sabato 15 settembre 2012

Confessare con le opere che Gesù è il Cristo

"La Chiesa Cattolica vive e cresce in questa fede: in Gesù non crede all'umanità senza vera divinità, e neppure alla divinità senza vera umanità".
S. Leone Magno, Ep. 28 a Flaviano.

   

Oggi 16 settembre celebriamo la XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Anno B 

 Di seguito la seconda lettura dell'Ufficio, i testi del Messale, qualche commento e qualche pagina preziosa dalla Tradizione.
Buona Domenica! Pb. Vito Valente.

Pastori siamo, ma prima cristiani
Inizio del «Discorso sui pastori» di sant'Agostino, vescovo
(Disc. 46, 1-2; CCL 41, 529-530)

Ogni nostra speranza è posta in Cristo. E' lui tutta la nostra salvezza e la vera gloria. E' una verità, questa, ovvia e familiare a voi che vi trovate nel gregge di colui che porge ascolto alla voce di Israele e lo pasce. Ma poiché vi sono dei pastori che bramano sentirsi chiamare pastori, ma non vogliono compiere i doveri dei pastori, esaminiamo che cosa venga detto loro dal profeta. Voi ascoltatelo con attenzione, noi lo sentiremo con timore.
«Mi fu rivolta questa parola del Signore: Figlio dell'uomo, profetizza contro i pastori di Israele predici e riferisci ai pastori d'Israele» (Ez 34, 1-2). Abbiamo ascoltato or ora la lettura di questo brano, quindi abbiamo deciso di discorrerne un poco con voi. Dio stesso ci aiuterà a dire cose vere, anche se non diciamo cose nostre. Se dicessimo infatti cose nostre saremmo pastori che pascono se stessi, non il gregge; se invece diciamo cose che vengono da lui, egli stesso vi pascerà, servendosi di chiunque.
«Dice il Signore Dio: Guai ai pastori di Israele che pascono se stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge?» (Ez 34, 2), cioè i pastori non devono pascere se stessi, ma il gregge. Questo è il primo capo di accusa contro tali pastori: essi pascono se stessi e non il gregge. Chi sono coloro che pascono se stessi? Quelli di cui l'Apostolo dice: «Tutti infatti cercano i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo» (Fil 2, 21).
Ora noi che il Signore, per bontà sua e non per nostro merito, ha posto in questo ufficio — di cui dobbiamo rendere conto, e che conto! — dobbiamo distinguere molto bene due cose: la prima cioè che siamo cristiani, la seconda che siamo posti a capo. Il fatto di essere cristiani riguarda noi stessi; l'essere posti a capo invece riguarda voi.
Per il fatto di essere cristiani dobbiamo badare alla nostra utilità, in quanto siamo messi a capo dobbiamo preoccuparci della vostra salvezza.
Forse molti semplici cristiani giungono a Dio percorrendo una via più facile della nostra e camminando tanto più speditamente, quanto minore è il peso di responsabilità che portano sulle spalle. Noi invece dovremo rendere conto a Dio prima di tutto della nostra vita, come cristiani, ma poi dovremo rispondere in modo particolare dell'esercizio del nostro ministero, come pastori.

 
MESSALE
Antifona d'Ingresso  Cf Sir 36,15-16
Da', o Signore, la pace a coloro che sperano in te;
i tuoi profeti siano trovati degni di fede;
ascolta la preghiera dei tuoi fedeli
e del tuo popolo, Israele.

Colletta

O Dio, che hai creato e governi l'universo, f
a' che sperimentiamo la potenza della tua misericordia, per dedicarci con tutte le forze al tuo servizio. Per il nostro Signore...
Oppure: O Padre, conforto dei poveri e dei sofferenti, non abbandonarci nella nostra miseria: il tuo Spirito Santo ci aiuti a credere con il cuore, e a confessare con le opere che Gesù è il Cristo, per vivere secondo la sua parola e il suo esempio, certi di salvare la nostra vita solo quando avremo il coraggio di perderla. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura 
  Is 50, 5-9aHo presentato il mio dorso ai flagellatori. 

Dal libro del profeta Isaia
Il Signore Dio mi ha aperto l'orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi.
Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso. È vicino chi mi rende giustizia: chi oserà venire a contesa con me? Affrontiamoci. Chi mi accusa? Si avvicini a me. 
Ecco, il Signore Dio mi assiste: chi mi dichiarerà colpevole? 


Salmo Responsoriale
    Dal Salmo 114
Camminerò alla presenza del Signore nella terra dei viventi.
Amo il Signore, perché ascolta
il grido della mia preghiera.
Verso di me ha teso l'orecchio
nel giorno in cui lo invocavo.
Mi stringevano funi di morte,
ero preso nei lacci degli inferi,
ero preso da tristezza e angoscia.
Allora ho invocato il nome del Signore:
«Ti prego, liberami, Signore». 
Pietoso e giusto è il Signore,
il nostro Dio è misericordioso.
Il Signore protegge i piccoli:
ero misero ed egli mi ha salvato. 
Sì, hai liberato la mia vita dalla morte,
i miei occhi dalle lacrime,
i miei piedi dalla caduta.
Io camminerò alla presenza del Signore
nella terra dei viventi.


Seconda Lettura
   
Gc 2, 14-18La fede se non è seguita dalle opere in se stessa è morta.

Dalla lettera di san Giacomo apostolo
A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha opere? Quella fede può forse salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprov­visti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta.
Al contrario uno potrebbe dire: «Tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede».

Canto al Vangelo
   Gal 6,14 
Alleluia, alleluia.
Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore,
per mezzo del
la quale il mondo per me è stato crocifisso,
come io per
 il mondo.

Alleluia.

 Vangelo   Mc 8, 27-35Tu sei il Cristo...  Il Figlio dell'uomo dove molto soffrire.
Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia e altri uno dei profeti». Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno. 
E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere.
Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va' dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà». Parola del Signore.

