venerdì 31 agosto 2012

Martini: Lettere Pastorali - "Sulla Tua Parola" (2002)


"Sulla tua parola"
Dal vangelo secondo Luca (cap. 5,1-11)
1Un giorno, mentre, levato in piedi, stava presso il lago di Genèsaret 2 e la folla gli faceva ressa intorno per ascoltare la parola di Dio, vide due barche ormeggiate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti.3Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedutosi, si mise ad ammaestrare le folle dalla barca. 4Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e calate le reti per la pesca». 5Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». 6E avendolo fatto, presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano. 7Allora fecero cenno ai compagni dell'altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche al punto che quasi affondavano. 8Al veder questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontanati da me che sono un peccatore». 9Grande stupore infatti aveva preso lui e tutti quelli che erano insieme con lui per la pesca che avevano fatto; 10così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini». 11Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.
Ho scelto di aprire la mia lettera pastorale per l’anno 2001-2002 con questo brano di Luca per una doppia ragione: anzitutto perché vi si ispira Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica sul terzo millennio, intitolata Novo Millennio Ineunte (6 gennaio 2001); e poi perché era il testo proposto dalla liturgia (V.a domenica del tempo ordinario, anno C) nel giorno del mio ingresso in diocesi (10 febbraio 1980). Su questa pagina evangelica tenni la mia prima omelia in Duomo come Arcivescovo di Milano.
Da questo testo il santo Padre trae spunto per stimolare la Chiesa, che ha celebrato il grande evento di grazia del Giubileo, a guardare avanti. "Duc in altum", "Prendi il largo" (Lc 5,4; cfr. NMI, nn. 1; 15; 56) - è l’invito potente che il Signore ci rivolge attraverso il Papa perché affrontiamo coraggiosamente le sfide dell’evangelizzazione nel terzo millennio appena iniziato e facciamo così fruttificare i tanti doni riversati nei nostri cuori durante l’Anno santo, nella memoria viva dei duemila anni dall’Incarnazione del Figlio di Dio.
Lungi dall’essere segnato dalla nostalgia o dallo sguardo rivolto solo al passato, il tempo che stiamo vivendo è proiettato verso le grandi responsabilità che ci attendono, verso l’avventura gioiosa di calare ancora le reti per la pesca e di sperimentare, come e più che nei due millenni trascorsi, la potenza della parola di Dio. Siamo chiamati a ricominciare dalla Parola, a giocare su di essa tutta la nostra vita di singoli e di Chiesa: "sulla tua parola getterò le reti" (Lc 5,5). Siamo certi che il Signore saprà ancora stupirci con la sua fedeltà e con le sue sorprese.
Per quanto mi riguarda personalmente, risento, pensando al testo di Lc 5,1-11, le profonde emozioni che provai commentandolo nel giorno del mio ingresso a Milano. Mi riconoscevo nella confessione di Pietro: "Signore, allontanati da me che sono un peccatore" (Lc 5,8); sperimentavo infatti un senso di indegnità e di confusione, percepivo tutta la mia fragilità e inadeguatezza, ma insieme nutrivo la fiducia che Dio non avrebbe abbandonato il suo discepolo. Avvertivo mie le parole di Isaia - ascoltate nella prima lettura di quella stessa Messa -: "Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono!" (Is 6,5), parole così vicine alla dichiarazione di Pietro. Percepivo tuttavia nella profondità del mio cuore che Gesù stava dicendo proprio a me, in modo nuovo, le parole rivolte a Pietro: "Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini" (Lc 5,10). A distanza di oltre vent’anni avverto il bisogno profondo di ringraziare Dio perché la promessa è stata mantenuta al di là di ogni mia attesa.
Rileggendo oggi lo stesso testo non posso far a meno di sottolineare altre parole, altri sensi ora eloquenti per me. In particolare, avverto - anche grazie all’invito del Papa - tutta l’intensità di quel comando: Prendi il largo (Lc 5,4). Lo sguardo va in avanti, come in un rinnovato bisogno di slancio, di missione, di impegno. E vorrei che questa lettera fosse un forte invito a guardare oltre: questo non è tempo di bilanci, ma di attenzione più profonda alla parola e alla promessa di Dio. E’ tempo di ascoltare ciò che il Signore dice alla nostra Chiesa, è tempo di fidarsi e gettare le reti al largo (cfr. sotto, n. 1).
