domenica 30 settembre 2012

Compiti a casa: diffondere la Fede!




Si è conclusa a San Gallo in Svizzera la plenaria del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa. A suggellare l’evento è stata la Messa delle Nazioni presieduta stamane dal vescovo della cittadina elvetica, mons. Merkus Buchel (v. Infra). Al centro dei lavori molti temi di attualità: dalla crisi economica alla nuova evangelizzazione, dalle questioni etiche alle riflessioni sul 50.mo anniversario del Concilio Vaticano II. Ma qual è la maggiore sfida per l’Europa? Radio Vaticana lo ha chiesto al cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana:

R. – La prima sfida, quella fondamentale, che riscopra la propria anima, e per anima intendo ovviamente quell’insieme di ideali, di valori spirituali, morali che i grandi padri dell’Europa – Shuman, Adenauer e De Gasperi – intendevano quando pensavano ad un’Europa unita. Quindi, nel momento in cui l’Europa pensa a se stessa, dovrebbe ritornare in modo chiaro e distinto alle proprie radici cristiane. Questa è la prima e fondamentale sfida che vedo per la nostra Europa. Dentro a questa prima sfida mi pare che dovrebbe sviluppare, con l’aiuto di tutti - innanzitutto di noi come Chiesa cattolica, ben volentieri – un’elaborazione culturale di due categorie fondamentali, che mi sembra siano due cardini dell’Unione europea e cioè: la libertà - eredità in modo specifico della modernità, ma innanzitutto frutto del Vangelo - la libertà con la forma dell’autodeterminazione e, secondo, la categoria della non discriminazione. 

D. - E ancora…

R. - Una terza sfida la vedo in un’unificazione anche politica, in ordine anche all’economia, in una propria collocazione nel mondo rispetto agli altri grandi Paesi o grandi agglomerati, perché senza un’unità politica più sostanziale, seppur “leggera” rispetto ai Paesi membri - che non devono essere, a mio parere, invasi da un’Europa “pesante”, ma rispettati da un’Europa “leggera”, sia pure politicamente unitaria – è difficile parlare di unità europea, è anche difficile stare all’interno di un mondo globalizzato che richiede non soltanto degli agglomerati, ma richiede identità motivate. Ritornando alla prima sfida, parlando dell’anima, certamente la dimensione religiosa è essenziale, perché l’Europa possa veramente ritrovare se stessa. Mettere Dio alla periferia o pretendere di costruire una città terrena senza la dimensione religiosa, trascendente, vuol dire andare contro le persone: quando l’uomo viene sganciato dal suo fondamento - che è trascendente - su che cosa basa il suo agire? Nel momento in cui viene negata la natura umana e viene negato il Creatore, si perde il fondamento dell’agire, sia personale, sia comunitario. Ci si consegna alla logica dei numeri e i numeri, che sono necessari nella democrazia, non devono però essere “ballerini”, perché le maggioranze - quando si tratta di valori morali, di fondamenti – sono sempre aleatorie. 

D. - Cos’è che può dare l’Europa all’Italia, soprattutto per andare oltre anche ai problemi politici, economici e sociali? Quali sono gli impulsi che possono venire dall’Europa per l’Italia, anche per i cattolici in Italia …

R. - A mio parere, il primo contributo che l'Europa può dare all’Italia e ai cattolici in Italia, è un contributo di attenzione, senza pregiudizi: se ci fosse questa disponibilità a considerare il fatto cristiano e la cultura che ne deriva senza pregiudizi, certamente i cattolici italiani potrebbero anche meglio sviluppare i propri principi fondamentali. Ma nello stesso tempo, l’Europa potrebbe arricchirsi di questo fortissimo e determinante contributo, che non lede la laicità delle istituzioni, ma semmai la rafforza e la illumina. Quindi, io penso che una maggiore attenzione, rispettosa e dialogante, da parte dell’Europa - che vuol dire poi, in sostanza, da parte delle istituzioni europee - al fatto ed al patrimonio cristiano e cattolico, sarebbe una grande ricchezza per entrambi e sarebbe soprattutto una grande ricchezza in ordine al bene delle persone e delle comunità. Per quanto riguarda l’aspetto più strettamente politico, è chiaro che l’Italia non può fare a meno dell’Europa per affrontare anche i propri problemi interni ed il proprio futuro. Ma questo vale per l’Italia come vale – a mio parere – per tutti gli altri Paesi membri, all'interno di quella logica di complementarietà e di globalizzazione, e dentro al valore di un cammino unitario che l’Europa ormai ha intrapreso. E’ importante - secondo il mio modo di vedere - che l’Europa sia un’Europa non “pesante”, rispetto né all’Italia né agli altri Paesi. Trovare il punto di equilibrio tra il rispetto delle storie dei singoli popoli, la valorizzazione delle singole identità ed una visione unitaria, non è sempre facile né automatico, però è la strada assolutamente necessaria.