* * *

COMMENTO DELLA CONGREGAZIONE PER IL CLERO


«Ma voi, chi dite che io sia?». La domanda di Gesù risuona, dopo duemila anni, di straordinaria attualità, per ciascuno dei Suoi discepoli, per ciascuno di noi!
In una straordinaria “escalation” pedagogica, in un progressivo manifestarsi e condurre gli Apostoli nel cuore della Verità, nell’odierno Vangelo, il Signore inizia con una domanda generica, quasi un’indagine sulla pubblica opinione: «La gente chi dice che io sia?». Ma è chiaro, immediatamente evidente, come non si possa, di fronte a Cristo, soffermarsi su generiche opinioni condivise, su quello che “gli altri” pensano e dicono di Lui. È necessario, urgente, doveroso e perfino obbligante in coscienza, prendere posizione su Cristo.
Infatti, di fronte alla quasi imbarazzata e generica risposa degli Apostoli, il Signore incalza, quasi convocando la loro libertà: «Ma voi – proprio voi, non altri –, chi dite che io sia?».,
Molti fratelli, nel nostro tempo, ed in ogni tempo, non prendono, o non hanno preso posizione di fronte a Cristo, pensando di poter vivere in un asfissiante agnosticismo, falsamente capace di garantire una certa neutralità.
In realtà, l’annuncio di Cristo, ciò che Egli porta nel mondo sono così sconvolgenti e determinano un tale cambiamento della storia, dell’uomo e del suo rapporto con Dio da essere impossibile ogni neutralità.
Non prendere posizione di fronte ad un uomo che dice di essere Dio, e che porta Dio nel mondo, significa, in realtà, senza malcelati pudori, schierarsi tra coloro che Lo rifiutano, perché, se Dio è entrato nel mondo e si è rivelato agli uomini, è impossibile non seguirLo! L’agnosticismo è, dunque, una forma di “ateismo irresponsabile”, che rinuncia anche alla “responsabilità”, appunto, di dare le ragioni della propria posizione.
La risposta, limpida, diretta e vera è quella di Pietro: «Tu sei il Cristo». Pietro prende la parola a nome di tutti gli Apostoli e, in ciò che egli dice, è come significata tutta la coscienza della Chiesa. Ancora oggi è così! Se vogliamo rispondere personalmente e comunitariamente alla domanda incalzante del Signore: «Voi, chi dite che io sia?», non possiamo non confrontarci con la risposta di Pietro, verificando se la nostra risposta è in piena comunione con la sua: «Tu sei il Cristo», cioè l’Unto del Signore, il Messia, Colui che Israele attendeva, la risposta a tutto il bisogno di verità, di giustizia, di bellezza e di amore del cuore umano.
Il terzo passo, che la pedagogia divina propone nell’odierna pagina evangelica, è, forse, il più drammatico: la Rivelazione del destino del Figlio dell’Uomo, del metodo scelto da Dio per salvarci, la Croce. Gesù «cominciò ad insegnare loro che il Figlio dell’Uomo doveva soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere».
È comprensibile la reazione di Pietro, scandalizzato dall’annuncio della passione, per lui - e spesso anche per noi - incomprensibile e sconcertante. Ma altrettanto forte è la chiarezza con la quale il Signore ammonisce anche il Principe degli Apostoli: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». L’accoglienza della logica della Croce, l’accoglienza della decisione misteriosa di Dio di salvarci, attraverso il sacrificio del Figlio, è - e rimane - uno dei passaggi più impegnativi dell’assenso di fede. Non ci è chiesto solo di accogliere Gesù come il Cristo, il Messia, ma, molto di più, di accettare che il Salvatore sia il Crocifisso e che, tale imperscrutabile logica, non riguardi solo Lui, la Sua persona, ma ciascuno di noi.
Rifiutare la Croce, e la logica che ne deriva, significa essere Satana! Significa non pensare secondo Dio ma secondo il mondo, secondo gli uomini. Abbiamo celebrato nei giorni scorsi la Festa dell’Esaltazione della Santa Croce e la Memoria della Beata Vergine Maria Addolorata, quasi come praeparatio all’odierno Vangelo. Imploriamo dallo Spirito Santo di aprire gli occhi della nostra mente, perché possiamo, con l’aiuto della grazia, conoscere, percorrere e perfino amare la via che il Signore, senza reticenze, oggi indica: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».
La Beata Vergine Maria, che ha seguito Cristo sul Calvario, ci indichi il cammino, ci sostenga nella prova, ci consegni il premio eterno.

* * *

p. Raniero Cantalamessa ofmcapp.

Tutti e tre i Sinottici riferiscono l'episodio di Gesù che a Cesarea di Filippo chiede agli apostoli quali sono le opinioni della gente su di lui. Il dato comune a tutti e tre è la risposta di Pietro: "Tu sei il Cristo". Matteo aggiunge: "il Figlio di Dio vivente" (Mt 16, 16) che potrebbe, però, essere una esplicitazione dovuta alla fede della Chiesa dopo la Pasqua.

Ben presto il titolo Cristo divenne un secondo nome di Gesù, quasi come noi diciamo Dante Alighieri, o Giovanni Paolo, o Pier Luigi. Lo si incontra oltre 500 volte nel Nuovo Testamento quasi sempre nella forma composta "Gesù Cristo", o "nostro Signore Gesù Cristo". Ma all'inizio non era così. Tra Gesù e Cristo c'era sottinteso un verbo: "Gesù è il Cristo". Dire "Cristo" non era chiamare Gesù per nome, ma fare una affermazione su di lui.

Cristo, si sa, è la traduzione greca dell'ebraico Mashiah, Messia, ed entrambi significano "unto". Il termine deriva dal fatto che nell'Antico Testamento re, profeti e sacerdoti, al momento della loro elezione, venivano consacrati mediante una unzione con olio profumato. Sempre più chiaramente però nella Bibbia si parla di un Unto, o Consacrato, speciale che verrà negli ultimi tempi per realizzare le promesse di salvezza di Dio al suo popolo. È il cosiddetto messianismo biblico, che assume diverse colorazioni a seconda che il Messia venga visto come un futuro re (messianismo regale) o come il Figlio dell'uomo di Daniele (messianismo apocalittico).

Tutta la tradizione primitiva della Chiesa è unanime nel proclamare che Gesù di Nazareth è il Messia atteso. Lui stesso, secondo Marco, si proclamerà tale davanti al Sinedrio. Alla domanda del Sommo Sacerdote: "Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?", egli risponde: "Io lo sono" (Mc 14, 61 s.).

Tanto più quindi sconcerta il seguito del dialogo di Gesù con i discepoli a Cesarea di Filippo: "E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno". Ma il motivo è chiaro. Gesù accetta di essere identificato con il Messia atteso, ma non con l'idea che il giudaismo aveva finito per farsi del Messia. Nell'opinione dominante, questi era visto come un capo politico e militare che avrebbe liberato Israele dal dominio pagano e instaurato con la forza il regno di Dio sulla terra.

