giovedì 13 settembre 2012

Esaltazione della santa croce: Divo Barsotti


Esaltazione della santa croce

15 settembre 1969 La terza Pasqua, dopo la Pasqua della Resurrezione e quella della Pentecoste
Di fatto, con la Resurrezione, noi abbiamo celebrato il passaggio dalla vita passibile del Cristo alla sua vita gloriosa, ma con la Pentecoste e l'Esaltazione della Croce noi celebriamo il passaggio non più di Gesù di Nazareth, ma di tutta l'umanità, nel Regno di Dio. E prima di tutto con la Pentecoste noi celebriamo il passaggio dell'uomo dall'economia della Legge all'economia dello Spirito, quando l'uomo, veramente posseduto dallo Spirito di Dio, entra a far parte del mondo divino ricevendo il suo medesimo Spirito; quando ricevendo lo Spirito di Dio l'uomo diviene figlio e non più appartiene a questo mondo di peccato e di morte, ma entra a far parte del mondo divino della grazia e della santità.
Finalmente con l'Esaltazione della Croce, noi non celebriamo più nemmeno il passaggio all'economia della grazia che è l'economia presente, ma celebriamo, per noi e per tutta quanta l'umanità, il passaggio alla gloria definitiva.
L'Esaltazione della Croce è precisamente questo passaggio di tutta l'umanità e di tutta la creazione nel mondo della gloria Divina.
Ed è già una cosa straordinaria che noi celebriamo questo passaggio nell'Esaltazione della Croce. La croce che è simbolo di morte, la croce che è simbolo di maledizione, che è l'espressione stessa della peggiore delle condanne, diviene invece lo strumento, come diceva già Sant'Ignazio d'Antiochia, di una elevazione di tutto quanto l'universo nella gloria di Dio.
Noi celebriamo questa gloria. E la gloria, anche se per noi è rimandata a domani, nella sua esperienza diretta già incanta questo mondo. Vi è una continuità fra le tre Pasque dell'anno: la Pasqua di Resurrezione è l'inizio di tutto e viene posta la prima pietra dell'edificio della gloria di tutta quanta la creazione, con la Resurrezione di Gesù di Nazareth. Poi, dopo questo primo atto, è tutta l'umanità che entra nell'economia della grazia mediante il dono dello Spirito e tutta l'umanità già partecipa, in modo misterioso ma reale, della gloria futura.
Ma a questo modo misterioso di partecipare la gloria, ecco che subentra finalmente, in modo aperto, l'esperienza stessa della gloria divina con l'esaltazione della Croce.
Lo strumento di morte diviene invece l'apparizione, la manifestazione della gloria di Dio nel Cielo: "Hoc signum crucis erit in coelo, cum Dominus ad iudicandum venerit".
La croce, strumento di esaltazione per Dio
L'ultimo atto della gloria definitiva si identifica all'apparizione della Croce gloriosa. Che sia una croce visibile agli occhi mortali, no; perché l'entrare degli uomini nella gloria implica non una trasformazione in Dio, ma una trasformazione dell'uomo. La gloria è già presente e noi non la vediamo: allora la vedremo. Ed è, come tante volte vi ho detto, un passaggio continuo quello che ci porta dalla fede alla gloria. È precisamente l'attrazione di tutta l'umanità alla Croce del Cristo, la macchina che serve a Dio per innalzare a Sé l'universo, diceva Sant'Ignazio d'Antiochia.
Miei cari fratelli noi non sappiamo quanto tempo ancora il mondo vivrà, ma noi sappiamo che questo mondo dovrà finire. Ed ora che noi siamo impazziti per questo mondo di quaggiù, si aspetta soltanto una pace e una felicità degli uomini sulla terra, allora: che ce ne facciamo della croce gloriosa? Praticamente si rimane quaggiù dove, nonostante tutto, ci sarà sempre la morte, quaggiù dove, nonostante tutto, ci sarà sempre questo esilio da Dio perché, Egli è sì nel nostro cuore, ma noi non viviamo ancora l'esperienza piena della vita divina. E la vita divina non consisterà certamente nella pace delle nazioni e nel mangiar bene e nel dormir meglio; è qualche cosa di assolutamente altro come assolutamente altro è Dio dal mondo. Non per nulla rimane la croce la macchina che ci conduce a Dio: non per nulla è la croce lo strumento che ci innalza e la croce è la morte.
Quello che per l'uomo che non ha fede è la rottura di tutto, è l'assurdità, è il perdere, per la vita dell'uomo, ogni senso, è la morte, diviene per noi cristiani la condizione necessaria alla gloria, perché dobbiamo compiere veramente un passaggio reale da questo mondo al mondo di Dio.
Sono le tre Pasque, dicevo, no? E la prima Pasqua è la Pasqua di Gesù; la seconda è il passaggio dell'uomo carnale all'uomo spirituale, dall'esperienza del peccato all'esperienza della grazia. Ed è la condizione del cristiano, fino alla seconda venuta del Cristo. Ma poi, anche questa esperienza della grazia è una esperienza compiuta nel crepuscolo, come dice San Giovanni della Croce, compiuta nell'ambiguità della vita terrestre. Questa esperienza, darà luogo ad una esperienza in cui tutto l'essere creato sarà investito e trasfigurato dalla potenza di Dio e tutto questo implica per l'uomo, un venir meno ad ogni esperienza terrestre, un venir meno ad ogni condizione di quaggiù: la Croce!
Miei cari figlioli, noi dobbiamo celebrare solennemente la festa di oggi, non vi è una festa più grande! Il Natale stesso è condizione alla festa di oggi. Certo, senza il Natale non ci sarebbe stata la Pasqua né la Resurrezione, non vi sarebbe stato il dono dello Spirito e non vi sarebbe stata l'apparizione del Cristo glorioso. Però, precisamente per questo il Natale, l'Incarnazione del Verbo, è ordinata a queste tre feste che sono le feste più grandi dell'anno e, anche se la Chiesa cattolica dell'Occidente non celebra con tanta solennità la festa di oggi, rimane che sul piano della verità questa festa è veramente la più grande: è la festa definitiva, è la festa dell'introdursi nella gloria ultima di tutto l'universo.
La Resurrezione, anche qui, è soltanto il primo passo. Ma la festa di oggi è la resurrezione di tutte le cose, è la glorificazione di tutta la creazione di Dio, assunta nella gloria divina.
La festa della Capanne
Anche l'Ebraismo celebrava in questo giorno la sua festa più grande: la festa delle Capanne. E per celebrare questa festa viveva un passaggio. Quale? Lasciava le proprie cose, la famiglia, lasciava la propria casa e viveva in capanne, viveva l'evento di Dio nella gioia dell'ultimo raccolto, il raccolto dell'uva. Era anche la festa della luce: "Ego sum lux mundi", dice Gesù nella festa dei tabernacoli quando giunge a Gerusalemme. Si facevano delle luminare, perché era la festa della gloria, la gloria di Dio che era discesa in Israele ed aveva riempito la tenda della Testimonianza, durante l'Esodo.
Ed era festa dell'acqua, dell'acqua che poi si ritroverà anche nell'Apocalisse, che sgorga dall'altare, dal Trono di Dio o dall'Agnello e dall'altare, secondo Ezechiele. Ricordate? Quest'acqua che abbevera, quest'acqua che esalta tutte quante le genti, che toglie ogni sete, cioè colma, sazia ogni desiderio dell'uomo. Fintanto che rimane il desiderio non c'è beatitudine, e l'acqua che toglie la sete implica precisamente la beatitudine piena che colma tutti i vuoti del mondo.
È la festa di oggi! Non è una grande festa? Si diceva che la Chiesa Occidentale ha distribuito la festa della gloria in tante feste: dalla Trasfigurazione, all'Assunzione di Maria, alla festa dei Santi il 1° novembre, alla festa di Cristo Re. In realtà, però, la festa più antica che vuole celebrare questo introdursi, questo ingresso di tutta la creazione nella gloria divina, è l'Esaltazione della Croce. E a questo vi richiama il versetto che abbiamo detto poc'anzi: "Questo segno apparirà nel Cielo quando Cristo verrà a giudicare".
Vivere di fede...
Ora, miei cari fratelli, che cosa ci dice il Vangelo di oggi? Ci dice che per arrivare, attratti da Cristo, a partecipare alla sua gloria, dobbiamo non entrare nelle tenebre ma vivere nella luce; cioè guai se noi perdiamo la fede, perché allora non possiamo vivere più l'ultimo passaggio.
Cosa s'intende dire con questo? È una cosa molto semplice. Vi dicevo prima che c'è continuità tra la vita di grazia e la vita di gloria. Vi è un passaggio certo dalla grazia alla gloria, dalla condizione presente del cristiano alla condizione dei santi che vivono alla presenza di Dio. Ma questo passaggio viene fatto in una continuità mirabile che è la continuità della fede: dalla fede alla visione.
Anche la fede suppone la luce. Se tu perdi la fede tu precipiti nelle tenebre, ma precipitando nelle tenebre tu non vedrai più nulla, tu rimarrai escluso. Come sei escluso ora dalla grazia, così rimarrai escluso domani dalla gloria. "Chi non crederà sarà condannato", dice Gesù.
Per noi s'impone il vivere nella luce della fede e non è facile nel mondo di oggi. Per noi s'impone di non abbandonare questa luce, Cristo Signore; se si abbandona, abbiamo già perduto ogni cosa. Possiamo sì, possedere la civiltà del benessere, ma Dio ci è estraneo e tutto il benessere di cui potrà gratificarci questo mondo presente, non farà che più amara la nostra esperienza umana, non farà che più vuota la vita, non farà che più grande la sete che risiede nel cuore dell'uomo.
Miei cari fratelli, viviamo in questa luce di fede, così che noi siamo veramente preparati ad accogliere Dio quando Egli verrà. Non sappiamo quando ciò si verificherà, ma tuttavia ci ha detto Gesù nel santo Vangelo e ce lo ha ripetuto in ogni sua pagina: "Siate vigilanti". Che ne sappiano noi? Certo, il momento che viviamo è un momento estremamente grave. Ci ha detto il Signore: "Quando il Figlio dell'uomo ritornerà sulla terra troverà ancora la fede?". Di fatto, noi vediamo che l'umanità sempre più precipita nell'incredulità, sempre più, alla fede in Dio, subentra la fede nel mondo, per usare il linguaggio di Teilhard de Chardin. Ma la fede nel mondo è la nuova idolatria degli uomini di oggi, i quali si aggrappano soltanto a quei beni che può proporre loro la storia, un progresso della storia di quaggiù. E allora se questo mondo, se questa umanità va sempre più precipitando nelle tenebre e nostro Signore nel Vangelo di oggi ci avverte che questo pericolo c'è, se noi vediamo questo mondo che precipita sempre più nelle tenebre, noi possiamo davvero temere che qualche cosa avvenga.
... nell'attesa della sua venuta
Sono rimasto un po' irritato da un esegeta cattolico il quale vedeva l'ostacolo che trattiene Gesù nella sua seconda venuta, nella fede dei cristiani. Quando questa fede verrà meno, secondo precisamente quello che Egli stesso ha detto nel santo Vangelo, allora il mondo dovrà temere: Egli è alle porte.
Proprio nel pieno della notte, proprio quando nessuno più l'aspetta perché nessuno crede più in questa manifestazione ultima della gloria divina, proprio allora, Egli irromperà nella storia e la storia finirà. Finirà in questa glorificazione di tutti i viventi, finirà in questa trasfigurazione di tutto il mondo presente. A questa glorificazione non potrà partecipare quell'uomo che avrà perduto la fede poiché egli non avrà gli occhi per poter vedere, non avrà la possibilità di mirare il mondo nuovo del Cristo. Noi che celebriamo oggi l'Esaltazione della Croce, noi dobbiamo vivere l'ansia, il desiderio che si esprime in tutte le pagine della Sacra Scrittura del Nuovo Testamento; il desiderio dell'attesa di Cristo. È cosi poco vivo questo desiderio, è così poco viva nei cristiani di oggi l'attesa della seconda venuta: eppure, era questo che distingueva la vita cristiana delle origini.
"Marana Tha" era il grido che si ripeteva in tutte le celebrazioni eucaristiche: il Cristo viene! E ricordate voi quello che diceva la Didachè? "Passi questo mondo e venga la sua grazia". Passi questo mondo! Il mondo è per crollare, lo sentiamo noi? Il mondo già vacilla nelle sue fondamenta, lo avvertiamo? E Dio è alle porte! Che l'anima nostra si apra ad accogliere il Cristo: non vivremo più che la gloria di Dio. Ma vivremo questo se l'avremo aspettato. Non è forse questo che ci dice il Vangelo? Coloro che non attendono, che non vivono nell'attesa, sono gettati fuori: "Andate via, io non vi conosco". Questa parola di Gesù, è quella dello Sposo quando, giunto, non trova le vergini preparate ad accoglierlo. "Beato quel servo che il padrone al suo ritorno troverà vigilante". Vegliate! Non è questa la consegna che ci ha dato Gesù? E noi tutti dormiamo. Ci pensiamo che da un momento all'altro, avanti la fine della Messa, potrebbe finire questo mondo? Non la mia vita, non la vostra vita, ma la vita di tutto l'universo. Chi ci assicura?
Le leggi dell'universo sono leggi che dicono la costanza di certi processi; ma come e perché questi debbono essere costanti, nessuno scienziato ce lo saprà dire, nessun filosofo ce lo potrà insegnare. Essendo tutta la creazione contingente non vi è ragione, tranne questa, che le cose vadano così: è una constatazione, non di più. Non vi sono leggi di necessità, perché la necessità non esiste dove tutto è creazione: la creazione è libera e rimane libera, dipende dal volere di Dio. Quando Dio irromperà, non avrà bisogno di chiedere il permesso né a me né agli scienziati del mondo. Non avrà bisogno di chiedere il permesso né ai potenti della terra né ai filosofi: Egli verrà.
Nella Liturgia, anticipiamo ciò che avverrà
Miei cari fratelli, dobbiamo avere questo senso della caducità, non della caducità della nostra vita soltanto, ma della caducità di questo mondo, di questa creazione. Certo che Dio non vuole la fine di ciò che è stato da Lui creato, ma la trasformazione di tutto e questa trasformazione non può avvenire che attraverso la morte. Ecco, vivere in questa attesa, sentire alle porte la fine, è quello che deve distinguere sempre il cristiano. E se oggi il cristiano spesso vacilla è perché è venuto meno questo senso, ed il Cristianesimo si riduce ad una pura dottrina sociale, ad un ingrediente di questa vita mondana. Un ingrediente più o meno scomodo, più o meno utile al vivere quaggiù. È ben altro il Cristianesimo, è ben altra la fede del Cristo! Noi celebriamo oggi l'Esaltazione della Croce e celebriamo oggi con l'Esaltazione della Croce, la fine di tutte le cose, l'ingresso di tutte le cose nella gloria di Dio. Ora quanto noi siamo sicuri che avverrà questo? Tanto ne siamo sicuri che la celebriamo già in anticipo. Le nostre festività cristiane non sono dunque solo il ricordo di quello che è già avvenuto, ma sono anche l'anticipazione di quello che avverrà. Ricordiamoci una cosa, miei cari fratelli; cadranno tutte le feste, ma la festa dell'Esaltazione della Croce rimarrà eterna, perché, essendo la festa della gloria, possiamo anticiparla, ma quando verrà, tutto in questa festa sarà concluso e la festa non si concluderà più: la festa non avrà mai più fine.
Non è forse vero che sotto certi aspetti l'Esaltazione della Croce è più grande anche della Pasqua del Signore e della Pentecoste? Infatti è la festa che anticipando la gloria che non ha più fine, è la festa definitiva in cui Dio e l'uomo vivranno per sempre una comunione ineffabile di pura beatitudine, d'infinita beatitudine per l'eternità.