D. – Cosa può portare l’Anno della Fede proprio per l’Europa?

R. - Il primo obiettivo dell’Anno della Fede è la conversione del nostro cuore, una rinnovata conversione del cuore, della vita da parte dei credenti. Il primo scopo è questo. Solo se c’è questo scopo, questo obiettivo, allora ci sarà anche quello slancio di evangelizzazione, quella efficacia di annuncio del Vangelo, dell’annuncio di Cristo, che è anche uno scopo intrinseco dell’Anno della Fede. Ma il primissimo scopo - ci dice il Papa - è ripensare la nostra fede per rinnovarla nella gioia dell’adesione a Cristo e alla Chiesa. Se questo è veramente vissuto, allora l’Europa ne potrà beneficiare veramente, proprio perché da una riscoperta globale della propria fede, della propria adesione a Cristo, alla Chiesa, l’uomo e l’umanità ne escono migliorati. E un’umanità migliorata - concettualmente, con i propri scopi, con il proprio destino - è il presupposto fondamentale per un cammino di unificazione, che richiede delle legislazioni non contro l’uomo, la vita, la famiglia e via discorrendo, ma per l’uomo, per la vita e la famiglia. Allora, un risveglio della fede cattolica beneficerà l’Europa nel suo itinerario di unificazione, permettendo legislazioni più aderenti e più rispettose dell’umano e quindi della vita e della famiglia.



SAN GALLO, domenica, 30 settembre 2012. Di seguito l’omelia pronunciata ieri sera durante i vespri nella cattedrale di San Gallo dal cardinale Péter Erdő, presidente del CCEE, all’annuale assemblea plenaria dei Presidenti delle Conferenze episcopali in Europa, conclusasi oggi.
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Della prima lettera di san Paolo ai Colossesi
Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro. Noi rendiamo continuamente grazie a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, nelle nostre preghiere per voi, per le notizie ricevute circa la vostra fede in Cristo Gesù, e la carità che avete verso tutti i santi, in vista della speranza che vi attende nei cieli. Di questa speranza voi avete già udito l'annunzio dalla parola di verità del vangelo il quale è giunto a voi, come pure in tutto il mondo fruttifica e si sviluppa; così anche fra voi dal giorno in cui avete ascoltato e conosciuto la grazia di Dio nella verità. 
Dalla Lettera di San Paolo ai Colossesi abbiamo letto un bel ringraziamento a Dio. L’apostolo ringrazia il Signore per la fede, per la carità e per la speranza della comunità cristiana di Colosse. Riguardo alla speranza afferma una cosa che il Santo Padre Benedetto XVI ha anche sottolineato nella sua enciclica Spe salvi con riferimento alla Prima Lettera di San Pietro, quando dice che la speranza in questo contesto significa quasi la stessa cosa come la fede (cf. Spe salvi, 2; 1Pt 3,15). In effetti, la speranza in questo caso è già in germe la nostra risurrezione, e la nostra salvezza, perché è strettamente collegata con la morte e la resurrezione di Gesù Cristo.
Questa Parola è giunta a noi, e deve fruttificare e svilupparsi in tutto il mondo, dice l’apostolo. E questo processo deve accompagnare tutta la storia dell’umanità, quindi, anche ai nostri giorni dobbiamo vedere non soltanto i problemi, non soltanto i segni di stanchezza, ma anche i segni incoraggianti dello sviluppo e della fertilità del Vangelo, che si manifesta nella vita dei Santi e delle comunità cristiane. È in questo senso e con questa certezza che vogliamo, alla fine dell’Assemblea Plenaria del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, unirci al Santo Padre e a tutta la Chiesa, e celebrare il 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II in modo festivo in questa bella cattedrale, memoria di San Gallo che 1400 anni fa arrivava in questo luogo per affondare qui il seme della fede che rimane viva ancora oggi.