Insieme, però, sento mie la meraviglia e la sorpresa di Pietro davanti ai prodigi compiuti dal Signore nel cammino ventennale fatto con voi. Il suo grande stupore (Lc 5,9) è il mio davanti alla pesca che il Dio vivo ci ha concesso di fare. E lo stupore si fa lode, ringraziamento, memoria riconoscente, suscita una vera e propria confessio laudis (cfr. sotto, n. 2).
Ma faccio mie anche le parole umili dell’apostolo che bene esprimono le mie inadeguatezze e le mie frustrazioni: Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla (Lc 5,5.8)...Signore, allontanati da me che sono un peccatore. Nasce dal di dentro l’urgenza di una confessio vitae che riconosce le inadempienze e le lentezze del cammino (cfr. sotto, n. 3).
Mentre il tragitto percorso torna nella mente e nel cuore - e grande è il bisogno di ringraziare, viva è la coscienza di quanto avrei potuto fare e non ho fatto -, la mia prima e ultima parola continua a essere, oggi come allora, quella di Pietro: Sulla tua parola getterò le reti (Lc 5,5). È la mia confessio fidei. Dalla Parola tutto è partito: dalla Parola vorrei ricominciare (cfr. sotto, n. 4).
I singoli capitoli di questa mia lettera si richiamano successivamente a queste parole evangeliche, sintesi di un vissuto che vorrei rileggere davanti a Dio in vista del futuro che ci attende.
1. "Prendi il largo!" (Lc 5,4) ripartiamo dalla Parola
Nell’ultima pagina della lettera pastorale dello scorso anno, La Madonna del Sabato santo, avevo chiesto la collaborazione dei lettori per rispondere alle domande: che cosa ci ha aiutato in questi anni a camminare e crescere nell’amore del Padre, nella grazia del Cristo e nella comunione dello Spirito santo? che cosa resta vivo e vivificante dei due decenni di strada percorsa insieme? che cosa lo Spirito ha detto in questo spazio di tempo alla nostra Chiesa milanese?
Sono state tante le risposte ricevute, al di là delle mie attese. A ciascuno esprimo di nuovo la gratitudine per avermi aiutato a rileggere nella fede il tratto di storia che abbiamo vissuto.
Mi è difficile tentare una sintesi del contenuto delle lettere, ma c’è un denominatore comune, che mi ha dato particolare consolazione: quasi tutti hanno colto con evidenza che il centro e il cuore del nostro cammino comune, la sorgente viva da cui abbiamo sempre attinto è la parola di Dio. Ciò che veramente conta è ascoltarla, obbedirle, farsene discepoli, essere credenti.
E poiché Dio non cessa di parlare alla Chiesa e alla storia, lo sguardo rivolto alla strada percorsa sin qui a partire dalla Parola si volge immediatamente in avanti, verso un ascolto rinnovato del Signore che parla, verso un rinnovato slancio nel servizio alla causa della sua Parola nella quale siamo stati creati (Gv 1,1-3) e dalla quale siamo stati inviati come discepoli alla comunità degli uomini (cfr. Mt 10,16; 28,19s). Il grande soffio che ci raggiunge attraverso la Parola è dunque il soffio dello Spirito che spinge le vele della barca della Chiesa al largo dei mari della storia infondendo forza e coraggio per guardare avanti e sognare il domani preparato da Dio per noi.
Accogliamo perciò con gioia l’invito della Novo Millennio Ineunte - fatto proprio anche dagli Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il primo decennio del 2000: Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia (29 giugno 2001) - a un atteggiamento di apertura al futuro. La tentazione di guardare indietro, di consolarci dei frutti dello Spirito, così abbondanti nell’anno giubilare (pensiamo in particolare alle Giornate Mondiali della Gioventù dell’agosto 2000), poteva toccare tutti. Il Papa mette in guardia, ricorda che la novità di Dio è davanti a noi e propone mete e appuntamenti ai quali non dobbiamo sottrarci. Il rilancio dell’azione missionaria della Chiesa, un impegno più forte per accogliere le sfide dei tempi nuovi e corrispondervi nella fede e nella carità, la gioia di saperci chiamati a un’inesauribile esperienza di grazia e di sequela del Maestro e Signore Gesù, sono il principio ispiratore di quanto oggi siamo chiamati a essere e a operare.
Nessuna nostalgia, nessun rimpianto, nessuna evasione dalle urgenze del presente: lasciamoci invece animare da un’ardente speranza, da una profonda passione per il Regno che viene e da un impegno capace di esprimere nell’oggi degli uomini la bellezza della promessa di Dio per il futuro.