Come dobbiamo cantare a Cristo, come dobbiamo sentirci ripieni di una gioia infinita, come dobbiamo dilatarci nel nostro spirito ad accogliere Dio. Come dobbiamo in questo giorno vivere già il trionfo futuro, come dobbiamo in questo giorno celebrare l'esaltazione del Cristo e nell'esaltazione del Cristo, la glorificazione della Vergine; ecco l'Assunta. La glorificazione dei Santi; ecco la festa di tutti i Santi! Come dobbiamo sentirci compagni di Dio e così di tutti i Santi del Cielo; come dobbiamo sentire che veramente tutto quanto l'universo, come un grappolo di uva si stringe alla croce e vive di quella vita che dalla croce deriva, che dalla croce discende.
Risvegliamoci dal torpore
Miei cari fratelli, miei cari figlioli, la festa dell'Esaltazione della Croce che immensa festa è! Mi raccomando: fate festa oggi, fatela vera, una grande festa oggi noi dobbiamo celebrare! Dovete celebrarla soprattutto in questa speranza viva del ritorno del Cristo. Sentire che tutta la creazione, ed anche voi con la creazione vivete l'ansia, vivete nell'aspettazione gioiosa del suo ritorno d'amore. Egli è alle porte: Oh, vergini sagge come dovete riaccendere le vostre lampade per attendere lo Sposo divino, lo Sposo che viene! Viene per ciascuna di voi, viene per tutta quanta l'umanità, viene per tutta quanta la creazione. E se noi saremo nelle tenebre, nelle tenebre rimarremo; al di fuori della stanza piena di luce, al di fuori del banchetto nuziale, al di fuori della festa che è propria di tutti gli invitati alle nozze. Com'è terribile quello che il Vangelo dice a proposito delle vergini stolte, com'è diverso il destino di queste due categorie di persone. Vergini sagge e stolte: tutte vivono nell'attesa ma tutte però dormicchiavano. Ma ecco che viene lo sposo: le une hanno l'olio nelle lampade e la lampada è accesa e possono entrare e le altre restano fuori. È questa la condizione, propria dell'uomo di oggi, è come l'esperienza degli Apostoli nel giardino del Getsemani; si dormicchia più o meno, si vivacchia più o meno. Non è forse vero? Che differenza c'è fra me e tanti altri, fra la nostra vita e la vita di tutti? È difficile dirlo: la conosce Dio soltanto la differenza della nostra vita e quella di coloro che non credono più. Se ne va la vita nel sonno, nel dormiveglia. Ma un giorno la visione di Dio dividerà per sempre gli uni dagli altri: gli uni saranno ammessi, entreranno, toccheranno con mano la gioia del banchetto nuziale e gli altri resteranno fuori, "nelle tenebre esteriori" dice il Vangelo.
Crediamo noi tutto questo? E come lo crediamo? Se lo crediamo davvero aspettiamo la sua realizzazione? E se aspettiamo la sua realizzazione non dobbiamo già vivere in anticipo la gioia di donarci? La gioia del mondo di quaggiù, secondo Leopardi è piuttosto nell'attesa che nella sua realizzazione. E quando la gioia viene, siccome la gioia terrena è una gioia che ha fine, noi già pensiamo alla fine e siamo già turbati al pensiero che la nostra gioia finirà.
Per noi è questa la gioia, il sabato dell'attesa, sì, come la vigilia del giorno della festa. Ma proprio perché vigilia noi celebriamo già la festa.
Non per nulla ora il sabato si può ascoltare la Messa della domenica; nel sabato si può anticipare la festa del giorno dopo e noi possiamo anticipare la gioia della gloria futura. Ma la festa poi della gloria non avrà nulla di amarezza perché non termina più. Non è come la domenica in cui "ciascun ritorna alli pensieri usati", per usare le parole del Leopardi. Perché quello che è stato è stato e non sarà mai più, non esisterà che la gioia infinita di Dio, che la gioia eterna di Dio.
Tuttavia, se la gioia futura non è ancora perfettamente la gioia di questi giorni, noi viviamo già nell'attesa certa, noi viviamo nella speranza viva di questa festa imminente e vivendo in questa trepida attesa noi non possiamo dormire: troppo vicina è la festa, troppo imminente è Dio. Rimaniamo in attesa e non riusciamo pii a pensare ad altro: Egli è alle porte. Come davvero dobbiamo vivere questo, come la speranza dell'evento futuro dovrebbe farci vivere una tensione di amore, di desiderio, di attesa, così da anticipare per noi la festa di domani. Ecco l'Esaltazione della Croce. Non avevo ragione nel dire che è una delle feste più grandi dell'anno liturgico? È una delle tre Pasque. Non ci sono altre Pasque.
Noi si dice che anche il Natale è Pasqua; non è vero! Il Natale è il passaggio di Dio, ma non in Dio: Dio assume la natura umana ma non passa nulla, assume la natura, ma Dio rimane Dio nella sua natura e l'uomo rimane uomo. È il Verbo di Dio che come vive nella natura divina, così ora vive nella natura umana. Non c'è passaggio: Dio assume la natura umana. Non è che Dio divenga uomo, Dio non diviene uomo. Il Verbo si fa carne, ciré assume la natura umana ma non c'è passaggio, altrimenti Dio non sarebbe più Dio. Dio rimane Dio. Il passaggio vero è la Resurrezione, il passaggio vero è soltanto per noi e prima di tutto per la natura umana che essendo passibile in Cristo, potendo Egli morire, diventa impassibile con la resurrezione.
Poi è il passaggio di tutta l'umanità dal peccato alla grazia nel dono dello Spirito.
Poi l'esaltazione di tutta l'umanità nella gloria divina: ecco l'Esaltazione della Croce! È tutto un crescendo di passaggi che però ha il termine ultimo proprio nella festa di oggi in questo ingresso di tutta la creazione nella gloria infinita.
È una festa di Pasqua. Sono contento, sono veramente contento che la liturgia abbia da alcuni anni celebrato questa festa con maggior solennità. Fino a pochi anni fa questa festa era doppio maggiore, era, per usare un linguaggio semplice, una festa da nulla, perfino più grande era l'invenzione della Croce del 3 maggio, che ora non si celebra più. Invece, in rapporto alla liturgia orientale, la Chiesa cattolica ha voluto elevare a celebrazione semifestiva l'Esaltazione dello Croce, ecco perché pur essendo domenica noi la celebriamo. Però ancora non si è detto tutto, vorrei che fosse come la festa di Pasqua, magari rimettendola alla domenica dopo Pentecoste, che cade nell'equinozio di settembre, perché era nell'equinozio di settembre che veniva celebrata la festa delle capanne, la festa dell'uva.
La triplice Rivelazione
Anche qui è sempre in corrispondenza alle tre liturgie della triplice rivelazione: Rivelazione cosmica: la primavera, passaggio dalla morte alla vita della natura; festa della mietitura che ci dà il pane; festa della vendemmia che ci dà il vino. Anche gli Indù vedevano nell'Episoma, bevanda che inebria, la festa più grande. Sempre la festa più grande è l'ubriachezza nella religione cosmica.
Rivelazione del Vecchio Testamento: la Pasqua, il passaggio, la liberazione del popolo dall'Egitto e il passaggio del mare. Ma il passaggio del mare è in ordine al dono della Legge. Il dono della Legge d'altra parte è in ordine, stando all'Esodo, alla costruzione della Tenda dell'Alleanza. La dottrina del peccato, nell'Antico Testamento è questa: Dio si è ritirato dal mondo col peccato e l'uomo vive solo quaggiù sulla terra, ma dopo il dono della Legge, dopo la ratificazione dell'Alleanza, avviene che Dio con la sua Gloria, entra nella tenda della Testimonianza e la nube la ricopre: Dio si è fatto di nuovo vicino all'uomo, l'uomo e Dio di nuovo vivono insieme.
Questa festa dei Tabernacoli che ancora oggi celebra l'Ebraismo, anticipa per noi, raffigura per noi la festa che oggi celebriamo; la festa dell'uva. E noi sappiamo che la Croce è stata paragonata alla vite da cui pende il grappolo che è Cristo. Ma di più ancora; la festa della Croce è paragonata alla festa delle Capanne e la Croce è l'albero frondoso di cui si fanno le capanne, le abitazioni degli schiavi.
Tutte le figure terminano nella festa di oggi: essa è l'ultima realizzazione del mistero di Dio, di un Dio che si comunica al mondo e diviene la gloria e la felicità della creazione intera.
Miei cari figlioli, come dobbiamo celebrare la festa di oggi! Dobbiamo celebrarla con l'animo dilatato di gioia: è l'anticipazione della gloria celeste, è la visione di Dio, è la comunione coi santi, è la glorificazione del nostro corpo oltre che della nostra anima e di tutta la creazione trasfigurata. Tutto questo è la festa di oggi! Forse non ce ne siamo mai resi conto.
Che il Signore ci dia la speranza certa di questo evento futuro e l'attesa desiderosa di questo incontro con Lui. La gioia pura della comunione che deve divenire ogni giorno più perfetta con un Dio che, se anche non si è pienamente mostrato a noi nella gloria, tuttavia vive già con noi, si è fatto già a noi vicino come viandante che ci accompagna lungo il cammino e se non ci si manifesta pienamente, comunque ci dà già la gioia di una comunione con lui, come per i discepoli di Emmaus.
Soltanto quando saremo entrati nella Tenda, nella Capanna, Egli si mostrerà e la nostra anima esulterà di una gioia assolutamente perfetta ed eterna. Ma già il nostro cuore vive in questa presenza misteriosa ma reale del Cristo. Proprio per questo noi possiamo celebrare in anticipo la gloria e la gioia futura, perché già pregustiamo questa medesima gioia.
Questa è la festa di oggi! Non è bella? L'avevate vista mai in questa luce così grande? Io vi dico che non ci dovremo meravigliare se la Chiesa darà domani a questa festa il massimo della solennità come per la festa di Pasqua. Ed in realtà è proprio nel riconoscere questa grandezza che il cristiano vive la fede, vive la speranza nel mondo futuro, vive già l'amore che è comunione, imperfetta ma reale, con Dio il quale domani sarà tutta la gioia del nostro povero cuore.

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Noi predichiamo Cristo crocifisso


Ritiro, 10 marzo 1985 - Biella Letture: Es 20,1-17; 1 Cor 1,22-25; Gv 2,13-25
Prima Meditazione
Mediteremo la Seconda Lettura tratta dalla I Lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi (1 Cor 1,22-25):
"Fratelli mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo Crocifisso scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci; predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini".
Le parole di Paolo sono come una sfida del Vangelo a tutti i valori che il mondo proclama e che il mondo riconosce. Ma sono anche la risposta che egli dà ai credenti medesimi, i quali nella pochezza della loro fede possono sempre rimanere turbati da questa apparente inefficacia del Vangelo, o da questo apparente fallimento della Chiesa.
Pochi di noi infatti, sono così trasformati da vedere le cose unicamente con gli occhi di Dio, dal saper giudicare le cose col parametro stesso; che ci ha dato il Signore nella sua morte di croce.
È quasi naturale che anche noi cristiani pretendiamo di misurare l'efficacia del Cristianesimo dall'efficacia che il Cristianesimo apparentemente ha nella storia e nella vita degli uomini.
Ora, se vogliamo giudicare il Cristianesimo con questi criteri, noi evidentemente non possiamo non conoscere la crisi della fede.
Quelle crisi della fede che veramente oggi hanno, come loro conseguenza, l'incredulità, lo smarrimento e nella massima parte dei credenti un certo intiepidimento della fede.
Si cerca di comporre insieme l'esigenza di un successo mondano con una fedeltà ai principi della morale cristiana, ma non ci si accorge che già in questo noi praticamente abbiamo già rinunciato a una fedeltà piena all'insegnamento del Cristo.
La fedeltà piena all'insegnamento del Cristo implica quello che dice Gesù all'inizio della sua predicazione: "Rovesciate la vostra mente". Non parla Gesù all'inizio dei Vangelo di una conversione morale, ma di una conversione della mente; una conversione, un rovesciamento del nostro modo di pensare, del nostro modo di sentire.
Effettivamente quando non c'è questo rovesciamento del nostro modo di pensare, il Cristianesimo sempre non può non turbare, non può non apparire veramente una menzogna.
Noi possiamo comprendere, non giustificare, ma comprendere l'incredulità del mondo moderno e di molti che pure sono battezzati.
Deriva da questo fatto, non deriva dal fatto che moralmente possono essere corrotti perché in fondo i peccati ci sono anche nei cristiani. Dipende dal fatto che non si vive la fede, che la fede veramente per la massima parte dei cristiani rimane soltanto una adesione formale a dei principi astratti, ma non implica una trasformazione del nostro modo di sentire, del nostro modo di pensare: di fatto anche oggi, per uno che non sia veramente santo, la Croce rimane uno scandalo, la Croce rimane stoltezza.
È difficile accettare che un Dio salvi l'umanità, si manifesti Salvatore degli uomini proprio nel totale fallimento umano, proprio nella suprema umiliazione, nell'abbandono dei discepoli, nell'oltraggio da parte di coloro che Egli stesso aveva beneficato e nello stesso abbandono del Padre.
Ci vuole veramente una grande fede perché noi possiamo riconoscere il Figlio di Dio in Colui che sopra la Croce grida: "Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?"; ci vuole una grande fede per riconoscere che proprio quest'Uomo è Colui nel quale riposa ogni nostra speranza: ogni speranza dell'uomo in uno che grida all'abbandono di Dio.
Rendiamoci conto miei cari fratelli che può essere difficile vivere cristianamente, ma la cosa più difficile, la cosa realmente più grave di tutte è credere.
Dicevo l'altro giorno che in fondo nulla è cambiato, anche oggi noi dobbiamo credere che la Chiesa salva il mondo, che l'ha salvato sempre in ogni generazione. Io non ammetto quello che alcuni dicono dell'infedeltà della Chiesa; gli errori della Chiesa non li ammetto assolutamente. Ci sono sempre degli errori, delle deficienze per il fatto che la Chiesa vive in un contesto storico, me è sempre relativo, fra duemila anni, chissà quanti improperi si diranno della Chiesa di oggi, perché vorranno giudicare la Chiesa di oggi con i criteri che ci saranno allora. Così come oggi noi si pensa di giudicare, di condannare la Chiesa del 1700, del 1500 e del 1200 con i criteri del secolo ventesimo. Ma in questo siamo dei perfetti stupidi, ognuno non può agire che secondo la coscienza che egli ha, e in quel tempo la coscienza del mondo era quella.
Ci sono dei valori assoluti, ma il comportamento dell'uomo dipende poi da condizionamenti culturali che sono quelli che sono e sono sempre relativi. Ma io credo che sul piano di una sua fedeltà a Dio la Chiesa (e non parlo dei singoli uomini di Chiesa), ma la Chiesa – il mistero di Cristo – sia il mistero di una presenza di Dio che salva generazione per generazione tutti gli uomini, tranne coloro che deliberatamente, con piena coscienza, si oppongono a Dio pur avendolo conosciuto.
Questo vuol dire che anche oggi la Chiesa che sembra far acqua de tutte le parti è quella che dirige il mondo. Voi credete che sia il capo della Russia o quello dell'America; tutti stupidi siete! Noi siamo più potenti! Che volete che sia il capo della Russia se non crede in Dio, che forza può avere? Evidentemente non ci appare questa nostra forza, ma appariva la forza di un Dio che moriva sulla Croce, la forza di un Dio che gridava: "Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?". Appariva la forza di questo Dio che proprio in questa sua suprema tristezza, proprio in questa sua suprema desolazione salvava tutta l'umanità?
Rimane vero quello che dice San Paolo: "Noi predichiamo Cristo crocifisso" e anch'io lo predico, lo predico oggi se voglio essere cristiano. il mio annuncio è soltanto: "Gesù crocifisso che ci ha salvato" e Gesù crocifisso rimane anche oggi come allora scandalo e stoltezza.
Chi di noi sa riconoscere nella Croce, nel fallimento umano, nella umiliazione la forza di Dio? Chi la sa riconoscere precisamente in questa povertà umana che Dio ha legato essenzialmente alla Chiesa? Sempre ci sarà la tentazione degli uomini di Chiesa del trionfo, ma la Chiesa non l'avrà mai; sarebbe una disgrazia suprema, sarebbe la rovina del mondo se la Chiesa avesse un trionfo; la Chiesa non potrà continuare che la passione del Cristo.
