sabato 1 settembre 2012

Bella.



Sabato 15 settembre alle 15.45 verrà proposto da RAI PREMIUM il film “Bella”.
A tal proposito riprendo un articolo di Costanza Miriano dell' ottobre scorso e, di seguito, un altro articolo pubblicato il 29 agosto: due variazioni sullo stesso tema tragicamente 
ritornato d'attualità in questi giorni...

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Mio marito sostiene che una persona che abbia nella sua vita acquisito un accettabile livello di dignità e riserbo dopo una certa età non festeggia più il compleanno come alle medie, col pranzo buono cucinato dalla mamma e i panini per gli amichetti e i regali e le candeline. Io devo essere totalmente priva di dignità e riserbo, perché se fosse per me festeggerei come alle medie, col divano spostato per ballare e le calze fine e le zie che telefonano.
Oggi però, pur essendo il mio compleanno (qualcuno dei miei conoscenti sostiene che sia il quarantunesimo, ma io sarei pronta a scommettere che siamo sui trentadue, trentaquattro al massimo)  mi sa che mi toccherà fare la persona seria: ho riunioni di scuola per tre figli su quattro, nonché un tennis e una visita cardiologica, ammesso che riesca a tornare a casa dal lavoro, visto che si prevede un nuovo nubifragio su Roma, e in certi quartieri ci si prepara coi sacchi di sabbia. Tarallino bisunto della macchinetta per pranzo al posto del pollo arrosto della nonna, la quale comunque ha elargito una donazione che è stata prontamente devoluta al Fondo Idrovora, quello che prosciuga tutto con rate del tennis, scarpine da danza e altri balzelli, imperciocché alla voce numero novantotto (Chanel numero 5) non si arriva mai.
In compenso ho ricevuto dei meravigliosi biscotti da un amico lontano di gran classe, e due disegni, oltre a una collana (ecco dove era finita quella che non trovavo, me l’aveva presa mia figlia per regalarmela).
Ovviamente sto fingendo di lamentarmi, perché in realtà sono contentissima così, e quando lo sono un po’ di meno chiedo dei regali speciali al Capo che me li recapita sempre, anche a domicilio, senza costi aggiuntivi, perché bisogna avere l’audacia di chiedere, ce lo dice il Vangelo. Come dice Paolo, Dio ci può dare ciò che sorpassa i nostri desideri.
Inoltre, a compensare il mio giorno di festa che trascorrerò tra aule dagli intonaci scrostati, c’è stato un picco di mondanità, la settimana scorsa. Sono andata a teatro ben due volte, quanto negli ultimi cinque anni, credo. Alla prima del musical Mamma mia! sono andata anche a filmare il red carpet, un brivido di vita sociale se non fosse che ero uscita da casa di corsa con schizzi di brodo vegetale sulla gonna, così mi sono dovuta tenere su il mio cappottino bon ton tutta la serata, sudata come un giocatore di squash. Comunque, infagottata senza speranza, a teatro mi sono portata tre giovani assistenti (il quarto si è rifiutato di vedere una cosa da femmine). E’ stato difficilissimo spiegare alle bambine la trama, una donna che è stata con tre uomini in un mese e non sa quale sia il padre della sua figlia, né lo vuole sapere, e una figlia che vuole colmare questo cono di ombra dolorosa. Il messaggio dello spettacolo è chiaro: non importa chi sia il padre (uno dei tre, per correttezza politica lo fanno omosessuale, ci mancherebbe), anzi meglio non sposarsi, rimandare la scelta e partire col fidanzato per un lungo viaggio intorno al mondo.
Le mie bambine si sono divertite, qui a casa sono giorni che non si canta altro che “mamma mia, so che non resisto, ma-mma, sento che ci casco”, ma in fondo al cuore in realtà erano tristi, e continuavano a chiedermi “qual è il babbo?”. Non si davano pace, davvero, e la musica dal vivo, le canzoni trascinanti non sono riuscite a tacitare le loro domande.
Neanche a farlo apposta, anche la versione di Hansel e Gretel a che le ho portate a vedere era una rivisitazione moderna che partiva da una famiglia che si rompe, un figlio abbandonato e una nuova moglie, e finiva per scherzarci, per cercare di sorriderci dolorosamente, perché la vulgata è questa: le famiglie sono allargate, i legami di sangue non sono tutto, i bambini sono forti e superano i traumi.
Altro che. I bambini hanno scritto questo bisogno estremo di sicurezza delle loro origini, della famiglia, che sia padre madre figli per sempre. E siccome per loro, per i bambini, le chiacchiere stanno a zero, siccome loro non leggono i giornali e non guardano la televisione che ci vuole convincere che ci si può accoppiare e scoppiare a piacimento senza che questo lasci traccia, per rinfrancarli ieri invece abbiamo guardato un film meraviglioso tutti insieme.
Si chiama Bella. Me lo ha regalato un caro, vero, generoso amico. Lo cercavo da tanto ma ovviamente è introvabile, perché è il film più potente che si potesse concepire contro l’aborto, e quindi non viene distribuito nelle sale.
Lui è un campione, un calciatore bellissimo che investe e uccide senza troppa colpa una bimba piccola e vive nel dolore, tormentato dal ricordo e dal rimorso. Si mette a fare il cuoco, e viene a sapere che una cameriera , incinta, non se la sente di tenere il bambino. Senza una predica, senza una parola di troppo, semplicemente facendole compagnia la convince a non abortire. Le fa vedere il mare, la sua famiglia, le lanterne sulla spiaggia. Non la corteggia, non la convince. Solo fa un pezzo di strada con lei. Lei ha bisogno e lui c’è.
Di fronte alla bellezza della vita lei tiene la bambina (è una femmina).
I miei figli sono rimasti incantati, perché il tema è scabroso, ma la delicatezza e la gioia di una vita che riesce a vedere la luce è più potente di qualsiasi discorso ideologico, e senza musica, senza canzoni trascinanti, senza luci, ci ha messi tutti più di buon umore.