Incoraggiato dal soffio dello Spirito, ho voluto caratterizzare questa lettera non solo all’insegna della memoria umile e grata, ma anche e soprattutto all’insegna di un compito da assumere, di una rinnovata passione da condividere e la esprimo col verbo sovente ripetuto nella Lettera apostolica del Papa: "ricominciare", "ripartire". Sì, ricominciare dalla Parola, ripartire dalla Parola è l’invito che vi rivolgo, affidandovi al tempo stesso alla Parola che sola può salvare le nostre anime (cfr. Atti 20,32) e imprimere sempre di nuovo slancio, senso, bellezza, alla nostra vita e alla nostra missione.
2. Lo stupore di fronte alle meraviglie di Dio (Lc 5,9): la "confessio laudis"
Faccio dunque memoria con voi, mia Chiesa, delle tre settimane di anni che ci è stato dato di vivere insieme. Permettetemi che, parlando a voi, mi rivolga a lui, il Signore della vita e della storia, così come tante volte, partendo dal dialogo con lui, mi sono rivolto a voi con le parole della fede.
Mio Signore e mio Dio! Quale stupore mi prende di fronte a quanto hai operato in questa mia Chiesa negli anni in cui ho potuto contemplarne da vicino il volto! Tu conosci le paure e le ansie che avevo in cuore quando in obbedienza accettai di esserne il Pastore. Tu sai quanta preghiera mi è stata necessaria per portare avanti ogni giorno il servizio che mi avevi affidato. E ora che lo sguardo si posa sulla benevolenza che mi ha circondato, sulla fedeltà, discrezione e spirito di sacrificio dei miei più stretti collaboratori e di tutti i presbiteri, sull’accoglienza della gente, sulla pazienza che tutti hanno avuto verso di me, come potrei non stupirmi, come potrei non fare la mia "confessione di lode" a te, che in ogni evento sei stato per me e per la mia Chiesa il Dio fedele?
Come potrei non riconoscere, nell’insistenza con la quale "a tempo e fuori tempo" (cfr. 2 Tim 4,2) ho annunciato la tua Parola, un puro dono della tua grazia, che al di là di ogni merito e di ogni previsione umana ha suscitato in tanti cuori cammini di vera santità e di operosa carità? Per questo ti lodo: non per i risultati umanamente percepibili, riscontrabili col metro delle indagini o dei calcoli statistici, bensì per quei frutti della grazia e quella crescita del seme buono (cfr. Lc 8,11; Mc 4,28) che solo l’occhio della fede discerne e che si rivela nel pudore e nella discrezione.
Ti benedico anzitutto per i credenti, antichi e nuovi, che hanno ascoltato la tua Parola insieme con me e attraverso il mio umile ministero. Ti lodo per la terra buona dove è caduto il seme del Vangelo producendo il trenta, il sessanta e anche il cento per uno (cfr. Mc 4,20). Sento di poter dire, con quanti hanno creduto, che la tua Parola veramente illumina e riscalda, ci parla e mi parla nell’oggi della vita, mi spinge e ci spinge sui sentieri del tuo Regno. Per il miracolo della tua Parola, inesauribile nutrimento di fede, lascia che ti ringrazi, Signore! Per il fuoco che essa ha fatto ardere nel mio petto e nel petto di tanti (cfr. Lc 24,32), ti benedico, mio Dio! Perché è stata per me e per tanti Parola di vita eterna, che ha alimentato la fede, ha tenuto accesa la speranza, ha nutrito la carità anche in ore difficili, ti rendo grazie, Signore! Lampada ai miei passi è stata la tua Parola (cfr. Sal 118,105), lampada ai passi del mio popolo che insieme a me ha camminato nella notte del tempo. Ti rendo grazie per quel tanto di luce, che di volta in volta hai voluto concederci perché procedessimo nell’umiltà e nella verità, nella consolazione spirituale e nella speranza.
Ti benedico per l’accoglienza che hai voluto riservare al mio ministero fra i non credenti e fra tanti uomini e donne in ricerca. Tu sai che non mi aspettavo di ricevere tanta comprensione, ascolto, risonanza. Questi incontri mi stupiscono e mi rendono grato ancor più alla tua Parola, da cui ogni dialogo è sempre partito. Confesso alla tua presenza santa e vivificante, a te che solo mi scruti e mi conosci, che tanto ho imparato da non credenti in ricerca, onesti, generosi, aperti. E quando la tua grazia ha toccato qualcuno che nella libertà ti ha aperto il cuore, ho compreso l’importanza di stare a piedi scalzi davanti al roveto che arde e non si consuma, come davanti alla terra santa dell’opera unicamente tua (cfr. Es 3,2-5)! Per i cammini di dialogo e di amicizia, di reciproco arricchimento e di crescita nella luce e nella verità, per i frutti cresciuti anche in terra arida (cfr. Mc 4,5 e Is 53,2) ti lodo e ti benedico, o mio Signore!