Vi ricordate quello che scriveva Pascal? "Gesù è in agonia sino alla fine dei tempi".
Egli si fa presente al mondo sotto la specie del pane, sotto un abito esterno di morte e noi siamo associati a Lui in una vita di umiltà, di mortificazione, in una vita di impotenza, in una vita tante volte di fallimento, in una vita di dolore, ma questa è la sua gloria.
Non dobbiamo affatto smarrirci, non dobbiamo affatto perderci d'animo; che fede abbiamo allora? Noi abbiamo predicato Cristo crocifisso.
I santi erano smarriti e sgomenti se le cose andavano bene per loro, si sentivano abbandonati da Dio se le cose andavano troppo bene. Dobbiamo rendercene conto che questo è il Cristianesimo. Dio salva il mondo e salva noi attraverso la Croce: quello che Dio ha scelto una volta l'ha scelto per sempre.
Non abbiamo bisogno di cercare le croci, ci pensa Nostro Signore a darcele o almeno permetterle. Sappiamo accettarle con umiltà e riconoscenza, sappiamo viverle in una fede profonda, non ci smarriamo, non abbiamo sgomento se la croce visita la nostra casa, se la croce pesa sulle nostre spalle. Desolazioni interiori, difficoltà economiche, incomprensioni. Tutto può avvenire, ma non avverrà mai che un'anima che crede in Dio sia da Lui abbandonata. Proprio nella croce quando tu ti credi abbandonato da Dio, tu sei più unito a Gesù, tu sei una sola cosa con Lui. Non ci si unisce a Cristo che sul talamo della croce.
Che cosa ti ha dato la Comunità quando hai fatto i voti perpetui? Una croce nuda. Per sapere che la tua unione con Cristo non avviene altrimenti, è così. È duro tutto questo? Certo che è duro. Implica veramente quello che si è detto prima, questo rovesciamento del nostro modo di pensare, del nostro modo di sentire. Noi pretendiamo da Dio sempre non la Croce, ma il trionfo.
Ti ricordi anche tu della mamma dei figli di Zebedeo che dice a Gesù: "Fa che questi miei figli siedano uno a destra e uno alla sinistra quando tu sarai nel tuo regno". Non sapeva che cosa chiedeva. Noi non sappiamo che cosa chiediamo; chiediamo sempre che il Signore ci liberi da ogni sofferenza, che il Signore ci liberi da ogni difficoltà, ci liberi da tutto quello che può minacciare la nostra sicurezza umana. Ma se chiediamo questo non sappiamo che cose chiedere, perché quello che il Signore ci dona è una cosa sola: la nostra unione col Figlio suo; quella unione che diverrà sempre più perfetta quanto più noi sapremo accettare con Lui quello che Egli ha accettato: "Il calice che io bevo potete voi berlo? Sì, lo possiamo. Voi lo berrete; darvi il primo posto e il secondo nel mio regno tocca al Padre". Ecco, questo dobbiamo vivere.
Ecco perché noi non vogliamo fare propaganda, ecco perché noi non ci interessiamo di essere massa, non importa. Se Dio è con me sono più grande di tutti. Che volete che siano anche milioni di persone nei confronti di un bimbo solo se Dio è con lui? Se Dio veramente vive nella sua vita? Nella mia povertà, nel mio nulla io mi sento il più forte di tutti se Dio è con me, perché con me è l'Onnipotenza divina.
Ora noi siamo in Quaresima, la Quaresima ci chiama alla conversione. Spesso i sacerdoti parlano della conversione sempre riportandola su un piano morale: è sbagliato. Non è la conversione su un piano morale che il Signore ci chiede; l'espressione greca "convertitevi" implica non la conversione morale, ma la conversione della mente: "metanus (metanoia)", andare al di là di quello che la nostra mente pensa.
Bisogna adattarsi a un piano divino mediante il quale Dio dopo il peccato di Adamo, rovescia i valori e quello che era infimo diviene supremo; l'umiltà diviene il segno della vera grandezza, la povertà umana il segno della presenza di Dio.
Si è detto stamane: "Beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli". Vuoi qualche cosa di più del regno di Dio? Ebbene se tu sei povero già lo possiedi. Sono le parole del Vangelo e noi dobbiamo crederlo. Non è facile credere; appunto per questo la conversione si impone continuamente, perché viviamo in un mondo in cui siamo sempre sollecitati dal successo, dal piacere, dalla ricchezza, dal potere. Dio ci chiama per una vita che non è essenzialmente la croce, ma certamente è sempre qualche umiliazione e qualche difficoltà; è sempre così.
Non crediate che ci sia sempre una comprensione da parte del mondo di quello che noi abbiamo scelto, se abbiamo scelto il Signore. Non crediamo che il Signore ci debba risparmiare, Lui che non ha risparmiato il suo Figlio non risparmia i suoi figli. E allora non ci crediamo abbandonati da Dio, se il Signore permette che anche noi possiamo conoscere l'angoscia del cuore, le difficoltà interiori, la tentazione, se dobbiamo conoscere la sofferenza in qualsiasi modo questa sofferenza ci giunge, ma dobbiamo invece credere che proprio attraverso questa via il Signore ci unisce a Sé.
Ora possiamo dire che veramente Egli ci ama. Non dobbiamo vedere l'amore di Dio nelle cose che ci vanno bene, ma piuttosto in quelle che ci vanno male. È difficile credere in questo; noi vogliamo trarre Dio al pensare come pensiamo noi. Lui invece vuol trarre noi a pensare come pensa Lui e non è tanto facile seguirlo.
Dice oggi il Signore che Gesù Cristo crocifisso è la potenza di Dio e la sapienza di Dio. In che senso noi possiamo dire che la croce è la potenza di Dio? Non vi sembra soltanto un'espressione iperbolica che non dice nulla? Una bella frase, uno slogan come oggi se ne dicono tanti. Oggi tutta la cultura è fatta di slogans! Non si pensa più, si ripetono delle frasi e basta.
Ma sembra una frase anche questa. Vogliamo meditarle attentamente? In che senso Gesù Cristo è la potenza di Dio? A noi sembra che sia la suprema debolezza, un uomo che non si oppone più a nulla, è travolto da tutto, è distrutto e muore. Dov'è la potenza? È la potenza di un amore che vince tutto l'odio del mondo, è la potenza di un amore che è più forte di tutto il male del mondo, perché anche nella sua morte Egli ama.
Vedete, se Nostro Signore, pur pregando, avesse avuto un sentimento di odio verso coloro che lo uccidevano, Egli sarebbe stato non vincitore.
La vittoria del Cristianesimo non è la vittoria di chi distrugge l'altro che l'offende, ma di chi piuttosto lo salva in un amore che è più grande dell'odio da cui viene colpito. La vittoria del Cristo è la potenza dell'amore perché, rendiamoci conto, che gli attributi divini non valgono per sé, ma valgono in quanto sono attributi dell'amore. Allora la potenza non può essere una potenza così in astratto, una potenza che si esprime con tuoni e folgori, una potenza che distrugge tutti coloro che si oppongono a te per dimostrarti più forte di loro. Ti dimostri più forte di loro? No, divieni invece uno di loro, complice come loro nella violenza, complice come loro nell'odio, complice come loro nel male e con il male; il Cristianesimo invece vince in un amore che salva.
È Gesù che prende sopra di Sé tutto l'odio del mondo, e tutto l'odio del mondo non ha la capacità di distruggere in Lui questo amore, questo amore immenso, questo amore infinito per il quale Egli si apre a tutte le anime e tutta l'umanità solleva fino a Dio.
Ecco la potenza di Dio in Gesù crocifisso, e così è la nostra potenza. C'è l'odio del mondo anche nei confronti dei cristiani, non illudiamoci, se siamo cristiani prima o dopo il mondo sarà contrario a noi, perché è una legge irreversibile dopo il peccato di Adamo. Se dunque noi siamo minacciati, noi sentiamo che veramente c'è il pericolo che veniamo messi alla gogna. Tutto questo dobbiamo capirlo, è quello che probabilmente il cristiano deve aspettarsi. E capisco bene, anche Nostro Signore ha sentito sgomento, ha avuto paura perché siamo uomini. Noi dobbiamo saper vincere, non opporre il male al male, ma mantenere la nostra anima nella serenità e nella pace, mantenere la nostra anima in Dio e non escludere il male, vivere nella pace questo amore che il Signore ci ha insegnato e che non può essere mai separato né vinto dal male degli altri.
La Chiesa non potrebbe salvare il mondo se il male del mondo non si scatenasse contro la Chiesa e la Chiesa non prendesse sopra di sé questo male e lo vincesse nell'amore.
Vedete, qualche volta mi sono domandato perché noi dobbiamo aiutare, per esempio, l'Iraq, o l'Etiopia? I loro presidenti prendono per sé tutti i beni, tutto quello che gli mandiamo per mangiare, così da avere le vettovaglie per l'esercito che semina strage? Perché devo farlo? E no, questo non è Cristianesimo. Dobbiamo vincere il male col bene, superare l'odio e sappiamo che cosa vuole il governo anche dell'Etiopia nei confronti della Chiesa, eppure pur sapendo che anche il bene che noi possiamo portare là, più o meno verrà preso dal governo per fini che non sono certamente cristiani, noi dobbiamo continuare ad amare. Questo dico della Chiesa nei confronti di questi popoli, ma questo è vero per noi poveri cristiani nei confronti di quelli con i quali lavoriamo.
Quante volte nel tuo lavoro qualcuno ti ha pestato i piedi? E che cosa ci chiede il Signore? Amare; è un po' difficile, non ti sembra? Quante volte nei confronti di quelli che ci pestano i piedi ci verrebbe voglia di pestarli anche noi? E invece no. Dobbiamo fare una carezza; non è una cosa tanto facile. La potenza di Dio, la potenza di un amore che vince il male del mondo. Ecco il Cristianesimo, ed è sapienza di Dio.
Anche qui, com'è diverso il modo di giudicare del mondo da quello del Signore; anche qui le stesse ragioni. Gli attributi divini sono attributi dell'amore perché Dio è carità. Perciò la sapienza in Dio non è quella dell'astuto, del furbo che attraverso macchinazioni, manipolazioni della realtà sa giungere al trionfo. Anche qui è la sapienza di un amore che non si lascia sgomentare, né sgominare da nulla, ma che va dritto al suo fine, di un amore che non viene mai a compromessi e che nonostante tutto rimane fedele a se stesso.
Ecco miei cari fratelli quello che ci insegna oggi San Paolo nella sua Lettera. Ci chiede di cambiare la nostra mente, di capire che supremo valore del Cristianesimo sarà sempre un amore che non potrebbe essere tale se non chiedesse, non la morte degli altri, ma la tua morte, perché l'amore è dono di sé. E tanto più sarà vero quanto più tu avrai rinunziato a te stesso, ai tuoi diritti, alla tua medesima vita per amare e per amare non solo quelli che ti amano, ma anche quelli che ti bastonano, quelli che ti odiano e vogliono la tua morte.
Certo che è molto difficile, certo che sembra quasi impossibile, che sembra inumana una simile dottrina. Non è inumana, è sovrumana. Ma appunto per questo dobbiamo anche sapere che non si vive il Cristianesimo se Dio non vive in noi. Perché? Perché questo amore è l'amore stesso di Dio. Non è amore come l'amore umano che è sempre un amore che risponde all'amore, è un amore invece gratuito, è un amore preveniente, è un amore universale e quest'amore non può essere vivo in noi se Dio stesso non vive in noi.
Che cosa dunque dobbiamo chiedere? Che cosa dunque dobbiamo vivere? Una cosa molto semplice; ci dice il Signore: "Convertitevi, trasformatevi, rovesciate la vostra mente". Io dico al Signore: "Signore, fai Tu, Tu mi hai creato e Tu riplasmi questo mio essere, trasformami perché io divenga strumento della tua carità". Perché la vera conversione non è una conversione morale, anche poi sul piano dell'attività non soltanto sul piano della vita, ma sul piano dell'attività, la vera conversione non è tanto l'obbedienza a delle leggi morali, è invece una carità che si incarna nelle virtù anche morali, ma è soprattutto amore. Perché l'esercizio delle virtù morali, se non è esercizio di carità, non è ancora vita cristiana. Quello che il Signore ci chiede è soltanto una cosa: di amare, di amare senza fine, di amare sempre, di amare tutti, di amare per nulla senza ricevere in cambio del nostro amore che quello che ha ricevuto Gesù.
Che cosa devi chiedere a Dio? Soltanto questo potere di amare fino in fondo, perché nulla potrebbe darti Dio in cambio dell'amore, dal momento che l'amore è la cosa più grande. Quale ricompensa puoi avere? Se il Signore ti desse qualche altra cosa di darebbe meno. Se il Paradiso fosse qualche cosa di più, di diverso dall'amore, tu dovresti rinunciare al Paradiso per vivere quaggiù l'eterna passione di Nostro Signore amando senza ricompensa.
L'amore è la cosa più grande; allora che la nostra preghiera in questo tempo di Quaresima sia questa: "Signore, non solo Tu ci chiami a un rinnovamento spirituale, ma ci dici anche che questo rinnovamento spirituale deve farci sempre più simili a te, a te che per noi hai patito la morte, a te che per noi hai sofferto e sei morto".
Come dice sempre ogni giorno la Chiesa nell'ufficio delle letture: "Adoriamo Cristo Signore che per noi ha patito la morte". La nostra assimilazione a Gesù, la nostra vita nel Cristo.
Accettiamo con amore le nostre piccole pene, l'unica cosa che posso dire è che io sono stato forse eliminato da Dio, forse non andrò nemmeno in Paradiso perché ora non ho umiliazioni né dolori. Ma certamente dovete essere, e anch'io dovrei essere più contento, se qualche dolore ci capita, se qualche umiliazione, se qualche mortificazione ci raggiunge perché questo è il sigillo dell'approvazione divina; questo è il sigillo dell'amore di Dio per noi, per farci conformi all'immagine del Figlio suo.
Accettiamo l'umiltà della nostra condizione umana, la povertà della nostra condizione umana. Tante volte noi vorremmo evadere dagli stretti limiti, dai condizionamenti del nostro vivere terreno. Per esempio mi diceva stamane qualcuna che è brutta la vecchiaia, che meraviglia! Pensa invece è molto meglio essere vecchi che giovani perché vecchi dobbiamo dipendere dagli altri. Non diciamo più che la vecchiaia è brutta, perché è una cosa bella il fatto di non avere più il potere di reagire alla decadenza degli anni.
Accettare tutto questo, amare tutto questo, non disprezzare i doni di Dio e i doni di Dio sono anche questi. Non per nulla la vita cristiana è un cammino continuo, non per nulla la vita cristiana termina nella vecchiaia, se non si muore prima. Allora la vecchiaia deve essere una cosa più grande della giovinezza, sul piano cristiano. Accettiamo già in precedenza l'arteriosclerosi, quando verrà non avremo più la possibilità di santificarci, perché non si capisce più nulla, ma se accettiamo fin d'ora questa umiliazione che può darsi vivremo domani; Dio ne terrà conto. Accettiamo dunque tutto quello che in qualche misura è sul piano della natura mortificante per noi, per vivere in questa mortificazione nostra la nostra adesione a Gesù, la nostra unione con Lui. Non ci sentiamo messi da parte da Dio, non ci sentiamo dimenticati da Dio, non ci sentiamo abbandonati dal Signore come spesso dicono le persone quando sono provate. È nella prova il segno di una predilezione divina. Dobbiamo credere questo e non chiediamo altre prove: Dio solo sa la croce che ci è necessaria, perché noi possiamo essere elevati come Gesù fra la terra e il cielo e ottenere anche noi quello che il Cristo ha compiuto, di essere partecipi non solo di una salvezza per noi, ma anche partecipi di una salvezza che dobbiamo offrire ai fratelli e magari a quelli che ci fanno del male.