Infatti, il prossimo 11 ottobre, la Chiesa Cattolica ricorderà il 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II e il Papa ha deciso di proporre a tutta la Chiesa un “Anno della Fede” per celebrare e rinnovare la speranza che il Concilio ha portato alla Chiesa.
Questo 21º Concilio ecumenico, svolto tra il 1962 e il 1965, ha radunato i vescovi della Chiesa universale insieme con il successore di San Pietro e sotto la sua guida e la sua autorità. Noi commemoriamo il Concilio Vaticano II per questo motivo. Lo consideriamo come linea direttrice, come misura, come punto di riferimento per tutti noi, insieme a tutti gli altri Concili ecumenici nella storia bimillenaria della nostra Chiesa. L’insegnamento dei Concili lungo la storia della Chiesa, anche dell’ultimo Concilio, ci collega agli apostoli e a Cristo stesso, e
rappresenta questa lunga e continua tradizione in modo autentico. Il Concilio non ha separato il ”vecchio” dal “nuovo”, non ha affermato un contrasto tra il “finora” e il “dopo”, ma, è stato un momento della continuità della dottrina ecclesiastica e della Buona Novella di Cristo. Il Concilio ha dichiarato e ha riproposto le verità di sempre, tenendo presente in modo esplicito la situazione della nostra epoca. Quello che il Concilio ha voluto, è di riproporre la fede cristiana di sempre per il nostro tempo. La nostra fede cristiana si basa nella totalità della rivelazione divina che è arrivata alla sua pienezza in Gesù Cristo. Come ha ribadito il Beato Papa Giovanni XXIII nel suo discorso in apertura del Concilio Vaticano II, l’11 ottobre 1962 (6,2): “Il ventunesimo Concilio Ecumenico vuole trasmettere integra, non sminuita, non distorta, la dottrina cattolica”. Inoltre, ha affermato che occorre che “questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve prestare un’obbedienza di fede, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi” (6,5).
La continuità e la fedeltà alla dottrina cattolica erano quindi intenzioni originali del Concilio, come pure il modo rinnovato e conforme alla nostra epoca di porre gli accenti e di presentare i diversi argomenti. Le due cose, infatti, non erano e non sono in contrasto uno con l’altro. Per questo, non si può ricercare nei testi autentici del Concilio un fondamento per rifiutare, nel nome della vecchia tradizione, quello che è nuovo, e neanche si può cercare nelle innovazioni conciliari un motivo per rifiutare la fede, gli ideali e i valori spirituali antichi della nostra Chiesa. Il Beato Giovanni Paolo II ha formulato questo concetto con grande bellezza all’inizio del nuovo millennio, scrivendo nella sua Lettera Novo Millennio ineunte (57)“sento più che mai il dovere di additare il Concilio, come la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre”.
Lo stesso ci insegna Benedetto XVI in diversi momenti del suo pontificato. Già nell’anno della sua elezione e poi anche altre volte fino alla lettera con cui ha annunciato l’Anno della fede, la Porta Fidei, ha ribadito che “se leggiamo il concilio e lo recepiamo guidati da una giusta ermeneutica, esso può essere e diventare sempre di più una grande forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa” (Porta Fidei, 6). La Chiesa è sempre lo stesso soggetto. La Chiesa oggi è la continuità di quella Chiesa che ci ha offerto il Signore. Il soggetto è la Chiesa, la quale cresce e si sviluppa nel tempo, ma rimane sempre se stessa, popolo di Dio.
La Chiesa di oggi, malgrado tutte le discussioni, tutti i problemi che possono anche essere visti da un punto di vista statistico, deve accorgersi della presenza dei segni di speranza che sono frutti di questo grande Concilio ecumenico. In questi 50 anni, che sono passati dall’inizio del Concilio, la Chiesa ha continuato ad essere in cammino cercando di rispondere con la verità di sempre alle sfide di ogni momento, testimoniando così uno sviluppo e un rinnovamento organico. Oltre all’insegnamento dei testi del Concilio, abbiamo, quindi, diversi grandi documenti che devono essere visti come continuazione del Concilio e aiuti per una sua ricezione feconda. Se guardiamo la storia, anche dopo il Concilio di Trento ci sono stati importantissimi documenti per portare la riforma voluta dai Padri a tutta la Chiesa. Ricordiamo il Messale Romano e il Breviario Romano, o il fatto che sia stato rinnovato e rielaborato anche il Corpus Juris Canonici nel 1582, o ancora che sia stata pubblicata anche la nuova edizione della Bibbia, la Vulgata Sisto-Clementina, e che sia stato elaborato il Catechismus ad parochos per spiegare in modo chiaro e accessibile la dottrina cattolica e così rafforzare la fede dei fedeli e delle comunità.