Ti ringrazio anche per i tanti ascoltatori distratti, per tutti i credenti e non credenti poco pensosi o poco disposti a mettersi in discussione, che hai voluto farmi incontrare. Non nascondo di aver spesso sofferto e pregato per loro, nel desiderio che il tuo fuoco li raggiungesse. In molti ho colto lampi della tua grazia, magari espressi solo con la capacità di deplorare il male, di lamentarsi del poco bene. A quei molti sovente ha parlato di più l’eloquenza dei gesti della carità della tua Chiesa che non la forza delle parole. Te li affido così, o Signore, perché le scintille di luce che li hanno raggiunti non vadano perdute, perché le spine non soffochino del tutto la Parola (cfr. Lc 8,14) e i semi fruttifichino nel tempo e nella stagione da te preparati per loro.
Soprattutto, mio Dio, ti ringrazio per la fede in cui hai custodito e fatto crescere me e il mio popolo: la confessione della mia lode non basterà a dirti la profondità della gratitudine per questo dono, l’unico necessario, l’unico veramente prezioso, rispetto al quale ti è lode il silenzio e l’offerta segreta del cuore. Ho sentito la profonda verità di ciò che è scritto: "Non ho gioia più grande di questa, sapere che i miei figli camminano nella verità" (3 Gv 4).
Vorrei che molti si unissero a questi atteggiamenti di lode semplice e sincera a te, o Padre, che ci ami. Temo che, con la scusa di uno sguardo disincantato, critico e oggettivo sul cammino compiuto, ci possiamo meritare il rimprovero accorato di Gesù: "Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono?" (Lc 17,17).
Abbiamo infatti tutti bisogno di crescere nello spirito eucaristico, cioè nell’attitudine di sapere, prima di ogni altra cosa, ringraziare e lodare per i doni ricevuti. "E’ veramente cosa buona e giusta renderti grazie qui e in ogni luogo", cantiamo nel prefazio di ogni Eucaristia, ma troppo spesso è solo una parte su dieci del nostro cuore che ringrazia davvero, mentre prevale in noi il gusto della lamentazione su quello della riconoscenza.
Considero compito importante per tutti quello di coltivare ciò che viene chiamato "pensiero positivo", ossia il saper vedere anzitutto il bene attorno a noi e l’accoglierlo con animo grato. Impariamo da san Paolo - che inizia tutte le sue lettere (a eccezione di quella ai Galati) con un ringraziamento a Dio per i doni di coloro a cui scrive - la capacità di trovare in ogni comunità anzitutto ciò che ci fa dire: "Ringrazio continuamente il mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù" (1 Cor 1,4). "Ringrazio il mio Dio ogni volta che io mi ricordo di voi" (Fil 1,3).
3. La fatica della notte e il peso del peccato (Lc 5,5.8): la "confessio vitae"
La mia preghiera di lode si unisce alla constatazione dei miei limiti, dei peccati e delle molteplici inadempienze. Mi rivolgo a tutti voi, mia Chiesa, per mettermi con voi sotto lo sguardo di Colui che ci scruta e ci conosce e, proprio giudicandoci, ci libera e ci salva. Mi sento in comunione profonda col Papa che ripetutamente, in particolare nell’Anno santo, ha chiesto perdono.
Chiedere perdono è difficile e nel farlo pubblicamente si rischia di cadere nella retorica. E tuttavia vi sono momenti nei quali non posso non riconoscermi nel senso di fatica e di frustrazione di Pietro che dice: "Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla" (Lc 5,5) ed esclama: "Signore, allontanati da me che sono un peccatore!" (Lc 5,8).
Mi pare di avere compreso che il Signore ci mette in posizioni di responsabilità anche perché sperimentiamo ripetutamente che, per quanto riguarda noi, siamo immensamente fragili, poveri e inadeguati. Si giunge ad esclamare con sorpresa: non pensavo di essere così debole! Si ha davvero l’impressione che il Signore ci spogli, ci purifichi, ci strizzi e ci sbatta come un panno da lavare affinché ci rendiamo conto che "da noi stessi siamo incapaci di pensare qualcosa come proveniente da noi" e che "la nostra capacità viene da Dio" (cfr. 2 Cor 3,5). Pesano su di noi non solo le mancanze e i peccati personali ma anche le omissioni di fronte alle molte cose che urgono e soprattutto quell’assillo quotidiano (cfr. 2 Cor 11,28s), quella responsabilità per il cammino della Chiesa che ci fa interrogare con ansia: ma ciò che stiamo facendo, ciò che sto proponendo è davvero secondo il Vangelo? Non stiamo per caso tradendo il mandato di Gesù? Non corriamo il pericolo di trascurare ciò che è essenziale? Non ci lasciamo forse ingannare dalla routine, dalla pigrizia, da un vano timore, dall’amore dei nostri comodi, dallo spirito mondano? Queste e simili interrogazioni lacerano il cuore e se non fosse per la fiducia nel Dio misericordioso ne saremmo come schiacciati.