Omelia

Vi è un rapporto prima di tutto fra la Prima, la Seconda e la Terza Lettura che abbiamo ascoltato stamane. In generale vi è sempre un rapporto fra la Prima e la Terza Lettura, più difficile che vi sia anche con la Seconda.
Le Letture che noi abbiamo ascoltato sembra che non abbiano alcun rapporto fra di loro. Che rapporto vi è fra il Decalogo che viene pubblicato nella Prima Lettura e il Vangelo che abbiamo ascoltato stamane? Quale rapporto fra il Vangelo e fra la Prima Lettura e il testo della Lettera di Paolo? Eppure certamente vi è un rapporto.
Il rapporto è questo: i Comandamenti di Dio non esistono più, la Legge è finita, la Legge di Dio non è più scritta su tavole di pietra: già lo annunciava il profeta Geremia cap. 31. Che cosa diceva Geremia? Che la prima alleanza verrà spezzata, che Dio avrebbe scritto nel cuore dell'uomo la sua Legge. Ugualmente il profeta Ezechiele diceva che avrebbe cambiato i cuori di sasso in cuori di carne; avrebbe dato il suo spirito, e allora gli uomini avrebbero compiuto la sua volontà.
Questa parole di Geremia e di Ezechiele ci dicono che ai Comandamenti di Dio scritti su tavole di pietra subentra il dono dello Spirito che vive nel cuore dell'uomo. Ma se subentra lo Spirito che vive nel cuore dell'uomo che cosa ci dice oggi Gesù? Ecco la dimensione propria del Cristianesimo e noi spesso non l'avvertiamo. Il Vangelo di oggi è un Vangelo veramente rivoluzionario; al Tempio di Gerusalemme subentra il Corpo stesso del Cristo e poi, in San Paolo, il corpo di ogni cristiano, perché Tempio di Dio è l'umanità di Gesù.
Ma siccome noi siamo membra di questa umanità, di questo corpo anche noi siamo Tempio di Dio. Di qui ne viene che veramente tutto è trasportato nell'intimo, tutto si fa intimo e personale. Là una Legge, la Legge data ai piedi del Sinai al popolo di Israele, ed è quella legge che crea la nazione. Fino ad allora il popolo di Israele era una tribù di schiavi dispersi, quando al popolo si dà una legge il popolo diviene nazione.
La legge d'Israele ai piedi del Sinai crea Israele come nazione, ma il Cristianesimo non è una nazione, è un popolo peregrinante nel deserto. Fintanto che siamo popolo peregrinante vuol dire che non abbiamo stabile dimora, vuol dire che non abbiamo trovato la terra promessa, vuol dire che non ci siamo stabiliti e radicati.
Il Cristianesimo non ha ancora una dimensione storica piena, non ha ancora una dimensione sociale perfetta, non ha ancora una struttura che pienamente realizzi quello che è su un piano sociale e tanto meno su un piano biologico, su un piano cosmico.
il Cristianesimo, lo dice il Vangelo di oggi, è tutto interiore, soprattutto la sua grandezza è nell'intimo. Questo perché nell'intimo di ciascuno di noi dimora il Signore, quel Dio che i cieli dei cieli non possono contenere, secondo le parole di Salomone. Ciascuno di noi diviene la cosa più sacra dell'universo, ciascuno di noi diviene il cuore dell'universo.
Dice l'Antifona al Cantico dei Vespri del lunedì: "Gesù è il cuore del mondo". Troppo poco, Gesù è più di tutto il mondo, se fosse il cuore sarebbe una parte del mondo, ma noi, ciascuno di noi è il cuore dell'universo, tutto l'universo si raccoglie e si unisce in ciascuno di noi in cui dimora il Signore.
Ecco l'insegnamento che ci viene dal Vangelo di oggi: essere consapevoli di questa grandezza dell'uomo una volta che l'uomo è diventato membro del Cristo mediante il Battesimo; una volta che il Cristo assumendo la nostra natura umana ci ha uniti a Sé in un solo corpo, Dio abita in noi.
La Chiesa, anche la Basilica di San Pietro, è soltanto un luogo dove si riuniscono i cristiani; siccome la Chiesa ha anche una dimensione sociale, sia pure imperfetta e debbo obbedire al Papa, e debbo vivere in unione col Vescovo, è evidente che i cristiani debbono riconoscersi un solo corpo anche su un piano sociale perché altrimenti sfugge questa dimensione.
Allora vi è un luogo dove si raccolgono i cristiani, perché ci si può raccogliere anche fuori, ma d'inverno quando piove non può star fuori a fare una funzione religiosa. È un fatto veramente accidentale che vi siano delle mura, nei primi tempi del Cristianesimo non c'erano mura e anche oggi si ritorna a celebrare la Messa in una stanza e la sala è importante come la Chiesa parrocchiale, come la Basilica di San Pietro.
Anche il Papa lo dimostra chiaramente oggi nelle canonizzazioni, nelle funzioni principali che compie in pazza San Pietro, oppure in queste grandi piazze là si reca, perché? Per due motivi fondamentali: primo la redenzione compiuta dal Cristo in atto primo è redenzione non solo di tutti gli uomini, ma anche di tutta la creazione e non vi è un luogo più sacro dell'altro. Non è il luogo che sacralizza l'uomo, è l'Uomo che rende sacro ogni luogo; dal momento che in ciascuno di noi vive il Signore.
Avere la consapevolezza di questa presenza, avere la coscienza di questa dimora di Dio in noi. Ecco la prima cosa che ci chiede il Vangelo di oggi. Allora il Decalogo scritto su tavole di Pietra può rispondere più precisamente alla legge del Nuovo Testamento che secondo San Tommaso d'Aquino è lo Spirito Santo che vive nel cuore di ciascuno.
Giustamente per questo anche tutta la vita cristiana non è l'obbedienza ai dieci Comandamenti, ma secondo il più grande mistico della Compagnia di Gesù, una legge sola: "Tutta la vita cristiana consiste in una sola cosa: la docilità all'azione dello Spirito", e San Paolo afferma in un modo più pieno: "Sono figli di Dio coloro che si lasciano portare dallo Spirito".
Se tu devi obbedire devi costringere la tua volontà a una volontà estranea a te, l'obbedienza vuol dire questo. Per noi cristiani non c'è più una volontà estranea che ci comanda dal di fuori, perché Dio vive in noi. Allora tutta la vita del cristiano è lasciarsi portare dallo Spirito di Dio.
Dice il IV Vangelo che lo Spirito Santo è come un vento che non sai da dove venga e dove vada, tu sei una piuma portata dal vento e devi lasciarti portare. Allora la prima cosa che s'impone per noi per lasciarci portare è una certa libertà interiore, non essere legato a nulla, avere questo distacco interiore perché lo Spirito Santo possa sollevarci a Sé, possa agire in noi senza trovare impedimento di sorta. Tutto qui, lasciare fare a Dio, dare a Dio la piena libertà di assumere le nostre potenze, non c'è altro da fare.
Non è che sia facile perché siamo legati al nostro modo di pensare, ai nostri piccoli egoismi, attaccati a tante cose e tutti questi attaccamenti impediscono allo Spirito Salto che ci porti via con Sé.
Ma rimane vero che non ci sono più i dieci Comandamenti: nei primi tempi della Chiesa non si insegnavano più perché l'unica legge era precisamente lo Spirito che vive nel cuore dell'uomo. Certo che noi dobbiamo confrontarci anche con i Comandamenti di Dio perché non sappiamo se obbediamo allo Spirito di Dio o se obbediamo ancora a noi stessi perché non siamo. ancora perfettamente trasformati, non siamo ancora perfettamente docili all'azione dello Spirito. Però è certo che se è Dio che vive in noi, Egli non può certamente andare contro la sua volontà dichiarata nell'Antico Testamento.
Se dobbiamo confrontarci con i Comandamenti, i Comandamenti sono tutti negativi. Per vivere basta non essere morti, ma se io sono in un letto in agonia è meglio morire che rimanere sempre lì, perché vivere è qualche cosa di positivo. È necessario confrontarsi con i Comandamenti per renderci conto se in noi vive lo Spirito o meno, però non possiamo contentarci di questo, infatti che cos'è la legge cristiana? Se Dio vive in noi è vivere la vita di Dio: "Siate perfetti come perfetto è il Padre vostro che è nei cieli". Altro che non ammazzare, sembra che esiga un po' di più, altro che non commettere adulterio, altro che non dire falsa testimonianza. È la vita stessa di Dio, ma Dio vivrà in te nella misura che tu lascerai che Egli ti possegga, lascerai che Egli abbia pieno dominio sulle tue potenze, lascerai che Dio agisca con te così come il Verbo di Dio ha agito attraverso l'umanità che Egli ha assunto.
A questo proposito San Tommaso d'Aquino dice che "l'umanità del Cristo divenne con l'incarnazione lo strumento congiunto alla Divinità". La divinità usò di questa umanità come strumento.
Raffaello quando pitturava pitturava con la testa? Aveva un pennello, però il pennello senza Raffaello non avrebbe mica dipinto quelle cose. Il pennello è la causa strumentale delle pitture di Raffaello, però se non c'era Raffaello non venivano fuori né la Trasfigurazione né le altre pitture.
Così Dio agisce attraverso la nostra umanità, Dio vive per noi, ma non senza di noi; bisogna che Lui abbia piena libertà su di noi, abbia piena capacità di agire attraverso di noi, bisogna lasciare a Dio ogni possibilità di possederci perché Egli solo vive in noi e non viviamo più la nostra vita, ma la sua.
Ecco che cosa vuol dire questo tempio che subentra al tempio di Gerusalemme; non è San Pietro, non è il Laterano che subentra, al tempio di Gerusalemme, è il corpo risorto del Cristo ed è nel Cristo, ciascuno di noi. Ecco perché allora torna bene quello che dicevo prima che ciascuno di noi vive nel mondo per essere rivelazione di Dio, per essere come la immagine stessa della Divinità.
Nel tempio si raccoglie il popolo d Dio, in questo tempio, che è l'uomo, sì fa presente Dio per comunicarsi alle anime, per parlare alle anime, per irradiare sul mondo la sua luce. Noi dobbiamo essere questo tempio, la dimora di un Dio che vive attraverso di noi.
La vera dimora di Dio è il cuore dell'uomo, tanto che dimorando in te il Signore ti trasforma; Dio, non può rimanere in te, Lui che è luce, senza illuminarti, Dio non può rimanere in te, Lui che è fuoco, senza darti il calore della carità, Dio non vive in te, che è Santo, senza santificarti.
La presenza di Dio nelle nostre Chiese è vera eppure non è vera perché la presenza di Dio noi la pensiamo come una presenza "cosica" com'è presente questo tavolino, non è così. Voi sapete quello che insegna San Tommaso d'Aquino della presenza di Dio nelle nostre chiese: "La presenza di Dio nell'Eucarestia non è presenza locale, è il segno che mi garantisce la Presenza, ma la Presenza non è qui e non è altrove.
Una Presenza che, se è la presenza di Dio, è l'Immensità; se è la presenza del Cristo, è l'Ubiquità: Egli è dove ama. Il segno del pane è il segno che ci garantisce questa Presenza, ma una presenza non è vera se non è presente a me. La presenza indica veramente un rapporto, un rapporto con Colui nel quale si fa presente e la Presenza è propria di coloro che nella fede si aprono ad accogliere Lui che nell'amore si fa presente perché si dona. Siccome siamo uomini abbiamo bisogno di legarci a dei fatti esteriori, ma in fondo ricordiamoci che la presenza del Cristo nell'Eucarestia importa un duplice ordinarsi: dal Cristo all'uomo e dall'uomo al Cristo.
Vero che la Comunione sacramentale si può fare soltanto due volte al giorno, ma Lui sta lì per comunicarsi anche in questo momento, sempre Egli vive il dono di Sé a chiunque nella fede si apre ad accoglierlo, perché il nome di Dio fatto uomo, è un nome di relazione, come il nome di Dio nella sua natura divina è un nome di relazione. In Dio Egli è Figlio dunque c'è il rapporto col Padre. Tu sei figlio della tua mamma, se non c'erano la tua mamma e il tuo papa c'eri tu? Però sul piano umano il rapporto può anche finire, la tua mamma e il tuo babbo sono morti e tu rimani.
Non è così sul piano soprannaturale, noi siamo nella misura che accogliamo. La generazione del Verbo non è un atto passato, è un atto sempre presente, Egli nasce sempre dal Padre in un atto eterno generato da Lui Anche per noi è così. Ma allora che cosa vuol dire? Che Gesù nella sua natura divina è totalmente rapporto con il Padre celeste, è Figlio, ma in quanto uomo è Gesù. Che cosa vuol dire Gesù? Vuol dire Salvatore, ed è Salvatore in quanto mi salva; certo se non salva me salva gli altri. Io posso anche rifiutare la salvezza, perché la salvezza suppone il mio consenso, Egli è in quanto si dona e se anche tutti noi andassimo all'inferno Egli rimarrebbe Gesù perché c'è la Vergine Santa che accoglie tutta la sua santità. Egli è dono di Sé e la Vergine tutto l'accoglie.
Ma se Gesù è Salvatore lo è per me, ed io devo vivere costantemente il dono che Egli mi fa di Sé stesso; ecco l'Eucarestia. Ma non posso vivere questo accogliere il Cristo se non vivo a mia volta questo mio ordinarmi a Lui. Ecco la vita del cristiano, un ordinarsi di Gesù a noi, un ordinarsi totale di noi stessi a Gesù. Prima viene l'ordinarsi di Gesù a noi che ci comunica la sua vita e noi poi tutto per Lui e la nostra umanità divenga come un'umanità in sovrappiù nella quale Egli vive.
Certo il Cristianesimo ha anche una dimensione sociale, dimensione sociale che poi è la Comunione dei Santi. Noi già in qualche misura la viviamo perché io abito nel cuore di tutti voi e voi abitate tutti nel mio cuore. Anche qui vi è uno scambio di amore per il quale uno vive nell'altro, come diceva Benedetta Bianchi Porro: "La carità è abitare negli altri", ma è anche che gli altri abitano in te. Il mio cuore è il vostro luogo, non avete mica un altro luogo, tutte le persone che vi amano, perché voi non siete in voi stessi, siete in coloro che vi amano e anche gli altri non sono in loro stessi, sono in voi che li amate. Vivere questo essere uno nell'altro, prima di tutto io in Cristo e Cristo in me; ma siccome il Cristo è anche tutta l'umanità redenta, io vivo in tutti coloro che amo e tutti coloro che amo vivono in me.
La Comunità è questo. È vero che dobbiamo incontrarci per rinnovare qualche cosa di più profondo che sussiste anche quando io non sono presente, perché io so di essere in voi anche quando non sono a Biella e non sarei vostro padre, non vivrei una vera comunione se tutti voi non foste nei mio cuore. Per questo vi ho detto sempre che non posso essere salvo se non siete salvi anche voi, ma posso dire anche che non si salva nessuno di voi senza la mia salvezza, perché la carità è eterna. E quello che Dio ha stretto nella carità Egli non lo separa, quello che Dio ha congiunto l'uomo non lo separi. Ecco, l'unità del Cristo è questa città santa, città che implica una dimensione sociale universale, tutti salvi in ciascuno, ma anche una dimensione personale, persona e Comunità sono al vertice, ma la persona non è a servizio della Comunità e la Comunità non è a servizio della persona, sono valori assoluti, perché anche il Padre nel Figlio e il Figlio nel Padre rimangono l'Uno e l'Altro, Persone divine che sono ciascuna di loro tutto Dio. Bisogna che veramente ciascuno viva nel cuore dell'altro, ma soprattutto in ciascuno di noi viva il Cristo, perché il Cristo prima di tutto è Colui che vive in ciascuno. Di questo non possiamo dubitare, Egli vuole vivere in tutti, Egli vuole essere la vita di tutti, Egli, vuole essere in noi. E nell'accogliere il Cristo, accogliere anche gli altri, ciascuno di noi nell'altro.
questa è la nostra vita, questo è vivere la Comunione dei Santi, questo è realizzare la Chiesa, perché la Chiesa è "la Comunione dei santi". Termine ultimo delle Chiesa è di essere comunione, quella comunione che implica essere uno negli altri, in una vita di amore che non ci isola più, ma ci rende come capacità che accoglie e come dono di noi stessi che si effonde continuamente.
