertura alle sorprese di un Dio lungimirante, creativo, affettuoso,
misericordioso, e insieme esigente, ma sempre per il nostro bene. Il frutto
seminato nel campo rende molto più di quanto non ci si aspettava (cf Mc 4,
26-29). Dio offre continuamente la propria riconciliazione, rifacendoci meglio
di prima (cf Lc 15, 11-32). Così analogamente l'educatore educa lasciandosi
educare anche dalle resistenze e dai fallimenti suoi e altrui nei quali viene
messa alla prova, purificata e consolidata la fedeltà del suo amore.
[104] Come parola conclusiva rivolgiamo lo sguardo a Maria.
Essa è madre dell'educazione, colei che rende semplici gli itinerari
apparentemente più complessi, colei che fa sempre trovare il bandolo della
matassa, colei che permette di equilibrare le opposte tensioni. Maria dà al
cammino educativo il balsamo, la tenerezza, la compassione dolce e perseverante.
[105] Il possedere un itinerario è piuttosto motivo di danno
che non di vantaggio, quando ci compiacciamo di esso e, per così dire, ci
sediamo lungo il cammino contemplando la carta topografica e i segni che abbiamo
fatto su di essa, ma dimentichiamo di muoverci. E' più importante muoversi che
stendere un itinerario, anche se difficilmente chi non ha in mano l'itinerario
si muoverà secondo la via giusta Ma guai a colui che si fida del solo itinerario
o che si appoggia a un progetto ben fatto pensando così di aver riformato la sua
comunità o il suo gruppo.
Gli itinerari possono non essere dannosi, ma innocui e in
qualche maniera inutili quando, come già si è detto sopra, mancano del sale e
del lievito evangelico. Questo lo si verifica dove ci si accorge che un
determinato itinerario non morde, non suscita nessuna opposizione, non dà luogo
a nessun contrasto, viene accettato con placidità. Un vero itinerario deve
incidere in qualche modo nella coscienza di coloro che se lo propongono o di
coloro a cui viene proposto.
Sorge dunque la domanda su come verificare la fruttuosità di
un itinerario. La verifica è duplice: quella che si fa durante l'itinerario
stesso e quella che si fa al termine di una o più tappe del cammino.
La verifica che si fa durante l'itinerario stesso è quella
che lo ripensa continuamente alla luce dei criteri che abbiamo finora enunciato.
Un vero itinerario rivela il suo peso specifico quando, a una lettura attenta,
si manifesta come frutto di una profonda interiorità, dotato di flessibilità,
aperto all'accettazione del rischio, lontano da ogni pretesa perfezionistica.
Queste caratteristiche di ogni vero itinerario permettono già da una prima
lettura di verificarne la consistenza.
Naturalmente la verifica genuina è quella che si fa
regolarmente al termine di una o più tappe che ci siamo prefissi. Noi sfuggiamo
spesso, per pigrizia e per paura, a questa verifica. Abbiamo timore di guardare
in faccia alle nostre realizzazioni. Sappiamo che esse sono modeste, e che ci
indicheranno o che siamo stati pigri o che l'itinerario non era ben calcolato,
oppure, più frequentemente, tutte e due le cose.
Per questo è importantissimo, anche per una disciplina
interiore di gruppo, proporsi delle verifiche, e farle regolarmente. La lettera
Dio educa il suo popolo conteneva, al riguardo, alle pp. 82 e 87-92 alcune
semplici indicazioni.
Tali verifiche devono però tener conto della legge del
progresso spirituale. Non è dunque sufficiente fare verifiche quantitative, o
semplicemente attraverso i metodi delle indagini sociologiche. Queste possono
essere utili. Ma la verifica consiste soprattutto nel domandarci fino a che
punto abbiamo coscienza di aver raggiunto qualcuno degli scopi fondamentali che
l'itinerario si proponeva. Occorre pertanto interrogarci in un clima di
preghiera, fare degli attenti esami di coscienza, mettere insieme le riflessioni
che lo Spirito ci suggerisce, evitando in questi giudizi la fretta, la
casualità, il disfattismo, come pure al contrario gli occhi bendati, l'ottimismo
ingenuo, la volontà di accomodare tutto.
La sincerità di queste verifiche sarà anche un segno della
sincerità con cui l'itinerario è stato progettato e attuato.
Al termine vedremo che la bilancia pende sempre dalla parte
della misericordia di Dio. Abbiamo sempre molto da farci perdonare. Ma proprio
qui sta la molla che ci permette di ripartire. Poiché ci affidiamo alla
misericordia di Dio, possiamo ricominciare il nostro cammino verso Gerusalemme,
come il cieco di Gerico risanato (cf Mc 10, 46-52); possiamo riprendere il
nostro posto alla tavola di famiglia come il figliuol prodigo riammesso alla
gioia della casa paterna (cf Lc 15, 11-32).
[106] A questo punto avrei voluto aggiungere un ultimo breve
capitolo riguardante la "formazione dei formatori". Mi sembra infatti necessario
sottolineare che, per la costruzione di cammini formativi, occorre disporre di
buoni formatori, e che questi a loro volta devono essere formati. Tale urgenza è
già emersa nel corso della lettera, in particolare dove si è rilevata
l'importanza di una comunità di educatori, a esempio nell'oratorio. Mi limiterò,
nell'impossibilità di ulteriori elaborazioni, ad alcune sottolineature.
[106] 1. La formazione dei formatori è molto importante. Gesù
ha dedicato a essa buona parte della sua vita pubblica, soprattutto a partire
dalla confessione di Pietro a Cesarea (cf Mc 8, 27ss.). Non ha temuto di perdere
tempo stando a lungo con i discepoli al fine di formarli all'apostolato. Il suo
metodo si fondava sulla comunità di vita, sull'esempio, sulle conversazioni
occasionali, sulla risposta alle domande, su istruzioni espressamente
indirizzate a loro, sulla preghiera, sull'esortazione al perdono e alla stima
reciproci. Chi vuole formare formatori, deve anzitutto tenerseli vicini.
2. Il vangelo segnala anche quali devono essere le
caratteristiche fondamentali degli itinerari formativi dei formatori e dei
leaders. Le ricondurrei a tre principali.
a. I formatori alla fede e le guide responsabili della
comunità devono essere educati a un forte senso dell'insieme e della globalità
della vita cristiana. A loro infatti si chiede di darne testimonianza in modo
completo e di edificarla, con la grazia dello Spirito santo, in modo equilibrato
e oggettivo per tutti i fratelli, evitando di condizionare il proprio servizio a
scelte settoriali o a preferenze personali che risulterebbero inevitabilmente
selettive.
Tale apertura esige una profonda e personale familiarità con
Gesù e la sua parola (cf Gv 8, 3132), una coraggiosa perseveranza nelle prove (cf
Lc 22,28) e un'assidua sequela del Maestro per tutto l'arco della sua opera di
salvezza e della sua predicazione (cf At 1, 21-22).
I formatori quindi non hanno, a ben vedere, un itinerario
formativo a parte, con contenuti esclusivi: a essi si chiede di assimilare una
testimonianza e un messaggio che sono rivolti a tutti, ma con la diligenza e la
completezza richieste dal loro servizio nella comunità.
b. Chi è chiamato non solo a occuparsi della propria fede, ma
anche a farsi carico, in modo responsabile e impegnativo, della fede dei
fratelli e della crescita cristiana di intere comunità, non può accontentarsi di
un'adesione semplice e, per così dire, immediata alla rivelazione di Gesù. Dovrà
essere messo in grado di raggiungere una conveniente conoscenza riflessa e
critica dei contenuti della fede e una specifica capacità di maturo
discernimento spirituale e pastorale: cose queste necessarie per affiancare e
sostenere il cammino cristiano di chi, singolo o comunità, è in qualche modo
affidato alle sue cure.
c. Gli itinerari educativi dei formatori dovranno, infine,
aiutare a coltivare il senso dell'umiltà e la lucida percezione dei propri
limiti. Gesù ha dovuto spesso raccomandare queste virtù ai suoi più intimi
collaboratori, tentati di sentirsi superiori e di cercare l'affermazione di sé.
Una conoscenza profonda del Signore e una fede consapevole e matura non portano
mai all'arroganza e alla supponenza nei confronti dei fratelli; al contrario,
educano il cuore a un umile sentire di sé e di conseguenza predispongono al
servizio disinteressato di loro (cf Mc 10, 40-45)
3. Ho già detto che la formazione dei formatori non sembra
per sé sottostare a regole diverse da quelle espresse in generale per i cammini
educativi.
Ma la caratterizza il fatto che chi si forma come educatore
deve non soltanto compiere un cammino, ma prendere coscienza di compierlo: lo
deve saper leggere anzitutto in se stesso, discernendo, con una appropriata
introspezione, le tappe attraverso le quali lo Spirito santo lo conduce. Solo
chi è giunto a una matura autocoscienza del proprio cammino spirituale e
comunitario può tracciare con frutto itinerari per gli altri.
Come raggiungere una tale autocoscienza? Attraverso una certa
capacità di attenzione a se stessi, esercizi di concentrazione, colloqui
personali e di gruppo. Tutto questo può compiersi soprattutto in due contesti:
quello di Esercizi spirituali, fatti in un clima di silenzio e di vera preghiera
personale, con la guida di un direttore esperto; e quello di incontri speciali
per la formazione di educatori.
4. La nostra diocesi non manca di luoghi e strumenti
appositamente programmati per offrire itinerari formativi per formatori.
Devo ricordare anzitutto il Seminario, dove il Vescovo
raccoglie coloro che più intimamente condivideranno la sua sollecitudine e
responsabilità pastorali, e ne cura la formazione. A esso si affiancano la
preziosa opera educativa dell'ISMI per i preti più giovani e le varie iniziative
diocesane per la formazione permanente del clero.
[107] L'Azione Cattolica svolge, tra gli altri, anche il
compito specifico della formazione dei responsabili, sia per la guida
dell'associazione stessa, sia per i vari ministeri della collaborazione
pastorale. Sono ormai tradizione feconda e consolidata i corsi formativi tenuti
durante l'anno e le settimane di studio e aggiornamento per i giovani a S.
Caterina Valfurva e per gli adulti a Foppolo.
[108] Con molteplici iniziative curate con crescente spirito
di collaborazione dall'AC e dalla FOM, la diocesi offre appropriati itinerari
formativi per gli educatori e i responsabili dei nostri oratori.
Ricordo inoltre la preziosa opera svolta dalla Facoltà
Teologica dell'Italia Settentrionale, dall'Istituto Superiore di Scienze
Religiose, dall'Istituto di Pastorale Lombardo, come pure da altri centri
culturali presenti in diocesi.
Ricordo infine tutte le altre iniziative indirizzate alla
formazione dei responsabili svolte nella nostra diocesi dagli Istituti religiosi
maschili e femminili, che spesso esplicano in questo campo un'attività di grande
valore pedagogico e cristiano, e quelle promosse da movimenti, associazioni e
gruppi che contribuiscono validamente alla crescita di autentici formatori che
opereranno nel tessuto delle nostre comunità.
[109] 1. Adempimento fondamentale: ciascuna realtà educativa
(in particolare ogni parrocchia, oratorio, scuola cattolica, gruppo ecc.)
verifichi il proprio progetto educativo o lo costruisca per la prima volta.
All'inizio dell'anno pastorale si tratti il tema in ogni
Consiglio pastorale parrocchiale e si prevedano gli strumenti (a esempio
un'apposita commissione) e le tappe per giungere abbastanza presto a un primo
abbozzo di progetto.
Verso Pasqua si inviino gli abbozzi di progetto delle
parrocchie e degli oratori ai rispettivi Vicari Episcopali. Le realtà
associative di carattere diocesano potranno inviare i loro progetti
rispettivamente al Vicario per i Religiosi, se sono collegate con ordini o
congregazioni religiose, o al Vicario per l'apostolato dei laici; le scuole
cattoliche e in particolare i collegi arcivescovili faranno riferimento
all'ufficio per la pastorale scolastica.