Gesù deve correggere profondamente questa idea, condivisa dagli stessi suoi apostoli, prima di permettere che si parlasse di lui come Messia. A questo mira il discorso che segue immediatamente: "E incominciò a insegnar loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire...". La dura parola rivolta a Pietro che cerca di distoglierlo da tali pensieri: "Lungi da me, Satana", è identica a quella rivolta al tentatore nel deserto. In entrambi i casi si tratta infatti dello stesso tentativo di distoglierlo dal cammino che il Padre gli ha indicato ? quello del Servo di Jahvè sofferente ? per un altro che è "secondo gli uomini, non secondo Dio".

La salvezza verrà dal sacrificio di sé, dal "dare la vita in riscatto per molti", non dall'eliminazione del nemico. In tal modo da una salvezza temporale si passa a una salvezza eterna, da una salvezza particolare, destinata a un solo popolo, si passa a una salvezza universale.

Purtroppo dobbiamo costatare che l'errore di Pietro si è ripetuto nella storia. Anche certi uomini di Chiesa e perfino successori di Pietro si sono comportati, in certe epoche, come se il regno di Dio fosse di questo mondo e dovesse affermarsi con la vittoria (se necessario anche delle armi) sui nemici, anziché con la sofferenza e il martirio.

Tutte le parole del vangelo sono attuali, ma il dialogo di Cesarea di Filippo lo è in maniera tutta speciale. La situazione non è mutata. Anche oggi su Gesù ci sono le più diverse opinioni della gente: un profeta, un grande maestro, una grande personalità. È diventata una moda presentare Gesù, negli spettacoli e nei romanzi, nelle fogge e con i messaggi più strani. Il Codice da Vinci è solo l'ultimo episodio di una lunga serie.

Nel vangelo Gesù non sembra sorprendersi delle opinioni della gente, né si attarda a smentirle. Solo pone una domanda ai discepoli e così fa anche oggi: "Per voi, anzi per te, chi sono io?". C'è un salto da fare che non viene dalla carne e dal sangue, ma è dono di Dio da accogliere mediante la docilità a una luce interiore da cui nasce la fede. Ogni giorno ci sono uomini e donne che fanno questo salto. A volte si tratta di persone famose - attori, attrici, uomini di cultura - e allora fanno notizia. Ma infinitamente più numerosi sono i credenti sconosciuti. Talora i non credenti scambiano queste conversioni per debolezza, crisi sentimentali, o ricerca di popolarità e può darsi che in qualche cosa ciò sia vero. Ma sarebbe mancanza di rispetto della coscienza altrui gettare il discredito su ogni storia di conversione.

Una cosa è certa: quelli che hanno fatto questo salto non tornerebbero indietro per nulla al mondo e anzi si stupiscono di aver potuto vivere tanto tempo senza la luce e la forza che vengono dalla fede in Cristo. Come S. Ilario di Poitiers che si convertì da adulto, essi sono pronti ad esclamare: "Prima di conoscerti, io non esistevo".

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Luciano Manicardi
Il cammino di obbedienza del servo diviene forza per affrontare con fiducia nel Signore la violenza e il rigetto (Isaia); il cammino di Gesù è itinerario di obbedienza e fiducia in Dio in cui egli si rivela Messia chiamato a conoscere il rigetto, la morte e la resurrezione (vangelo).
“Lungo il cammino” Gesù interroga i discepoli sulla sua identità e riceve le loro risposte: è nel concreto e quotidiano seguire Gesù che si chiarisce al discepolo l’identità di Gesù. L’autentica confessione di Gesù avviene esistenzialmente. L’identità di colui che viene confessato attrae e coinvolge l’identità di colui che la confessa: è nella sua vita che il cristiano confessa il Cristo. Ovvero: mentre diciamo che siamo cristiani è importante aver coscienza che dobbiamo ancora diventare cristiani. L’obbedienza alla volontà di Dio si manifesta nel corpo e nelle relazioni, nell’esistenza e nella morte. Fino alla morte. È l’insegnamento, già ricordato, dell’anziano vescovo di Antiochia, Ignazio, che, avviandosi al martirio, scrive ai cristiani di Roma: “Ora incomincio a essere discepolo” (Ai Romani V,3).
L’obbedienza di Gesù si manifesta nell’espressione secondo cui il Figlio dell’uomo “deve” molto soffrire (Mc 8,31). Questo “dovere” non rinvia a un’imposizione dall’alto, a una volontà crudele di Dio e neppure a uno spargimento di sangue teso a soddisfare l’ira di un Dio incollerito con gli uomini peccatori. Quel “dovere” sgorga dall’incontro della libertà di Gesù con le esigenze della Scrittura, cioè della volontà di Dio espressa nella Scrittura (“Sta scritto che il Figlio dell’uomo deve soffrire molto ed essere disprezzato”: Mc 9,12). Da lì scaturisce il cammino di Gesù. Cammino che lo porta a vivere gli eventi della passione e morte nella fedeltà a Dio, nell’amore e nella libertà. Gesù sa che, anche nel rigetto e nella derelizione in cui lo lasceranno gli uomini, il Signore Dio lo assiste (cf. Is 50,7). Invece che suscitare immagini perverse di Dio, quel “dovere” indica lo scandalo di un Dio che ha scelto di farsi conoscere agli uomini sulla croce (cf. Mc 15,39), luogo simbolico che raggiunge ogni uomo negli inferi esistenziali in cui può precipitare. E dunque paradossale luogo della salvezza universale.

Mentre dunque rivela il paradossale cammino di Dio verso l’uomoil cammino di Gesù diviene anche lo scandaloso cammino che il discepolo deve seguire. La parola che Gesù annuncia (“Gesù diceva la parola apertamente”: Mc 8,32 lett.) è sempre la scandalosa e paradossale “parola della croce” (1Cor 1,18) che spiazza i pensieri e i cammini dell’uomo (come qui avviene per Pietro: Mc 8,32-33). Davvero “i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie” (Is 55,8). Per questo è bene che Gesù resti sempre per i credenti una domanda: “Chi dite che io sia?” e non diventi mai solamente una risposta. Solo così Gesù sarà veramente il Signore.
A discepoli e folla Gesù chiede di rinnegare se stessi, prendere su di sé la croce, perdere la vita (cf. Mc 8,34-35): parole che urtano l’attuale vague spirituale psicologizzante che riduce il cristianesimo a dilatazione di sé e a ricerca del benessere interiore. Ma parole che, assolutizzate, distorcono gravemente la visione della vita cristiana divenendo la base di un annuncio che genera nevrosi e dimentica che il centro della vita di Gesù e del credente è l’amore, una vita spesa liberamente nell’amore fino alla morte. Gesù ha amato Dio e gli uomini con una scelta senza ritorno. La rinuncia e la perdita di Gesù come del cristiano trovano senso all’interno di questo amore. Rinnegare se stessi e prendere la propria croce significa rinunciare a difendersi e portare lo strumento della propria condanna a morte; ovvero, uscire dai meccanismi di autogiustificazione e abbandonarsi totalmente al Signore. Quando tutti gli appoggi umani verranno meno e il senso del cammino si farà indecifrabile, allora l’attitudine che il vangelo chiama “perdere la propria vita”, “prendere la propria croce” si rivelerà essenziale per proseguire il cammino in una fede sempre più spoglia e autentica.