In modo simile, dopo il Concilio Vaticano II, abbiamo una riforma della Liturgia, con tutti i libri liturgici approvati, rilasciati dalla Santa Sede; abbiamo la Liturgia delle ore; abbiamo il rinnovato Codice di Diritto Canonico, come pure, per la prima volta nella storia, abbiamo anche il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali. Abbiamo i documenti della riforma della curia romana – non a caso, Giovanni Paolo II ha chiamato i due codici e la costituzione apostolica Pastor Bonus, Novo Corpus Juris Canonici. Benché per natura di cose si effettuino continuamente dei ritocchi alle norme liturgiche ed altre giuridico-canoniche, tutto questo insieme continua a rappresentare un grande valore. Nel 1979 è stata pubblicata la neo-vulgata, che di per sé, dato che è un testo scritto in latino, non sembrava avere un influsso così grande come quella vulgata che era stata pubblicata dopo il Concilio di Trento, eppure, contiene i risultati delle ricerche delle scienze bibliche e così offre al teologo e al lettore cattolico, come pure a quelli che lavorano sui testi biblici per l’uso liturgico, un testo base sicuro, che risponde anche alle pretensioni più sviluppate delle scienze bibliche. E, infine, abbiamo, anche, il Catechismo della Chiesa Cattolica che è uno strumento che raccoglie la ricchezza della nostra fede, non secondo qualche struttura filosofica, collegata con una scuola o con una certa filosofia, ma secondo l’ordine kerigmatico: la spiegazione di fede, la celebrazione dei sacramenti, la vita morale, il Padre nostro.
Quindi, abbiamo strumenti validi in mano, e abbiamo il compito di diffondere la nostra fede, con il continuo richiamo dei Papi alla Nuova Evangelizzazione e che, in base a questi testi rinnovati, può generare veramente un rinnovamento e un nuovo sviluppo della vita e della prassi della Chiesa. Quindi, esiste nella nostra epoca, nonostante le difficoltà, una grande opportunità. Anche le conseguenze della globalizzazione, che sono tra l’altro la facilità dei viaggi, dei trasporti, l’internet, malgrado alcune difficoltà e la possibilità di essere usate in modo sbagliato, permettono una comunicazione globale rapidissima, e possono essere al servizio della trasmissione della nostra fede.
Chiediamo il Signore, padrone della storia, che accompagni la Sua Chiesa e che ci dia buone idee per il nostro lavoro concreto e molta perseveranza nella fede e anche molta forza psicologica perché possiamo attraversare la nostra epoca, così complessa e carica di fenomeni di crisi, con buona speranza e con un impegno irrevocabile per la salvezza di tutto il mondo.

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SAN GALLO, domenica 30 settembre 2012.- In risposta all'indifferenza religiosa, mons. André-Joseph Léonard consiglia ai cattolici un "atteggiamento profetico, provocatorio, audace".
Per quanto riguarda eventuali ostilità, egli ha osservato che si tratta di "una meravigliosa opportunità per i cristiani a riscoprire la loro identità".
Mons. André-Joseph Léonard, arcivescovo di Malines-Bruxelles (Belgio), ha risposto alle domande dei giornalisti nella mattinata di venerdì 28 settembre, dopo aver riassunto i tre interventi che hanno alimentato il pensiero dei 10 cardinali e 33 vescovi presenti alla plenaria del Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa, in corso a San Gallo (Sankt Gallen), in Svizzera. 
Zenit lo ha intervistato.
Cosa pensa della situazione europea?