Sarà così possibile verso il termine dell'anno pastorale una
valutazione dei cammini fatti e dei risultati raggiunti.
[110] 2. Le parrocchie, gli oratori, le associazioni, le
scuole catodiche, ecc. diano attenzione prioritaria, in tale progetto, all'età
che segue immediatamente la cresima. Con l'aiuto di quanto detto nella lettera
pastorale a questo proposito, stabiliscano le iniziative e le tappe per aiutare
il maggior numero di ragazzi a camminare verso la solenne professione di fede
con una preparazione adeguata. Si raccomanda in particolare agli oratori di
assegnare a ogni ragazzo/a nominatamente un educatore o educatrice che ne siano
come responsabili per il periodo di preparazione alla professione di fede.
3. Per i giovani si pensa di preparare, a livello diocesano,
un'assemblea che potrebbe svolgersi verso il termine dell'anno pastorale (a
esempio nel giugno 1989 ), e che potrebbe intitolarsi "Assemblea di Sichem", nel
ricordo dell'assemblea di rinnovazione dell'alleanza descritta dal libro di
Giosuè nel capitolo 24, che costituì un evento decisivo per la storia del
popolo. Tale assemblea, rappresentativa di tutte le realtà di base analogamente
a quella tenuta ad Assago sul "farsi prossimo", dovrebbe essere l'occasione per
esprimere l'alleanza missionaria dei giovani con Gesù Cristo Signore di questa
nostra terra, cultura e civiltà, in una rinnovata fedeltà a lui, tradotta in
atteggiamenti e iniziative proprie del mondo giovanile. Si daranno presto
ulteriori indicazioni al riguardo.
[111] 4. Per l'insieme della pastorale giovanile nella nostra
diocesi, giungono da molte parti sollecitazioni a mettere allo studio un piano
per una sua unificazione e razionalizzazione, sia a livello diocesano, che a
livello decanale e parrocchiale, al fine di infondere energia e vitalità a tale
azione pastorale usufruendo di tutto ciò che, tra i giovani, è oggi in diocesi
fermento vivo e genuino.
Nel corso dell'anno ho in animo di chiedere alla FOM, all'AC
e alle altre strutture diocesane interessate, la formulazione di proposte
motivate che consentano di arrivare entro breve tempo alla stesura di una
prospettiva pastorale unificata e dei relativi adeguati strumenti, sempre nel
rispetto delle diverse competenze ed esperienze.
5. Sempre durante quest'anno pastorale intendo concludere la
riflessione già avviata in vista della unificazione delle diverse scuole per la
preparazione degli operatori pastorali dei diversi settori (catechisti,
educatori, operatori della Caritas, della pastorale scolastica, familiare,
liturgica, missionaria, del lavoro, ecc. ).
Si tratta di scuole diverse da quelle lodevolmente in corso
di attuazione per la formazione all'impegno sociale e politico e che preparano
fedeli laici a servire con propria coerente responsabilità nelle strutture della
società civile.
Le scuole di cui sopra saranno invece specificamente
destinate a preparare operatori per la pastorale ecclesiale, valorizzando le
iniziative già esistenti in diversi decanati, ma razionalizzandole e
collegandole in un insieme organico.
[112] Caro/a...
[115] ti sarai accorto che, scrivendo questa lettera
pastorale, ho pensato costantemente a te. Oserei dire che la lettera me l'hai
ispirata tu, partecipandomi la tua sofferenza e le tue domande, che ho fatto mie
senza troppo sforzo perché anch'io nella mia vita mi sono sentito spesso un
"educatore fallito".
Conosco l'amarezza che si prova quando, dopo aver cercato di
donarti con onestà e generosità per la crescita di quelli che Dio ti ha affidato
(nonostante e attraverso tutti i tuoi limiti), ti sembra che tutto (o quasi) sia
stato inutile, perché essi se ne sono andati per la loro strada, a volte anche
compiendo scelte che ti hanno fatto molto soffrire e che più ancora--ti
sembra--fanno soffrire il cuore del Padre.
Arrivi a pensare che hai sbagliato tu e che-- avendo agito in
buona fede--continuerai ancora probabilmente a sbagliare con altri. Ti viene
allora la tentazione di fermarti, di rinunciare, di credere che il compito
educativo non è per te.
Ho pensato a quello che deve aver provato Gesù davanti al
tradimento di Giuda e al rinnegamento di Pietro: non ti nascondo che l'idea del
"fallimento educativo" di Dio mi ha come sollevato il cuore, riempiendolo di una
certa indicibile pace. Non che essa mi faccia avvertire di meno la serietà e la
tragicità del "fallimento": l'albero da cui Giuda pende impiccato resta
un'immagine infinitamente dolorosa e amara davanti alla quale non so che tacere.
Ma ho anche pensato a come il Risorto ha saputo integrare il fallimento nella
continuità e nella fedeltà dell'amore ai suoi "sino alla fine".
Mi è venuto in mente il dialogo tra Gesù e Pietro sulle rive
del lago di Tiberiade (cf Gv 21, 15-19): in quel momento l'itinerario educativo
portato avanti dal Signore nei confronti dei suoi era a una svolta decisiva. Il
ricordo, la nostalgia e anche la tristezza delle cose passate potevano
paralizzare i suoi, o aprirli a un nuovo, sorprendente inizio. E' allora che
Gesù mi sembra operare un salto che consente di fatto a Pietro e agli altri di
cominciare non soltanto "di nuovo" ma "in modo nuovo".
Rivolgendosi a Simone, Gesù gli chiede: "Mi ami tu più di
costoro?". Richiesta esorbitante non solo perché rivolta a chi aveva rinnegato
il suo Signore, non solo per quel curioso "più di costoro", ma anche e
specialmente perché Gesù usa il verbo agapào, che indica l'amore totale,
esclusivo, incondizionato. Pietro non osa rispondere con lo stesso verbo (forse
lo avrebbe fatto prima di conoscere l'amara esperienza del fallimento!):
risponde semplicemente e poveramente "Ti voglio bene", usando il verbo
dell'amore amicale, philéo.
Nella seconda domanda Gesù insiste con la richiesta
dell'amore totale: e Pietro insiste nella seconda risposta con l'offerta del suo
povero, umile amore.
Alla terza domanda e risposta non è Pietro che cambia il
verbo: è Gesù. "Simone di Giovanni, mi vuoi bene?"; e Pietro - sebbene
"addolorato che la terza volta gli dicesse: Mi vuoi bene?" (che fosse cioè Gesù
ad avere dovuto cambiare il verbo dell'amore) - gli risponde: "Signore, tu sai
tutto, tu sai che io ti voglio bene". Si potrebbe quasi dire che non è Pietro a
convertirsi a Gesù, ma è Gesù che si "converte" a Pietro, si adatta al suo
linguaggio e alle sue possibilità.
E' questa "conversione di Dio" che mi colpisce profondamente:
anche perché è a partire da essa che Gesù pronuncia l'imperativo nel quale
sbocca tutto l'itinerario educativo con cui aveva formato il suo apostolo:
"Seguimi!" (Gv 21,19). Il significato che colgo penso possa aiutare molto te e
me: Gesù ha integrato il fallimento di Simone e, in fondo, il suo personale
"fallimento educativo" perché ha molto amato: il suo amore è così totale da
essere libero da ogni pretesa, da non imporre all'altro un'esigenza avvertita
dall'altro come impossibile, da piegarsi sulla debolezza e povertà del suo
discepolo per dargli nuovamente la speranza di amare, la fiducia di poter ancora
dare tutto, fino alla fine.
Così dal fallimento è cominciata la storia nuova della
santità di Pietro, spinta fino al martirio, quando egli dirà, non più con le
parole, ma con il gesto della vita donata e con il silenzio eloquente della
morte, la parola dell'amore esclusivo e totale per il suo Signore. Non
assolutizzando il fallimento, non drammatizzandolo fino a negare la speranza,
Gesù ha saputo inglobarlo in un cammino di amore più grande, modificando forse
ai nostri occhi un progetto educativo, perché non si fermasse l'itinerario
educativo dell'imparare ad amare sino alla fine...
Che il Signore risorto, facendoci sperimentare questo suo
amore totale, aiuti a donarlo agli altri e a riprendere il cammino educativo che
ci ha affidato, senza soste, senza stanchezze.
+ Carlo Maria Card. Martini - Arcivescovo di Milano
8 settembre 1988 - Festa della Natività di Maria
8 settembre 1988 - Festa della Natività di Maria
Una delle immagini bibliche più suggestive che gli scrittori
sacri usano per esprimere l'amore paterno e materno di Dio per l'umanità è presa
proprio dalla vita infantile, dal legame che unisce i genitori al loro bambino.
"Quando Israele era un bambino, io l'ho amato e l'ho chiamato a uscire fuori
dall'Egitto perché era mio figlio... Gli ho insegnato a camminare, tenendolo per
mano. L'ho tenuto tra le mie braccia... L'ho attirato a me con affetto e amore.
Sono stato per lui come uno che solleva il suo bambino fino alla guancia. Mi
sono abbassato fino a lui per imboccarlo..." (Os 11, 1 ss.).
Questa descrizione mette in evidenza le esigenze specifiche
del momento educativo dell'infanzia, sottolineate anche oggi dagli esperti in
età evolutiva. Per il bambino: il sentirsi subito persona, piccolo uomo,
chiamato per nome, amato, figlio di un padre e di una madre, con tante
possibilità e capacità, non un numero, una cosa, un oggetto. Per i genitori: la
voglia di amarlo, di farlo uscire da dipendenze e da schiavitù alienanti, il
dargli sicurezza, l'introdurlo nella loro vita, l'abbassarsi a lui per
sollevarlo all'altezza della dignità umana, il nutrirlo con affetto e in
abbondanza, senza mai abbandonarlo anche quando sbaglia.
Partiamo di qui per alcune semplici riflessioni
sull'infanzia. Esse riguardano: l'importanza di questa fase, le finalità e le
modalità dell'azione educativa, con particolare attenzione all'educazione
religiosa.
L'importanza di questa fase. Il momento dell'infanzia è
estremamente importante per la crescita normale e lo sviluppo armonioso della
persona.
Paragonerei l'età infantile, quella dei primi tre anni di
vita, alle fondamenta di una casa: ne determinano le dimensioni, ne condizionano
la stabilità, il rapporto con il terreno e l'ambiente, la resistenza,
l'elasticità, lo stile.
Anche l'infanzia costituisce la base di ogni singola
personalità: contiene e determina il sé; condiziona lo sviluppo fisico e
psicologico, il carattere, le virtù, le debolezze e i limiti; predispone e
propone le mete umane; opera trasformazioni e modifiche biologiche e spirituali;
introduce per gradi nella vita comunitaria e nell'ambiente naturale.
In questa fase della vita una carenza affettivo-educativa e
la povertà umano-culturale creano nei bambini strutture psicologiche
difficilmente modificabili; li costringono a ritardi evolutivi, recuperabili
solo in parte e con grande fatica; li obbligano a un adattamento negativo, o
disadattamento, che causerà conseguenze rilevanti, come aggressività,
ribellione, infelicità, talora addirittura autismo.
Quante "fughe" di adolescenti hanno forse le loro radici in
ribellioni contro i "grandi" covate fin dalla prima infanzia, mai esplose prima
a causa di un carattere timido e introverso, ma che si manifestano non appena il
ragazzo conquista un po' di libertà e coscienza di sé!
Le finalità educative. Il bambino, nella fascia d'età che va
da 0 a 3 anni, deve essere sollecitato e aiutato a sviluppare pienamente il suo
potenziale intellettivo. Gli esperti ci ricordano che il cervello, in questo
periodo, si trasforma ogni volta che il bambino impara qualcosa di nuovo.
Il piccolo incomincia a fondare e costruire la sua identità,
a sperimentare l'individuazione e, nello stesso tempo, anche la sua diversità e
separazione dalla madre e dal mondo circostante, fino a raggiungere una certa
autonomia.