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Enzo Bianchi
Siamo al centro del vangelo secondo Marco e il brano che oggi leggiamo è di importanza capitale per la comprensione dell’intero vangelo e, più in generale, per chiarire che cosa comporta la sequela di Gesù Cristo.
In cammino verso Cesarea, Gesù domanda ai discepoli: “Chi dice la gente che io sia?”. La loro risposta, che riporta l’opinione corrente (cf. Mc 6,14-16), indica che Gesù era comunemente considerato un profeta: alcuni lo ritengono il nuovo Elia, il grande profeta rapito da Dio in cielo (cf. 2Re 2,1-18), altri vedono in lui il nuovo Giovanni il Battezzatore, accostato da Gesù stesso a Elia (cf. Mc 9,12-13). Gesù prende allora l’iniziativa e interroga direttamente i discepoli: “Voi chi dite che io sia?”. Pietro risponde prontamente: “Tu sei il Cristo”, cioè il Messia, l’Unto, il Re a lungo atteso da Israele, inviato da Dio a regnare definitivamente su tutto il popolo e su tutta l’umanità.
A questa confessione di fede messianica Gesù reagisce in un modo che può stupirci: sgrida i discepoli, imponendo loro di non parlare di lui a nessuno, così come aveva fatto con gli spiriti impuri scacciati dagli indemoniati, che conoscevano la sua identità (cf. Mc 1,24-25.34; 3,11-12): un ammonimento volto, da un lato, a ricordare che non è sufficiente una retta confessione di fede proclamata a parole ma non testimoniata con tutta la propria vita e, d’altro lato, a sottolineare l’incompletezza della confessione di Pietro, priva com’è della comprensione delMessia quale Servo sofferente di Dio, la figura profetica descritta da Isaia (cf. Is 42,1-9; 49,1-7; 50,4-11; 52,13-53,12) e pienamente incarnata da Gesù. Ecco perché proprio ora Gesù inaugura il primo dei tre annunci della passione, morte e resurrezione che lo attende (cf. Mc 9,30-32; 10,32-34): “Gesù cominciò a insegnare che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare”.

Un “dovere” che non indica una volontà crudele da parte di Dio, che esigerebbe uno spargimento di sangue per soddisfare la propria collera nei confronti degli uomini peccatori, bensì innanzitutto una necessità umana, perché in un mondo ingiusto il giusto può solo essere perseguitato, fino a essere ucciso (cf. Sap 2). Ora, se Gesù, il Giusto, affronta questa situazione senza difendersi, senza rispondere ai suoi persecutori con la violenza, ma restando fedele a Dio, allora la necessità umana può anche essere letta come necessità divina, nel senso che la libera obbedienza alla volontà di Dio, che chiede di vivere l’amore fino all’estremo, esige una vita di giustizia e di amore, anche a costo della morte violenta. Così ha vissuto Gesù… Ma Pietro non accetta che questa sia la sorte del Messia e si spinge fino a rimproverare Gesù, meritandosi una durissima replica da colui che pur aveva riconosciuto come il Cristo: “Va’ dietro a me, Satana! Tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!”. Gesù comanda a Pietro di non ostacolare il suo cammino, ma di tornare in piena obbedienza al posto che gli spetta, dietro al suo Maestro e Signore, le cui parole rivelano l’intenzione profonda del cuore di Dio.
E affinché questa radicale esigenza evangelica sia chiara per tutti, Gesù chiama a sé la folla e aggiunge: “Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà”. Parole che, nella loro paradossalità, hanno un significato assai netto: chi vuole essere realmente discepolo di Gesù deve smettere di considerare se stesso come misura di ogni cosa; deve rinunciare a difendersi e accettare di portare lo strumento della propria condanna a morte; deve uscire dai meccanismi di autogiustificazione e abbandonarsi totalmente al Signore. Solo chi accetta di fare questo può conoscere Gesù Cristo e cogliere se stesso in lui; in caso contrario finirà per rinnegare Gesù, come Pietro (cf. Mc 14,71).
Ma noi cristiani siamo ancora convinti che vale la pena perdere la vita per Gesù Cristo e per il suo Vangelo?Ovvero: crediamo che il suo amore vale più della vita (cf. Sal 63,4), che solo a motivo di questo amore trova senso ogni nostra rinuncia, ogni sofferenza che ci può essere dato di vivere?
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Giancarlo Bruni