Mons. André-Joseph Léonard: Ahimè, ahimè, gli europei stanno perdendo interesse per la politica, ed è evidente che nella costruzione dell’Europa la questione umana non riceve sufficiente attenzione.Uno dei relatori di questa mattina ha detto molto chiaramente: non si può soddisfare il cuore umano solo con la prosperità economica e con ogni sorta di libertà: il cuore umano ha bisogno di un ideale. E ciò che è tragico per certi versi, è che l'Europa ha un tesoro spirituale: l'Europa è Teresa d'Avila è Giovanni della Croce, Edith Stein è al tempo stesso espressione di grandi figure, con grande ricchezza spirituale e culturale. Abbiamo un enorme patrimonio culturale in Europa, che non si può dimenticare., Disponiamo di una fonte abbondante per alimentare il senso della vita, con il rischio di non abbeverarci da questa fonte.
Penso che l'Europa ha bisogno di testimoni, di profeti, consapevoli del patrimonio che rappresentano, consci del loro passato, aperti a un ideale, e ad una prospettiva orientata al futuro.
Si sta per aprire l'Anno della Fede: come la fede dovrebbe essere annunciata ai giovani in particolare?
Mons. André-Joseph Léonard: Per proclamare la fede, abbiamo bisogno di creare eventi significativi che mettano in evidenza la dimensione spirituale della vita.
Molto concretamente, una delle mie preoccupazioni pastorali, non è solo quella di insegnare - naturalmente, un vescovo deve insegnare e la Chiesa deve insegnare - ma c’è bisogno di organizzare i luoghi, i tempi, gli eventi.
Per la diffusione della ‘parola’ bisogna utilizzare le risorse disponibili, sia su Internet, sia attraverso concerti rock, sia per mezzo di superstar cristiani, i quali hanno una grande capacità di comunicazione.
Bisogna favorire la devozione popolare: creare eventi da cui emerga la testimonianza cristiana in modo che le persone possano percepire la bellezza della fede ed aprirsi alla chiamata.
C’è bisogno di parlare al cuore. La spiegazione viene dopo. E’ vero che la fede esige di essere sempre illuminati dalla riflessione, ma all’inizio bisogna favorire gli eventi dove il cuore umano viene toccato dalla bellezza della fede.
Jean Monnet ha scritto che l'Europa si costruisce attraverso le crisi e Jacques Delors, “l'Europa non è un letto di rose”: a guardare la crisi di oggi, non c’è troppo ottimismo in queste frasi?
Mons. André-Joseph Léonard: Sì, forse c’è stato un po 'troppo ottimismo. Ma è vero che ogni difficoltà, ogni sfida è un'opportunità.
Molti dei miei colleghi hanno detto che viviamo, soprattutto in Europa occidentale, attaccati da un secolarismo aggressivo, ci sono tentativi di soffocare la voce  della Chiesa. Proviamo rammarico, ma penso che è anche una meravigliosa opportunità per i cristiani riscoprire la propria identità, mostrando il coraggio di parlare, l’audacia di entrare in dialogo. In ogni situazione di crisi, in qualsiasi situazione di difficoltà, c'è sempre un’opportunità positiva, all’aggressività dei mass media possiamo reagire ritrovando la nostra identità e proponendo un dialogo audace.
E’ vero che stiamo subendo un aggressione, il Papa ha parlato spesso della "dittatura" del relativismo. Ma l’ostacolo più difficile da superare è: l'indifferenza. Qual è il suo parere in proposito?
Mons. André-Joseph Léonard: L'indifferenza è più difficile da trattare rispetto all’ostilità. Quando c'è ostilità, hai un interlocutore con cui puoi entrare in dialogo.
Mentre l'indifferenza, per sua natura, è una sorta di massa informe difficile da trattare. Il modo per superare l’indifferenza è un atteggiamento profetico, provocatorio, audace.
Faccio un esempio preso in prestito dalla mia esperienza pastorale. Di tanto in tanto una volta al mese, presiedo come Vescovo, una riunione, una festa, la ristrutturazione di una Chiesa.
Le persone che partecipano sono interessate alla cultura agli aspetti, architettonici, artistici e religiosi. Ci sono un sacco di persone indifferenti alla Chiesa e alla fede che poartecipano. Questa è una meravigliosa opportunità per scuotere le coscienze e toccare i cuori. Non seguo il protocollo, non pronuncio un omelia, ma annuncio il kerygma.
E funziona. Sono colpito nel vedere quanti cuori si toccano nel corso di un evento culturale, quanti si avvicinano al cuore della fede cristiana e della Chiesa. Non dico che la loro vita sarà sconvolta, ma sono certo che questo tipo di incontri li fa pensare, li fa svegliare dalla loro indifferenza.