L'uscita dalla vita convissuta con la madre dovrebbe essere
accompagnata da segni e da gesti rassicuranti, ragionevoli, gioiosi e molto
affettuosi. In questo periodo ancora si crea e manifesta la sensibilità del
bambino che si esprime attraverso l'acquisizione dell'abilità corporea
(movimento), della comunicazione (linguaggio), della consapevolezza di sé e
degli altri (coscienza e orientamento). Il bambino nei primi tre anni di vita
mette le basi alla propria indipendenza, coscienza, autonomia, libertà,
affettività, socialità, religiosità; predetermina in un certo senso e in gran
parte tutta la sua vita. Ma è chiaro che ha un bisogno assoluto dei genitori, La
loro funzione non è sostituibile se non da autentici genitori psicologici.
Le modalità dell'operazione educativa. Il volto umano, in
particolare quello della madre, rappresenta per il piccolo la prima espressione
significativa capace di suscitare in lui sensazioni interiori, emozioni,
risposte: sorriso, agitazione, comunicazione.
L'affettività è il linguaggio dei bambini e il bambino non
sbaglia nella percezione dell'affettività dei suoi genitori; non si sbaglia nel
valutare il rapporto affettivo che intercorre tra padre e madre. Non lo si può
quindi ingannare, e di questo, alle volte, noi adulti ci dimentichiamo.
Kierkegaard ha messo in evidenza in maniera incisiva il
bisogno che il bambino ha del "sostegno affettivo" della madre, descrivendo il
momento in cui incomincia a camminare: "La madre affettuosa insegna al bambino a
camminare da solo. E' abbastanza lontana da lui da non poterlo sostenere
effettivamente, ma gli tende le braccia, imita i suoi movimenti, e se lui
traballa, si china dolcemente come per prenderlo, così che il bambino può
credere di non camminare da solo. E ancora fa di più. Il suo volto esprime
ricompensa e incoraggiamento. Così, il bambino, cammina da solo con gli occhi
fissi al volto della madre, e non alle difficoltà che incontra sulla strada. Si
sente sorretto dalle braccia che non lo sostengono, e costantemente cerca il
rifugio nell'abbraccio della madre, senza sapere che nel momento in cui
manifesta il bisogno che ha di lei, sta dimostrando di poter fare senza di lei,
perché sta camminando da solo" (cf S. Kierkegaard, Purezza del cuore, 1846.
Mentre la madre anaffettiva o distratta, insegna in altro modo e con ben altro
risultato: "in lei non c'è nessun segno d'incoraggiamento, nessuna approvazione
alla fine del percorso. C'è lo stesso desiderio di insegnare al bambino a
camminare da solo, ma non come la madre affettuosa. Per tale motivo, il bambino
è ora soffocato dalla paura. La paura lo opprime tanto da non permettergli di
andare avanti. Ha lo stesso desiderio di raggiungere la meta, ma la meta diviene
improvvisamente terrorizzante e impossibile" (ibidem).
La fiducia espressa dalla madre assicura al bambino che nella
vita ce la farà, riuscirà, e che riuscendo si sentirà un valore, proverà
piacere, ne scoprirà la bellezza. I primi passi di un bambino, insieme a un
atteggiamento positivo nei confronti del proprio corpo, alla scoperta della
madre, del padre, degli estranei, allo sviluppo del linguaggio, al desiderio di
stare insieme agli altri per essere osservato, accettato e amato, sono alcune
delle manifestazioni più importanti della sua nascita psicologica.
L'educazione religiosa. Il bambino durante la sua infanzia
non è certo capace di accogliere una catechesi verbale, né di aderire
coscientemente alla volontà del Signore. Eppure l'infanzia è un momento molto
adatto per sviluppare nella persona il senso religioso.
L'esperienza positiva dell'infanzia è importantissima e
indispensabile per interiorizzare, attraverso la via del cuore, i valori
fondamentali del vangelo di Gesù: la paternità di Dio provvidente, l'amicizia,
la fraternità universale, la fiducia, la speranza, I'amore gratuito, la
misericordia, la gioia. Mediatori e operatori privilegiati dell'educazione
religiosa dei bambini in questa fase sono sempre i genitori. Per i bambini, fino
ai tre anni almeno, mamma e papà sono il loro Dio, onnipotente e onnipresente;
sono coloro che possono modificare il loro stato di infelicità in benessere e
piacere. I genitori sono, come Dio, in grado di dare a loro tutto e, purtroppo,
anche di privarli di tutto.
I bambini imparano a conoscere il vero Dio e ad amarlo, non
tanto sentendone parlare, ma sperimentando nella loro vita l'amore,
manifestazione di Dio, mediante la famiglia e la comunità.
Un padre e una madre, se prendono coscienza del grande e
sacro mistero della vita che sta dentro il loro bambino, se si scoprono
collaboratori di Dio nel generare persone umane e nell'educarle fino alla
pienezza, se credono che Dio è veramente presente nei suoi figli anche se
piccolissimi e li ama di un amore divino, saranno veramente capaci di amare
gratuitamente i propri bambini alla maniera di Dio: senza egoismi, prepotenze,
strumentalizzazioni.
Così i genitori diventano segno di Dio Padre, quasi sua
immagine e sacramento vivente di Lui che vuole la salvezza e la piena felicità
di ogni persona. Sono come specchio che riflette la luce e il calore di Dio sui
bambini. Il Catechismo CEI dei fanciulli li aiuterà in questo loro compito.
Mi pongo alcune domande, senza volere né pretendere di dare
delle risposte: il ruolo del padre come "rivelatore di Dio" non è oggi spesso
carente? Non sono forse talora troppo assenti i papà nel periodo dell'infanzia,
specie per l'aspetto religioso? E nei "nidi" e nelle scuole infantili come
vivono i bambini: sono soddisfatti nei loro bisogni di affetto, di contatto, di
esperienza? I genitori, nell'affidare il loro bambino alle istituzioni,
avvertono di compiere una scelta non priva di conseguenze? Le scuole materne
sono sempre organizzate e condotte in funzione dei bambini di questa età (le
prime esperienze di separazione dalla famiglia e di vita sociale possono avere
una enorme incidenza nella formazione di una personalità)?
Cerchiamo di comprendere un'età tanto importante, ma anche
tanto difficile per l'educatore, evidenziandone i fenomeni più vistosi e
traendone alcune indicazioni operative.
La voglia di definirsi. I ragazzi, nella loro fase
adolescenziale, hanno bisogno di definire se stessi e di manifestare la loro
autonomia e individualità; sono spinti interiormente a mettere alla prova le
loro capacità. E questo non solo in un rapporto positivo con i propri genitori
ed educatori, ma anche "contro" di loro, in opposizione a essi. Hanno paura e
non accettano che educatori e genitori diventino i padroni assoluti e a vita
della loro personalità. Per sentirsi sicuri di essere se stessi, quelli che
credono e vogliono essere, gli adolescenti sono tentati di provare a essere
anche ciò che i genitori non vorrebbero che fossero: sono insomma spinti al
rifiuto di ogni modello di vita; il che porta alla definizione di uno stile
proprio.
L'adolescenza è l'età che mette in maggior risalto i
contrasti interiori della persona, i suoi bisogni ambivalenti e laceranti, le
crisi esistenziali. In ogni adolescente vi è un conflitto costante tra autonomia
e dipendenza, libertà e sottomissione, compagnia e solitudine, protagonismo e
marginalità, onnipotenza e impotenza, responsabilità e inconsapevolezza .
Le fughe. Da questa inevitabile crisi di crescita, che rende
difficile e dolorosa la vita non solo agli educatori ma soprattutto agli
adolescenti, spesso i ragazzi sono tentati di uscire attraverso la fuga: o una
fuga estroversa, da se stessi e dal loro ambiente, alla ricerca di nuove
situazioni e rapporti; o una fuga introversa, in se stessi, perdendo ogni
contatto con la realtà che li circonda e costruendosi un mondo interiore, per lo
più irreale, dentro il quale isolarsi.
Non sono poche oggi le fughe degli adolescenti: fuggono da
casa, dalla scuola, dal lavoro, dalla Chiesa, dalla politica, dal sociale e,
purtroppo, anche dalla vita. Per alcuni queste fughe perdurano nella giovinezza
e nella maturità, generando una condizione di devianza permanente che non
permette a essi il rientro nella comunità, né a questa di recuperarli.
La parabola del figliuol prodigo (Lc 15, 11-32) ci presenta i
comportamenti negativi e devianti di due figli. Il più giovane chiede al padre
quello che gli spetta e parte per un paese lontano. Il figlio maggiore, rimasto
in casa, non matura la coscienza di vivere con il padre e si chiude in se
stesso. Il primo ha cercato la libertà rompendo ogni legame e relazione con suo
padre; il secondo ha salvato la sottomissione, ma senza costruire né
comunicazione né comunione. L'uno e l'altro si portano dietro dappertutto i loro
conflitti interiori. Solo più tardi, almeno il più giovane scopre che la
soluzione è dentro di lui, e decide di tornare a casa per ricostruire il
rapporto giusto e amichevole con suo padre e con tutta la famiglia.
Ma da dove nasce un simile dissidio interiore
nell'adolescente? Quali sono le cause delle fughe?
La risposta non è unica. Data l'importanza dell'argomento,
distinguo due temi: le cause generali della fuga e il problema delle fughe dalla
Chiesa.
* Perché fuggono? Prima di tutto direi che la causa sta in un
disordine interiore, in una contrapposizione di desideri, in uno scontro di
ambizioni, in una disarmonia pro fonda tra forze spirituali contrarie,
costatabile in ogni persona a qualunque cultura e storia appartenga. Tutto
questo viene complicato e aggravato quando non si usa la ragione, non si ascolta
la coscienza, non si è aiutati dalle persone con le quali si vive, non si è
imparato a gestire la propria libertà nella comunità, si è "bombardati" dai
mass-media...
A ciò si aggiungono fattori famigliari, sociali e ambientali
che possono provocare ulteriori conflitti, con risonanze e ripercussioni
interiori che scatenano comportamenti di ribellione e situazioni devianti.
Capire le ragioni della fuga di un ragazzo è importante:
significa anche aiutarlo in maniera giusta a ritornare in sé e a casa.
Penso che un ragazzo in tali comportamenti tenda sempre a
realizzare qualcosa di buono in suo favore. A esempio:
- suscitare attenzione e interesse nei suoi confronti da
parte di chi gli sta vicino ma non si accorge di lui, né lo capisce;
- denunciare la povertà di comunicazioni significative e di
amore genuino della sua famiglia, della sua comunità, della società, e andare in
cerca di dialogo, di confronto e di affetto;
- ricercare la possibilità di essere qualcuno, di essere
padrone di qualcosa, di poter programmare e decidere, fare quello che vuole e
come vuole senza essere comandato da nessuno.
La fuga può anche essere una forma di punizione che il
ragazzo vuole infliggere ai genitori, educatori, superiori distratti, egoisti,
materialisti, prepotenti.
Come aiutare i ragazzi a non fuggire dai loro conflitti
interni e comunitari, ma a risolverli?
Non ci sono né ricette né formule magiche nell'arte di
educare.
E' certamente efficace e produttivo lo sforzo sincero,
amorevole, gratuito dei genitori e degli educatori di costruire con ogni singolo
adolescente rapporti personali e positivi, legami spirituali e affettivi,
relazioni significative e promozionali.
Bisogna rispettare veramente e profondamente il ragazzo:
accettarlo così com'è, con le sue qualità e i suoi limiti. Non bisogna solo
esigere rispetto ma anche darlo; e si può mancare di rispetto in tanti modi.
E' necessario stare in mezzo ai ragazzi, stare insieme a
loro, condividerne la vita, gli ideali, le fatiche, anche le sconfitte.
Dialogare con loro perché hanno bisogno di chi li ascolti con attenzione e
commozione, hanno bisogno di incontrare sì modelli di vita, ma anche compagni di
viaggio.