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"Quella musica nel cuore...", pubblicato il 29 agosto, a firma di costanza Miriano.

Se abbiamo una speranza di convincere qualcuno delle cose in cui crediamo, è solo facendogli vedere la bellezza e la ragionevolezza, la convenienza, alla fine, di seguire quella via. Un tempo a sentir parlare di legge 40 e di corte europea (il minuscolo è voluto) che la mette in discussione avrei volentieri indossato un’armatura e sarei partita per la crociata. Ma sarei stata ridicola. L’uomo moderno vive in un mondo senza le guglie delle cattedrali a indicare l’altezza, e l’unico modo di portarlo via dalla strada che sembra avere intrapreso con decisione è di fargliene vedere una più bella.
A una coppia che si rivolge alla corte europea per avere il diritto all’eterologa io direi, con molta umiltà: “mi è capitato, non per mio merito o bravura, di avere dei figli. Provo a immaginare che dolore sia non poterne avere. Forse non riesco a capirlo. Però ti dico che i figli hanno il diritto di conoscere le loro origini, di sapere da quale sangue e respiro sono stati generati, e questo diritto negato produrrà tanto dolore. E non c’è niente che si possa fare per evitare questo, perché noi siamo creature e non possiamo disporre di tutto.”
A volte siamo tentati di giudicare, o di essere paternalisti, e gli altri si allontanano. La musica nel cuore (August Rush) è un film che abbiamo visto, casualmente, proprio ieri sera, su consiglio del caro amico Alberto Medici, una storia estremamente convincente sulla forza dei legami di sangue. Niente moralismi. Anzi.
Un bambino viene concepito durante il primo incontro tra due perfetti sconosciuti, che poi si perdono di vista, per volere del severo padre di lei, una violoncellista in ascesa (il ragazzo è chitarrista e cantante). Quando si accorge di essere incinta lei non sa come dirlo a lui, non sa dove trovarlo, e poi, al nono mese, quando viene investita e operata d’urgenza, non sa che il bambino viene fatto nascere mentre la mamma è sotto anestesia, e dato in adozione, sempre per volere del padre (il nonno). Le viene detto che il bambino è morto. Il piccolo viene messo in orfanotrofio, e da lì a un certo punto scappa, con il desiderio di seguire la musica che sente nelle vene, nel cuore. Un talento prodigioso che cerca di coltivare come può, caparbiamente convinto che se riuscirà a suonare i suoi lo troveranno. Tutti gli dicono che i genitori sono morti, ma lui sente che sono vivi, e per questo rifiuta anche di essere inserito in un’altra famiglia. Anche la madre non riesce più a esibirsi sul palco, devastata dal lutto, fino a che non sa che suo figlio è vivo, e riesce a ritrovare, con il desiderio di trovarlo, anche il desiderio di suonare e di vivere.
Va bene, il lieto fine, l’americanata, e tutti i difetti che volete, ma questo film è un potente inno ai legami di sangue, forti e incancellabili, e lo dovrebbe vedere chi pensa che mescolando un ovocito e uno spermatozoo di donatori anonimi questo possa non lasciare tracce misteriose e profondissime nel bambino.
Per le romantiche: c’è anche un bacio, e neanche alla fine (quindi poi vi potete addormentare).