Ecco, questo è il tempio nuovo di Dio, il cuore dell'uomo; vivere prima di tutto questo ordinarsi a Cristo, così come prima di tutto è Dio che si ordina a noi in Cristo Gesù. Ma il Cristo si ordina a noi e noi ci ordiniamo a Lui solo in quanto in questo rapporto il Cristo viene con tutta l'umanità che ha redento, e tutta l'umanità che ha redento, attraverso di noi ritorna a Lui nel suo cuore.
Ecco la "Comunione dei Santi", il nuovo tempio di Dio. Che cresca in noi l'amore per Lui, che sempre noi ci apriamo ad accogliere l'immensità del suo amore per non sentire nulla estraneo a noi. Nulla ci è estraneo, la carità distrugge ogni estraneità, siamo intimi a tutti e tutto è intimo a noi, tutto è nostro. Lo dice anche San Paolo nella Lettera ai Corinzi: "Tutto è nostro, voi siete di Cristo e Cristo è di Dio". Tutto è nostro, ma tutto è nostro perché tutto è di Cristo e Cristo è in noi. Col Cristo tutti gli uomini e col Cristo tutta la creazione. Ma poi d'altra parte noi siamo di Cristo, noi portiamo a Cristo tutta questa ricchezza perché viva in Lui e da Lui sia salvata.
Ecco questo è il Tempio di Dio, più grande del Tempio .di Gerusalemme, più vivo del Tempio di Gerusalemme, perché è la vita Stessa di Dio che è l'amore.

Seconda Meditazione – Sintesi e conclusione del Ritiro

Prima di dire cose nuove s'impone che vediamo un po' quello che abbiamo detto e in che modo quello che abbiamo detto può riassumersi in una lezione unica.
Abbiamo spesso parlato della facilità con la quale noi viviamo una certa idolatria.
"Io sono il Signore Dio tuo, quello che ti ha liberato dalla schiavitù dell'Egitto, non avrai altro Dio all'infuori di me, né avrai altre immagini né di animali né di idoli".
In fondo la vita religiosa rimane questo riconoscimento di un Dio unico a cui deve ordinarsi tutta la nostra vita. Certo che dobbiamo avere rapporti con tutte le cose e riconoscere il valore della creazione, ma dobbiamo anche renderci conto che nulla è fine dell'uomo tranne Dio. Delle cose presenti ne dobbiamo usare solo nella misura che sono un mezzo per il nostro cammino verso il Signore.
Si diceva che è la legge fondamentale della vita cristiana, anzi della vita religiosa, ma è tanto difficile per l'uomo; dopo il peccato originale, perché siamo sollecitati dalla ricchezza, dalla salute, dall'amore umano, dal lavoro e tante volte gli uomini se non sono sollecitati non si ordinano anche a questi valori relativi e vivono proprio il senso del vuoto perché Dio non si fa presente nella loro vita.
I Santi vivevano in uno spogliamento di tutti questi fini secondari eppure non sentivano il vuoto, eppure non si sentivano inutili; non vivevano lo smarrimento dell'inutilità, la loro vita era piena: era l'amore per un Dio che rimaneva nascosto, ma era reale per loro. Vivevano un ordinarsi di tutto l'essere a un Dio che rimaneva in silenzio, ma era la realtà ultima e prima di tutta la loro esistenza.
Com'è facile invece per gli uomini se manca loro il lavoro, se manca loro la salute, se manca loro la ricchezza su cui si appoggiano, che si sentano smarriti come se non avessero più ragione di vivere. La ragione di vivere per noi è al di là della vita perciò non ci manca mai nulla se veramente viviamo per Dio, se veramente abbiamo scelto Dio, se Dio ci toglie i mezzi è perché vuole essere Lui il fine e vuole che sappiamo liberarci da tutti questi trampoli ai quali ci appoggiamo perché la nostra vita viva questo ordinarsi totale dell'essere nostro a Lui che è al di là della morte.
Fintanto che non siamo morti abbiamo da vivere, sembra una frase strana, ma è una verità sul piano teoretico perché fintanto che non siamo morti il fine che abbiamo da raggiungere e al di là, sicché dobbiamo sempre tendere a Lui con tutto il nostro spirito, con tutta la nostra forza, con tutto il nostro amore, non per nulla diciamo ogni giorno che dobbiamo amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze.
Non manca mai all'uomo il potere di vivere fintanto che non ha conseguito Dio e quando avrà conseguito Dio vivrà di Dio in un modo nuovo.
È sempre questa la vita dell'uomo, Dio sia che lo si cerchi, sia che lo si ami possederlo, sia che lo si possegga e si viva nelle gioia di questo possesso, Dio solo è la vita.
Ora se noi non ci abituiamo a vedere nelle cose presenti solo un mezzo per giungere a Dio allora davvero la vecchiaia diviene brutta e difficile da accettare, ma se tu ami Dio non ti è tolto nulla; quando sarai sorda, cieca, quando non potrei più camminare, che bellezza! Ti rimane Dio. Allora potrai vivere unicamente per Lui senza poggiarti sul consenso delle persone, sul fatto che gli altri ti vogliono bene, sul fatto che tu sei sufficiente a te stessa, bisogna abituarsi ad essere liberi da tutti questi appoggi terreni, perché se non ci abituiamo, quando queste cose ci vengono tolte l'anima rimane smarrita e perde ogni vitalità.
È un fatto questo che possiamo riscontrare nelle persone anziane ammalate, ma non è giusto, in fondo l'atto supremo dell'amore sarà sempre per tutti l'atto del nostro morire, perché è nell'atto del nostro morire che noi diamo veramente tutto a Colui che amiamo. Fintanto che non si muore si fa sempre a metà, si dà ma per vivere poi la nostra piccola vita; è nell'atto della morte che veramente noi ci doniamo e ci doniamo senza compenso, ci abbandoniamo in un modo pieno, totale.
Ora non siamo capaci di vivere questo amore pieno, questo amore totale, Dio ci renderà degni di vivere questo atto di amore puro quando moriremo. Tutta la nostra vita, come diceva già Sofocle, dovrebbe essere veramente un imparare come si muore, perché se la morte davvero è l'ultimo atto del nostro vivere, vuol dire che tutta la nostra vita non deve essere altro che una preparazione alla morte. Non c'è nulla da fare, non si vive al di qua, ti sembra di vivere al di qua, ma si vive unicamente per questo traguardo ultimo che solo ci inserisce nella piena vita di Dio, che solo fa sì che noi entriamo nel mare infinito di Dio.
C'è la facilità di una nostra idolatria. È vero, noi non siamo coscienti di appoggiarci alle cose, di trovare in loro in qualche modo un nostro conforto, un nostro appoggio, un nostro fine, non ne siamo coscienti perciò non siamo degli idolatri, tuttavia una certa idolatria di fatto la si vive, la si vive perché noi crediamo più alla salute che alla malattia, crediamo più alla giovinezza che alla vecchiaia, crediamo più alla ricchezza che alla povertà, crediamo di più anche alla stima degli uomini piuttosto che all'essere messi da parte. E non vi dico che voi dovete cercare di essere poveri o disprezzati perché poi non avete la grazia di vivere né la pace, né la gioia di questa privazione di alcuni mezzi che ci sono necessari oggi per la nostra povertà spirituale.
Siamo dei poveri bambini nel campo spirituale e abbiamo bisogno di appoggiarci. Quando si è bambini si cammina a quattro zampe e noi siamo così, si cammina non soltanto con i piedi, ma anche con le mani per andare verso il Signore, ci si appoggia su tutte le piccole cose che abbiamo, ma la cosa più importante è che si cammini, perché se anche il nostro andare è lento, tuttavia deve essere veramente ordinato a Lui.
È necessario che noi non perdiamo di vista che l'unica ragione del nostro vivere, l'unico fine della nostra vita è il Signore ed Egli è l'unico che può saziare la nostra anima, Lui che è ricchezza infinita, Lui che è infinito amore è l'unico che può essere per noi il riposo dell'anima, la gioia profonda del cuore; tendere a Lui e vivere per Lui. Per Lui che ti ha salvato, che ti ha liberato dalla schiavitù dell'Egitto" come è bella questa interpretazione.
Quando diciamo i Comandamenti di Dio noi iniziamo così: "Io sono il Signore tuo Dio, non avrai altro Dio fuori di me"; è sbagliato questo, nell'Esodo si legge: "Io sono il Signore tuo Dio che ti ha salvato" è un Dio che è il tutto per noi; prima che in noi siamo in Lui; è Lui che ci ha scelto, è Lui che ci ha amato per primo, è Lui che ha voluto essere la nostra gioia, la nostra felicità.
"Colui che ti ha salvato dalla schiavitù dell'Egitto"; per noi queste parole potrebbero essere vane, perché nessuno di noi è stato salvato dall'Egitto, ma esse vogliono significare che Dio è entrato nella nostra vita, ci ha liberato di tutto, ci ha protetto, ci ha difeso, ci ha amato e questo Dio che ci ha amato noi dobbiamo amare e scegliere come unico Dio: "Non avrai altro Dio fuori di me".
Vivere questo e non farci immagini vane di dei che non sono Dio. La ricchezza, il favore degli uomini, il potere, tutte queste cose sono veramente delle palle di piombo ai nostri piedi che ci impediscono di camminare e rendono così lento il nostro cammino, così faticoso, così pieno di pene perché è soltanto nell'ordinarci a Dio che l'anima nostra si scioglie, si libera e viene portata dallo Spirito in un volo purissimo di amore incontro al Signore.
Nella misura che noi cerchiamo le altre cose che non sono Dio, tutto questo è davvero una palla di piombo ai piedi che ci impedisce di camminare; preoccupazioni, ansietà di ogni genere, perdiamo la pace, perdiamola gioia, perdiamo la sicurezza. Siamo troppo preoccupati del la nostra salute e allora cinque volte al giorno telefoniamo al dottore, misuriamo la pressione: ma tanto si muore, non preoccupiamoci troppo, un pochino sì, ma poi basta. Quando il Signore vorrà ci chiamerà, se non ci vuole stiamo qui, non preoccupiamoci troppo di noi stessi, della nostra vita, di quello che siamo, di quello che saremo, siamo nelle mani di Dio, di un Dio che ci ama, di che cosa dobbiamo dubitare? Bisogna avere veramente quest'unico Dio che amiamo come fine della nostra vita sempre davanti a noi, non ci lasciamo turbare da nulla perché le altre cose ci possono turbare, anche se siamo troppo preoccupati per il lavoro perdiamo la pace, dobbiamo mantenere la nostra anima nella pace e nella serenità lasciandoci guidare da Lui.
Vedete come i bambini non si preoccupano di nulla, sanno di essere amati e protetti e allora vivono tranquilli e possono giocare con serenità e gioia. Anche noi dobbiamo diventare bambini e questo vuol dire che l'anima è sciolta, si è liberata da tutti i nostri pesi, da tutti i nostri legami che veramente ci tolgono la serenità e la gioia, la gioia di sentirsi amati, di sentirsi protetti, di sentirsi difesi, così come un bambino è protetto e difeso dai genitori.
Ecco la prima cosa che si impone per noi è precisamente questa, ricordarsi come si inizia il Decalogo: "Io sono il Signore Dio tuo quel Dio che ti ha salvato dalla schiavitù dell'Egitto, non avrai altro Dio fuori di me".
Non farsi altri dei, le cose che ci sono necessarie Dio ce le dona giorno per giorno, non pensiamo, non ci preoccupiamo, lasciamo che il Signore ci conduca, non preoccupiamoci eccessivamente né del mangiare, né del dormire, lasciamo che il Signore ci porti; questo è l'insegnamento che ci dà il Vangelo: "A ciascun giorno il suo affanno".
Che la nostra anima rimanga orientata verso il Signore, non c'è più che Lui, che rimanga in questa attenzione costante a Lui.
Vi ho detto che l'esercizio fondamentale della vita cristiana è uno solo: vivere la sua Presenza, perché non è una Presenza davanti a te, è una Presenza che ci investe, che ci penetra; direi che vivere nella Presenza vuol dire sentirsi bambini, sentirsi portati dalle braccia di Dio.
Ecco quello che dobbiamo sentire, quello che dobbiamo vivere il sentimento di un amore che ci circonda geloso e immenso, vivere un puro abbandono.
Cosa facevi tu quando avevi sei mesi? Ti lasciavi amare ed è così anche per noi, lasciamoci amare da Dio, perché non possiamo pretendere di fare qualche cosa nei confronti di Dio, dobbiamo lasciare che Egli ci ami, non sottrarci al suo amore, ma credere al suo amore per noi.
Vedete come passa il tempo, non ci accorgiamo nemmeno di questo breve rapidissimo passaggio della vita di quaggiù, ci risveglieremo e ci sentiremo allora veramente nelle mani del Signore. Allora ci accorgeremo di quale amore, con quale amore noi siamo stati amati da Lui, amati da Lui anche quando lo dimentichiamo, Egli vuole che noi non ci attacchiamo a quello che non è Lui, vuole che sentiamo in fondo che l'unico vero bene è amare Lui solo.
Nella prima meditazione abbiamo meditato la Seconda Lettura e abbiamo detto che la potenza di Dio non è una potenza che schiaccia, non è la potenza come la pensano gli uomini, una potenza che si impone agli altri, ma è una potenza di amore che si esprime proprio nella sapienza della Croce, in un abbandono in Dio ed è in questo amore che vince il male del mondo che Egli ci dà l'esempio perché noi dobbiamo vivere la sua medesima vita.
Non si tratta soltanto di credere all'amore di Dio, non si tratta soltanto di lasciarci amare da Lui, ma si tratta di voler vivere come una nuova umanità nella quale il Cristo compie il suo mistero divino. Cristo ha vinto, ha salvato il mondo precisamente perché il suo amore è stato più grande dell'odio che si è scatenato sulla terra quando ha trasformato anche il male che lo colpiva in una maggiore testimonianza di amore.
Anche noi dobbiamo amare così, anche noi dobbiamo non credere al potere come tale, al potere che uccide, al potere del mondo, ma amare. Ecco l'insegnamento che ci ha dato Gesù Crocifisso: "Scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani".
La sapienza di Dio è questa sapienza, la potenza di Dio è questa potenza, la sapienza è potenza di un amore che si lascia crocifiggere, ma lasciandosi crocifiggere accetta sopra di sé tutto il male del mondo per vincerlo nell'amore, nell'amore più grande dell'odio.
Per questo, dicevo, che anche la Chiesa non vivrà mai un trionfo sul piano umano. Anche se sempre i Vescovi e anche il Papa e tutti noi siamo tentati di cercare un trionfo nel seno della Chiesa, la Chiesa non trionferà mai, se la Chiesa trionfasse sarebbe la sconfitta di Dio perché Dio vince nella Croce.
La presenza di Dio nell'Eucarestia non è presenza umana, lì sono le specie e le specie ci garantiscono una presenza, ma la presenza non è una presenza locale, la presenza intanto è reale in quanto Egli si fa presente, Egli diventa realtà, non può essere presente il Cristo per te se non vivi questo, la presenza implica un'immanenza come il Padre è nel Figlio e il Figlio nel Padre.
La vera presenza reale del Cristo trova nelle specie consacrate il suo segno che garantisce questa presenza, la presenza allora è il fatto che il Cristo vive in noi e noi viviamo in Lui, perciò noi vivremo realmente il mistero della presenza reale del Cristo se tutta la nostra vita è un accogliere Gesù in noi.
L'anima cristiana deve accogliere il Cristo e aprire il suo cuore perché Dio diventi per noi un vivere in Lui in un rapporto personale e vicendevole del Cristo verso ciascuno di noi. Gesù si fa presente sotto la specie del pane perché noi prendiamo coscienza che Egli vuole venire in noi e lì per essere fatto nostro, si fa presente nel mistero eucaristico in atto di donazione di Sé a ciascuno di noi.