La correzione fraterna, quando è tale, è sempre accettata
anche dagli adolescenti, anzi richiesta se le maniere sono rivestite di umiltà,
pazienza e bontà. Con la correzione ci vogliono sempre l'incoraggiamento e la
consolazione.
Un grande amore evangelico resta il mezzo più valido per
evitare le fughe, superare le crisi, costruire comunione. Un amore paziente,
generoso, rispettoso, un amore che tutto scusa, di tutti ha fiducia, tutto
sopporta, non perde mai la speranza (cf 1 Cor 13).
* Perché tanti fuggono anche dalla Chiesa? Volendo ora
centrare l'obiettivo su "le fughe dalla Chiesa" domandiamoci: perché i ragazzi
adolescenti incominciano ad allontanarsi dalla pratica della fede? contestano la
dottrina ecclesiale? respingono la vita cristiana? giudicano infantile e
superato il vangelo e la sua morale?
Alcune risposte sono le stesse che abbiamo analizzato sopra.
Infatti, la fuga dalla religione è abbastanza connessa con quella dai genitori,
dagli insegnanti, da ogni autorità in genere. Si può però aggiungere qualche
risposta specifica e, meditando la parabola del seminatore (Mc 4, 1-20),
possiamo trovarne altre ancora.
Mi pare che gli adolescenti incomincino ad allontanarsi dalla
fede:
1. quando a essi manca una personale convinzione sui valori
(non sulle parole) cristiani e la conseguente assimilazione e identificazione;
con essi, cioè, non fanno corpo e le loro pratiche religiose non hanno anima, né
sono fondate su motivazioni reali, interiori. Quando il messaggio evangelico
resta pura espressione verbale e non vita, bisogna aspettarsi che prima o poi
svanisca;
2. perché attraverso le fasi educative precedenti non sono
arrivati alla effettiva conoscenza di Gesù vivo, persona risorta; nella fede e
nella carità non l'hanno incontrato realmente come amico, maestro di vita,
salvatore dal male. Noi, infatti, diventiamo credenti quando aderiamo in tutto a
Colui che ci parla, quando scopriamo che la sua Parola dà senso alla nostra vita
quotidiana e le sue promesse diventano nostra aspettativa e traguardo finale;
3. quando non li aiutiamo o, peggio ancora, non permettiamo a
essi di passare dalla vita di fede del fanciullo a quella dell'adolescente che
richiede più autonomia, indipendenza e libertà, ma anche più criticità,
coinvolgimento e responsabilità nella vita della comunità ecclesiale;
4. se è mancata a essi la possibilità di inserirsi e
identificarsi in un gruppo cristiano fortemente umano e socialmente impegnato,
coerente, motivato e vivo. Se rifiutano una certa autorità esterna, sono invece
alla ricerca del gruppo della compagnia che li valorizzi, li rassicuri ed
entusiasmi, nello stesso tempo vogliono e accettano le persone autorevoli del
gruppo;
5. se non hanno trovato maestri-amici, ma solo giudici
intransigenti, padroni competitivi. Quando non si dialoga si è incapaci di
vedere nella giusta dimensione e concretezza le crisi di fede, i problemi
sessuali, le dinamiche di relazione con gli adulti, le prospettive per il
futuro; di conseguenza le risposte sono vaghe ed evasive, non illuminanti, né
propositive, né confortanti. Non basta pretendere di educare e di guidare,
bisogna anche saperlo fare nella maniera giusta;
6. se è mancata la misericordia nei loro confronti nel
momento dello sbaglio e del peccato. Ci si deve preoccupare che il peccatore si
converta e viva per la vita eterna. Questa vita è un cammino con tante
difficoltà, stanchezze, ripensamenti..., ma la misericordia non si lascia mai
vincere dal male e per essa gli errori possono diventare strumento di bene e di
grazia;
7. anche la mancanza della visione globale della verità e
della vita cristiana può creare disorientamento e delusione e, di conseguenza,
fuga. Non ci si può perdere in formalità e cavilli: bisogna scoprire e far
scoprire la cattolicità del vangelo di Gesù.
Nella mia lettera pastorale Dio educa il suo popolo, parlando
della capacità di costruire itinerari per i soggetti da educare, sotto il titolo
della "gradualità", raccomandavo in particolare di saper partire sempre dal
punto in cui si trova il soggetto da educare e di individuare in ogni situazione
il passo successivo da compiere.
Trascrivo ora, sulla base di quanto mi è stato inviato, sette
obiettivi o mete parziali da tenere presenti nel costruire itinerari educativi
per ragazzi e ragazze delle scuole medie e superiori.
1. Aiutare l'adolescente a conoscere se stesso: sarà lui il
protagonista della sua realizzazione. Quindi sarà necessario portarlo a prendere
coscienza delle sue capacità, della sua personale ricchezza, della sua
originalità, attraverso la conoscenza di se stesso, una giusta valorizzazione e
un'adeguata stima. Egli necessita dunque della valorizzazione e della stima dei
genitori e degli educatori. Riesce molto difficile a un ragazzo crescere e
maturare senza la fiducia delle persone che contano per lui, vale a dire i
genitori e gli educatori.
Occorre anche educarlo all'uso del sacramento della penitenza
e della direzione spirituale come aiuto per la conoscenza di se stesso.
2. Conoscenza della realtà circostante ed educazione alla
sincerità: l'adolescente deve allargare la conoscenza da se stesso alla realtà
circostante: alla famiglia e ai valori di cui essa è portatrice; all'ambiente e
al suo contesto storico. Deve rendersi conto di partecipare a una storia che ha
coinvolto tante persone e che oggi chiama noi alla partecipazione e al
coinvolgimento. Questa acquisizione ha il suo prezzo nella sincerità con cui il
ragazzo "si dice" e si esprime nel suo ambiente.
3. Interpretare la realtà in cui siamo inseriti: questo
processo può essere paragonato al processo di orientamento fisico che si
sviluppa nei primi anni di vita. L'adolescente si trova circondato da molti
fenomeni oscuri e, dotato com'è di ragione, deve integrarli e correlarli in modo
da poterli comprendere e dominare col suo pensiero. Sente il bisogno di trovare
una chiave interpretativa della realtà circostante, del mondo. Se vive in un
contesto cristiano, la visione cristiana della vita, gli insegnamenti
evangelici, ecc., diventano la sua chiave interpretativa. Di qui l'importanza di
avviarlo a una lectio divina fin dalla prima adolescenza.
4. Educare al senso della verità, decodificando i vari
messaggi che provengono da tante agenzie di informazione e di "formazione". Un
tempo la famiglia e la scuola occupavano gran parte nella educazione di un
giovane. Oggi, il loro potere e il loro spazio sono notevolmente diminuiti.
Hanno preso il loro posto altre agenzie di informazione e di "formazione", quali
i mass-media, la pubblicità, la moda, la mentalità corrente, i coetanei, ecc.
con i loro messaggi fascinosi, suasivi, accattivanti, capaci di manipolare,
secondo i loro obiettivi, sentimenti, istinti, motivazioni.
E' sempre più necessario per la famiglia, la scuola e la
parrocchia stipulare quel "patto educativo" che solo può battere la concorrenza
spietata, spesso sleale, di questi altri canali di "formazione", per vaccinare
contro tante suggestioni, per rendere i giovani autonomi da ogni forma di
sudditanza e di dipendenza.
Genitori ed educatori devono aiutare i giovani a smascherare
con un'acuta coscienza di verità i tanti messaggi che ricevono da agenzie per
nulla preoccupate della loro formazione, ma mosse da altri intendimenti
(economici, politici, ecc . ).
Nell'ambito parrocchiale toccherà ai momenti di catechesi per
adolescenti, alle iniziative oratoriane e di gruppo, mettere sul tappeto i
principali problemi e aiutare a scioglierli. Il ragazzo deve capire che c'è una
verità, che l'uomo può scoprirla e accoglierla. Diventa così importante il
momento di catechesi con l'aiuto dei Catechismi CEI per gli adolescenti e, per i
problemi più complessi, del Catechismo dei giovani.
5. Educare alla libertà e alla lealtà. Un lento, ma graduale
processo di emancipazione deve rendere il giovane capace di conquistare una
libertà sempre maggiore. Occorre aiutarlo insomma a rendersi autonomo e a
gestire la propria libertà, a sviluppare le sue capacità critiche, a orientarsi
tra tante suggestioni, falsi miraggi e pseudo-valori. I mass-media con la loro
forza persuasiva, la droga con la sua azione distruttiva, alcuni gruppi con la
loro forza di massificazione e di deresponsabilizzazione, possono distruggere la
libertà di scelta prima che questa venga esercitata.
Compito degli educatori è facilitare tale processo, già di
per sé difficile, senza ricatti affettivi e senza creare ostacoli
insormontabili. Il ragazzo deve rendersi conto che per avere autonomia occorre
essere leali, stare ai patti, meritare fiducia.
Su questa strada, quella dell'educazione alla libertà, facile
sarà l'errore. Ma chi non ha sbagliato nella vita? chi non sbaglia? Come nello
sviluppo della scienza l'errore può risultare importante, così esso riveste nel
processo educativo un ruolo ugualmente significativo: può essere il momento
della riflessione, della correzione, del cambiamento, della conversione. Anche
qui dobbiamo imparare dalla saggezza di Dio che sa trarre il bene anche dal
male.
6. Educare a operare delle scelte e all'apertura vocazionale:
quando il giovane ha conquistato la sua autonomia deve dimostrare la maturità
raggiunta qualificandosi per le scelte che fa. Siamo tutti chiamati a operare
delle scelte: nel campo sociale, politico, culturale, religioso. Scelte che non
sono sempre definitive, ma che si ripropongono continuamente e che chiedono il
nostro assenso e il nostro coinvolgimento. Credere vuol dire impegnarsi. Se il
giovane crede in qualche valore, deve impegnarsi a realizzarlo.
E' poi particolarmente importante educare il giovane a
compiere delle scelte definitive nella vita. Una delle più grandi carenze dei
giovani d'oggi sembra essere quella di rimandare le scelte definitive così da
poter sempre fare "esperimenti" con la vita, con se stessi, con gli altri.
Questo atteggiamento denota una "fuga dalla libertà", porta alla banalizzazione
della vita. Occorre dunque valorizzare presto di fronte agli adolescenti le
grandi scelte qualificanti dell'esistenza: da una parte le diverse forme di vita
consacrata e il sacerdozio, dall'altra il matrimonio. Il giovane deve essere
abituato al discernimento per potersi buttare coraggiosamente, ma deve anche
comprendere che il ritardo in queste scelte può essere un segno fortemente
negativo.
Negli incontri con i gruppi giovanili vengo spesso
interrogato sul modo con cui riuscire a scoprire la propria vocazione.
Ordinariamente rispondo che uno dei modi più efficaci è quello di dedicarsi fin
dalla giovane età alla lectio divina: nella contemplazione del progetto di Dio
sull'umanità e nelle chiamate che Dio fa di tanti uomini a impegni definitivi
per il suo popolo, ciascuno sentirà lo stimolo a quella chiamata definitiva che
è destinata a caratterizzare il suo futuro.
Può talora succedere che anche impegni generosi di
volontariato (nella parrocchia, nell'oratorio, per servizi caritativi da noi o
in altre nazioni) nascondano il desiderio di rimandare una scelta, magari più
modesta e meno appariscente dal punto di vista esteriore, ma più impegnativa di
tutta l'esistenza.
Un'attenta direzione spirituale scoprirà questi pericoli e
aiuterà a evitarli.
7. Educare alla responsabilità: essere "responsabili"
significa essere pronti e capaci di "rispondere". La persona che ama risponde,
dice Erich Fromm. Caino non ama e non sa rispondere di suo fratello. Chi ama si
sente responsabile dei suoi simili, così come si sente responsabile di se
stesso. E' in grado di "rendere conto" a sé e agli altri di quello che vuole e
di quello che fa.