1. Gesù sta dirigendosi verso i villaggi di Cesarea di Filippo, una fase del suo itinerario sta per concludersi e la salita verso Gerusalemme sta per iniziare. Salita preceduta da una pausa di riflessione.
Egli avverte l’urgenza di fermarsi e di fare il punto della situazione su una questione di decisiva importanza, la sua identità e di riflesso quella dei suoi seguaci, e lo fa interrogando i discepoli stessi: «Chi dice la gente che io sia?»: «Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti». La folla, secondo la versione dei discepoli, ha visto in Gesù un inviato di Dio venuto ad alleviare il dolore di molti aprendo orizzonti di speranza; davvero in lui irrompe la passione di Dio per l’uomo povero, senza risorse, senza qualità; davvero in lui rivive il fuoco profetico evidente come non mai in Elia e nel Battista. Una risposta, questa della gente, indubbiamente alta anche se non esaustiva e sempre bisognosa di puntualizzazioni, Gesù infatti mai acconsentirà al desiderio della folla di divenirne il governatore politico, un Gesù a cui preme in modo particolare di conoscere quale idea si sono fatti di lui i discepoli a lui vicini: «E voi chi dite che io sia?». Domanda a cui risponde Pietro a nome di tutti: «Tu sei il Cristo», e a cui segue l’imposizione fatta a tutti da parte di Gesù di non parlare di lui a nessuno. Ragione di un diniego che ha la sua spiegazione nel seguito del racconto.
2. La risposta di Pietro in sé è esaustiva, quel maestro di sapienza e quella personificazione del profetismo è il Cristo, è il Figlio di Dio, è l’amato in maniera unica. Questa la sua identità confermata dagli stessi spiriti immondi, metafora dell’intelligenza spoglia di amore votata alla lucida e programmata rovina dell’uomo (Mc 1,24; 3,11; 5,7), e tuttavia anche nei discepoli interpretata in chiave di potere politico (Mc 8,32; 10,35-37). Un sapere dimezzato che costringe Gesù a rompere gli indugi e a parlare «apertamente» di «Figlio dell’uomo che doveva molto soffrire…essere riprovato…venire ucciso …risuscitare» (Mc 8,31-32). Figlio di Dio sì ma nella linea del Figlio dell’uomo, personaggio proprio alla tradizione apocalittica (Dn 7,13) a indicare il Messia come colui che viene dall’alto a compiere l’opera dell’alto attraverso la via del patire. Un percorso obbligato, un dovere: perché? Per una ragione teologica, la necessità di rivelare Dio come amore fino alla croce spazzandone via ogni altra immagine; per una ragione antropologica, la necessità di restituire l’uomo alla sua cruda verità di capace di male e di incapace di sopportare il giusto, infastidito dalla sua stessa presenza ; per una ragione terapeutica, solo lo sguardo d’amore della vittima è potenza capace di restituire al bene il cuore violento. Gesù, di questo Dio innocente che ama l’uomo non innocente nella speranza di riscattarlo con un amore senza condizioni, è adempiuta icona in perfetta libertà (Gv 10,18). Liberamente ha detto sì alla via di Dio e liberamente ha detto no alla via della folla e di Pietro, il quale «lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo» (Mc 8,32), ma «egli, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Mc 8,33). Pietro rappresenta una Chiesa che non ha mai cessato di rimproverare a Gesù il suo no radicale all’assunzione del potere culturale, economico e politico per imporre il proprio orizzonte di pensiero, una Chiesa in Pietro definita da Gesù satanica, avversaria del modo di pensare di Dio mettendo alla prova un Gesù quanto mai tagliente nel precisare le ragioni della sequela: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mc 8,34).
3. Il discorso sull’identità del discepolo è posto, tale è il chiamato da Gesù di Nazaret a stare con lui reso partecipe del suo progetto, del suo modo di condurlo e del suo destino di morte-resurrezione. Tutto questo nella libertà oltre ogni determinismo, ogni costrizione e ogni seduzione: «Se qualcuno vuole…». Senza sottintesi si tratta di «rinnegare se stessi» e di «perdere se stessi» (Mc 8,34-35) nel riconoscere che non l’io ma un altro dal sé accolto al centro del sé è colui che detta il cammino al sé: divenire segni della prossimità viscerale di Cristo arrecando meno dolore possibile e alleviando più dolore possibile, e divenire segni del coraggio profetico di Cristo risvegliando le menti alla conoscenza delle cause che sono all’origine del molto patire, i cuori di pietra, l’astrazione ideologica e istituzioni autoreferenziali. E ancora divenire segni che vi è sempre un terzo giorno di resurrezione (Mc 8,31; Os 6,2) per chi ha ritenuto che sotto il sole nulla è paragonabile al sapersi eletti a divenire libero e appassionato riflesso della sua commozione e della sua franchezza. Nella quotidianità di giorni posti sotto il segno della «propria croce» (Mc 8,34), simbolo di dedizione ad alto prezzo e via di resurrezione.