Allora la nostra vita deve essere questa, non solo vivere la presenza di Dio, ma vivere ed accogliere intimamente il Cristo che ci ama.
Come si diceva, la generazione del Verbo è generazione eterna, così la vita del cristiano dovrebbe divenire un atto eterno in cui l'anima accoglie il Cristo in ogni istante, non una comunione sola, ma ogni minuto essere in comunione col Cristo. Ed è veramente una comunione reale, si dice comunione spirituale, spirituale perché non è legata al segno sacramentale del pane, ma reale perché se si dona si dona il Cristo, ma Lui non è condizionato da nulla, nostro Signore è libero.
Egli è tutto per me, tutto realmente Egli si dona a me se io sono tutto con Lui. Come si accoglie il Cristo? Si accoglie il Cristo nella misura che noi ci doniamo, se noi ci doniamo realmente, totalmente Egli si dà realmente, totalmente a noi.
La misura del dono non è nel Cristo che si dona, la misura è la fede e quell'unione che si realizza nell'Eucarestia implica l'unità e l'unità è un amore vicendevole.
La dottrina dell'amore nel Cristianesimo molto spesso si fa coincidere col capitolo XIII della I Lettera ai Corinzi, l'inno alla carità, ma non è vero che quella pagina sia la più bella pagina sulla carità. Infatti quando è stata scritta la Lettera ai Corinzi, già in San Paolo c'è tutta una evoluzione di dottrina teologica attraverso le sue Lettere, e d'altra parte sappiamo che San Giovanni è l'ultimo che scrive nel Nuovo Testamento. Allora è in San Giovanni la rivelazione ultima, se vogliamo sapere quello che è la carità nella sua perfezione ultima dobbiamo chiederlo a San Giovanni. In San Giovanni, tanto nel Vangelo come nella Prima Lettera, l'amore perfetto è l'amore vicendevole: "Amatevi scambievolmente, amatevi gli uni gli altri".
Ora tutto quello che abbiamo detto veramente noi possiamo ridurlo a una dottrina semplice che in fondo mi sembra ci insegni una cosa sola: Dio ci ha amato, Lui che è l'infinito, Lui che è l'Eterno ci ha scelti.
Quante volte il libro del Deuteronomio ci dice questo: "Io non ti ho scelto per quello che sei perché tu sei il più piccolo dei popoli"; il più piccolo: lo stupore dell'uomo che si sente amato da Dio, credere a questo amore, vedere questo amore nella morte di Cristo e rispondere a questo amore.
Tutte le tre Letture che abbiamo ascoltato oggi non ci chiedono altro che prendere coscienza di questo amore divino per rispondere a tale amore con un amore totale, con un amore che veramente ci ordina totalmente a Lui senza idolatria, senza che noi sottraiamo nulla di questo amore che deve ordinarci a Lui solo.
Questa è la formula che in fondo riassume tutto quello che noi abbiamo detto in questa meditazione, la formula è quella che ci ha insegnato il Signore: "Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze". Noi dovremmo far precedere a queste parole altre parole: Dio ti ha amato, Dio ti ha amato di un amore eterno, dice il Profeta Geremia, fin dall'eternità Egli ci ha voluto, ha voluto il Cristo per noi e noi per il Cristo fino al punto da corrispondere a questo amore preveniente, gratuito e infinito per farsi amare.
Perché solo se noi veramente saremmo persuasi, saremmo coscienti di essere amati così, sapremo rispondere all'amore di Dio e fare di tutta la nostra vita e di tutta la nostra esistenza un dono totale a Dio, nell'umiltà, nella pace, nella verità, nella gioia.
Vedete come tutto si riduce a poche parole, si tratta di vivere questo, questo vi insegna la Comunità, ma questo voi dovete insegnarlo al mondo, perché gli uomini si trovano smarriti e delusi, non sanno più di essere amati, non credono più all'amore e tutto il mondo è uno sfacelo e la vita è diventata un mistero. Ma non un mistero cristiano, un mistero incomprensibile di assurdità e di non senso. L'uomo rigetta la vita, non sa più accettare la vita. i giovani che si drogano in fondo non vivono che questo, il rifiuto di una vita di cui non sanno sopportare più il peso, una vita che non ha più senso, che sembra non abbia più una ragione.
Questo noi vogliamo insegnare agli altri, è la nostra missione, non si tratta per noi di vivere soltanto nella presenza cristiana, nell'amore di Dio, ma si tratta di vivere la missione del Cristo, perciò responsabili di tutti: dei giovani, degli anziani, dei peccatori, di quelli che non hanno più nessuna speranza, di quelli che vivono nell'odio, di quelli che vivono nel male, di quelli che rovinano i bambini, di quelli che rovinano il loro matrimonio; sentirci responsabili di tutti. Noi potremmo rispondere a questa nostra responsabilità se saremo davvero nel mondo sacramento della presenza di Gesù.
Quando potrò dire ho visto il Cristo perché ho visto voi? Io spero quando ritornerò a Biella e anche che voi potrete dire altrettanto di me, quando ci incontreremo nuovamente se no altrimenti non c'è ragione di rivederci, bisogna davvero che io possa vedere in voi Cristo Signore, ed è necessario che voi lo possiate vedere in me.
In fondo è facile vedere Gesù nei miracoli, vedere e credere, ma noi l'abbiamo conosciuto e dobbiamo essere per gli altri veri testimoni di questa conoscenza per quelli che non lo conoscono più, per quelli che lo hanno perduto, che l'hanno disprezzato, essere per tutti sacramento della presenza del Cristo.
Ecco l'impegno nostro, oltre che amare Dio, oltre che essere amati da Lui, essere come il Cristo il dono di Dio che salva tutte queste anime desolate, queste anime che non conoscono altro che la disperazione. Assumere ogni cosa, Dio è amore e noi dobbiamo divenire amore.

* * *

Il senso e il valore della sofferenza

Firenze 14 settembre 1997
Festa dell'Esaltazione della Santa Croce

Meditazione
Il male universale
Voi sapete che l'obiezione più grande all'esistenza di Dio è il male del mondo. Possibile che Dio esista, se di fatto sembra che invece imperi il male? È Dio che può volere questo male? E se non lo vuole, allora è impotente a liberarcene?
Sono due le soluzioni che hanno dato coloro che non accettano la rivelazione divina; ma la rivelazione divina ha da dirci qualche cosa per combattere e vincere queste obiezioni? Se siamo cristiani e accettiamo la rivelazione di Dio, non possiamo certo accettare che Dio voglia il male. Allora possono aver ragione coloro che si oppongono a Dio e dicono che Dio è impotente, dal momento che poi chiede all'uomo di fare qualche cosa per alleviare questo male?
Questo pericolo c'è per tutti noi, anche per i vescovi e perfino per il Papa. È un pericolo grave questo, di pretendere che l'uomo possa fare quello che non riesce a fare Dio. Si chiede all'uomo, per esempio, di venire incontro alla miseria del mondo, di poter eliminare l'empietà, l'ingiustizia. Ma se Dio non riesce a farlo, potrà riuscire a farlo l'uomo?
II problema del male è un problema formidabile. Certamente deve avere una soluzione sul piano teologico. Non dico sul piano filosofico, ma sul piano teologico. D'altra parte la filosofia è senza gambe, se non accetta la luce della rivelazione di Dio. La Rivelazione deve darci dunque una chiara spiegazione in modo da poter accettare questo Dio, perché io non potrei accettarlo se Egli vuole il male o se è impotente a salvarci. Se è impotente a salvarmi, che me ne faccio di un Dio che ha bisogno di me?
II problema del male dunque è un problema formidabile e noi dobbiamo cercare di penetrare almeno un poco questo mistero, che in gran parte rimane mistero. Illuminato il mistero, noi possiamo non solo accettare il Cristianesimo, ma capire anche la grandezza assoluta, unica della rivelazione divina che è stata consegnata alla Chiesa.
Il male colpisce tutta la creazione
La prima cosa che dobbiamo cercare di vedere è questa: l'universalità del male. II male non colpisce soltanto gli uomini, ma anche gli animali e perfino le piante. Nello Zibaldone di Leopardi c'è una pagina nella quale egli entra in un giardino e vede che ogni pianta è in qualche modo colpita dal male. Gli animali, le piante, ma anche le cose stesse, sembra che debbano subire il peso di una condanna. II male sembra universale. Perché? Come è possibile?
Nei confronti poi di questa visione terrificante, ciò che ci dice la rivelazione divina ci sconcerta, anzi si può dire che ci scandalizza, se non abbiamo una fede viva. Perché ci sconcerta, perché ci scandalizza? Pensate alla festa di oggi: «Hoc signum crucis erit in caelo cum Dominus ad iudicandum venerit». La gloria del Signore è la croce. Bel modo di pensare, possiamo dire noi, che alla croce subentri la gloria. Ma è questo? Vuol dire che un giorno il male sarà vinto e subentrerà al male il godimento, la perfetta gioia? Bisogna capire che anche in questo linguaggio si annida l'errore e un grave errore.
Queste parole tratte dalla Liturgia, lasciano sorpreso chiunque voglia meditare seriamente: «Hoc signum crucis erit in caelo cum Dominus ad iudicandum venerit», questo segno della croce sarà nel cielo, cioè la manifestazione ultima della gloria di Dio è la manifestazione della croce. Come mai? Perché? Che ragione c'è? Allora la croce sarà anche dopo la morte, anche al termine ultimo quando risplenderà la gloria di Dio?
La croce, segno della gloria di Dio
La croce dunque non è eliminata, non è superata; la croce stessa diviene il segno ed il sacramento della gloria di Dio. Sono problemi di una gravità eccezionale, problemi che anche i teologi cercano di non toccare in profondità. Noi siamo smarriti di fronte alla rivelazione di Dio, ma è giusto essere smarriti, è giusto anche essere sconcertati, se no Dio non sarebbe Dio. Evidentemente la sapienza divina supera infinitamente l'intelligenza dell'uomo. Gli uomini sono poveri esseri incapaci assolutamente di vedere. È come voler vedere di notte senza luce. Questa è la situazione dell'uomo quando si tratta della verità divina, quando si tratta del mistero di Dio che si comunica al mondo. Allora dobbiamo cercare di vedere prima l'universalità del male, poi il perché di questa universalità, e infine a che cosa il male risponda e il perché il male.
Dio non può volere il male
La prima obiezione è quella che fanno coloro che non credono. Si pensi a Leopardi o anche ad Hardy [Thomas Hardy, romanziere e poeta inglese, 1840-1928], il più grande romanziere inglese: essi dicono che Dio si diverte a distruggere l'uomo. Dio si diverte a colpire l'uomo, a umiliarlo, mortificarlo, distruggerlo. Lo crea per distruggerlo. È un po' la visione terrificante che ha l'Induismo: Kali è la dea che fa sorgere tutto l'universo e poi si diverte a distruggerlo. Così sembra che Dio si diverta ad opprimere l'uomo. È quello che pensava Leopardi.
La seconda obiezione è che Dio, sì, vorrebbe salvarci, vuole liberarci dal male, ma non ce la fa. II male è più forte di Lui e noi dobbiamo accettare questa situazione che rimane senza uscita. Se Dio è impotente, non c'è rimedio al male; il male ci dominerà sempre. Prima di tutto dunque queste due obiezioni. La prima, è evidente, nessun cristiano può ammetterla senza sentire che commette la più grave delle bestemmie: Dio non può volere il male. Egli è assoluta positività, non è che il bene, il sommo bene, diciamo tutti i giorni nella preghiera delle Lodi di Dio Altissimo. E se Egli è il bene, tutto il bene, il sommo bene, in Dio non vi è certamente volontà di male.
Dio è più grande del male
Ma può essere allora che Dio, pur essendo il bene, non sia un bene tale capace di distruggere il male? Anche questa obiezione cade da sé, perché noi crediamo che Dio sia onnipotente: non solo onnipotente in astratto, ma onnipotente in concreto. È Lui che crea le cose, è Lui che dà la vita, non la morte; e tutto viene da Lui. Noi non possiamo porre un limite, una misura al suo potere; dunque non possiamo dire che Egli sia impotente.
Allora perché il male? Se Dio non vuole il male, se Dio può distruggerlo, sembrerebbe che tutta l'opera di Dio sia quella di distruggere il male. Di fatto, invece, cosa terribile, non solo il male persiste, ma dopo duemila anni di Cristianesimo il male c'è anche oggi. Si muore. Ma non è soltanto la morte: mali fisici, mali morali, mali spirituali, mali di tutti i generi. II male è universale e non soltanto perché colpisce tutti, ma anche perché colpisce tutto l'uomo: il suo spirito ed il suo corpo, la sua anima, i suoi sentimenti, la sua volontà, la sua intelligenza; tutto è colpito dal male.
II cristiano è il più colpito dal male
Ma la cosa più grave è che, non soltanto dopo duemila anni di Cristianesimo ancora questo male esiste ma, direi di più, sembra che il cristiano debba sopportare un peso maggiore di sofferenza o di male rispetto agli altri.
Questo non lo dico così in astratto, lo dico riferendomi alla Parola di Dio. Se noi leggiamo l'Antico Testamento e il Nuovo Testamento, troviamo che nell'Antico Testamento Dio è impegnato a dare all'uomo gloria, pienezza di giorni, ricchezza, potenza più di quanto non faccia nel Nuovo Testamento. C'è, è vero, anche nell'Antico Testamento il fatto che l'uomo deve pagare per i suoi peccati: Davide sarà un grande re però, dal momento che ha peccato, Dio gli dirà che la morte non lascerà mai la sua casa. Ed ecco Ammon, ed ecco Assalonne, ed ecco tutti i disastri della famiglia di Davide, che deve pagare così il suo peccato. Però di fatto, noi troviamo che nell'Antico Testamento Dio ricompensa con una lunga vita, ricompensa con la ricchezza, ricompensa con la salute fisica la fedeltà dei suoi figli. Invece nel Nuovo Testamento non è così. Anche noi pensiamo sempre con l'intelligenza del Vecchio Testamento, siamo tutti un po' ebrei prima che cristiani; però di fatto al nostro modo di pensare un po' ebraico, non corrisponde la verità.
Santa Rosa da Lima
Non so se ricordate la terza lettura della festa di Santa Rosa: sarebbe molto bene rileggerla alla fine di questa meditazione. Santa Rosa dice che la sofferenza è il male che è foriero del bene. È soltanto nel male che noi troviamo il mezzo migliore per rispondere a Dio e per essere uniti a Lui. Quello che dice Santa Rosa poi è vissuto da Santa Teresa del Bambino Gesù. Un'anima così pura, così luminosa, che vive gli ultimi mesi della sua vita in un'angoscia spaventosa, in una pena terribile. Agnese, la sorella, va in chiesa e supplica Dio: «Signore, fa' che mia sorella non cada nella disperazione», perché pensava che non ce l'avrebbe potuta fare a continuare in quel martirio terribile sul piano fisico e sul piano spirituale, perché Dio per lei non c'era più, le sembrava di sprofondare in un abisso di tenebre e di buio.
II male come conseguenza del peccato
Perché questo male così universale? Perché questo male che colpisce soprattutto l'uomo? La risposta che ha dato la Chiesa è la risposta che dobbiamo dare anche oggi, una risposta però che non soddisfa. Ma non soddisfa perché noi non possiamo comprenderla. Come non comprendiamo il male che ci colpisce, così non capiamo nemmeno il male che facciamo o che abbiamo fatto. Nei confronti del male fisico, del male morale, del male spirituale vi è il peccato dell'uomo: da una parte il peccato, dall'altra il male.
II male non è dato da Dio, dobbiamo capire bene questo; nasce come conseguenza diretta del peccato. Perché? Che cos'è il peccato? È l'andare contro la divina volontà. Ditemi un po': che cos'è la creatura? La creatura dipende essenzialmente da Dio. Senza la volontà divina le creature precipiterebbero nel nulla. Che ragione hai tu di vivere? Perché sei viva invece che morta? Perché Dio ha dato a te la vita e non l'ha data magari ad un altro che invece è morto appena nato? Perché tutto questo? Perché il male? II male deriva dal peccato. Non è Dio che lo manda, è il peccato dell'uomo che lo crea. II peccato lo crea perché sottrae l'uomo alla provvidenza divina, e sottratto alla provvidenza divina, l'uomo è totalmente in balia delle potenze del male. Non c'è più nulla che lo regga, che lo sostenga, che lo liberi dalle potenze che minacciano il suo essere.