Le persone che vivono nelle parrocchie, i catechisti - per i bambini o gli adulti - sono persone semplici: sono in grado di avere nuove parole e incoraggiare il dialogo efficace di cui lei parla? Sono pronti per la sfida? Come vengono preparati?
Mons. André-Joseph Léonard: Quello che è importante è comunicarela fede. Nonvorrei riservare la capacità di insegnare solo a coloro che hanno una grande formazione teologica o intellettuale. Conosco molte persone che con la loro presenza irradiano la fede in maniera semplice. E’ comunque vero che abbiamo bisogno di aiuto nella formazione di questi individui per avere uno prospettiva in modo da poter rispondere alle richieste di educazione.
I catechisti per esempio, sono migliaia, soprattutto donne, e la Chiesa senza le donne potrebbe chiudere bottega.
Sono donne che solo con la loro presenza, il loro modo di essere, forniscono una testimonianza straordinaria. In ogni caso sono molte le diocesi che si preoccupano di organizzare corsi di formazione per gli operatori pastorali di tutti i tipi tra cui i catechisti parrocchiali. (A. Bourdin)
[Traduzione dal francese di Antonio Gaspari]

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SAN GALLO, domenica, 30 settembre 2012. Di seguito l’omelia tenuta questa mattina nella cattedrale di San Gallo da monsignor Markus Büchelvescovo della diocesi locale, in occasione dell’annuale assemblea plenaria dei Presidenti delle Conferenze episcopali in Europa, che si conclude oggi. La città svizzera commemora quest’anno il1400° anniversario dell'arrivo di San Gallo nell'omonimo cantone.
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Si concludono, con oggi, giornate di intenso lavoro, ma anche di incontro. Assieme alla grande comunità di chi ci segue in televisione e con i fedeli di diverse lingue e culture presenti, siamo qui per celebrare, alla fine della grande assemblea plenaria, la nostra fede.
Con la celebrazione eucaristica incontriamo Cristo nella Parola e nei Sacramenti. Già da oggi o da domani, voi, gentili ospiti, rientrerete nei vostri Paesi europei e avrete il compito di  guidare la Chiesa locale e rafforzare con il vostro vivo annuncio la fede. Si tratta di un'importante sfida sociale e spirituale, soprattutto alla luce delle rapidissime trasformazioni che si susseguono nel nostro tempo!
Chi in queste settimane e in questi mesi ha avuto modo di visitare la città di San Gallo, non avrà potuto fare a meno di imbattersi nelle celebrazioni per il grande anniversario giubilare. 1400 anni or sono, alcuni monaci irlandesi attraversarono l'Europa gettando con la propria testimonianza di vita e con le loro prediche le basi cristiano-spirituali in grado di sostenere quella cultura cristiana, che è andata poi evolvendosi nel corso dei secoli. Chi visita la ricostruzione della piccola cella che ospitò San Gallo sulla piazza del convento, circondata dall'imponente struttura conventuale, in una città consapevole della propria storia, ravviserà bene l’incredibile sviluppo che, da un inizio modesto, attraverso i secoli, è giunto fino ad oggi. Laddove un tempo c’era solo un uomo dal grande carisma, entusiasta di Dio, oggi ritroviamo la comunità di una Chiesa, che lotta per affermarsi nel mondo secolarizzato…
In questa situazione conflittuale, la memoria mi ha riportato alle parole del Cardinal Maria Martini, recentemente scomparso, che nella sua veste di Presidente del CCEE si è intrattenuto spesso anche qui a San Gallo. In un’intervista rilasciata poco prima della sua morte, il Cardinal Martini disse:
“La Chiesa è stanca nell’Europa del benessere e in America. La nostra cultura è invecchiata, le nostre Chiese sono grandi, le nostre case religiose sono vuote e l’apparato burocratico della Chiesa lievita, i nostri riti e i nostri abiti sono pomposi. Queste cose, però, esprimono quello che noi siamo oggi? I beni culturali di cui dobbiamo prenderci cura servono veramente all’annuncio e alla gente? Oppure costringono troppo le nostre forze impedendoci di muoverci anche quando le difficoltà ci opprimono?” 