* * *

DALLA TRADIZIONE PATRISTICA

SANT'AGOSTINO

DISCORSO 96

SULLE PAROLE DEL VANGELO DI MC 8, 34:
"
SE QUALCUNO VUOL VENIRE DIETRO DI ME, RINNEGHI SE STESSO" ECC.
E SULLE PAROLE DI 1 
IO 2, 15:
"
CHI AMA IL MONDO NON HA AMORE PER IL PADRE"
L'amore rende leggeri i precetti di Dio.
1. 1. Sembra penoso e gravoso il comando dato dal Signore, che cioè, se uno vuole seguirlo, deve rinnegare se stesso. Ma non è penoso e gravoso ciò che comanda Colui che aiuta a mettere in pratica ciò che comanda. Infatti è anche vero ciò che si dice a lui nel salmo: A causa delle parole delle tue labbra ho battuto vie faticoseÈ anche vero ciò che dice lui in persona: Il mio giogo è dolce e il mio peso leggero. Poiché tutto ciò ch'è penoso nei precetti, lo rende dolce la carità. Sappiamo quanti sacrifici fa compiere l'amore! Spesso però lo stesso amore è riprovevole e sensuale. Eppure quante avversità non patiscono, quante condizioni ignominiose e intollerabili non sopportano gli uomini per giungere all'oggetto del loro amore? Quante sofferenze deve affrontare un avaro, vale a dire chi ama il denaro, un ambizioso, vale a dire chi ama le cariche con gli onori, un sensuale, vale a dire chi ama la bellezza dei corpi? Ma chi sarebbe in grado d'enumerare tutte le specie di amore? Considerate tuttavia quanto soffrono gli amanti ma senza far caso alle loro sofferenze; e tanto più soffrono quando è loro tolta la possibilità di soffrire. Orbene, siccome in gran parte gli uomini rassomigliano all'oggetto del loro amore e per regolare la nostra vita null'altro ci deve stare a cuore se non quello di scegliere l'oggetto da amare, perché stupirci se chi ama Cristo e vuole esserne seguace, con l'amarlo rinuncia a se stesso? Se in effetti uno si perde amando se stesso, certamente si ritrova col rinnegare se stesso.
L'amore di sé prima causa della perdizione dell'uomo.
2. 2. All'inizio l'uomo si perse per l'amore di sé. Se infatti non avesse amato se stesso e avesse preferito Dio al proprio io, avrebbe voluto essere sempre soggetto a Dio, e per conseguenza non si sarebbe rivoltato rifiutando la volontà di lui e facendo la propria volontà. In effetti amare se stessi è voler fare la propria volontà. Preferisci alla tua la volontà di Dio; impara ad amarti non amando te stesso. Orbene, affinché sappiate ch'è un difetto amare se stessi, l'Apostolo dice: Gli uomini saranno amanti di se stessi. Ora, chi ama se stesso rimane forse stabile in se stesso? In realtà dopo aver abbandonato Dio comincia ad amare se stesso e per amare le cose esistenti fuori di lui viene scacciato da se stesso tanto che l'Apostolo, dopo aver detto: Gli uomini saranno amanti di se stessi, immediatamente soggiunge: amanti del denaro. Vedi dunque che sei al di fuori di te. Hai preso ad amare te stesso: rimani in te, se ci riesci. Perché vai fuori di te? Tu, che ami il denaro, sei stato forse reso ricco dal denaro? Poiché hai preso ad amare ciò ch'è fuori di te, hai perduto te stesso. Quando perciò l'amore dell'uomo si spinge dall'uomo stesso alle cose esterne, comincia a vanificarsi con la vanità e a sperperare per così dire da prodigo le proprie forze. Si svuota, si disperde, diventa bisognoso, pascola i porci e trovandosi a disagio nel pascolare i porci, un bel giorno si ricorda della propria condizione e dice: Quanti salariati di mio padre hanno da mangiare in abbondanza mentre io sto qui a morire di fame!. Ma quando parla così, che cosa ci è narrato dello stesso figlio che aveva speso tutti i suoi soldi con le meretrici e aveva voluto tenere a sua disposizione la parte degli averi che era tenuta bene in serbo nella casa del padre? Volle prenderla per farne quel che gli piaceva, la sperperò e divenne povero. Quale espressione usa la Scrittura parlando di lui? Ecco: Rientrò in se stesso. Se rientrò in se stesso, vuol dire che prima era uscito fuori di se stesso. Poiché era caduto lontano da sé ed era uscito fuori di sé, per tornare da Colui dal quale si era allontanato cadendo fuori di se stesso egli ritorna prima in se stesso. Ora, allo stesso modo che cadendo lontano da se stesso era rimasto solo in se stesso, così, quando torna in sé non deve rimanere in se stesso per non uscire di nuovo fuori di sé. Rientrato in se stesso per non rimanere da solo in se stesso, che cosa disse? Mi alzerò e andrò da mio padre. Ecco da quale stato era caduto fuori di sé: s'era allontanato da suo padre; s'era allontanato da se stesso; era uscito lontano da se stesso per cadere nelle cose ch'erano fuori di lui. Egli torna in sé e si avvia verso il padre, per trovare in lui il rifugio più sicuro. Se dunque era uscito fuori di se stesso abbandonando suo padre, quando rientra in sé per tornare dal padre rinneghi se stesso. Che significa: "rinneghi se stesso"? Non confidi in se stesso, sia persuaso d'essere un semplice uomo e abbia presente agli occhi della mente l'affermazione d'un Profeta: Maledetto chiunque ripone la propria speranza in un uomo. Si allontani da se stesso ma non verso il basso; si liberi dal proprio io per unirsi a Dio. Tutto ciò che ha di buono lo attribuisca a Colui dal quale è stato creato, tutto ciò che ha di male se lo è fatto da se stesso. Non è stato Dio a fare ciò che in lui è male; distrugga dunque ciò che ha fatto chi da Dio s'è allontanato. Rinunci a se stesso - dice Cristo - prenda la propria croce e mi segua.
Dove seguire Cristo e per qual via.
3. 3. Dove dobbiamo seguire il Signore? Sappiamo dov'è andato; abbiamo celebrato la solennità della sua ascensione pochi giorni or sono. Egli infatti è risorto ed è asceso al cielo: noi dobbiamo andare con lui fin lassù. Non dobbiamo affatto perdere la speranza poiché, anche se l'uomo non è capace di nulla, ce lo ha promesso proprio lui. Il cielo era lontano da noi prima che ci andasse il nostro capo. Perché dovremo dunque disperare se siamo le membra di quel capo? Dobbiamo dunque seguirlo fino lassù. Ma chi si rifiuterebbe di seguirlo fino a quella sede? Soprattutto per il fatto che sulla terra si soffre molto a causa di dolori e di timori. Chi rifiuterebbe di andare con Cristo là dove si trova la somma felicità, la pace suprema e la perpetua tranquillità? È bene seguirlo lassù, ma bisogna vedere per quale via. In effetti Gesù nostro Signore non disse quell'espressione quando era già risorto dai morti. Non aveva ancora patito, doveva ancora andare incontro alla croce, al disonore, agli oltraggi, ai flagelli, alla corona di spine, alle ferite, agli insulti, agli obbrobri, alla morte. La via ti sembra scabrosa, ti rende pigro, e così ti rifiuti d'andare dietro a lui. Va' dietro a lui. È scabroso ciò che l'uomo ha reso tale a se stesso, ma sono state ridotte in polvere le asperità che Cristo cancellò tornando al cielo. Ora chi non vorrebbe arrivare alla glorificazione? A tutti piace un posto elevato, ma il gradino è l'umiltà. Perché alzi il piede al di sopra di te? In tal modo tu vuoi cadere, non già salire. Comincia dal gradino [dell'umiltà] e sei già salito. Non volevano considerare il gradino dell'umiltà quei due discepoli che dicevano: Comanda, Signore, che di noi due uno sieda alla tua destra e l'altro alla tua sinistra nel tuo regno.Chiedevano un posto elevato ma non vedevano il gradino. Il Signore allora mostrò loro il gradino e che cosa rispose loro il Signore? Siete in grado di bere il calice che io dovrò bere?. Voi che chiedete l'apice della sublimità, siete in grado di bere il calice dell'umiltà? Ecco perché non disse soltanto: Rinunci a se stesso e mi segua, ma aggiunse:Prenda su di sé la sua croce e mi segua.
Portare la croce e disprezzare il mondo.
4. 4. Che significa: Prenda su di sé la croce? Sopporti tutto ciò ch'è molesto: così deve seguirmi. Quando infatti mi seguirà imitando la mia condotta e osservando i miei precetti, avrà molti che cercheranno di contrastarlo, di proibirglielo, di dissuaderlo e ciò da parte di coloro stessi che han l'apparenza d'essere seguaci di Cristo. Camminavano con Cristo coloro che tentavano di proibire ai ciechi di gridare. Sia dunque le minacce, sia le lusinghe, sia qualunque specie di proibizioni, se tu lo vuoi seguire, devi riguardarle come una croce, le devi tollerare, sopportare, non soccombere. Sembra che con quelle parole il Signore esorti al martirio. Se c'è la persecuzione, non si deve forse disprezzare tutto per Cristo? Si ama il mondo ma venga anteposto Colui dal quale è stato creato il mondo. Grande è il mondo, ma è più grande Colui dal quale il mondo è stato fatto. Bello è il mondo, ma più bello è Colui dal quale il mondo è stato fatto. Attraente è il mondo, ma più amabile è Colui dal quale il mondo è stato fatto. Cattivo è il mondo, mentre è buono Colui dal quale è stato fatto il mondo. In qual modo potrò finire l'argomento di cui parlo esponendolo in tutti i particolari? Mi aiuti Dio. Che cosa infatti ho detto? Perché mi avete applaudito? Ecco, io ho enunciato solo un quesito e voi tuttavia mi avete già applaudito. In qual modo il mondo è cattivo, se è buono Colui che ha fatto il mondo? Non fece forse Dio tutte le cose ed ecco ch'erano molto buone? La Scrittura a proposito d'ogni singola opera non dichiara forse che Dio creò buona ogni cosa, dicendo: E Dio vide ch'era cosa buona? E alla fine, riassumendo tutta la creazione, afferma che Dio fece tutte le cose ed ecco erano molto buone.