Nella consapevolezza che si tratta di un momento soltanto
della preparazione al matrimonio, e, ancor di più, nella certezza che esso non
va isolato dal cammino precedente e da quello successivo, propongo alcune
osservazioni fondamentali riguardanti il tempo del fidanzamento.
E' una fase molto importante nella vita di due giovani che
intendono unirsi in matrimonio, ma è anche un tempo che spesso rischia di essere
visto semplicemente come fase di passaggio senza un suo preciso significato che
non sia quello, appunto, di preparare ciò che serve per sposarsi; e, tra le cose
che servono, c'è anche la partecipazione a qualche incontro. Insieme è giusto
ricordare - come mi viene continuamente detto nelle visite alle parrocchie e
negli incontri con i sacerdoti e con altri operatori della pastorale familiare -
che i giovani che si incontrano nei cosiddetti "Corsi di preparazione al
matrimonio" si presentano con una diversissima storia anche in ordine al proprio
cammino di fede. Si va da coppie seriamente impegnate a giovani (e sono,
purtroppo, molto numerosi!) che da anni non vivono più un vero cammino di fede.
Da parte mia, per le coppie più sensibili e preparate, invito
a prendere in seria considerazione l'itinerario triennale che, da alcuni anni e
in tutte le zone pastorali, viene proposto dall'Azione Cattolica per i
fidanzati.
Più in generale, poi, vorrei richiamare alcuni punti da
tenere presenti.
La meta da raggiungere con la proposta di itinerari è quella
di offrire un aiuto alla coppia perché essa possa interrogarsi e verificarsi sul
proprio cammino in atto e sul progetto di coppia che intende costruire. In tal
modo lo stesso tempo del fidanzamento non è soltanto un momento di preparazione
a un futuro, ma diviene già e comunque tempo di fede, di grazia e di
responsabilità.
Gli itinerari--all'interno di una considerazione globale sui
valori e i contenuti della vita matrimoniale e familiare-- dovrebbero essere
particolarmente attenti ai problemi fondamentali che oggi si pongono ed emergono
di fronte alla vita di coppia. Tra questi, senza la pretesa di offrirne un
elenco completo, sono da tenere presenti: il significato del matrimonio, il suo
valore anche sociale e istituzionale, la sua pienezza di senso per la vita
dell'uomo, anche di fronte a tendenze, sempre più diffuse, a una sua
banalizzazione o a un suo "superamento" nelle convivenze di fatto e nei
tentativi di una loro legittimazione; il tema della fedeltà-definitività
dell'impegno e dell'amore soprattutto di fronte a fallimenti sempre più precoci
nell'esperienza delle giovani coppie; la verifica e, prima ancora, la messa a
tema della situazione religiosa e, più precisamente, del livello di fede dei
nubendi; la responsabilità che la vita matrimoniale porta ad assumere nei
confronti della storia e della società; il rapporto intrinseco del patto
matrimoniale con la trasmissione della vita; la dimensione della sacramentalità
del matrimonio, che ne costituisce la novità cristiana.
Ne conseguono alcuni criteri fondamentali di impostazione e,
correlativarnente, alcune tappe intermedie da percorrere lungo l'intero
itinerario. Tra queste: la verifica dell'attitudine da parte della coppia a
contrarre matrimonio e delle premesse necessarie per vivere la stessa esperienza
di fidanzamento prima e di matrimonio poi; la riscoperta del rimando religioso
presente nell'esperienza dell'amore e, insieme, dell'inveramento che la stessa
fede offre all'amore umano; la capacità di deprivatizzare il vissuto di coppia.
Ne possono così derivare alcuni nodi contenutistici tra i
quali: la riappropriazione del significato e della verità del proprio essere
persona, con tutte le connesse responsabilità, all'interno del rapporto che si
va istituendo; la riscoperta del Signore Gesù come senso della propria vita e
della stessa esperienza di coppia; la proposta dei compiti e delle
responsabilità della famiglia e delle condizioni concrete per realizzarli.
Occorre ricordare, inoltre, che questa formazione
diffcilmente può essere realizzata solo con una serie di conferenze.
Piuttosto--pur nella proposta completa e sistematica dei contenuti, dei valori e
delle mete--è necessario un metodo più coinvolgente e personalizzato. Di qui
l'importanza, anzitutto, di valorizzare il momento dell'accoglienza e del primo
approccio con la coppia: in esso occorre essere attenti a suscitare le domande
appropriate e a far emergere quelle presenti anche se nascoste, per
identificarle con precisione e offrire risposte adeguate. Insieme, potranno
essere utili gruppi ristretti di incontro, momenti di scambio, di verifica e di
confronto, spazi di preghiera e di condivisione; come pure è decisivo che l'équipe
educativa agisca in modo unitario e sia veramente capace di accompagnare.
Vorrei richiamare infine alcuni temi specifici che non vanno
trascurati in tale cammino di preparazione. Essi sono in particolare: 1)
l'educazione allo stile dei metodi naturali e alla loro pratica; 2) la
riscoperta del valore della vita e del senso della "procreazione" nella
consapevolezza che i figli sono il preziosissimo dono del matrimonio e che i
genitori, nella trasmissione della vita e nella sua educazione, sono cooperatori
di Dio creatore e quasi suoi interpreti (cf Gaudium et Spes, n. 50); 3) il
collegamento con la fase successiva alla celebrazione del matrimonio; 4) il
coinvolgimento dei genitori dei nubendi nella stessa preparazione al matrimonio.
Un itinerario di fede potrebbe essere così descritto: un
insieme di proposte pastorali caratterizzate dalla progressività e organicità,
finalizzate al sorgere e alla crescita della fede, mediante la
selezione-identificazione degli interventi di partenza, di medio percorso e
finali, nell'arco di un tempo prestabilito, con il confronto fra tutti gli
interessati al cammino di fede e la verifica al termine di un periodo in ordine
alla tappa successiva.
In genere si parla di itinerario di fede nell'ambito di un
gruppo, di cui il primo è quello parrocchiale. Si propone dunque in primo luogo
un itinerario di fede per tutta la comunità parrocchiale, nel contesto della
quale si situeranno gli eventuali itinerari per i singoli gruppi. La persona è
raggiunta nel contesto della sua parrocchia ed eventualmente del suo gruppo. I
cristiani che partecipano alla vita di gruppo sono nettamente in minoranza in
rapporto a quelli che pur prendendo seriamente la vita parrocchiale, non fanno
parte di un gruppo. Anche per questo motivo si impone la necessità di un
itinerario parrocchiale.
Queste note nascono dall'esperienza fatta in alcune
parrocchie sia di estrema periferia sia di città, in un arco di tempo
sufficiente per distinguere ciò che è valido e costruttivo da ciò che è
risultato negativo, superfluo o perfino dannoso.
Altre hanno fatto certamente esperienze diverse e proposto
itinerari ancora più stimolanti.
Non a tutte le parrocchie però sarà possibile mettere in
atto, con le sole proprie forze, le indicazioni che seguiranno: penso in
particolare alle circa 500 parrocchie piccole o medio-piccole. A queste
raccomando di studiare e attuare il modo opportuno di collegarsi con altre dello
stesso comune o decanato, così da poter provvedere, riunendo le forze, a una
programmazione che tenga conto almeno di alcuni degli elementi qui proposti.
Occorre partire dal fatto che la parrocchia è una porzione
della Chiesa diocesana. Ciò richiede anzitutto attenzione al piano pastorale e
al programma pastorale diocesano. Perché un itinerario sia educativo deve
infatti consentire l'inserimento di quanti lo vivono nelle realtà più vaste,
quali sono la diocesi, le zone pastorali, il decanato. Il rimanere legati a
esperienze che non si aprono a queste dimensioni impoverisce. Vi è infatti una
garanzia da dare a quanti si affidano a un'esperienza spirituale: rendere loro
presenti le linee portanti dell'educazione alla fede che valgono per l'intera
comunità.
Posta questa condizione di fondo un itinerario è
significativo nella misura in cui struttura Ia parrocchia e poi innerva la vita
pastorale. Il modo in cui si vive e si annuncia la fede viene compreso e, poco
per volta, chiarito da un lavoro unitario del presbiterio--in comunione con le
religiose addette alla parrocchia--e del Consiglio pastorale parrocchiale,
progressivamente messo in condizione di sviluppare il proprio dono di
discernimento. L'itinerario viene proposto sia nella predicazione, che si fa
attenta alla situazione concreta della comunità, sia negli incontri dei gruppi
che si assumono il servizio formativo all'interno della comunità.
Occorre cominciare rendendosi conto della situazione, che
spesso è segnata da freddezza di rapporti, da non conoscenza reciproca, da
casualità di incontri. Molti cristiani che frequentano una parrocchia cittadina,
infatti, vivono in quel determinato territorio come per caso e, certo, non per
scelta o per origine familiare.
E' necessario dunque partire cercando di sciogliere quanto sa
di gelo e di addolcire quanto sa di formale. Poiché prima di tutto vengono le
persone, occorre operare perché si sentano accolte, perché ci sia un clima di
fiducia e di apertura. Il Parroco e gli altri presbiteri devono essere esemplari
e propositivi al riguardo. Talvolta alcuni laici, che hanno continuato a
occuparsi della parrocchia anche là dove mancava un indirizzo di azione e i
rapporti restavano formali, si sono abituati a questo clima di rigidità e di
freddezza e sono divenuti meno sensibili su questi punti, mentre altri se ne
sono andati perché male impressionati appunto dalla disattenzione alle persone.
Prima di ogni altra cosa è dunque necessario sciogliere la
parrocchia, creare schiettezza, rapporti, dialogo, fraternità. E' un po' come il
primo innamoramento nella storia di una coppia: non è tutto, non regge all'usura
del tempo, ci può essere dell'ambiguità, ma è necessario. Così è di questo clima
di partenza per un itinerario: è un insieme di sensazioni positive che non sono
ancora la cordiale adesione, ma facilitano l'ascolto e la disponibilità a
divenire protagonisti in un cammino dove le proposte non facili verrebbero
aprioristicamente scartate proprio perché non provenienti da persone accolte,
amate, recepite come fratelli e guide.
La storia di una parrocchia incide moltissimo sulla sua
fisionomia spirituale e pastorale. Parrocchie molto vicine possono risultare
molto diversificate, per fattori molteplici. Ne scaturisce allora un primo
principio, che è quello di assumere come riferimento fondamentale il piano
pastorale diocesano chiedendosi: come fare per mettere la parrocchia al passo
con il cammino pastorale della Chiesa particolare?
Il confronto tra i primi cinque programmi pastorali
dell'Arcivescovo e la situazione concreta della parrocchia suggerirà soprattutto
a chi, come i Parroci novelli, intende iniziare con la comunità un cammino
pastorale organico, i primi passi da compiere in risposta a una identificazione
dello status della parrocchia che scaturisce dal predetto confronto. Il
programma (annuale o biennale) di una parrocchia, proprio perché costituisce la
concreta proposta di una organica itineranza di un determinato gruppo di fedeli,
non deve essere la fotografia in piccolo del programma diocesano, ma la sua
seria e concertata mediazione.
Prima di determinare in positivo i contenuti di un
itinerario, occorrerà guardarsi intorno per vedere come valorizzare ciò che già
esiste. Infatti la vita parrocchiale si compone di tante cose, grandi e piccole.
Parecchie di esse vengono eseguite per puro moto d'inerzia, a volte anche con
disinvoltura non priva di umorismo o con una certa sfiducia nel loro valore.
Tuttavia, quando si devono togliere i rami di un albero per favorire la
crescita, non si procede alla cieca, ma con criteri precisi. Così deve avvenire
in una parrocchia: nulla va buttato via, se non ciò che alla luce di una attenta
e condivisa riflessione non appare ricuperabile in un organico itinerario di
fede. Certi fattori della pratica pastorale, che da soli appaiono superflui e
inutili, possono ritrovare la loro utilità dentro un nuovo contesto se "rilucidati"
e sapientemente rimessi in circolo. Gli operatori pastorali e in particolare
colui che presiede la comunità come padre, cioè il Parroco, sanno trarre dal
tesoro della Chiesa nova et vetera e finalizzarli alla crescita della fede dei
singoli e della comunità.