In questo quadro di riconoscimento delle nostre fragilità vorrei sottolinearne in particolare alcune.
Vorrei confessare a Dio e a voi, il senso di inadeguatezza relativo ai rapporti di comunione (così mirabilmente espressi nella NMI, nn.43-45). Fermo restando tutto quanto ho appena detto al Signore nella confessio laudis, devo ammettere che spesso non ho coltivato le vicinanze, non ho saputo creare e intrattenere con molti quei rapporti di affetto semplice e cordiale pur tanto desiderati. Riconosco che da una parte il mio stile, la mia educazione e il mio temperamento unito al peso del ruolo, dall’altra le dimensioni oggettive della diocesi non mi hanno consentito di fare di più, e me ne dolgo. Spesso sono stato giocato dalla fretta, dalla stanchezza, dalle urgenze che premevano, dai miei limiti personali. É proprio questo, però, che mi fa cogliere ancor più l’eccesso della bontà divina a fronte della mia povertà e pochezza. L’affetto di cui sono stato circondato non solo da tanti singoli, in particolare dai miei più stretti collaboratori, ma anche dalla gente, dalle tante parrocchie e comunità che ho visitato, mi commuove, mi arricchisce, mi sostiene. In altre parole, l’impatto con la Chiesa di Milano e anche con la società civile mi ha dato immensamente più di quanto io non abbia saputo dare o avrei potuto immaginare.
Chiedo perdono comunque a quanti non si fossero sentiti amati come avrebbero desiderato o atteso: ai vescovi e vicari episcopali, ai collaboratori di curia, ai presbiteri e diaconi, tutti compagni preziosi e infaticabili del mio quotidiano servizio; ai consacrati e alle consacrate che hanno sostenuto con la preghiera e con tante opere di carità e di evangelizzazione la missione della Chiesa milanese; ai laici, che a volte mi avrebbero voluto più dalla loro, nonostante i tanti miei pronunciamenti a favore della corresponsabilità e dell’impegno comune. Chiedo perdono ai gruppi, alle associazioni e ai movimenti che si fossero sentiti poco valorizzati o sostenuti da me. Ho sempre goduto di fronte a testimonianze autentiche di vangelo vissuto, dovunque si trovassero, ma ho avuto anche difficoltà nel comprendere alcune logiche che mi sembravano particolaristiche e autoreferenziali. Ho sognato che parrocchie e movimenti potessero unire le energie, riconoscendo ciascuno i propri doni e uscendo dai particolarismi, ma il cammino appare ancora lungo. Come Vescovo ho sentito una istintiva preferenza per la centralità della pastorale diocesana e parrocchiale. L’onestà dell’intenzione non basta certo a soddisfare chi ritenesse di essere stato poco curato o amato: per questo chiedo perdono, e affido alla misericordia di Dio la maturazione dei semi di bene lanciati nel dialogo che mi pare di avere sempre cercato.
Verso la città e il territorio ammetto di avere spesso faticato a comprendere i complessi meccanismi politico-sociali in atto. Milano è stata in questi decenni il laboratorio e la patria di fenomeni di costume e di prassi politica che hanno segnato l’intera nazione. Pur avendo desiderato di essere presente e di declinare la Parola in relazione ai fenomeni emergenti, positivi e negativi, denunciando pure la corruzione e le logiche egoistiche talora soggiacenti ai comportamenti collettivi o di gruppi, mi domando se non si poteva fare di più. Non basta dire che questo è compito soprattutto dei laici cristiani impegnati nel sociale: ognuno di noi ha la propria parte di responsabilità e io non intendo sottrarmi alla mia. Avrei dovuto farmi più carico - anche come intercessore presso Dio - dei peccati più diffusi e degradanti: la corruzione, la droga, la prostituzione, la criminalità organizzata, i peccati contro la vita, le deviazioni sessuali, l’edonismo come stile di vita, le chiusure nel particolarismo... Non a mia giustificazione, bensì a testimonianza della convinzione profonda che mi ha guidato, riconosco di aver sempre creduto più nella forza irradiante e contagiosa del bene che nella deplorazione del male: chiedo in ogni caso perdono per quanto si poteva compiere e non è stato compiuto.