II peccato, sottrarsi alla volontà di Dio
Quali sono queste potenze? Le potenze del male sono già nella nostra natura. Noi siamo mortali; non possiamo pretendere che il nostro essere, quello che abbiamo, possa vincere la morte. II nostro corpo, che dipende da innumerevoli elementi, si dissolve nei suoi elementi. Un giovane è fiorente, ma andando avanti negli anni il suo corpo si logora. II corpo umano è così. Dio poteva creare qualche cosa di meglio? Non so quello che poteva fare Dio, perché Dio può fare tutto. La cosa importante è capire che il male nasce dal fatto che l'uomo si sottrae all'onnipotenza divina. Infatti, credendo che Dio sia impotente a liberarci dal male, siamo noi che togliamo all'onnipotenza divina il bene di poterci salvare.
Questo in senso assoluto. Non è detto che io faccia più peccati di un altro, ma d'altra parte io sono solidale con tutti gli uomini. È quello che ha capito Santa Teresa del Bambino Gesù contro San Giovanni della Croce. San Giovanni della Croce dice che l'uomo si libera lentamente, pian piano, di tutti i suoi difetti, di tutte le sue imperfezioni e una volta liberato da tutto, in un'estasi dolcissima trapassa in Dio. «No! - dice santa Teresa del Bambino Gesù - Non voglio morire così, voglio morire come è morto Gesù. lo voglio vivere la sua Passione». Vi ricordate le ultime parole che ha detto? «Madre - si rivolge alla priora - ce ne sarà ancora?». Era all'apice della sofferenza, non ne poteva proprio più. «Figliola, forse è l'agonia, ma si prolungherà per qualche tempo». Teresa: «Oh andiamo, andiamo». Ma subito si corregge: «No! Non voglio soffrire di meno. Mio Dio, ti amo!». E muore. Era all'estremo limite e tuttavia non si è sottratta alla sofferenza. Questa è la grandezza di Teresa.
Teresa, purissima creatura, non aveva certamente mai peccato, però è sorella di tutti gli uomini. Teresa, nella misura che è cristiana, si sente una con tutti, pertanto prende sopra di sé quello che ha preso Gesù: il peccato del mondo. E prendendo il peccato del mondo, deve subire le conseguenze di questo peccato.
II nulla
Qual è la conseguenza del peccato? Lo dicevo prima: col peccato l'uomo si sottrae a Dio, si strappa alla sua provvidenza, perché va contro la sua volontà. Di per sé questo sottrarsi alla volontà divina implica che la creatura precipiti nel nulla. II nulla è il peggiore dei mali. Dio impedisce che la creatura debba precipitare nel nulla, come dice la Genesi nei primi due capitoli. Che cosa avviene? Avviene che Dio promette una redenzione futura e pertanto permette che l'uomo non sia distrutto, non sia annientato dal suo peccato, perché promette all'uomo una redenzione, quando che sia. Ed è questa promessa di una redenzione che giustifica il fatto che oggi piove, che domani ci sarà il sole, cioè che la creazione sussista; sussiste la creazione e sussiste anche l'umanità. È vero che uno per uno si muore, però l'umanità sussiste, mentre non doveva sussistere più. II peccato di Adamo doveva, di per sé, portare tutta la creazione nel nulla. Come per un atto libero di Dio tutto era stato suscitato dal nulla dalla sua volontà onnipotente, così per la volontà dell'uomo che aveva peccato, tutta la creazione doveva precipitare di nuovo nel nulla. Ed è questa l'impressione più grave che noi abbiamo del male.
Come dice anche il Concilio ultimo, l'uomo ha la percezione, quando si avvicina alla morte, di precipitare nel nulla; viene meno in lui ogni vigore, ogni sentimento, ogni pensiero. «Sembra di precipitare - dice Santa Teresa del Bambino Gesù, ma è vero per tutti - come in un pozzo profondo, nero, buio, nel nulla».
Dio ci sostiene sull'abisso del nulla
Questa è la conseguenza naturale del peccato. II peccato ti sottrae a Dio che ti crea. È per Iddio che tu sei. Anche ora se io sono qui a sedere e vi parlo, è perché l'onnipotenza divina mi sostiene sul nulla, perché non ho in me nessuna ragione, nessun diritto di vivere; non ho ragione di essere piuttosto che di non essere.
Vi ricordate, inizia così la tragedia Amleto di Shakespeare: «Essere o non essere?». Perché l'essere? Perché il non essere? Ed è in questo modo che inizia anche la filosofia di Heidegger [Martin Heidegger, filosofo tedesco, 1889-1976]: perché l'essere invece del nulla? Perché c'è la volontà di Dio; senza la volontà di Dio tu filosofo non puoi capire certamente perché ci sia la creazione. Perché la creazione, essendo contingente, non ha in sé una ragione di essere. Come si fa a spiegarla? È Dio che la sostiene sull'abisso del nulla. Se gettate un sasso per aria, ricade giù, non può stare per aria. Così è dell'uomo: sollevato dal nulla, il nulla lo riprende, se la mano di Dio non lo sostiene su questo abisso. lo sono sostenuto sull'abisso del nulla dalle mani del Signore. Allora il male che cos'è? II male è la conseguenza naturale del peccato del mondo. Ma perché il male è universale? Non soltanto colpisce il peccatore, ma colpisce oltre che gli uomini, anche gli animali e le piante, colpisce tutta la creazione. Dio ha creato l'uomo per essere re del creato; se dunque l'uomo precipita nel male, l'uomo precipita nel nulla e porta con sé nell'abisso del nulla tutta la creazione che è legata all'uomo, e prima di tutto certamente gli altri uomini.
Siamo una cosa sola con tutti gli uomini
Ecco perché Nostro Signore, uomo nuovo e Dio, assume tutto il peccato del mondo, e subisce la peggiore delle morti, proprio perché si assume questo peccato e di questo peccato subisce il frutto che è la morte. Ma l'uomo non risponde soltanto per sé, risponde anche per gli altri uomini. È inutile che noi pretendiamo di vivere una nostra piccola vita, nessuno vive una sua piccola vita. Anche se non ce ne rendiamo conto, siamo legati inscindibilmente ai nostri genitori. Non è forse vero che un figlio rimane figlio anche quando avrà settanta anni? Rimane figlio. La sua vita è dipesa, dopo Dio, dai suoi genitori che a lui l'hanno data; c'è un legame. E non è legato soltanto ai genitori, è legato ai fratelli; e non lo è soltanto ai fratelli. lo sto a Firenze e Firenze in qualche misura entra nella mia vita. lo non ho pienamente coscienza di quella che è la mia vita. La mia vita è la presenza in me di tutti quelli che ho conosciuto, di tutti quelli che ho amato, di tutti gli scrittori di cui ho letto i libri. La mia vita è qualche cosa di grande, di immenso, non lo so nemmeno io. Siccome si vive nel tempo e nel tempo si vive minuto per minuto, in ogni minuto non posso realizzare tutto quello che sono. Per me è necessario per forza passare dal tempo all'eternità, perché qui è morire soltanto. Noi si muore tutti i giorni, si muore in ogni momento; io non sono più quello che ero mezz'ora fa. lo non posso accettare questo, perché non posso realizzare tutta la mia vita.
La grandezza della morte
Ecco la grandezza della morte. Com'è bella la morte! È stupenda la morte, perché nella morte noi ci sottraiamo al tempo e sottraendoci al tempo tutto l'essere nostro vivrà: tutti i ricordi, tutto quello che abbiamo vissuto, i nostri amori, tutto sarà presente in noi. Allora saremo salvi, perché il tempo non ci salva. La morte mi ridona tutto, mi sottrae ad un tempo che passa e mi ridona l'essere mio. Se vivo il mio essere in Dio, tutto viene salvato; se non vivo in Dio, perdo me stesso e con me stesso perdo tutto. È la fine, è la solitudine estrema, è la morte; la seconda morte, dice l'Apocalisse. Una morte che dura.
Non siamo separati dal peccato dei nostri fratelli. Che cos'è il peccato dunque? È questo: il peccato ci sottrae alla divina volontà e la creatura precipita nel vuoto ma non totalmente, perché c'è una promessa divina per la quale dobbiamo attendere una redenzione e questa redenzione, dopo che Gesù è morto, si realizza attraverso la vita spirituale.
Attenti però: si realizza la nostra redenzione, sì, ma in che modo? Caricandoci di un peso ancora maggiore perché, nella misura che noi ci liberiamo dal peccato, ci liberiamo dall'egoismo, ci liberiamo dall'amor proprio, ci liberiamo da quello che ci chiude per farci veramente, come ci vuole il Signore, un essere solo, un solo Cristo, un solo uomo di tutta l'umanità. lo devo sentirmi uno con voi, voi dovete sentirvi uno con me: siamo uno in Cristo Gesù. Se io veramente vi amo, non posso sentirvi separati da me: vi posseggo in me, abito in voi, voi abitate in me. Dov'è la vostra vita? Nei vostri panni? No. Siete veramente nelle persone che vi amano e soprattutto siete in Dio che vi ama più di tutti.
Viviamo nel cuore di chi ci ama
II nostro vero luogo è il cuore di chi ci ama. Se questo è vero, ne viene che crescendo in noi la redenzione cristiana, cresce in noi questa dilatazione dell'essere per abbracciare sempre di più i nostri fratelli e sentirci sempre di più una cosa sola con loro. Ma nella misura in cui tu divieni una sola cosa con loro, tu prendi i loro peccati. Per questo, come vi dicevo prima, Santa Teresa del Bambino Gesù è più grande di San Giovanni della Croce. San Giovanni della Croce pensa soltanto ad una purificazione individuale, personale; quando è finita questa purificazione personale l'uomo già vive la gloria del cielo. No, dice Teresa: ella non solo non vuole morire nella gioia, vuole morire come Gesù perché vuole nella sua morte salvare i peccatori. Si fa una con loro assumendo il loro peccato. Assumendo il loro peccato, assume le conseguenze del peccato. II male fisico, il male morale, il male spirituale che la opprime.
È un problema estremamente grande quello del male ed è difficile per noi accettarlo. Fu difficile anche per Gesù. Gesù era Figlio di Dio, ma era anche uomo come me e di fronte al male che doveva subire, avendo assunto su di sé il peccato del mondo, suda sangue, è nello sgomento e in una tristezza mortale: «Padre, se è possibile, passi da me questo calice; peraltro non si faccia la mia ma la tua volontà» (Lc 22, 42). E la volontà di Dio non è la morte del Cristo come tale, è che il Cristo, essendosi nel suo amore fatto uno con tutti, deve subire il castigo di tutti. Per liberare gli altri dal male, deve prenderlo tutto sopra di Sé.
L'atto dell'uomo tocca Dio
Quello che non ci fa capire la grandezza del male è il fatto che noi non comprendiamo che cosa è il peccato. Ci sembra che il peccato, come diceva il cardinale Newman [John Henry Newman, teologo, filosofo e cardinale inglese, 1801-1890], sia una mancanza di gusto, o poco di più, una cosa da niente. Si può giocare anche sui peccati più gravi, che in fondo sono cose dell'uomo. Adagio! L'uomo è stato creato da Dio per essere in comunione con Lui. II tuo atto, prima di raggiungere gli uomini, raggiunge il Cristo che vive in te; il tuo atto ha un riferimento preciso e pieno con Dio. Allora se l'atto dell'uomo, che di per sé è un atto da niente, raggiunge Dio, acquista una qualche infinità - insegna la teologia - dona all'uomo una certa infinità, ma un'infinità nel male se l'atto è un peccato. Un'infinità, ma un'infinità nel dovere subire un castigo che è più grande di qualsiasi altro castigo, perché l'atto che hai compiuto ti sottrae a Dio creatore.
Dovete capire questo: che il peccato dell'uomo è di una gravità immensa. Noi non riusciremo mai a comprenderlo. Per questo ci rimane difficile l'accettazione del male. Noi non riusciamo a comprendere perché da un peccato debbano derivare tanti mali. II male non soltanto non è dato da Dio in conseguenza dei nostri peccati, ma nasce di per sé, è una naturale conseguenza dell'atto per il quale ti sei staccato da Dio. Staccato da Dio, tu non puoi vivere che la sofferenza e la morte: la morte fisica, la morte morale, la morte sotto tutti gli aspetti di sofferenza del corpo, di angoscia interiore dell'anima, di desolazione dello spirito, il senso del vuoto, il senso dell'inutilità della vita che sembra non avere nessuna ragione per te.
Senza Dio, la vita non ha senso
Pensate a quello che dicono i filosofi più grandi di questo secolo: si vive per l'assurdo, non c'è ragione alla vita. E di fatto è così. Se tu ti strappi da Dio, la vita rimane senza motivo, non si capisce il perché della creazione, non si capisce l'uomo, non si capisce nulla. È Dio che è la ragione di tutto, è Dio che dà a tutto la consistenza di una salvezza: il peccato ci sottrae a questo Dio.
Allora capite che cos'è la vita: la vita tanto più sarà piena quanto più tu vivrai la consapevolezza di essere nelle mani di Dio.
La santità non consiste tanto nell'esercizio delle virtù, consiste nell'avere questa percezione che Dio ci sostiene nelle sue braccia, che Dio è la ragione del nostro vivere. Non soltanto perché è Lui che dà un fine alla nostra vita, ma perché è Lui che le dà un sostegno. La ragione del nostro essere è in Lui che ci ha voluto fin dall'eternità e ci vuole per tutta l'eternità. Sottraendoti a Dio, tu precipiti nel nulla, nel vuoto.
Oggi la sofferenza, domani la pienezza dell'amore
Ecco allora che cosa è quello che celebriamo oggi: «Hoc signum crucis erit in caelo cum Dominus ad iudicandum venerit», questo segno della croce sarà nel cielo quando Dio si manifesterà». Che cos'è la gloria futura? La gloria futura non è, dopo tanto digiuno, una grandezza di ricchezza, di potenza, di gloria; è invece il fatto che nella croce che noi abbiamo accettato, nella sofferenza che è stato il dono che Dio ci ha fatto nella vita presente, a questa sofferenza risponde ora ciò che essa ha realizzato. Mediante la sofferenza noi ci liberiamo dal peccato; e allora avviene che l'uomo realizza sempre di più una vita che fa di ciascuno di noi un essere che tutto abbraccia, un essere che vive tutta la vita.
Questo succede come conseguenza legittima proprio della Passione di Gesù; la sua Passione ha fatto sì che Egli sia divenuto uno con tutti e tutti una sola cosa con Lui. Questo avverrà anche per noi, non come per Gesù e nemmeno come per i santi, ma certamente avverrà anche per noi. Nella misura in cui noi accettiamo la sofferenza che il Signore vorrà donarci, nella stessa misura la nostra vita nella gloria sarà una pienezza di amore che ci farà una sola cosa con tutti coloro che amiamo. Non ci sarà più divisione, non ci sarà più solitudine, non ci sarà più il senso del vuoto, non ci sarà più per noi lo smarrimento di una morte che ci minaccia continuamente.
Vivremo la stessa eternità di Dio, ma nell'eternità di Dio vivremo anche il suo stesso amore e nel vivere il suo stesso amore vivremo la nostra unità con coloro che amiamo. Non ci sarà più nessuno che sarà diviso da noi, non ci sarà più nessuno dal quale noi saremo divisi. Tutto il mondo in noi sarà redento nella misura che saremo partecipi di quell'amore per il quale ci siamo fatti una sola cosa con i peccatori per essere poi una sola cosa col Cristo. Tutto questo avviene, ricordatevelo, non per una nostra cosciente volontà. Anche se noi non ne siamo coscienti, di fatto le cose andranno in questo modo.