Venendo ora ai contenuti positivi dell'itinerario occorre
anzitutto ricordare che non si può proporre simultaneamente e distesamente tutto
il messaggio cristiano o, meglio, che la stessa proposta cristiana deve essere
presentata da angolature differenti, che tengano conto sia della completezza
della proposta, sia della condizione della comunità. Il materiale più immediato
cui attingere per i contenuti di un itinerario annuale o biennale è costituito
dal magistero del Vescovo, in quanto già recepisce al suo interno ciò che viene
proposto a livello di Chiesa universale e di comunione ecclesiale sul territorio
nazionale o regionale.
In modo ancora più immediato possono costituire materiale per
l'itinerario quelle parti o quegli argomenti del Catechismo degli adulti che
vengono autorevolmente proposti per l'educazione alla fede nell'arco di un anno
pastorale. Questi argomenti non devono infatti costituire solo il tema delle
catechesi, ma possono entrare come contenuti per tutti i diversi interventi
pastorali.
Volgiamo ora però la nostra attenzione non tanto al programma
annuale o biennale ma all'itinerario inteso nella sua globalità.
Definirlo nei suoi contenuti non è individuare semplicemente
argomenti di catechesi, ma evidenziare aspetti essenziali della rivelazione
cristiana, che devono essere proposti a tutti e vanno inseriti in ciascuno degli
interventi del cammino che si è convenuto di realizzare.
Possiamo sintetizzare in due temi essenziali ciò che un
itinerario parrocchiale mira a proporre in stretta relazione con i temi delle
cinque lettere pastorali: Silenzio, Parola, Eucaristia, Missione, Carità:
a. Gesù Cristo diventato centro della vita del cristiano. Si
tratta di aiutare le persone a verificare come e a quali condizioni le loro
azioni sono "secondo Cristo". Occorre dunque che la coscienza del singolo
credente possa rispondere alla domanda: "Che cosa farebbe Gesù al mio posto?".
Per accogliere con sufficiente maturità la rivelazione di Gesù, centro della
fede, la parrocchia offre l'itinerario seguente.
1. Anzitutto insegna a pregare: non solo a recitare
preghiere, ma a sentire nella preghiera fatta insieme, ben ritmata da momenti di
silenzio, con opportuni inviti al raccoglimento, che pregare è "parlare con
Dio".
2. Educa a una confidenza nelle Scritture che diventi
familiarità con il testo sacro, capacità di pregare a partire anzitutto dai
vangeli.
3. Con scelte ben precise mostra che non basta credere con la
testa, ma che occorre accogliere l'invito del Signore alla sequela, costituendo
quindi la comunità.
4. Seguendo lo sviluppo della vita del singolo credente,
attraverso i sacramenti, dal nascere al morire, rende possibile a ciascuno il
far propri gli atteggiamenti di Gesù.
5. Assumendo il bisogno di senso della vita che la gente ha,
stimola ad assumere nella comunità la responsabilità della fede degli altri,
dando ciò che si è ricevuto, dicendo ciò che si è appreso, facendosi carico
della istituzione ecclesiastica.
b. La dedizione di se stesso al fratello, che è ciò che Gesù
ha chiesto ai suoi discepoli. La comunità parrocchiale invita a realizzare in
concreto la stessa dinamica di vita che apprendiamo dal Maestro.
Il dono di sé si attua come risposta alla conoscenza della
natura di Dio, così come Gesù ce la presenta. E criterio di questa risposta è la
dedizione fino al dono di sé. Il cristiano impara a liberare dal male ogni suo
fratello, e lo fa in termini cristiani quando questa liberazione è offerta senza
chiedere contropartite.
1. La vita sacramentale, e in particolare l'eucaristia, sono
vissute per lasciarsi investire dallo Spirito del Signore che è spirito di
dedizione e che è molto di più dell'appagamento derivante dalla coscienza di
aver fatto azioni buone. Inoltre, alla luce dei sacramenti, il cristiano
all'interno della comunità parrocchiale si impegna a non dire mai: "Non c'è più
nulla da fare!".
2. La carità verso chi si trova in situazione di sofferenza o
di povertà è offerta come un restituire speranza all'uomo, gratuitamente.
3. In parrocchia ci si educa ad accogliere il bene fatto da
ogni persona, memori del comportamento di Gesù verso chi fa miracoli "nel suo
Nome" senza essere "dei nostri".
4. La parrocchia è anche il luogo della fraternità, perché
l'amore di Dio ha suscitato in ciascuno dei membri che la compongono una
capacità di dono reciproco. La fraternità consente di vivere anche in situazioni
di estremo disagio, dal punto di vista del contesto umano che circonda la
comunità. Però la fraternità chiede di essere coltivata e chiede che ci siano
strutture adeguate a farla sussistere e a esprimerla.
5. Forma privilegiata della carità educativa della parrocchia
è l'oratorio, per il quale si rimanda a quanto detto nel cap. IV, B.
a. Fase preparatoria. Lo strumento più idoneo sembra essere
l'assemblea parrocchiale e il successivo e conseguente coinvolgimento del
Consiglio pastorale parrocchiale (CPP). A esempio, da Pasqua al 30 giugno
dell'anno precedente, attraverso il lavoro delle commissioni, il Consiglio
pastorale prepara il cammino dell'anno seguente. I vari gruppi e le commissioni
sono esortati a presentare il loro programma e le loro iniziative per l'anno che
viene. Nulla dovrebbe essere proposto all'ultimo momento sotto lo stimolo della
ricorrenza di calendario per colmare dei vuoti.
In luglio-agosto il Parroco esamina il materiale proposto e
compie il lavoro di rifinitura, di calibratura, stendendo il testo del
programma. In settembre, mentre la comunità si mette in cammino, viene steso
anche il calendario parrocchiale.
b. Soste settimanali, quindicinali, mensili, annuali. Così
possono venire qualificati gli incontri di catechesi, di preghiera, di
formazione alla carità attuati da gruppi all'interno della parrocchia
(educatori, san Vincenzo, oratorio, Terza età, gruppo malati, ecc.), oppure da
tutta la comunità parrocchiale.
In qualche parrocchia è stata sperimentata con frutto la
proposta di due soste mensili che danno la direzione del cammino, costituite
dalla catechesi e dalla lectio divina offerte a tutti. Nulla tolgono al primato
dell'eucaristia, ma danno il senso della marcia per tutto l'anno. La catechesi
per tutti viene tenuta in una domenica del mese, al pomeriggio, e registra
sempre grande affluenza di pubblico. Simultaneamente, in due luoghi distinti, i
genitori dei ragazzi della prima comunione e della confermazione hanno una loro
catechesi più kerigmatica, con facoltà, qualora lo desiderassero, di partecipare
alla catechesi generale. In quest'ultima, con stile semplice, vengono proposti
quei punti di dottrina che poi saranno ripresi negli altri interventi, quali le
omelie, le adorazioni, gli incontri di gruppo. Viene dato a tutti il testo .
La lectio divina per tutti si tiene nell'ultimo martedì del
mese, alle ore 10 per i pensionati, alle 18 in un momento forte per tutta la
comunità e alle 21 per i lavoratori. E' la seconda sosta mensile in cui tutta la
comunità si educa all'ascolto della Parola e alla preghiera, e alla quale sono
pure tenuti tutti i diversi gruppi parrocchiali. La scelta del libro biblico è
fatta in riferimento al programma diocesano e all'argomento della catechesi per
tutti.
c. I tempi liturgici: Avvento; Natale/Epifania; Quaresima;
Settimana santa/Pasqua; Santi e Morti. In queste occasioni si attuano: momenti
di preghiera per comprendere meglio la festività liturgica, la settimana di
Esercizi spirituali serali per la parrocchia, una catechesi mirata a una
maggiore comprensione del messaggio.
In particolare qualche parrocchia propone con frutto una
introduzione al cammino dell'Avvento e della Quaresima con un ritiro
penitenziale che comprende un primo turno per casalinghe e pensionati (ore 9:
lectio divina; ore 15: celebrazione penitenziale con confessione sacramentale) e
un secondo turno per lavoratori e studenti (ore 18: lectio divina; ore 21:
celebrazione penitenziale). Viene distribuito un sussidio per il cammino di
Avvento e di Quaresima che si ispira al testo biblico prescelto per la lectio
divina, e che presenta, oltre al brano biblico, una riflessione e un nutrito
questionario.
Oltre ai tempi liturgici, già indicati, sono pure importanti
le occasioni per la celebrazione comunitaria dei sacramenti dell'iniziazione.
La Messa di prima comunione coinvolge tutta la comunità,
perché avviene dopo la presentazione dei candidati, fatta in giorno domenicale,
e dopo la preparazione comunitaria attraverso una predicazione straordinaria
eucaristica (che può anche essere quella delle Quarantore). La cresima comprende
anch'essa la presentazione dei candidati e l'accoglienza fatta al Vescovo o al
suo rappresentante. Il battesimo e i matrimoni vengono preparati e accompagnati
dai gruppi familiari parrocchiali, che mostrano il volto di un'intera
parrocchia. Nei tempi forti si pongono anche alcune celebrazioni comunitarie
della riconciliazione.
d. Il vertice celebrativo della domenica e delle due veglie
(natalizia e pasquale). La domenica viene animata dai vari gruppi parrocchiali,
con riflessioni che riguardano l'impatto della Parola e del rito sulla vita
quotidiana. L'oratorio vivifica la domenica con le sue espressioni di festa. Il
vespero pomeridiano, celebrato in canto e con solennità, con qualche breve
introduzione ai salmi, dà il senso della preghiera della Chiesa.
L'omogeneità tra la celebrazione eucaristica e il progetto
globale viene sottolineata nella preghiera dei fedeli e nel l'omelia che fa
riferimento ai temi dell'anno, ed evidenziata dall'insistenza sul valore della
preghiera eucaristica e della epiclési.
Le due veglie annuali, di Natale e di Pasqua, costituiscono
due vertici del cammino: la veglia natalizia, attraverso un momento di ascolto
particolarmente attraente, presenta e sviluppa un tema legato all'itinerario;
quella pasquale, celebrata in tutto il suo rigore liturgico, durante la notte,
diventa la massima sosta celebrativa di una comunità in cammino.
e. I momenti devozionali. Ricordiamo: il primo venerdì del
mese; l'adorazione eucaristica mensile; la devozione mariana, nei mesi di maggio
e ottobre; la festa del Santo Patrono; le devozioni locali.
f. La ferialità. Messa quotidiana e breve riflessione sulla
Parola o momento di silenzio dopo il vangelo; Diurna Laus; occasioni di
direzione spirituale e di confessione; rosario.
E' importante proporre una ferialità senza monotonia. Così a
esempio in alcune grandi parrocchie la liturgia delle ore conosce lo stile
semplice e quello solenne, secondo i diversi giorni. Si celebra secondo la
verità del tempo (7.15: lodi; 8.15: terza; 17.40: vespri). Eccetto le lodi, la
si celebra staccata dall'eucaristia, per non omettere quotidianamente parti
importanti. In forma molto solenne si celebrano i primi vespri della domenica,
con buona partecipazione di popolo. Presbiterio, suore e un gruppo di laici alle
7.30 di ogni domenica cantano le lodi mattutine quale primizia della giornata
pasquale. L'eucaristia feriale è celebrata senza fretta, con l'omelia o con un
sostitutivo momento di silenzio con adeguata ministerialità laicale.