La mia richiesta di perdono si associa a quella che esprimo a nome della mia Chiesa. Non è un espediente per dividere a metà le responsabilità; è piuttosto l’espressione della coscienza del mio indissolubile legame col popolo affidatomi da Dio. Come ho lodato e benedetto il Signore per i doni che mi ha consentito di discernere in esso, così in comunione con tutti vivo la mia confessio vitae, affidandomi al giudizio di Colui che è la Verità e ci accoglie nella sua misericordia senza limiti: "Il mio giudice è il Signore! Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode da Dio" (1 Cor 4,4-5).
4. Sulla tua parola getterò le reti (Lc 5,5): la "confessio fidei"
E ora, con voi tutti, vorrei rivolgermi al Signore per rinnovargli la mia fede e la fiducia nella sua misericordia che perdona, risana e rilancia nella corsa. Come Pietro mi affido ancora e sempre a lui dicendo: Maestro, sulla tua parola getterò le reti: ma tu abbi pietà di noi peccatori! Sulla tua parola noi tutti getteremo di nuovo le reti! Le getteremo, Signore, come abbiamo fatto in questi anni, nella consolazione e nel tempo della difficoltà, nel buio della notte, ai primi bagliori dell’alba, sotto l’ardore del sole al meriggio.
Mio Dio, nei tempi stimolanti e inquieti dell’inizio del nuovo millennio, io confido in te, nella certezza che di fronte alle sfide non ci negherai lo Spirito santificatore. So che non ci lascerai mai soli perché, secondo la promessa, tu sei con noi tutti i giorni fino alla fine dei tempi. Mio Signore e Maestro, come hai condotto me e la mia Chiesa in questo svolgersi degli anni, confido che continuerai a guidare i nostri passi sulle vie della tua pace che sorpassa ogni conoscenza.
Io credo in te e ti amo, "mio Signore e mio Dio" (Gv 20,28): tu sei lo Sposo fedele della Chiesa e la conduci sulla strada del Regno fra le prove del mondo e le consolazioni del cuore abitato dal tuo Spirito. Io spero in te, e so che non mancherà al tuo popolo l’aiuto della tua provvidenza fedele: ti chiedo abbondanza di vocazioni sacerdotali e religiose e il dono di battezzati sempre più innamorati di te, impegnati nella tua sequela. Risveglia, ti prego, specialmente nei giovani la ricerca del tuo volto e fa’ che essa non sia mai ostacolata dalla pesantezza della contro-testimonianza e venga aiutata dalla fede viva, irradiante e contagiosa di tutti.
Dona a me e a tutto il mio popolo la fede di Maria, la Madonna del Sabato santo: una fede umile, viva, abbandonata nelle mani del Padre, che sa credere contro ogni evidenza e nella notte oscura sa attendere l’aurora di Pasqua, assicurata dalla tua promessa. Fa’ che come Maria e con la sua intercessione possiamo sperare contro ogni speranza, amare più fortemente di ogni stanchezza, credere al di là di ogni prova della fede. Aiuta me e ciascun battezzato della Chiesa di Milano a ripetere in ogni ora con convinzione le parole della Madre: "Eccomi, si faccia di me secondo la tua Parola".
Sulla tua parola getterò le reti : le getterò continuando a nutrirmi di ogni parola che esce dalla tua bocca e offrendola a coloro a cui mi hai inviato. Le getteremo insieme, rilanciando con entusiasmo l’impegno dell’ascolto, della meditazione perseverante e amorosa, dell’annuncio della Parola di vita. Le getterò nei mari calmi della fede accogliente, come in quelli tempestosi del dubbio e della tentazione di non credere. Le getterò a tempo e fuori tempo, perché sempre e solo dalla tua Parola nasca ogni mia parola, e perché in ogni sua scelta la Chiesa da te affidatami sia la creatura docile e fedele del tuo Verbo di vita.