Nel corso degli ultimi decenni il Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee si è impegnato per l’evangelizzazione in Europa, come attesta l’imponente mole di documenti prodotti. Nelle prossime settimane prenderà il via a Roma un importante Sinodo dei Vescovi dedicato proprio a questa tematica. In quell’occasione, la domanda del saggio Cardinale, la cui esistenza è stata caratterizzata da profonde esperienze spirituali di vita e di dolore, dovrà
ricoprire un ruolo centrale: I beni culturali di cui dobbiamo prenderci cura servono all’annuncio e alla gente? Esprimono veramente, ciò che noi oggi siamo? Mi auguro e prego, affinché tutte le riflessioni e le fatiche spese per la Nuova Evangelizzazione siano accompagnate dalla grande fiducia nell’efficacia dello Spirito Santo e dalla preoccupazione di comprendere, cosa siano e dove si trovino oggi gli uomini.
Cari fedeli qui in questa Chiesa e a casa, le letture delle Sacre Scritture previste per questa domenica ci forniscono importanti impulsi a sostegno del nostro impegno a trovare Cristo:
Mosè guida il Popolo di Dio dalla prigionia in Egitto verso la libertà, ma il cammino attraverso il deserto è duro e faticoso, proprio come il futuro è incerto. Il popolo si lamenta e vorrebbe tornare indietro. Mosè, da solo, si sente sovraffaticato e chiede l’aiuto del Signore. Nel libro dei numeri leggiamo (11,25): Allora il Signore scese nella nube e gli parlò: prese lo spirito che era il lui e lo infuse sui settanta anziani. Intanto, due uomini, uno chiamato Eidad e l’altro Medad, erano rimasti nell’accampamento e lo spirito si posò su di essi; erano fra gli iscritti, ma non erano riusciti ad andare alla tenda; si misero a profetizzare nell’accampamento. Lo spirito aleggia dove vuole e anche chi sembra all’apparenza estraneo alla logica del Vangelo, può essere strumento di grazia. Nella nuova unione Cristo distribuisce i doni dello spirito fra tutti coloro che sono pronti a riceverli. Il Concilio Vaticano Secondo paragona la Chiesa con il peregrinante popolo di Dio attraverso il tempo. In qualità di pastori del popolo, speriamo di riuscire a riconoscere, sostenere le vocazioni e le doti intellettuali proprie degli uomini nella Chiesa, affinché possano essere messe proficuamente al servizio di quest’ultima. D’altronde, la Nuova Evangelizzazione non significa altro che aprire i cuori e le orecchie per la parola di Dio e per riscoprire la comunità di Cristo così ricca di spirito.
Nella lettera a Giacomo la comunità è confrontata con un’altra prigionia –  l’essere prigionieri dell’esistenza terrena, del benessere, del possesso. Gli uomini che conoscono il lato positivo della vita e del mondo vengono esortati a non perdere di vista anche le ricchezze più profonde della vita. Oggigiorno, infatti, molte persone soffrono per la mancanza di importanti valori interiori. Chi lascia che l’amore di Cristo trasformi la sua vita sa, che il Figlio dell’Uomo durante il giudizio ci chiederà come abbiamo trattato i poveri e i più bisognosi fra i nostri fratelli e le nostre sorelle. In questo, dunque, a noi come Chiesa nel mondo e nella società viene attribuito un ruolo ben chiaro. Per questo siamo così grati per ogni azione diaconica dei cristiani e soprattutto anche, che il Santo Padre Papa Benedetto XVI sul palcoscenico del mondo non manchi mai di prendere la parola e di esprimersi sui grandi temi di pace, libertà e giustizia.
Finiamo con un terzo impulso dal Vangelo secondo Matteo (Mt 9):
Gesù è in lotta contro il male, l’avversario, ma quando si tratta degli uomini, non conosce alcun fanatismo. Le sagge parole “Chi non è contro di noi è per noi” ci aiutano anche a noi ad assumere un atteggiamento d’incontro verso gli altri uomini, andandoli a prendere là dove sono – incontrarli nello spirito della comunione e condurli sul cammino che li porterà a LUI, a Cristo, che di sé stesso ha detto: “Io sono il cammino, la verità, la vita”.
Preghiamo oggi, dunque, per quest’amore riparatore, l’amore per Cristo e per il prossimo, un amore che contro ogni disperazione e rassegnazione, ci dona coraggio e fiduciia. Amen.