Ricordiamo anzitutto in sintesi:
a. Le giornate e i gesti concreti che le preparano e le
accompagnano: Giornata missionaria; Giornata della riconoscenza agli anziani;
Giornata del Seminario; Giornata della famiglia; Giornata dell'Università
Cattolica (scuola e cultura); ottavario di preghiera per l'unità dei cristiani;
Giornata della vita; dedicazione del Duomo (Giornata della diocesi); Giornate
della Carità (a esempio, all'inizio dell'inverno e dell'estate, per sostenere i
gruppi caritativi).
b. Gli impegni educativi della parrocchia: oratorio ed
eventuale scuola parrocchiale.
c. La dimensione caritativa: Caritas parrocchiale e diversi
gruppi di servizio caritativo.
Per non limitare le celebrazioni missionarie ed ecumeniche al
mese di ottobre o all'ottavario di preghiera per l'unità dei cristiani, si cerca
di vivere queste due dimensioni in alcuni momenti forti del cammino. Cosi, a
esempio, una parrocchia stabilisce che, in un determinato anno, l'aggiornamento
teologico dei catechisti è costituito da un corso di teologia ecumenica, mentre
le via crucis della Quaresima sono celebrate dal gruppo missionario che ha
lavorato sul documento CEI L'impegno missionario e le Chiese in Italia. Occorre
che missionarietà, ecumenismo e carità si fondano maggiormente con la
quotidianità pastorale. Infatti l'itinerario di fede di una comunità tende a
creare il cristiano adulto, cioè colui che a partire dalla Parola e dalla grazia
si dona ai fratelli nella Chiesa e nel mondo.
A modo di esempio si elencano sinteticamente alcuni ambiti in
cui coloro che accolgono la proposta pastorale trovano spazio sia per
addestrarsi nella vita di carità, sia per impegnarsi in modo stabile e duraturo:
* ambiti educativi della comunità: oratorio, scuola di
iniziazione cristiana; catechesi per gli adulti (genitori dei battezzandi,
candidati adulti alla cresima, ecc.);
* ambiti caritativi coordinati dalla Caritas: centro di
ascolto; conferenza di s. Vincenzo; gruppi di collaborazione con attività
caritative nella città;
* ambiti che fanno capo al centro culturale, coordinato,
attraverso uno statuto, alla vita pastorale della comunità e al suo
responsabile;
* ambito sociopolitico, con la partecipazione di alcuni
membri della parrocchia alle scuole diocesane;
* la realtà scolastica, con la sensibilizzazione dei genitori
e degli adolescenti che frequentano le diverse scuole;
* i gruppi operativi e formativi. Essi sono particolarmente
invitati alle soste mensili della catechesi e della lectio. Hanno inoltre
momenti di riunione particolare, in cui v'è anzitutto un tempo formativo, che fa
riferimento alla lettera pastorale in corso, letta e commentata nel contesto
della caratteristica del gruppo. Tra i gruppi formativi a livello adulto sono da
menzionare in particolare i gruppi familiari. Questi diversi gruppi sono il
serbatoio da cui provengono i catechisti per adulti (per i corsi
prematrimoniali, per i cresimandi adulti, per i genitori dei battezzandi).
Una verifica viene fatta da Pasqua al 30 giugno,
congiuntamente al lavoro di preparazione dell'anno seguente.
Occorre infine ricordare che una parrocchia, specialmente di
ceto borghese in una grande città, deve tener conto dell'esodo festivo ed
estivo. Non si può prescindere da tali fatti nella selezione dei tempi. Inoltre
il ritmo degli incontri per gli adulti non può ordinariamente, almeno nelle
parrocchie urbane, essere superiore alla frequenza settimanale o addirittura
quindicinale, per il carico di impegni che già affollano la giornata del
credente.
Anche se tutto quanto è stato detto può sembrare a prima
vista un po' ampio e ingombrante, l'esperienza mostra che attraverso la ripresa
annuale di un programma che mantiene una struttura sostanzialmente omogenea, da
una parte i punti fondamentali di esso vengono facilmente ritenuti e accolti
dalla maggioranza dei membri della comunità, dall'altra vengono a formarsi una
mentalità nuova, una reale tensione spirituale e una disponibilità più
consapevole presso molti parrocchiani.
1. Oratorio nella parrocchia
* Nella diocesi di Milano l'oratorio è - e deve rimanere -
espressione rilevante dell'impegno della comunità parrocchiale per dare
un'educazione cristiana ai ragazzi, agli adolescenti e ai giovani.
* Essendo una struttura educativa di base per tutta la
gioventù, maschile e femminile, l'oratorio è da privilegiare anche rispetto ad
altre pur necessarie iniziative.
2. Oratorio per 1a gioventù e con degli educatori
* Si deve attentamente e chiaramente salvaguardare il taglio
giovanile dell'oratorio anche là dove esso dovesse assumere, in qualche misura,
la fisionomia di Centro parrocchiale o familiare, evitando che l'oratorio venga
distolto dal suo fine proprio.
* Poiché la realtà educativa dell'oratorio è diretta
primariamente ai ragazzi, agli adolescenti e ai giovani, va prevista la presenza
animatrice degli adulti (sacerdoti assistenti, religiose, famiglie, educatori e
collaboratori vari).
Ciò è particolarmente necessario e urgente nelle numerose
parrocchie nelle quali vi è un solo sacerdote, e magari non più in giovane età.
* Per lo stesso motivo, giovani e ragazze--che si dimostrino
particolarmente disponibili--debbono essere considerati, con la loro freschezza
e la loro relativa libertà di tempo, preziosi testimoni e animatori di una
istituzione destinata alla gioventù.
* Perché il servizio alla gioventù risulti qualificato ed
efficace, si abbia una cura particolarissima per la formazione degli educatori.
3. Progetto educativo e vocazionale
* Con esplicita attenzione alle indicazioni pastorali che
l'Arcivescovo propone a tutta la diocesi, e anche con l'aiuto specifico della
Federazione Oratori Milanesi, gli oratori abbiano un progetto educativo
caratterizzato da scelte incisive di catechesi, preghiera, gesti caritativi,
attività culturali e ricreative.
* Il lavoro pedagogico svolto in oratorio faccia emergere in
ciascuno di coloro che lo frequentano la risposta alla chiamata di Dio alla
famiglia o alla consacrazione religiosa o al sacerdozio;
susciti anche vocazioni all'apostolato organizzato, in
particolare nell'Azione Cattolica, prevista e promossa in tutte le nostre
parrocchie;
risulti sostegno reale alla gioventù nel percorrere
l'itinerario della crescita fino alla maturità cristiana e all'inserimento
responsabile nella comunità adulta, con l'assunzione di impegni ecclesiali e
sociali.
4. Oratorio educativo e missionario
* Fedele alla sua identità di ambiente educativo cristiano,
l'oratorio sia aperto a tutti i ragazzi e ai giovani della parrocchia che
aderiscono alla proposta di percorrere un cammino cristiano.
* Tenuto conto della straordinaria importanza, per il cammino
educativo, del periodo che segue immediatamente la cresima, l'oratorio si faccia
carico di garantire a tutti i ragazzi, che ricevono questo sacramento, la
vicinanza di un educatore capace di accompagnarli personalmente.
* Nel rispetto di quanto detto fin qui, l'oratorio sia
missionariamente proteso ad accogliere chiunque sia in ricerca e a riaccogliere,
per una crescita, chi si era allontanato.
* L'oratorio si mostri pure capace, nelle persone dei
responsabili, di attenzione ai rapporti con le fondamentali realtà del
territorio.
5. Oratori distinti e misti
* Dove c'è la tradizione e permane la possibilità, si
coltivino e si sostengano, secondo le note indicazioni diocesane che vengono
ribadite, gli oratori maschili e femminili, distinti e collaboranti.
* Qualora fosse impossibile avere gli oratori distinti, il
programma dell'oratorio misto o unitario sia ben preciso e l'assistenza alle
attività sia particolarmente curata, così che venga effettivamente favorito un
valido risultato educativo.
* Anche negli oratori misti o unitari siano salvaguardati
momenti di distinto cammino educativo per i ragazzi e le ragazze.
6. La responsabilità dei presbiteri e il compito del
Seminario
* Grande è la responsabilità del sacerdote assistente perché,
pur in presenza di molte auspicabili collaborazioni, dalla sua saggezza e
dedizione dipendono, in gran parte, i risultati educativi di un oratorio.
* Resta perciò sempre necessario e importante che il
Seminario continui a infondere nei candidati al sacerdozio una vera cordialità
con la realtà oratoriana, letta e amata da ciascuno di loro, senza eccezioni,
come forma collaudata del "canone pastorale" ambrosiano.
* La responsabilità ultima, sia pastorale che amministrativa,
dell'oratorio è del Parroco. Egli sarà coadiuvato, oltre che dall'assistente e
dai suoi collaboratori laici, dagli altri presbiteri della parrocchia, dalle
religiose - al cui intervento dovrà essere garantito un consistente spazio - e dal
Consiglio pastorale parrocchiale.
7. Strutture
* Le strutture oratoriane siano proporzionate alla comunità
giovanile che ne fruisce e ai fini che si vogliono raggiungere.
Si evitino complessi eccessivi, per mole o per attività, che
snaturano l'oratorio, o troppo trascurati, che scoraggiano la frequenza della
gioventù.
* Si abbia una particolare attenzione perché la sede
dell'oratorio femminile risulti dignitosa e funzionale.
* L'eventuale stipula di convenzioni o contratti di gestione
delle attrezzature oratoriane avvenga con l'approvazione della competente
autorità diocesana.
In particolare, le società sportive che usufruiscono degli
spazi e delle attrezzature oratoriane rispettino sempre le esigenze e i ritmi
educativi dell'oratorio.
8. La diminuzione del clero giovane
* La diminuzione del clero giovane e il conseguente aumento
del numero delle parrocchie con il solo Parroco, suggeriscono, in qualche luogo,
la sperimentazione di figure di assistenti interparrocchiali o decanali, con
dipendenza canonica dal Decano o da un Parroco determinato.
* Ciò potrà avvenire attraverso appropriate convenzioni,
elaborate dal Vicario Episcopale di zona con il Decano e i Parroci interessati,
in modo tale che, anche in parrocchie prive di coadiutore, sia garantita la
presenza di un prete giovane, a tempi precisi e con un programma organico, per
l'animazione della gioventù.
* Sperimentazioni di questo genere, seriamente motivate,
potranno trovare positiva accoglienza da parte del clero superando qualche
comprensibile difficoltà iniziale.
9. Oratori e pastorale giovanile
* Poiché la pastorale giovanile in diocesi si esprime, oltre
che attraverso gli oratori, anche in altre forme aggregative, è utile e
importante tendere, nei modi e con gli strumenti più idonei, a un coordinamento
di tutte queste attività esistenti nella nostra Chiesa particolare, a partire
dall'ambito parrocchiale e decanale.
10. Federazione Oratori Milanesi (FOM)
La Federazione degli Oratori Milanesi cercherà di:
* immaginare e proporre le "forme" più valide di oratorio,
oggi, sul territorio della nostra diocesi, tenendo conto della varietà delle
situazioni;
* favorire, in un contatto costante con i Decani e i Vicari
Episcopali di zona, uno sforzo di coordinamento degli oratori esistenti in
diocesi;
* cooperare, in stretta intesa con l'Azione Cattolica, alla
formazione degli educatori;
* proporre iniziative concrete;
* fornire sussidi idonei;
* esprimere un parere sulla realizzazione delle strutture
oratoriane.
Riportando un'ipotesi di iter formativo per i tre anni della
scuola media inferiore, lascio la parola direttamente a coloro che hanno
elaborato il progetto.
"Abbiamo tentato di descrivere, a grandi linee, un iter
formativo nei tre anni della scuola media inferiore. Per ogni anno
specifichiamo:
- un titolo: il nucleo essenziale da svolgere
- i "nodi educativi": abbiamo condensato gli obiettivi
conoscitivi (ciò che sa), operativi (ciò che è in grado di fare) e
comportamentali (quali atteggiamenti vive).