II male nel tempo presente è lo scotto che dobbiamo pagare, sia per liberare noi stessi dal pericolo di precipitare nel vuoto, sia per salvare tutti coloro che amiamo. Chi di noi non ama qualche altra creatura? Chi di noi, se è una madre, non ama i suoi figli? Chi di noi, se è un figlio, non ama la propria madre? Ebbene, la sofferenza che hai vissuto nel tempo presente farà sì che la tua unione con la madre, con la tua sposa, con i tuoi figli sarà perfetta. Non ci saranno più incomprensioni, non ci saranno più difficoltà, non ci sarà più nulla che ci separa, non ci sarà più nulla di quello che ora tante volte rende difficile anche la convivenza tra coloro che si amano. L'amore sarà veramente la pienezza della gioia perché sarà la pienezza di una vita nella quale nulla è più estraneo al nostro vivere. Noi vivremo la vita del Cristo.
Perché Dio non elimina il male?
Non è dunque che Dio non possa o non voglia eliminare il male: è che se lo eliminasse, l'uomo rimarrebbe nel suo peccato. Se Dio intervenisse direttamente eliminando il male del mondo, il mondo rimarrebbe non redento; il mondo sarebbe ugualmente preda del male, e di un male che dopo la morte non ha più redenzione, di un male che è eterno. È spaventoso, sarebbe l'inferno. È il male fisico che ci libera ora dal male che è il peccato. La dialettica della vita cristiana è tutta qui: peccato e grazia. Col peccato di Adamo è tutta la creazione che è precipitata e si è fatta schiava del male, dice San Paolo nella Lettera ai Romani (cfr. Rm 8,19-21). L'uomo è inseparabile da tutto l'universo, perché Dio lo ha creato per essere re di tutto; perciò la nostra morte determina di per sé la morte di tutto, come la nostra redenzione importa di per sé la redenzione di tutto. Tutta la creazione sarà redenta con me, tutta la creazione con me vivrà la dolcezza eterna di un amore che finalmente vince ogni divisione, ogni lontananza e sarà gioia pura e perfetta.
La redenzione della Croce
Questo mi sembra che ci debba dire oggi la festa dell'Esaltazione della Croce: capire come il male è quello che ci assicura la gloria. Senza il male fisico, senza il male morale non c'è redenzione: non perché Dio non voglia redimerci, ma perché è un fatto spontaneo che il peccato determini il male fisico e il male morale: l'angoscia interiore, la desolazione di spirito, il senso della solitudine, il senso dell'inutilità della vita. Quanti mali! II male è davvero universale, ma è anche universale la redenzione che nasce dalla croce. È proprio per la croce del Cristo che tutta l'umanità si salva e tutta la creazione, visibile e invisibile, partecipa ora della vita divina. La salvezza è questo: una salvezza dal tempo, una salvezza dallo spazio, una salvezza dai condizionamenti propri della nostra natura umana quaggiù. Non ci saranno più condizionamenti; parteciperemo alla stessa vita di Dio in una perfetta libertà, in una pienezza d'amore. Ecco quello che mi sembrava di dovervi dire.
Omelia
Letture della Santa Messa: Nm 21,4-9; dal Sal 77; Fil 2, 6-11; Gv 3, 13-17 La sofferenza è il più grande dono che Dio possa farci
Tante volte noi siamo tentati e non riusciamo ad accettare la sofferenza. Invece dobbiamo credere, come dicevano i santi, che il soffrire è il più grande dono che il Signore ci fa. Intendiamoci, noi troveremo sempre difficoltà ad accettarlo, l'ha sentita questa difficoltà anche Gesù; ma questo non toglie che la sofferenza non sia il più grande dei beni che il Signore può farci. Pertanto se noi siamo amati da Dio, più o meno il Signore deve farci soffrire. Deve? No, non è Lui che ci fa soffrire, ma, come conseguenza della nostra vocazione divina, noi dovremo sopportare un più grande peso di sofferenza. Come Teresa di Gesù Bambino, come Rosa da Lima. Vi dicevo all'inizio che sarebbe opportuno rileggere la lettura dell'Ufficio della memoria di Santa Rosa, il 23 agosto. Abbiamo qui il breviario, leggiamo questa lettura perché è importante: «Il Salvatore levò la voce e disse: Tutti sappiano che la grazia segue alla tribolazione. Intendano che senza il peso delle afflizioni, non si giunge al vertice della grazia, comprendano che quanto cresce l'intensità dei dolori, tanto aumenta la misura dei carismi. Nessuno erri né si inganni; questa è l'unica e vera scala del paradiso; al di fuori della croce non c'è altra via per cui salire al cielo».
La salvezza del mondo è la croce di Cristo
Bastano anche queste parole per capire l'importanza che ha la sofferenza e come dobbiamo ringraziare Iddio per quella sofferenza che Egli vuole donarci; se non ce la facciamo, è perché siamo povere creature. Anche Nostro Signore ha sentito la sua difficoltà ad accettare la croce. Non è il male morale, che è il peccato, che deve essere accettato, ma la conseguenza di questo male, che è la sofferenza del corpo, la sofferenza dell'anima, la sofferenza dello spirito umano. La sofferenza è dunque la cosa più valida e più efficace, più forte di tutto. Non per nulla la salvezza del mondo e la redenzione degli uomini si è compiuta mediante il mistero della croce. E quello che si è compiuto una volta col Cristo, si fa presente nella vita di coloro che a Lui sono uniti. L'unione col Cristo implica di per sé una nostra partecipazione alla sua missione e questa partecipazione alla missione implica la morte, implica almeno la sofferenza. Avete presente Gemma Galgani? Una povera figliola umile, semplice, associata al Cristo nella sua Passione per la salvezza degli uomini. Questo che è vero per Gemma Galgani, è vero per Santa Teresa di Gesù Bambino, è vero per tutti i santi. Dio non può dispensarci dal subire, anche noi, una parte della sofferenza del Cristo, se vogliamo essere con Lui. Di qui ne viene che ogni uomo ha la sua croce. Pretendere di non averla, sarebbe come voler essere esclusi dal Cristo.
Partecipare alla Passione di Cristo
Qualche volta tanti, anche dei teologi, hanno pensato che le cose vanno sempre meglio agli empi che ai giusti e che questo deriva dal fatto che Dio, non potendo glorificare chi gli si oppone continuamente, chi continuamente per partito preso gli è contro, dà loro di poter vivere serenamente almeno questi minuti di vita quaggiù sulla terra con maggiore successo dei buoni. Non è dunque vero che il successo quaggiù sia una prova della benevolenza di Dio, non è vero che la ricchezza sia un dono del Signore. Qualche volta può essere invece il segno, non dico di una riprovazione, ma di una estraneità di questi uomini al mistero della redenzione. Tutti dobbiamo soffrire, perché siamo in Cristo e non siamo in Cristo che in quanto partecipiamo alla sua Passione divina. E non solo per la nostra salvezza, ma per la salvezza del mondo; perché ognuno di noi è come l'ipostasi del mondo, è come la persona che in sé assume tutto l'universo e tutto l'universo diviene uno per lui ed in lui. Come tutto l'universo si fa uno nel Cristo, così in dipendenza dal Cristo, in ogni uomo, si fa presente tutta la creazione; ma si può far presente soltanto nella misura che l'uomo, assumendo il peccato di tutti, risponde del peccato di tutti col subirne il castigo. Questo mi sembra che sia il mistero del dolore, il mistero del male.
La libertà dell'uomo
Verrebbe escluso il male, se potesse essere escluso il peccato; ma Dio non può escludere il peccato, perché altrimenti non rispetta la dignità dell'uomo. Egli ci ha fatto uomini cioè responsabili di una nostra vita; ci ha fatto uomini, perciò liberi nello scegliere o Dio o il maligno. Dio ci ha fatto uomini e il rispetto della nostra dignità importa che Egli debba lasciarci capaci anche di fare il male, anche di separarci da Lui, subendo però le conseguenze necessarie di questa rottura col Signore.
Ricordiamoci dunque che la sofferenza non è un motivo per credere di essere abbandonati da Dio. Certo nell'esperienza umana questa è la sensazione. Anche Gesù ha avuto l'impressione, quando era sulla croce, che Dio l'avesse abbandonato: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27, 46; Mc 15, 34). Ma mai l'uomo Gesù - non dico il Verbo di Dio in quanto Dio, perché in quanto Dio è uno col Padre - ma mai, in quanto uomo, il Cristo è stato così unito al Padre come nella sua morte di croce, perché è nella morte di croce che Egli ha compiuto fino in fondo la volontà del Padre: «Si faccia non la mia ma la tua volontà» (Lc 22, 42). Egli ha vissuto proprio questo nella morte. Non volendo fare la propria volontà Egli ha voluto rinunciare alla vita per vivere soltanto la vita di Dio e la vita di Dio era l'amore, un amore che importava questo strapparsi dell'uomo Gesù da ogni attaccamento anche istintivo alla vita, perché essendo uomo ripugnava anche a lui la morte. L'uomo non può desiderare di morire, ma Egli ha superato d'impeto questa difficoltà abbandonandosi allo Spirito di Dio ed ha sopportato la morte di croce. Ricordiamoci tutto questo, miei cari fratelli, per non inveire contro Dio, per non smarrirci, per non sentirci abbandonati da Lui, se il Signore ci fa partecipi di qualche sofferenza. Se il Signore ci donasse una fede più viva, noi capiremmo che è proprio nella sofferenza che si manifesta di più l'amore di Dio per noi.
Più grande di tutto è la sofferenza
Una beata del Libano, Rafca - è già beata - sentì una meditazione di questo genere e disse al Signore: «Signore, io sto troppo bene, se vuoi dammi una prova che mi ami, dammi una sofferenza». E nello stesso momento divenne cieca, ed è rimasta cieca per tutta la vita. E ringraziava Dio di questo dono, perché era lei che l'aveva chiesto proprio per avere la prova che Dio la amava. Se Dio la amava, doveva unirla al Figlio suo, al Cristo, doveva farla partecipe della Passione del Signore.
Ora io non vi chiedo di essere nella gioia per la vostra sofferenza, è un po' difficile: ma vi chiedo almeno di non ribellarvi, vi chiedo di capire che se il Signore fa pesare su di voi la sua mano, non solo lo fa per la vostra salvezza, ma lo fa perché con la vostra sofferenza possiate salvare tutti coloro che amate. Quante mamme vogliono la salvezza dei figli! Vedono che i figli si allontanano dalla Chiesa, non partecipano più ai sacramenti, non vogliono ascoltare la Messa: ebbene, mie care figliole, se il Signore vi fa soffrire qualcosa - ricordatevelo - valgono più queste sofferenze accettate umilmente dalla mano di Dio che non la vostra preghiera. Ricordatevi che grande è il lavoro, più grande la preghiera ma più grande di tutto è la sofferenza, se è accettata dalla mano di Dio.
Non sarebbe sofferenza se, soffrendo, si fosse nella gioia. Per questo anche i santi sono passati per delle agonie terribili. Pensate a Santa Teresa di Gesù Bambino, pensate anche a Santa Gemma Galgani. La sofferenza rimane sofferenza; perciò anche nei buoni, anche nei santi rimane sempre una certa istintiva ripugnanza al dolore. Ma voi dovete saperlo: se Dio vi fa partecipi della Passione di Gesù è perché Egli vuole non soltanto la vostra salvezza, ma vuole che si compia quello che voi desiderate di più. Amate tante anime che sono lontane da Dio? Vorreste che i vostri figlioli fossero sempre più vicini al Signore mentre li vedete allontanarsi da Lui? Ricordatevi: l'unico prezzo che dovete pagare per la loro salvezza è la vostra sofferenza. La solitudine, il senso del vuoto, certe angosce interiori, e anche certe malattie sono doni di Dio. Quanti santi avevano questa certezza ed erano gelosi della loro sofferenza, perché vedevano nella loro sofferenza il segno della presenza di Dio nella loro vita.
Tutto il male deriva dal peccato
II male dunque è uno solo: il peccato. Conseguenza però del peccato è quello che viene di per sé, la sofferenza, la morte. Non è che Dio la mandi, Dio non la manda; viene come conseguenza naturale del nostro distacco da Lui. E come il distacco da Lui implica l'annullamento dell'essere, così il riavvicinamento a Lui implica per noi l'unione col Cristo; ma nell'unione col Cristo la redenzione del mondo.
Non è soltanto il vostro male, ma io penso anche al male di tante parti del mondo. Pensate al Medio Oriente, a Gerusalemme; alle nazioni dei Grandi Laghi: il Burundi, il Ruanda, lo Zaire. Tutto il mondo è in fiamme, tutto il mondo sembra devastato da un incendio di morte.
Non è che il Signore si compiaccia della morte di tutta questa gente e di questi mali; è il mondo che si è allontanato da Lui e vive la sua fine. La fine del mondo è l'allontanamento da Dio. Questo mondo precipita sempre più nel male e nel peccato, e non potrà non subirne le conseguenze: guerre, devastazioni e ogni altro male. II male cosmico, il male fisico, il male anche sociale, tutto deriva dal peccato.
Chi salva il mondo è l'anima che sa accettare dalla mano di Dio quelle prove alle quali sarà sottoposta. Anche se non è Dio che direttamente vuole questa sofferenza, è Dio che la permette, perché senza questa sofferenza non ci sarebbe la possibilità di liberarci dal peccato. Che il Signore ci doni la grazia di capire tutto questo, perché è un insegnamento fra i più importanti.
L'esistenza della sofferenza è l'obiezione più grande che l'uomo può fare nei confronti di Dio ed è anche molto spesso il motivo per il quale gli uomini si allontanano da Lui. Ma l'allontanarsi da Lui non fa altro che raddoppiare il male. II male, invece di diminuire, diviene ancora più grande perché l'uomo si carica ancor più di un peso che lo trascina nel fondo.
Preghiamo il Signore
Questo dunque dobbiamo chiedere al Signore: «Signore, tu certamente ci vuoi compagni e fratelli del Cristo, anche a noi darai una certa partecipazione alla tua Passione: tribolazioni, difficoltà, prove interiori ed esteriori. Signore, Tu conosci la nostra debolezza, Tu sai che non ce la facciamo. Anche il tuo Figlio ha dovuto pregare per tre ore nell'orto del Getsemani per essere forte nell'abbracciare la sua croce. Abbi pietà di noi se anche noi non siamo così generosi da abbracciare con gioia la croce che ci verrà data. Fa' che almeno sappiamo non ribellarci a Te e ci ricordiamo che proprio nella sofferenza Tu ci fai capaci del bene più grande, sia per noi sia per coloro che amiamo. Se vuoi, Signore, che noi paghiamo per gli altri, donaci almeno la grazia di un amore più vero, perché senza amore che cosa varrebbe la sofferenza? La stessa morte di croce non avrebbe salvato il mondo, se non fosse stato l'atto supremo dell'amore di Dio verso l'uomo. Che l'amore conduca anche noi all'accettazione del male, che l'amore compia l'opera sua e si realizzi davvero non soltanto la nostra unione con te, ma anche l'unione con i fratelli».
Leggendo in questi giorni Dostoevskij, ho visto che lui pensava il paradiso come comunione universale degli uomini. Finalmente liberati da ogni incomprensione, da ogni difficoltà, gli uomini si sarebbero amati e l'amore che avrebbe legato gli uomini fra loro sarebbe stato fonte di serenità, di pace, di una gioia profonda. Questo in fondo è il paradiso: l'amore.
L'amore è sofferenza
Noi dobbiamo ora però vivere l'amore nella sofferenza. Quaggiù l'amore vuol dire sempre questo, vuol dire soffrire. Per una mamma, per una sposa, per uno sposo amare vuol dire soffrire. Questa sofferenza, d'altra parte, è quella che trasforma la nostra vita e rende la nostra vita grande ed anche gioiosa, pur nella sofferenza: la gioia di sentirci amati e di amare.
Che il Signore compia questo prodigio in noi; il prodigio di un prolungamento della Passione del Cristo. Non per nulla i nostri santi spesso hanno le stigmate. II Signore vuol fare capire a noi tutti che, pur non avendo le stigmate, non vi è possibilità di unione col Cristo se non nella sua Croce. Che il Signore ci aiuti a comprenderlo!