In che modo è cattivo il mondo creato da Dio buono.
5. 5. Come mai dunque il mondo è cattivo, mentre è buono Dio dal quale il mondo è stato fatto? Come mai? Poiché il mondo è stato fatto da lui ma il mondo non l'ha conosciuto. Da lui è stato creato il mondo, il cielo e la terra e tutto ciò ch'essi contengono, ma il mondo non lo ha conosciuto, cioè coloro che amano il mondo; coloro che amano il mondo e disprezzano Dio, ecco il mondo che non lo ha conosciuto. Ecco dunque perché il mondo è cattivo, perché sono cattivi coloro che a Dio preferiscono il mondo. Ma è buono Colui che ha fatto il mondo, il cielo, la terra, il mare e gli stessi individui che amano il mondo. La sola cosa che non è opera di Dio per quanto riguarda essi è il loro amore per il mondo e il loro disprezzo per Iddio; ma per quanto riguarda la natura è stato lui a fare loro stessi; per quanto invece riguarda la colpa, non è stato lui l'autore. Ecco cosa ho detto poco prima: "Distrugga l'uomo ciò ch'egli ha fatto e piacerà a Colui che lo ha fatto".
Perché il mondo buono è divenuto cattivo.
6. 6. Orbene, anche tra gli uomini vi è un mondo buono ma derivante da uno cattivo. Tutto il mondo infatti, se con questo termine intendiamo gli uomini, prescindendo da quello che chiamiamo mondo, cioè il cielo e la terra e tutto ciò che contengono, se con il termine "mondo" si denotano gli uomini, questo mondo lo rese cattivo colui che peccò per primo. Tutta la massa umana è stata corrotta nella radice. Dio ha fatto l'uomo buono; così dice la Scrittura: Dio ha creato l'uomo retto, ma gli stessi uomini han trovato molti affanni. Da questa molteplicità corri verso l'unità, raccogli nell'unità i tuoi pensieri disparati, falli confluire insieme, fortificati, rimani nell'unità, non andare verso molte cose: ecco ov'è la felicità. Noi invece abbiamo tralignato, ci siamo avviati alla perdizione; tutti siamo nati col peccato e a quello con cui siamo nati abbiamo aggiunto altri peccati col vivere male e così tutto il mondo è divenuto cattivo. Venne però il Cristo e scelse ciò ch'egli fece, non ciò che trovò, poiché trovò tutti cattivi, ma con la sua grazia li fece buoni. Fu così creato un mondo nuovo, ma il mondo [del peccato] perseguita il mondo [della grazia].
Il mondo che perseguita il mondo.
7. 7. Qual è il mondo che perseguita? È quello del quale ci viene detto: Non amate questo mondo e le cose che sono nel mondo. Se uno ama il mondo, in lui non c'è l'amore del Padre. Poiché tutto ciò ch'è nel mondo: la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi, lo sfarzo mondano, non viene da Dio Padre ma dal mondo. Il mondo però e la sua concupiscenza passano, ma chi fa la volontà di Dio vive per sempre e come vive per sempre anche Dio. Ecco, ho indicato ambedue i mondi, sia il persecutore che il perseguitato. Qual è il mondo che perseguita? Tutto ciò ch'è nel mondo: la concupiscenza della carne e degli occhi, lo sfarzo mondano che non viene da Dio Padre, ma dal mondo, che però passa. È questo il mondo che perseguita. Qual è il mondo perseguitato? Chi fa la volontà di Dio vive in eterno come anche Dio vive in eterno.
Nelle Scritture il mondo è di due specie: quello redento e quello condannato.
7. 8. Ma ecco, è chiamato mondo quello che perseguita; dimostriamo se è chiamato mondo anche quello che viene perseguitato. Ma sei forse sordo alla voce di Cristo che parla, o meglio alla voce della Sacra Scrittura che dichiara: È stato Dio a riconciliare con sé il mondo per mezzo di Cristo? Se il mondo vi odia - dice Cristo - sappiate che prima ha odiato me. Ecco: il mondo odia. Chi è odiato da questo mondo se non il mondo? Quale mondo? Dio ha riconciliato con sé il mondo per mezzo di Cristo. Persecutore è il mondo condannato; viene perseguitato il mondo riconciliato. Il mondo condannato sono tutti coloro che sono fuori della Chiesa; il mondo riconciliato è la Chiesa. Poiché il Figlio dell'uomo - dice la Scrittura - non è venuto per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
La rinuncia al proprio egoismo è comandata a tutti i membri della Chiesa.
7. 9. A proposito dunque di questo mondo santo, buono, riconciliato e salvato, anzi che sarà salvato poiché ora lo è solo nella speranza - perché siamo salvati ma solo nella speranza; a proposito dunque di questo mondo, cioè della Chiesa, la quale tutta segue Cristo, disse: Chi mi vuol seguire rinunci a se stesso. Non si deve pensare che debbano dare ascolto a questo comando le vergini e non le maritate, oppure che debbano ascoltarlo le vedove e non le spose, o i monaci e non i coniugati, o i chierici e non i laici; ma deve seguire Cristo tutta quanta la Chiesa, tutto quanto il corpo, tutte le membra distinte e disposte ciascuna a seconda dei doveri loro propri. Deve seguirlo l'intera sua unica, la sua colomba, la sua sposa, redenta e dotata col sangue dello sposo. In essa ha il suo proprio posto l'integrità verginale come ha un suo proprio posto la continenza vedovile e la pudicizia coniugale; ma in essa non ha un suo posto né l'adulterio né la lussuria illecita e che dev'essere punita. Devono dunque seguire Cristo queste membra che hanno in essa il loro posto relativo al loro genere, al loro grado, al loro modo di operare; rinneghino se stessi, cioè non ripongano fiducia in se stessi; prendano su di loro la propria croce, vale a dire sopportino nel mondo per amore di Cristo tutti gli affronti del mondo. Amino lui il quale è il solo che non illude, il solo che non s'inganna né inganna; amino lui poiché è vero ciò che promette. Ma, poiché non lo dà ora, la fede vacilla. Persisti, persevera, tollera, sopporta l'indugio: così porterai la tua croce.
I diversi gradi dei seguaci di Cristo; che significa volgersi a guardare indietro.
810. La vergine non deve dire: "In questa categoria ci sarò io sola". Non vi sarà infatti solo Maria, ma vi sarà anche Anna, la vedova. Chi è sposata non deve dire: "Vi sarà la vedova, ma non io". Non è infatti vero che vi sarà Anna e non vi sarà Susanna. Ecco dunque come devono riconoscere se stessi quelli che son chiamati a seguire Cristo; in tal modo coloro che in quello stato hanno un grado inferiore non devono invidiare ma amare quelli che vi hanno un grado superiore. Così, per esempio, fratelli miei - vi prego di fare attenzione - uno ha scelto la vita coniugale mentre un altro ha scelto la vita di continenza; se colui che ha scelto la vita coniugale, desidera commettere l'adulterio, si volge a guardare indietro, poiché brama ciò ch'è illecito. Chi, al contrario, dalla continenza vuole poi tornare alla vita matrimoniale, si volge a guardare indietro: preferisce una cosa lecita ma si volge a guardare indietro. Il matrimonio è dunque da condannare? No. Il matrimonio non è da condannare per nulla, ma chi lo ha preferito, vedi a qual punto s'era avvicinato. Era già andato avanti. Allorché da giovinetto viveva in balìa delle passioni, il matrimonio era davanti a lui, ed egli tendeva verso di esso; ma dopo aver preferito la continenza, il matrimonio è alle sue spalle. Ricordatevi come finì la moglie di Lot, dice il Signore. La moglie di Lot, essendosi voltata a guardare indietro, rimase là immobile. Ciascuno dunque abbia paura di tornare indietro dal punto ove è potuto arrivare; continui a camminare per la via, segua Cristo; dimentico di ciò che sta alle sue spalle si slanci verso ciò che gli sta davanti; seguendo la tensione interiore corra all'acquisto del premio celeste al quale Dio ci chiama per mezzo di Gesù Cristo. I coniugati mettano al di sopra di loro le persone non sposate; ammettano che sono migliori; nelle loro persone amino ciò ch'essi non hanno in sé e in loro amino Cristo.