1° anno. Titolo: Gesù detto il Cristo
I nodi educativi sono:
a) motivare la presenza del docente IRC spiegando a quali
interrogativi risponde la sua materia (chi è l'uomo? che senso ha la vita? ),
quali fonti valorizza (tradizione, Scrittura), quali fenomeni sociali studia,
con quale linguaggio si esprime. In questo contesto egli fa un primo accenno
alle grandi religioni. Mostra le costanti che esse hanno: rispondono ai quesiti
fondamentali; hanno libri sacri e templi; le loro credenze e i loro riti
incrociano il costume, l'arte, la letteratura;
b) iniziare a un primo accostamento alla Scrittura come testo
fondante dell'ebraismo e cristianesimo. Si racconta brevemente come è nata. Si
mostra che è parola di Dio, ma espressa in generi letterari umani, semiti; si
aiuta l'alunno a saper trovare i libri, i capitoli, i versetti; lo si educa a
collocare i fatti biblici nel tempo e nello spazio;
c) si racconta la storia di Israele; se ne presentano le
grandi convinzioni religiose. Dentro l'ambito del Giudaismo si fa emergere la
figura di Gesù. La si colloca bene nel tempo e nello spazio. Se ne ricostruisce
la storia (non la leggenda!) a partire anche da testimonianze extrabibliche. Si
racconta come nasce la fede in Lui. Si studia il testo di Marco. Si mostra poi
come la predicazione apostolica si incontra (e si scontra) con il Giudaismo,
l'Ellenismo, il paganesimo ufficiale e popolare... Si mostra come il "dirsi
cristiani" abbia, come esito, delle precise scelte nella quotidianità.
2° anno. Titolo: La Chiesa lungo la storia I nodi educativi
sono:
a) lo studio e la comprensione degli Atti degli Apostoli (la
sua prospettiva, il contesto vivo in cui nasce, i criteri che Luca pone per
valutare poi la fedeltà della Chiesa di tutti i tempi alle sue origini: lo
Spirito, la Pasqua di Cristo, il progetto di Dio, la Parola, l'eucaristia...);
b) la storia della Chiesa fatta o per grandi figure
(Benedetto, Francesco, Lutero...) o per filoni (rapporto con lo Stato,
l'iniziazione cristiana, i concili e i movimenti popolari...). E' indispensabile
l'apporto dei colleghi di arte, storia ed educazione musicale;
c) il significato antropologico dei gesti della comunità
cristiana (quale uomo nasce nel battesimo, quale persona emerge
dall'eucaristia?...). Si evidenzia come la rivelazione cristiana sia importante
per passare dall'io al noi, per acquisire una più precisa coscienza di sé dentro
e mediante una comunità. Si nota, a questo proposito, come talvolta manchi, nel
territorio, una reale comunità cristiana, che esprima visibilmente e
induttivamente questi valori;
d) il motivare, al livello più profondo, la crescita
genitale-sessuale, il rapportare la sessualità all'amore, alla donazione
interpersonale. E' molto opportuna la collaborazione del collega di educazione
scientifica che svolge, nel II anno, il corpo umano.
3° anno: Titolo: Progetto ti vita I nodi educativi sono:
a) concorrere alla finalità dell'orientamento indicando la
strada di un'autentica riuscita della persona, di una responsabilità verso di
sé, i propri simili, l'universo stesso;
b) aiutare e corredare i testi biblici (Gn 1; Es 20; Mt 5-7)
con i valori etici per mostrare quanto la rivelazione cristiana li fondi, li
renda stabili e universali; in questo contesto si evidenzia il valore che ha
ogni legge positiva (in particolare i documenti dell'ONU, di Helsinki, i primi
11 articoli della Costituzione Italiana) in ordine a un progetto di società, di
convivenza civile;
c) riprendere in modo più approfondito (in collaborazione con
il collega di geografia) il tema delle grandi religioni. Mostrare la specificità
del cristianesimo, ad esempio sul rapporto Dio-mondo, vita presente e vita
futura, modo di vedere il prossimo...
Le strade percorribili sono tante:
-approfondire l'interrogativo "chi sono io?", in base a ciò
che si è capito nei tre anni, ai testi biblici o giuridici: sono essere corporeo
rivolto agli altri, vivente dentro un universo di cui sono corresponsabile.
Come mi realizzo se cammino "da solo"? come mi realizzo se
accolgo la "compagnia del Dio di Gesù"?;
- porsi in modo avvertito e critico di fronte ai vari modelli
di maschio o di donna presenti, a esempio, nei proverbi popolari, nella
pubblicità...: verificarne la vivibilità e validità alla luce della Scrittura,
della nostra tradizione culturale, della Costituzione italiana;
- partire da tematiche di attualità (amicizia, pace,
libertà...): ordinare le varie "accezioni" a partire da quelle più banali (a
esempio, il termine "amore" è svalutato); indicare qualche testo poetico;
mostrarne l'ampiezza nel l'orizzonte della Scrittura. Sul tema lavoro si possono
ottimamente valorizzare le encicliche papali (quando sono state scritte? a quali
interrogativi rispondono? che orizzonti aprono?...).
E' noto che anche nella nostra diocesi, almeno il 50% dei
ragazzi non inizia e soprattutto non termina il ciclo della scuola
media-superiore. Questa massa giovanile fa più fatica a inserirsi negli oratori.
Talora è ignorata e, praticamente, emarginata da un tipo di proposta che rischia
di privilegiare, soprattutto col linguaggio, gli studenti.
Il loro bisogno di crescita è inconscio o inespresso, ma
certamente corredato da ricche potenzialità. Al presente la pastorale del lavoro
propone a]cune esperienze educative per tali giovani, tenendo come asse centrale
di questa esperienza il cammino di aggregazione come condizione per una proposta
educativa. Il gruppo, o il tentativo di fare un gruppo, permette un salto di
qualità: il passaggio dalla disgregazione al riferimento, dalla spontaneità
casuale a un grado maggiore di intenzionalità. A mano a mano che il gruppo
prende fisionomia, esso diventa gruppo di appartenenza. Così sentendosi a loro
agio, i giovani e le giovani iniziano a parlare dei loro problemi più pressanti
(lavoro, precarietà, l'essere casalinghe...), emergono i condizionamenti
culturali, si scoprono i valori legati alla relazione interpersonale, si
consolidano le provocazioni a reagire per uscire dalle situazioni negative, si
prende coscienza della propria dignità e potenzialità.
Da questo punto iniziale, l'itinerario di fede ha un suo
sviluppo attraverso la testimonianza silenziosa ma chiara e provocatoria
dell'educatore, I'esperienza di riflessione e azione a riguardo di un aspetto
religioso della vita e soprattutto l'attenzione all'esperienza umana di Gesù,
fino ad arrivare pazientemente alla pienezza del mistero cristiano.
Il metodo educativo per attivare la progressione verso un
progetto globale di vita è fondato sulla coscientizzazione attraverso il vedere
e il valutare. Vedere e valutare insieme le trasformazioni del proprio tempo,
nella loro dimensione strutturale, antropologica, sociologica, psicologica,
etica e religiosa. Gli atteggiamenti interiori che vengono così fatti maturare e
le iniziative che accompagnano questo sforzo (inchieste, campagne di azione,
proposte di obiettivi concreti, sul tempo libero, la disoccupazione,
l'apprendistato...), configurano sempre più chiaramente un processo educativo
che si esprime in una "liberazione dal lavoro", "che assume i bisogni più
profondi", "spinta da valori forti", "illuminata e fondata dalla fede".
1) Nella lettera pastorale In principio, la Parola accennavo
a parrocchie "mute, impotenti e impaurite" di fronte alle istanze sociali
(cf
parte V, n. 1). E in Farsi prossimo traducevo il "passò oltre" della parabola in
termini di fretta, paura e alibi che impediscono alle comunità cristiane il
servizio della carità sociale verso le nuove e complesse forme attuali di
povertà.
In molti casi, i modelli che regolano l'azione pastorale sono
inadeguati per una società onnicomprensivamente chiamata industriale o
post-industriale, in cui i problemi del lavoro sono al centro delle
preoccupazioni familiari.
Del resto, le comunità cristiane sono composte quasi
totalmente da persone che lavorano o chiedono lavoro o vivono dei frutti del
proprio lavoro. Per questo i gruppi locali della pastorale del lavoro sono stati
pensati come antenne ricetrasmittenti tra Chiesa e mondo del lavoro. Sono
composti da lavoratori di ogni categoria che, nella esperienza del gruppo,
cercano una maturazione verso la fede adulta, col duplice scopo di testimoniarla
nei luoghi di lavoro e di aiutare le comunità cristiane a evangelizzare gli
uomini del lavoro. La collocazione ideale di questi gruppi è all'interno dei
Consigli pastorali parrocchiali o decanali, quali "commissioni per il lavoro".
2) L'itinerario educativo proposto ai lavoratori del gruppo
attraversa i temi dei Programmi pastorali diocesani con una specifica attenzione
alle nuove esigenze di solidarietà, espresse dal mondo del lavoro o annualmente
sottolineate dalla Giornata della solidarietà. Il "Foglio" di collegamento tra i
gruppi aiuta questa traduzione con schemi mensili di catechesi per adulti.
3) Le evidenze educative in questo cammino ci sembrano:
* il gruppo come mondo vitale e soggetto educativo nella
integrazione persona-comunità;
* il gruppo come interlocutore pastorale, capace di
responsabilità nella parrocchia e verso la società civile;
* capacità di progressione e gradualità, attraverso tappe
intermedie, verso il progetto espresso dalla teologia conciliare per
l'apostolato dei laici a partire dal Battesimo (pari dignità, pari vocazione
alla santità, corresponsabilità pastorale nell'unica missione della Chiesa,
impegno specifico verso le realtà terrestri);
* fedeltà al contesto storico dell'attuale trasformazione
sociale;
* riproposizione dell'atteggiamento di Gesù verso i più
poveri;
* riconciliazione della comunità cristiana col mondo del
lavoro.
4) Metodo usato nell'itinerario educativo: il discernimento
spirituale e pastorale fatto in comune attraverso l'analisi della situazione, la
riflessione alla luce della Rivelazione (parola di Dio e tradizione ecclesiale)
e individuazione di scelte operative.
Tre testimonianze del magistero ecclesiastico suggeriscono
l'importanza di gruppi cristiani nei diversi ambienti di lavoro: "I primi e
immediati apostoli degli operai sono gli operai" (Pio XI, nella enciclica
Quadragesimo Anno, 60); "I laici sono soprattutto chiamati a rendere presente e
operante la Chiesa in quei luoghi e in quelle circostanze in cui essa non può
diventare "sale della terra" se non per mezzo loro" (Lumen
Gentium, 33); "E'
necessario che la Chiesa sia presente in questi raggruppamenti umani per mezzo
dei suoi figli che vivono in mezzo a essi... Ma perché possano dare utilmente
questa testimonianza, debbono stringere rapporti di stima e di amore con questi
uomini, e dimostrarsi membra vive di quel gruppo umano, in mezzo a cui vivono"
(Ad Gentes, 11 ) .
L'idea forza che innerva l'itinerario di questi gruppi è
quella di testimoniare una fede adulta al banco di lavoro, operando dal di
dentro e dal basso in questo cuore della società industriale.
Anche qui il metodo è quello del discernimento in comune a
livello spirituale, pastorale e politico, nella progressione dei tre momenti:
analitico - meditativo - decisionale. Garanzia della fruttuosità è ritenuta da
tutti non il crescente peso di autorevolezza, ma la seria alimentazione
spirituale.
Punti nodali della proposta educativa sono:
* la responsabilità derivata dall'essere punto di riferimento
nei momenti critici dell'ambiente, sia per i cristiani che per altri uomini di
buona volontà;
* la continua autocorrezione nel gruppo e la capacità di
indignarsi di fronte alle violazioni della dignità umana;
* l'attenzione costante ai soggetti deboli;
* il ricupero di significato nel lavoro;
* la qualificazione metodologica nelle indagini e negli
interventi;
* il profilarsi di un quadro vocazionale per un ministero
laicale nel luogo di lavoro;
* il ritorno nelle proprie parrocchie col gusto della
partecipazione pastorale.