Anche in rapporto a chi non ti conosce o non crede in te getteremo le reti sulla tua parola: liberi dallo sgomento e dalla paura che potrebbero assalirci, adoreremo te, Signore Gesù Cristo, nei nostri cuori e tu ci renderai pronti a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi, con dolcezza e rispetto (cfr. 1 Pt 3,15). Anche così, Maestro, sulla tua parola getterò le reti, e con me le getterà questo tuo popolo fedele, nutrito dalla santità dei Vescovi Ambrogio e Carlo, e dall’innumerevole schiera dei testimoni della fede che ci hanno preceduto e ci accompagnano nella comunione dei santi! Vorrei ricordarne in particolare due, di cui ricorre quest’anno il centenario della nascita (1902): il servo di Dio don Carlo Gnocchi e il mio venerato predecessore il card. Giovanni Colombo.
5. Ricominciare dalla Parola! L’anno pastorale che ci sta davanti
Confortato dalla triplice confessio vorrei ora consegnarvi il grande imperativo, che mi sta a cuore, all’inizio del nuovo millennio: ricominciamo dalla Parola!
Che cosa significhi ognuno di noi può capirlo rivisitando il cammino delle lettere pastorali dei due decenni trascorsi (1980-2000): tutto comincia dall’ascolto della parola di Dio e alla Parola ritorna, come alla sorgente e alla meta che ci è dinanzi. Veramente, In principio è la Parola (1981)! La dimensione contemplativa della vita (1980) è un imparare a stare in umiltà e riverenza sotto l’autorità vivificante della Parola, lasciandosi introdurre nei sentieri del silenzio di Dio. L’Eucaristia che sta al centro della comunità (Congresso eucaristico del 1983) è la Parola nella sua massima densità, è il Signore che dice: Attirerò tutti a me (1982). Una Chiesa che sta sotto la Parola vive del pane di vita come del culmine della sua stessa esistenza e della fonte da cui sempre di nuovo attingere, in particolare nella messa domenicale (cfr. NMI, nn. 35-36 e Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, nn. 47-49).
Di Parola e di Eucaristia vivono la missione al servizio del Vangelo (Partenza da Emmaus, 1983) e l’urgenza della carità che spinge a Farsi prossimo (1985) , come il Signore si è fatto prossimo a noi nella carità della sua Parola vicina alle nostre labbra e al nostro cuore. Attraverso la Parola Dio educa il suo popolo (1987) e ci rende capaci di educarci e di educare nella fede e nella verità che in essa risplende (Itinerari educativi, 1988 e Educare ancora, 1989). La Parola - grande comunicazione divina - ci rivela l’autentica comunicazione fra gli uomini (Effatà, apriti, 1990), mettendoci così in grado di vincere la barriera delle solitudini e di entrare nel dialogo che libera e salva, senza spaventarci della complessità dei mezzi di comunicazione contemporanei (Il lembo del mantello, 1991). La Parola, infine, ci fa vigilanti nell’attesa del compimento delle promesse di Dio (Sto alla porta, 1992), ci libera da ogni cattura ideologica, da ogni paralisi legata alla paura o alla pigrizia dell’anima e si traduce in una disciplina ordinata e seria, che abbiamo cercato di descrivere nel Sinodo diocesano (1993 - 1995), preceduto da una Lettera introduttiva (1995) e rilanciato con il documento Ripartiamo da Dio! (1995).
La parola di Dio è quindi la nostra vera regola di vita: ascoltandola e mettendola in pratica impariamo a conoscere e ad amare il Verbo incarnato, Gesù (Parlo al tuo cuore, 1996); a vivere nell’esperienza dello Spirito che racconta nella nostra storia e nella vita di ciascuno le meraviglie di Dio (Tre racconti dello Spirito, 1997); a credere nel Padre sorgente e meta di ogni dono (Ritorno al Padre di tutti, 1998). Essa ci introduce nella bellezza del mistero trinitario (Quale bellezza salverà il mondo? 1999). Creatura della Parola è Maria, la discepola fedele anche nel silenzio del Sabato santo: credendo alla parola, è divenuta Madre della Parola incarnata, del Figlio di Dio fatto uomo per noi (La Madonna del Sabato santo, 2000).
Ricominciare dalla Parola vuol dire anche, in questo inizio di millennio, vivere con slancio nella nostra Chiesa i tre cammini prioritari decisi l’anno scorso quale campo privilegiato d’azione pastorale e raccomandati a noi dal Papa nel pellegrinaggio del 4 novembre 2000. Mi riferisco alle iniziative chiamate rispettivamente Sentinelle del mattino per l’evangelizzazione, la profezia e l’accompagnamento cristiano dei giovani; Li inviò due a due, rivolta alla formazione permanente dei presbiteri; Collaboratori della vostra gioia, destinata alla formazione degli operatori pastorali laici quali cristiani adulti, corresponsabili nella vita delle nostre comunità cristiane (cfr. Ho un popolo numeroso in questa città: Lavorare insieme. Strumento di lavoro per l’anno pastorale 2001-2002).