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Letture della preghiera notturna dei certosini



VENTIQUATTRESIMA DOMENICA




Dal vangelo secondo Marco: 7, 31-37



Condussero da Gesù un sordomuto, pregando di imporgli la

mano. E portandolo in disparte lontano dalla folla, gli pose
le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua.



Dalle "Opere" di Sant'Efrem il siro.



Una forza intangibile è discesa, si è avvolta di membra

tangibili, perché i poveri la tastino; essi toccano
l'umanità, e percepiscono la divinità. Il sordomuto
avvertì qualcuno che mediante dita umane gli premeva gli
orecchi e gli tastava la lingua. Però allorché si sciolse
il nodo della lingua e si sturarono le orecchie tappate,
avvertì attraverso la pressione della mano la divinità
inafferrabile. Colui che è ad un tempo l'architetto e
l'artista dei corpi era venuto a lui. Con voce suadente
creò senza dolore delle aperture negli orecchi sordi; e la
bocca afona, fino allora incapace di emettere suoni, si mise
a lodare Colui che facendo nascere le parole, rendeva
feconda la sua sterilità.



10



Il Signore restituì la parola ai muti. Riconosciamo in

Cristo colui che dette la parola ad Adamo loro progenitore.
Anche qui, grazie a Gesù Signore, la natura difettosa
arriva alla pienezza e alla perfezione. Colui che è capace
di colmare una deficienza della natura, dimostra in tal modo
che realizza in sé stesso la pienezza della natura. Ora non
c'è maggior minorazione per un uomo di nascere senza poter
parlare; non è forse grazie alla parola che sorpassiamo
tutti gli esseri creati? Il mutismo è perciò la massima
menomazione. Ne ricaviamo stupenda questa verità: colui che
ha colmato totalmente quel vuoto è l'autore di ogni
pienezza. Gesù sputò sulle sue dita e le ficcò negli
orecchi del muto. Poi con la saliva fece del fango che
applicò sulle palpebre del cieco nato. E' un modo per farei
capire che mancava qualcosa nelle orecchie del muto e che
fin dal seno materno il cieco aveva gli occhi difettosi.



11



Quanto mancava alla nostra povera pasta umana ci è stato

concesso grazie al lievito ricavato dalla pienezza del corpo
divino di Gesù, nostro Signore. Tuttavia non era opportuno
che egli staccasse un membro dal suo corpo per aggiungerlo
ad altri corpi che ne eran privi.. Egli provvede a quel che
manca mediante qualcosa che può prelevare sia in sé stesso
sia fuori di sé, così come i mortali trovano la vita
mangiandolo per la mediazione di cibo o bevendolo tramite
una qualche bevanda. Perciò il Salvatore soppresse le tare
e persino risuscitò i morti, perché potessimo riconoscere
che grazie a quel Corpo in cui abitava la pienezza, era
colmato il difetto dei minorati e da quello stesso Corpo in
cui dimorava la Vita la vita veniva ai mortali. O
misericordie, riversate su tutti gli uomini! In te, Signore,
esse dimorano, in te che mosso a pietà degli umani, ci sei
venuto incontro con la tua morte e ci hai aperto ì tesori
della tua compassione.



12



Noi ti adoriamo in ogni cosa, Signore, per il tuo amore

universale. Adoriamo te che hai posto la parola sul nostro
labbro, perché ti potessimo presentare le nostre richieste.
Adamo ti acclama, lui che riposa nella pace, e i suoi
discendenti insieme con lui: siamo tutti a beneficiare della
tua grazia. Ti lodano i venti quando lanciano le acque
all'assalto. Ti loda la terra, che apre il suo seno e,
giunta la stagione, regala gli attesi raccolti. Ti lodano i
mari con il fragore dei flutti, quando le ondate proclamano
che tu le domini. Gli alberi ti lodano che il soffio dei
venti porta a fiorire e a dar frutti. Che altro ci resta se
non tendere verso di te con volere essenziale? Mentre poi a
te spetta versare su noi qualche goccia della tua pienezza,
perché la tua verità ci converta e si tempri la nostra
debolezza. Senza. i tuoi doni, o Padrone di ogni dono, mai
giungeremo fino a te, fragili come siamo.