Nel desiderio di sottolineare come in ciascuno dei tre ambiti è la Parola la forza che nutre, spinge e sostiene, indico tre segni simbolici che serviranno nei prossimi mesi a rilanciare l’impegno e a suggellare il primato della Parola nei nostri cuori e sulle nostre vite.
Ai giovani vorrei consegnare, alla fine del "Sinodo" che stanno per celebrare, un messaggio di saluto e di augurio; affidando a ciascuno un versetto della Scrittura, perché lo legga, lo mediti e lo custodisca in una sorta di "mezuzah". La "mezuzah" è un piccolo contenitore di legno, o di altro materiale, che gli Ebrei inchiodano sullo stipite delle porte di casa ponendovi dentro un brano della Torah in segno della protezione divina e dell’affidamento fedele all’Eterno. Questo minuscolo segno servirà a ricordare ai giovani che il futuro posto nelle loro mani è custodito quale promessa e riserva di luce nella Parola di Dio e ad essa dovranno sempre ispirarsi per edificarlo secondo il disegno del Signore.
Ai presbiteri propongo, a partire dall’estate 2001, alcuni corsi di esercizi da me guidati, che siano l’occasione per sperimentare ancora una volta insieme il discepolato della Parola. Anche chi non potrà parteciparvi leggerà, lo spero, il testo delle mie riflessioni, quasi una sorta di consegna che ci leghi in comunione profonda di preghiera e di obbedienza di fede nel presente e nel futuro. Inoltre è mia intenzione recarmi a visitare durante quest’anno uno per uno tutti i sacerdoti ammalati, per assicurarli dell’abbraccio e della vicinanza del Vescovo, così che si sentano accolti e custoditi nella sua preghiera e nel comune ascolto della parola di Dio.
Agli operatori pastorali vorrei affidare il compito di ricominciare dalla Parola in particolare attraverso le catechesi della prossima Quaresima. Cercherò di presentare le ragioni per le quali non c’è servizio alla causa del Regno di Dio e non c’è programma pastorale che tenga senza un continuo, quotidiano ascolto della parola del Signore, senza un sempre nuovo impegno di obbedienza a essa e di testimonianza del suo messaggio al mondo.
Ai tre settori dell’impegno privilegiato di quest’anno, vorrei aggiungere la menzione di tutti quegli altri spazi e ambiti dell’azione pastorale (da quelli più vicini alla nostra quotidianità, come la famiglia, il lavoro, l’educazione e la scuola, fino a quelli che allargano i nostri orizzonti, come la missione, l’ecumenismo, il servizio della carità, della pace e della giustizia...) che hanno qualificato in questi anni il nostro servizio di Chiesa. Ma mi basti fare riferimento alle Schede di lavoro contenute nel fascicolo La formazione specifica degli operatori pastorali destinato all’anno pastorale 2001-2002, dove tali ambiti e spazi vengono recensiti con cura. Ciò che mi sta a cuore è che in ciascuno di essi si lasci emergere la forza di quella Parola che illumina il cammino della Chiesa e, penetrandoci interiormente al soffio dello Spirito, rende facile e bello l’impegno di ogni giorno: sospinti dalla Parola potremo sperimentare che il giogo del Signore è soave e il suo peso è leggero (cfr. Mt 11,30).
In rapporto con le varie iniziative proposte dal nostro calendario di quest’anno non mancheranno occasioni per qualche mio intervento diretto al fine di sottolineare che è "sulla sua Parola" che ci è dato di servire con amore e con gioia il nostro tempo "prendendo il largo" verso i mari aperti della storia.
"Prendi il largo": in molti sensi e in molti modi questo invito di Gesù ci raggiunge dunque oggi. Mentre ci invita a dare ancora uno sguardo alla riva che lasciamo, ci apre gli orizzonti che ci sono davanti. Per un credente non è mai il tempo della nostalgia né tanto meno del rimpianto. É sempre l’ora della speranza, della fiducia, dell’amore. Tutto passa: l’amore resta. E questo amore ci ha parlato e raggiunto in Gesù Cristo, Parola di Dio. A lui, alla sua parola affido me e tutti voi, nella certezza che non resteremo delusi. La Madonna del Sabato santo saprà farci compagnia nel tempo della sera e nell’aurora dei giorni che verranno.
Il vostro Arcivescovo
Carlo Maria card. Martini
Milano, 15 agosto 2001, festa dell’Assunzione